Accordi di piano potenti, melodie accattivanti, un’orchestra di 36 elementi nella title track all’album e una sezione fiati arrangiata da Will Gregory (Goldfrapp) donano alle canzoni di “How big, how blue, how beautiful”, il terzo disco di Florence Welch un carattere vigoroso, potente, travolgente, perfetto per fare da giusto contrappeso ai testi intrisi di tormentate riflessioni legate ad un forte sentimento d’amore. Pop star a 21 anni, con 2 album internazionali alle sue spalle ed un lunghissimo tour, Florence si riconcilia con la vita normale imparando a prendersi cura di sè con undici canzoni intense e vibranti , drammatiche e violente e un album potente, selvaggio, libero, virulento.
Prodotto da Markus Dravs (Björk, Arcade Fire, Coldplay) con il contributo di Paul Epworth, Kid Harpoon (vecchio amico e collaboratore di Florence) e John Hill, il terzo disco di Florence + The Machine è contraddistinto da melodie ricche e ben strutturate, grandi canzoni e cavalcate inarrestabili. Il plus ultra dell’intero progetto è un’ imponente sezione fiati : “How Big, How Blue, How Beautiful è stata la prima canzone che ho scritto per questo disco subito dopo la fine del tour – spiega Florence – è iniziato un anno incredibilmente caotico e tutto è finito dentro il disco ma alla fine il feeling di How Big How Blue è quello che stavo cercando. Le trombe alla fine di quella canzone sono quello che è per me l’amore, un’infinita sessione di fiati che va verso lo spazio e ti porta via con sé, così in alto. Questo è quello che la musica è per me. Vorresti solo che proseguisse per sempre ed è l’emozione più bella”.
Florence Welch
“How big, how blue, how beautiful” è, dunque, l’album di una donna che fa i conti con le proprie paure per imparare a superarle. Colori forti, metafore e riferimenti mitologici celano una profonda vulnerabilità nei confronti di un uomo perennemente indeciso “What kind of man”, di fronte alla natura che materializza i più reconditi tormenti “Various storms & saints”. Potrebbe essere il delirio conseguente ad una disillusione d’amore, invece l’album vive di un’inaspettata speranza: “È un disco su come imparare a vivere e ad amare senza fuggire”, ha detto Florence spiegando ciò che distingue queste 11 canzoni (16 nella versione deluxe) dalle storie di evasione dalla realtà contenute in “Ceremonials” . Il brano più bello del disco è “Mother” che parte da un immaginifico tappeto blues per poi evolversi con una sublime deflagrazione finale; una chiusura esplosiva per un album che ci lascia pienamente soddisfatti e pronti a ricominciare un viaggio di gaudente redenzione.
Ship to wreck What kind of man How big, how blue, how beautiful Queen of peace Various storms & saints Delilah Long & lost Caught Third eye St Jude Mother
Max Pezzali sviluppa e sviscera i dettagli di quel “Il mio secondo tempo”, risalente alla pubblicazione di “Terraferma”, nel 2011, con un nuovo album di inediti metaforicamente intitolato “Astronave Max”, un luogo/non luogo da cui guardare il mondo da una nuova prospettiva, più consapevole, eppure possibilista. Max canta, scrive e descrive ciò che conosce meglio e, attraverso la descrizione puntuale e malinconica delle cattedrali dei giorni nostri, dei nuovi luoghi/non luoghi di aggregazione/disgregazione della società, repliche l’uno dell’altra, si addentra nei meandri del logorio della vita moderna. Il disco rappresenta, dunque, un viaggio gradevole nell’universo di Max, un universo che difficilmente tratta dei massimi sistemi ma che, proprio per questo, si presenta così vicino al nostro. Prodotto da Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni con Davide Ferrario, Astronave Max si compone di 14 tracce che lo stesso Max ci ha spiegato in occasione della presentazione dell’album. Una lunga chiacchierata in cui l’artista si è raccontato senza filtri mettendo tutti i presenti a loro agio in un contesto davvero amichevole e alla mano.
Max cosa rappresenta per te l’astronave che dà il titolo al tuo nuovo album?
L’astronave può avere una doppia interpretazione: da un lato è l’astronave madre che racconta quel luogo non luogo simbolo del nostro tempo, ovvero il centro commerciale. “Astronave Madre”, ad esempio, è un pezzo psichedelico in cui parlo di questo luogo in cui vado spesso, un teatro in cui sono rappresentate le vicende umane di persone che diventano quasi degli automi. Da qui l’idea di intitolare l’album Astronave Max: il tema centrale è l’allontanarsi dalla Terra e vedere le cose in prospettiva. A 47 anni vedo ancora in un modo abbastanza simile a prima, ma l’età ti porta ad avere una diversa prospettiva, ciò che vedi è messo in un contesto più largo, da cui riesci a comprenderne la relatività. La vita è un gioco di prospettive e di allontanamenti, di rimettere tutto al proprio posto e l’età di dà un maggiore distacco, ma sempre con l’idea che le cose finiranno sempre bene. Tutto sommato la contemporaneità, con tutti i suoi difetti e limiti, rappresenta il punto più avanzato che l’umanità, fino a questo momento, ha raggiunto.
Sei stato il cantore della provincia degli anni ’90. Secondo te con internet e la tecnologia c’è ancora questo senso di comunità, di provincia?
Io credo di sì, ma ho notato che la provincia che conoscevo io è molto cambiata perché molte zone sono diventate aree dormitorio. La crisi ha colpito i piccoli centri più delle città e la gente ora lavora a Milano, le persone non sono più fisicamente lì in provincia, ci arrivano la sera tardi e se ne vanno la mattina presto, senza vivere i luoghi. La provincia negli anni ’90 aveva la consapevolezza di non sapere cosa succedeva altrove. C’era l’immaginazione, la provincia doveva creare una propria identità per immaginare cosa succedeva fuori. Chi arrivava in città dalla provincia il sabato sera, si riconosceva subito anche da come era vestito. I milanesi ci riconoscevano subito perché noi eravamo quelli sempre con la taglia sbagliata: se volevi il Chiodo, al negoziante ne erano arrivati due, una L e una XL. Se aveva già venduto la L, ti diceva che la XL ti andava bene, bastava metterci un maglione sotto. Così noi di provincia eravamo quelli con il Chiodo troppo grande. In più la provincia creava l’obbligo di coesistenza tra persone diverse. Se eri a Pavia e ascoltavi il punk, al massimo c’erano altre due o tre persone come te e non c’era un locale dove incontrarsi. Il ritrovo era insieme a tutti gli altri, paninari, metallari e vecchi che si bevevano il bianchino. Tutti allo stesso bar. Non potevi rivolgerti alla tua nicchia, dovevi sviluppare un linguaggio che ti permettesse di comunicare con tutti. L’alternativa era che venivi menato… o menavi! Oggi anche chi in provincia rimane comunque connesso con tutte le altre nicchie d’Italia e può creare un punto d’incontro digitale con chi la pensa come lui. All’epoca dovevi fidarti di chi non era come te, ma ti aiutava a non essere dogmatico, a mischiarti. Oggi internet, invece, permette ad una nicchia isolata di comunicare a distanza in luoghi non fisici.
Il tema centrale dell’album è connesso con questo discorso?
Osservare tutto a distanza è qualcosa legato al tempo, non allo spazio. L’allontanamento non è esprimibile in chilometri ma in anni. La relativizzazione delle cose è l’unica cosa positiva dell’età. In 47 anni di vita certi corsi e ricorsi li hai già visti 7/8 volte e così capisci che è un movimento circolare. Se non ci fosse l’esperienza di avere già visto il cambiamento avvenire e poi annullarsi, avvenire e poi annullarsi di nuovo, questa prospettiva non l’avresti. La canzone “Generazioni” spiega proprio com’è arrivare in un club senza essere preparato. Io che ero abituato alla discoteca degli anni ’90, all’inizio mi sembrava un inferno in terra! Poi mi sono reso conto che infondo non è cambiato molto: gli atteggiamenti di quei ragazzi e quello che stanno cercando sono le stesse cose che volevi tu. Le generazioni di oggi non sono né meglio, né peggio di noi. Per quelli della mia età il casino era esattamente come oggi. Non c’è unicità nella sofferenza: il nostro disagio l’ha già provato qualcuno e qualcun altro lo proverà di nuovo dopo di noi.
Cos’è che aliena i giovani di oggi?
Penso sia più che altro un problema di comunicazione. È come se si fosse demandata la socializzazione a luoghi non fisici: la gente si conosce già prima e si mette d’accordo ancora prima di vedersi. Prima se l’appuntamento era alle 8 al bar e arrivavi tardi, eri fottuto, non avevi idea di dove fossero li altri e arrivavi all’1 di notte senza aver combinato niente.
Oggi i ragazzi arrivano in un posto che hanno già socializzato, arrivati nel club diventa importante solo l’esperienza sensoriale. I luoghi sono diventati posti per consumare beni e servizi e non per parlarsi e raccontarsi del più e del meno. Quello si fa dopo.
Max Pezzali
Nel disco c’è una netta maturazione nella scrittura. Sei riuscito a mantenere intatto lo stile ingenuo, passionale e sognatore che ti appartiene dai tempi degli 883, con quello di Max Pezzali uomo adulto e padre?
Penso ci sia un’evoluzione naturale. Mi sono trovato nella condizione di chiedermi che cosa scrivere e se ciò che canto interessa a qualcuno. È la sindrome del foglio bianco, quando vorresti scrivere tutto, poi ti rendi conto che l’unica cosa che sai fare è raccontare quello che conosci, quel tuo centimetro quadrato. Non puoi parlare di tutto, ma solo di ciò che conosci e ti è vicino. E questo sblocca il meccanismo, è la consapevolezza. Raccontare del mio immediato anche a 45/47 anni, non esistono argomenti da giovani o da vecchi, esiste la realtà, qualunque essa sia, ma è la tua che ora riesci a raccontare con la lente della tua età.
Hai mai pensato di prendere sotto la tua ala un giovane artista per produrlo e scrivere per lui e tramandare in questo modo lo “stile 883″?
Una volta ho scritto un testo, “100.000 parole d’amore”, per un ragazzo di X-Factor, Davide Merlini che ora fa musical. Mi piaceva molto l’idea. Sicuramente mi sarebbe più facile scrivere per un ragazzo giovane piuttosto che per uno della mia età o più vecchio. Non riesco ad entrare nell’immaginario di un cantante di mezza età!
Sergio Carnevale (batteria) e Luca Serpenti (basso) fanno parte della tua band. Come influenzano la tua musica?
Loro erano con me in tour già con Max 20. Sergio viene fuori dai Bluvertigo. La band con cui sono in giro penso sia veramente una benedizione di Dio perché oggi c’è bisogno di sonorità di questo tipo per uscire dalla dinamica del concerto scontato con musica perfettamente eseguita, ma priva di anima. Io voglio musicisti che siano anche autori, per perdere qualcosa in tecnica e precisione, ma guadagnare molto di più in impatto emotivo. Voglio comunicare ogni volta qualcosa di diverso. Tutti i musicisti arrivano da scenari diversi e, mettendo insieme queste cose, si riesce ad ottenere un suono moderno e contemporaneo. Già ascoltare un disco dall’inizio alla fine è dura, se poi c’è un suono scontato, roba vecchia… hai già perso la battaglia in partenza..
Il nuovo singolo “Sopravviverai”rappresenta il proseguimento naturale diOdiare che hai scritto lo scorso anno per Syria?
Si, è come se lo fosse. Fino ai 35 anni siamo tutti convinti che, quando finisce una storia, non ci si rialza più. Invece ci si rialza sempre. Siamo come delle barche inaffondabili: anche se si ribaltano, tornano sempre dritte. Il vero problema della fine di una storia è l’autocompiacimento. Io non sopporto neanche me stesso quando mi compatisco! Tendo ad avere nostalgia di qualsiasi cosa. Basti pensare che a 27 anni ho scritto Gli anni… di che cosa avevo nostalgia, di quando avevo 15 anni? È un sentimento quasi di maniera, mi piace l’idea di rimpiangere qualcosa, ma devo dirmi “ma vaffanculo”! Il continuo torturarsi è la ricerca del compatimento degli altri, mentre la voce razionale nel cervello ci dice di non rompere i coglioni, di smetterla di pensare alle immagini bucoliche del tempo che se ne è andato, la voce razionale ti dice di dormire che domani hai una giornata lunga. E più vai avanti, più la parte cinica diventa enorme e ti dice “ma sei scemo”?!
Come stai lavorando al tour, quali canzoni ci saranno?
Dopo le 33 date tutte sold out del tour di due anni fa, mi piacerebbe che venissero rappresentati tutti i successi del passato, ma c’è abbastanza tempo per far ascoltare al pubblico le nuove canzoni. Cercherò di capire quali sono quelle che piacciono di più alla gente per individuare quali sono le 4/6 che si possono fare, ma voglio che il peso maggiore sia dato alle vecchie canzoni. Se fai un tour incentrato sull’album nuovo la gente si rompe le pa**e perché non conosce le canzoni. Non voglio però neanche un tour celebrativo. Voglio evitare il ‘Che pa**e’ e quindi in questi mesi voglio capire quali canzoni piacciono di più alla gente. So che è brutto a dirsi, ma ci sono canzoni che non posso non fare, altrimenti non scendo dal palco vivo. Il concerto è un evento collettivo e le persone vogliono cantare le canzoni che hanno rappresentato una parte della loro vita.
Quali concerti andresti tu oggi a sentire?
Vasco Rossi, Lorenzo Jovanotti negli stadi… mi piacerebbe vedere Nek e Cesare Cremonini.
Tu sei sempre stato molto avanti, la tua attitudine nello scrivere era simile in qualche maniera a quella dei rapper. Nel 2012 hai rifatto il tuo primo disco, “Hanno ucciso l’uomo ragno” rendendolo attuale nel sound con la collaborazione di diversi elementi della scena rap italiana. E’ un esperimento che avrà un seguito?
Mi piace la contaminazione. Ora è tutto rap + pop, è il momento in cui tutto è featuring di tutti. È la rapper mania senza costrutto, ed è un peccato. Bisognerebbe essere più cauti nelle uscite, perché si arriva facilmente alla saturazione, perché la gente si rompe le palle facilmente. Mi piacerebbe fare un discorso di collaborazione, ma non un featuring. Qualcosa che nasca insieme al rap, al rock indipendente, miscelare musicisti diversi e realtà diverse in un solo album, ma non è ancora il momento.
Oggi ti senti di più un utente della rete attivo o passivo? E alla fine qual è la soluzione per sopravvivere in questo mondo?
Io sono uno dei primi utenti e sono sempre stato attivissimo nel trovare una connessione con il resto del mondo. Oggi cerco di essere attivo, ma mi sento un po’ come il metallaro… quello che ascoltava metal che scopre che la sua band preferita adesso la ascoltano tutti. Non è più il mio giocattolo! Internet è commerciale e ora mi sta sui coglioni, perché è diventato fruibile anche dai non tecnologicamente alfabetizzati. Cerco di essere critico nei confronti degli strumenti tecnologici: non tutto è figo, utile e divertente. La tecnologia non è solo Facebook e Facebook mi fa letteralmente schifo! Trovo sia un luogo dove la gente scarica addosso agli altri le proprie frustrazioni, c’è un traffico di roba inutile e tutta quella larghezza di banda è occupata da minchiate! Mi piace twitter, perché c’è un limite di caratteri. Ma l’italiano medio non lo ama perché in 140 caratteri non è neanche uscito di casa. Mi piace Instagram perché è una foto e basta. Internet mi piace quando è sintetico e arriva subito.
Quanta rete c’è nel tuo disco?
Non avrei mai potuto fare questo album senza l’utilizzo intenso della rete. Davide preparava le basi e me le mandava, io le cantavo e gliele rimandavo su dropbox. Questa è la figata! Essere liberi di trasmettere le cose. Abbiamo fatto un album in remoto e me ne vanterò sempre. Siamo all’interno di un frullatore mediatico in cui ci vengono fatte credere delle verità preconfezionate e ho paura che seguire troppo le regole e i consigli vengono dati sia una limitazione. Non bisogna credere troppo a quello che ci dicono, nel bene e nel male. Le spiegazioni troppo semplici di solito non sono vere perché la realtà è complessa. Bisogna seguire le proprie attitudini indipendentemente da quello che dicono gli altri. C’è sempre spazio per realizzare la tua strada. Non bisogna credere troppo al buonsenso comune.
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Otto dischi alle spalle ed un tour mondiale concluso da poco. Il trombettista beneventano Luca Aquino torna sui palchi d’Italia con “OverDoors” un nuovo progetto discografico prodotto dalla Tuk Music di Paolo Fresu. Con l’atteso concerto tenutosi lo scorso 31 maggio, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma, il musicista, affiancato da Antonio Jasevoli alle chitarre, Dario Miranda al basso e Lele Tomasi alla batteria, ha dato vita agli arrangiamenti pensati, costruiti e definiti immaginando una nuova via per canzoni che hanno segnato la storia della musica rock. Un ritmo nuovo e suadente, insieme ad una chiave di lettura ora diversa dall’originale, ora fedele e docile agli spartiti che furono, hanno scandito il concerto che, brano dopo brano, ha accompagnato per mano il pubblico verso il futuro senza abbandonare il prezioso bagaglio del passato. Profondamente ispirato dal rock e in particolar modo dai Doors, uno dei gruppi più influenti degli ultimi 50 anni, Luca Aquino ha rivisitato i classici del repertorio della band californiana da Light my Fire a Waiting for the Sun, fino a struggenti interpretazioni di brani come Indian Summer, Queen of the Hightway e The Crystal Ship seguendo la fortunata intuizione di spaziare liberamente tra melodie dal fascino sempiterno e nuovi spruzzi di groove contemporaneo.
Photogallery a cura di: Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Luca Aquino live @ Auditorium Parco della Musica – Roma Ph Roberta Gioberti
Vent’anni di musica costruita passo dopo passo, album dopo album, concerto dopo concerto. Oggi Cesare Cremonini rappresenta un punto di riferimento per la musica italiana e, a pochi mesi di distanza da un fortunatissimo tour, l’artista apre una finestra sul suo futuro con “Più che logico (live)”, un triplo album, un progetto curato nel dettaglio e molto ambizioso, contente la registrazione del concerto di Torino dall’ultimo tour e ben quattro canzoni nuove che lo stesso cantautore definisce come “Un passo avanti nel mio percorso”. ”Più che logico, spiega Cremonini, non è il classico live che prende tempo tra un progetto e l’altro. Certo, chi fa un disco dal vivo tende a non mettere canzoni importanti o troppo nuove che svelino troppe cose, io, invece, ho voluto inserire canzoni nuove ed importanti, che intendono aprire una finestra su quello che posso e voglio fare discograficamente.
Entrando nello specifico degli inediti si parte con la già nota “Buon viaggio (Share the Love), un brano dal sapore estivo con un refrain catchy, pensato per infonderci propositività e coraggio. Decisamente interessante è il sound di “Lost in the weekend”, un fedele affresco metropolitano di un modus vivendi difficile e complesso che Cesare ha definito “una preghiera elettronica” eleggendola a colonna sonora del prossimo #PiùCheLogicoTour2015. Dolce e tormentata “Quasi quasi”¨”una canzone d’amore perfetta per essere bisbigliata all’orecchio di una ragazza”, come ha raccontato Cesare alla stampa, durante la presentazione del disco a Milano, aggiungendo, “Noi cantautori dovremmo ricordarci più spesso dell’esigenza di vivere un momento a due, senza condivisioni obbligatorie come, invece, avviene sempre più spesso per l’ influenza dominante dei social networks”. L’ultimo degli inediti è l’energica “46”, già inno per lo Sky Racing Team VR46, una canzone ispirata da Valentino Rossi, amico di Cremonini e dall’amore di Cesare per i motori: “Sono affascinato dal mondo dei motori e in particolare dai campioni delle due ruote”, ha spiegato, “Sono loro le vere rockstar: hanno una vita al limite e rischiano sul serio ogni volta che gareggiano. Il loro pubblico ha un sapore di festival rock (sembra un nuovo Woodstock) e quando sono con loro mi sembra di avere a che fare con i nuovi Mick Jagger e Vasco Rossi”.
Un altro elemento importante di più “Più che logico” è il booklet: 60 pagine per raccogliere, spiegare, condividere l’essenza di un mutuo scambio di emozioni, quale è il concerto, un momento che Cesare vive con particolare trasporto, conseguenza di una naturale predisposizione: “Ho la presunzione di dire che so stare su un palco: è una cosa che amo fare da sempre”, racconta l’artista, che a ogni data propone un momento solo voce e piano perché :”È come se tornassi indietro nel tempo: mi ricorda quando avevo 6 anni e mia madre mi diceva: ‘Suona per noi!’. Sono 16 anni che ho iniziato a fare il musicista ma dopo i Lunapop la mia strada è ricominciata da capo. Sull’avambraccio ho tatuato Freddie Mercury quindi capite come sia naturale per me essere attratto dall’idea di cavalcare grandi palchi. In questo mestiere la passione è tutto e io ho quella di un ragazzino: quando hai la possibilità di incontrare dal vivo tanta gente ti dà grande energia”. Nato da un’idea del produttore Walter Mameli, il booklet assume la valenza di vero e proprio valore aggiunto al progetto: “Pensavo fosse una fatica inutile, invece poi mi è venuta una voglia pazzesca di raccontare le mie impressioni e l’intera giornata di un concerto, da quando mi sveglio a quando arriva l’ora di pranzo e non ho per niente fame perché sono agitato. Questo libretto è come se fosse il pezzo in più, anzi il sangue in più, quella parte di passione che non sta dentro la pelle”.
“Ad oggi, ha aggiunto Cesare, mi sento finalmente dove voglio stare. Non è sempre stato così, a volte mi sembrava di avere un grande seguito di pubblico ma di aver poco da condividere con lo stesso. Ora non è assolutamente così. Io mi sento un intrattenitore, non solo uno scrittore di canzoni. Non ho preclusioni verso il cinema o la televisione. Mi piace giocare con il mio mestiere e il mio mestiere è meraviglioso perché concede una grande fortuna: puoi tranquillamente morire ma ogni concerto è un’occasione di rinascita, di ripartenza”. Si tratta, quindi, di un periodo ricco di energia, entusiasmo e aspettative per Cesare, il giusto premio giunto dopo sei lunghi mesi di lavoro solitario e certosino che sfocerà nelle date del prossimo “Più che Logico Tour 2015”: “il secondo tempo del tour precedente, ma senza la sensazione di aver già vinto la partita”, ha concluso Cremonini.
Queste le date del Più che logico tour:
Ottobre
23 TORINO – Pala Alpitour
24 GENOVA – 105 Stadium
27 ROMA – Palalottomatica
30 PESARO – Adriatic Arena
31 BOLOGNA – Unipol Arena
Novembre
3 FIRENZE – Mandela Forum
5 EBOLI (Salerno) – Palasele
7 ACIREALE (Catania) – Palasport
10 BARI – Palaflorio
13 MILANO – Mediolanum Forum
17 MONTICHIARI (Brescia) – PalaGeorge
19 PADOVA – Palafabris
21 CONEGLIANO (Treviso) – Zoppas Arena
22 TRIESTE – PalaTrieste
24 VERONA – Palasport
Con oltre 45 milioni di singoli venduti in tutto il mondo, Jason Derulo è tra gli artisti di maggiore successo degli ultimi anni. Fautore di un genere musicale fresco ed accattivante, a cui molti altri artisti pop-dance si sono rifatti dopo il suo successo, Jason è tra i più ascoltati sulle piattaforme musicali Spotify e Shazam. Le sue canzoni hanno tutte un particolare appeal radiofonico, senza dimenticare il fatto che Jason è stato anche invitato a partecipare nel ruolo di giudice alla prossima 12° stagione di “So you think you can dance”, il noto reality show americano sul mondo della danza. In occasione dell’uscita del singolo “Want To Want Me”, Jason Derulo è arrivato a Milano per parlarci del suo nuovo album “Everything Is 4”, nei negozi dal 1° giugno, un lavoro composto da undici tracce in cui troviamo sonorità provenienti da generi diversi, quali pop, dance, urban e R’n’B, con numerose le collaborazioni importanti, tra le quali Stevie Wonder, Jennifer Lopez, Keith Urban, Megan Trainor e Matoma. Durante l’intervista l’artista ci ha parlato non solo del nuovo album e della propria musica, ma anche di sé e delle proprie emozioni.
Il titolo del tuo album è “Everything is 4”. Qual è il significato di questa scelta?
Tutto è per una ragione. Tutto è per mia madre, per i miei fan, per il mio futuro. Anche il numero 4 nel titolo ha un significato simbolico: le quattro gambe in un tavolo, il susseguirsi delle quattro stagioni, i quattro stati della materia.
Anche i generi musicali presenti nell’album possono essere ricondotti al numero 4?
In verità ce ne sono molti di più! C’è il country, il folk, il pop, l’R’n’B, l’alternative e tutta una serie di richiami a generi diversi.
Riallacciandoci a questa tematica, ci racconti come hai lavorato al brano, “Broke”, realizzato in collaborazione con Keith Urban e Stevie Wonder?
Incredibile. Keith è un grande professionista. Stevie l’ho incontrato ad una cena alla Casa Bianca, ho parlato con lui, gli ho proposto di suonare l’armonica in “Broke” e lui ha accettato. Quando è arrivato in studio ha portato con sé dieci o quindici armoniche diverse per scegliere quella giusta per questa particolare registrazione, è un genio!
Come possono generi così diversi, come pop, il country, il soul andare d’accordo tra loro?
La musica è sempre musica. Credo che una canzone come “Broke” possa rompere le barriere perché non è solo country ed il risultato è stato sorprendente anche per me!
Nell’album ci sono altre collaborazioni importanti, come quella con Jennifer Lopez in “Try me”. Com’è andata?
J.Lo è una delle più influenti artiste femminili di tutti i tempi. Abbiamo cantato e ballato per due notti, l’obiettivo era trovare il mood più adatto per una canzone che parla di noi. Lei è fantastica, si è materializzata dal muro della mia stanzetta nel mio studio di registrazione. Ne siamo usciti fuori con una canzone House stile caraibico che è davvero entusiasmante.
Jason Derulo
Potresti dirci qualcosa di più riguardo ai testi e ai contenuti dell’album?
Ogni canzone è davvero diversa dalle altre. Per esempio, “Painkiller”, il duetto con Metghan Trainor, parla di come le avventure di una notte possano aiutare a dimenticare la sofferenza per la fine di una relazione, anche solo per un po’, proprio come fanno gli antidolorifici. Non riesco a scrivere di cose che non mi capitano e a me capita questo. Anche se per un breve tempo, le avventure fanno bene.
Da cosa nasce un pezzo come “Want To Want Me”, che hai scelto come singolo?
Credo sia frutto della sperimentazione, anche perché non penso mai «ora farò così». Gli anni ’80 sono stati un periodo meraviglioso. C’è molto di Michael Jackson e di Prince in questo album. Quando ero piccolo, non capivo Prince e non capivo perché alla gente piacesse. Quando sono diventato più grande, sono riuscito ad apprezzarne pienamente il genio. Quindi sì, ogni cosa arriva dalla sperimentazione.
Come descriveresti il tuo album, con una sola parola?
Necessario. Ci sono canzoni per chiunque e per ogni situazione, sia che tu stia attraversando la fine di una relazione, sia che ti stia innamorando di qualcuno. Ogni canzone è speciale in modo diverso.
“Want To Want Me” è il tuo sesto singolo ad entrare nella Billboard Hot 100. Cosa serve per arrivarci?
Il talento, naturalmente. Credo anche che per continuare ad essere nella Billboard serva saper scrivere le proprie canzoni e non dipendere da altri. Il talento è la vera chiave del successo e quindi mi piace pensare che chi si scrive le cose da solo non debba dipendere dal talento altrui.
Come hai deciso di diventare una pop star?
Ho cercato me stesso per molto tempo. Volevo cantare. Volevo fare rap, R’n’B, soul, country e jazz. I musical hanno avuto una parte importante nella mia vita, finché non ho finalmente ottenuto un ruolo a Broadway e ho capito che non era la cosa giusta per me. A quel punto ho deciso di fare la mia musica che, giorno dopo giorno cambia volto in maniera camaleontica e direttamente proporzionale al mio umore. Di sicuro non sarà mai noiosa, perché ci sono così tanti “gusti” tra cui scegliere.
Sarai in “So You Think You Can Dance”, il famoso talent show americano sul mondo della danza, nel ruolo di giudice al fianco di Paula Badul e Nigel Lythgoe. Senti una certa responsabilità verso coloro che dovrai giudicare?
Certo! Ero in quella posizione non molto tempo fa, so come ci si sente a fare audizioni di fronte a tre o quattro persone. Sento la responsabilità di non dire solamente «no», penso sia importante spiegare le ragioni del rifiuto.
Nei tuoi video appari spesso come un sex symbol. Tu ti vedi così o semplicemente ti diverti ad interpretare questo ruolo?
Sarebbe davvero strano vedere me stesso come un sex symbol! Ma sono felice di rivestire questo ruolo, mi piace il sesso. Ad ogni modo vengo da Miami e a Miami non abbiamo molti vestiti addosso!
C’è qualcosa di specifico che ispira i tuoi testi?
A volte penso di essere guidato da Dio per le idee che ho in testa. Mi piace la sperimentazione, vengo da Miami dove ci sono tanti stili musicali e a me piace mischiarli. A questo aggiungo il mio approccio evolutivo alla musica.
Quale sarà il tuo prossimo singolo?
Non lo so, sto ancora decidendo. Ho messo online tre o quattro canzoni, sperando che questo mi indicasse le preferenze del pubblico ma sono piaciute tutte e il compito della scelta non è stato facilitato come speravo. Questo è un disco che vale nella sua interezza, vorrei fare un video per ogni pezzo perché non vorrei essere ingiusto con le canzoni, non vorrei lasciarne indietro nessuna!
Nel disco “Intimamente Tango” Floraleda Sacchi e Maristella Patuzzi rivisitano le composizioni di Astor Piazzolla in un tango inconsueto che si fonde con i caratteri poetici ed intimi della musica classica.
Le composizioni di Astor Piazzolla sono riproposte negli arrangiamenti originali e creativi firmati da Floraleda e Maristella che fondono armonicamente malinconia, speranza e sensualità in una nuova chiave musicale, tra tradizione e innovazione, tra classico e jazz, tra improvvisazione e world music.
Cosa vi ha spinto a lavorare insieme e perché avete scelto di concentrarvi proprio sul repertorio di Piazzolla?
Perché entrambe amiamo la sua musica, perché non esisteva per il nostro duo e dunque questo ci obbligava ad essere più personali e ad arrangiare tutti i brani. Ci è sembrato il modo migliore per fare veramente duo e trovare un accordo.
In che modo avete interpretato un genere così particolare come il tango?
Cercando di metterci tutto il sentimento possibile. Il Tango è così, ti coinvolge e ti fa sentire vivo perché ti emoziona. Dato che Piazzolla è stato anche un compositore colto e raffinato, con studi tradizionali, abbiamo pensato molto a come valorizzare la sua ricerca sonora e la sua raffinatezza, elementi che spesso passano in secondo piano.
Cosa significa fondere malinconia, speranza, sensualità in un unico progetto?
Significa parlare delle sfaccettature del vivere quotidiano.
Quali sono le tappe che hanno scandito il percorso legato a questo disco?
Abbiamo dapprima scelto di suonare insieme, poi abbiamo scelto la musica da suonare attraverso un grande lavoro di ricerca e selezione dei brani di Piazzolla da trascrivere (ce ne piacevano troppi). Abbiamo lavorato agli arrangiamenti ad ogni ora del giorno con giornate di prove intense, le registrazioni e le valutazioni finali del risultato a due mesi di distanza dalla fine dei lavori.
Com’è andato il concerto dello scorso 9 maggio al Loggione de La Scala?
Molto bene, abbiamo suonato anche un po’ di brani operistici di Donizetti e Paisiello e il pubblico si è molto divertito. Ci hanno detto che li abbiamo fatti sognare e che era un concerto pieno di poesia.
Che sensazioni avete provato suonando al Museo del Legno?
Il concerto è andato molto bene. E’ stato molto particolare suonare su un tavolo (per noi palco) di legno Kauri vecchio di 48.000 anni. Il legno risuonava meravigliosamente e ci ha fatto da cassa armonica. Dovendo suonare senza scarpe, lo sentivamo vibrare sotto i piedi e abbiamo avuto la sensazione che abbia gradito e quasi sognato che potesse rifiorire.
Floraleda, hai suonato in tante sale importanti, sei stata solista con tante orchestre… come cambia di volta in volta il tuo approccio allo strumento?
Cambia in base al repertorio che suono e posso suonare molto diversamente. Cambia ancor più l’approccio in base alla sala in cui si suona, all’acustica e al pubblico che frequenta il luogo. Ma proprio questo è quello che rende ogni concerto diverso dall’altro e il lavoro del musicista così bello.
Quali sono le differenze tra l’arpa antica e quella moderna? Quale tipologia di strumento preferisci suonare?
Gli strumenti antichi così come l’arpa sudamericana sono caratterizzati dalla minor tensione delle corde, questo (chiaramente con stili molto diversi) porta ad una grande velocità e leggerezza nell’esecuzione. L’arpa moderna è più potente e più aggressiva e la amo per quello. So suonare anche le arpe celtiche, ma sarebbe meglio avere le unghie più lunghe perché l’unghia è richiesta nel pizzico, un po’ come sulla chitarra. Questo è un po’ un problema perché per le altre serve rigorosamente solo il tocco con il polpastrello. Mi diletto anche a suonare il Koto e la Kora… insomma ho un feeling con le corde.
Sei autrice delle musiche del monologo “donna non rieducabile” , in scena con Ottavia Piccolo… di cosa parla l’opera e come vivi i successi di ben 100 repliche?
Bene, ormai lo spettacolo sta nel piacere di incontrarsi con i colleghi. Dopo 100 repliche potrei suonare tutto anche in condizioni proibitive. Il tema dello spettacolo è estremamente importante e serio e mi tocca ogni volta che lo porto in scena: si parla infatti della libertà di stampa, di comunicazione ed espressione, insieme alla volontà di portare il proprio lavoro fino in fondo, restando fedeli ai propri ideali anche a costo di rischiare la propria vita. Non a caso la figura che guida questo percorso è quella della giornalista Anna Politkovskaja, che è stata uccisa per non essersi piegata alla censura. La sala stampa della Comunità Europea, infatti, è intitolata a lei.
Maristella, come ti trovi a suonare con Floraleda e quali altri progetti hai in programma?
Adoro suonare con Floraleda perché è sempre creativa e suona con entusiasmo. Per quanto mi riguarda mi divido tra la musica e la politica, la musica mi segue fin da bambina, la politica è capitata per caso, ma quasi senza che lo volessi, sono diventata prima consigliera a Lugano e da qualche giorno parlamentare al gran consiglio del Ticino. Mi piace immensamente cercare di fare qualcosa per gli altri. Per me, che ho genitori italiani e nazionalità italiana, ma sono nata in Svizzera e ho anche questa nazionalità, è bello potermi dedicare ad entrambi i paesi, perché mi sento di appartenere ad entrambi.
Che emozioni provi suonando lo Stradivari Ex Bello 1687?
Bellissime, suonai questo strumento per la prima volta a New York e me ne innamorai. Dopo il concerto dovetti ovviamente restituirlo, dopo qualche mese fu lui a venire a Lugano, dove abito, nelle mani di un collezionista privato che me l’ha affidato. L’ho sempre visto come un segno del destino e poi l’87 è il mio anno di nascita, 300 anni più di me… Le coincidenze sono troppe!
Che tipo di riscontro state ricevendo dal pubblico?
Finora siamo state accolte molto favorevolmente e abbiamo ricevuto solo complimenti e critiche positive. Questo ci sprona ovviamente a continuare a dare il massimo per soddisfare il nostro pubblico.
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Con il nuovo album “Beyond”, Mario Biondi va davvero “Oltre”, attraverso un sound che supera le ballads jazz per rendere protagonisti funky e soul in un progetto che si avvale della presenza di nomi eccellenti tra i quali i Dap-Kings, gruppo musicale funk/soul di Brooklyn e band di Sharon Jones, che ha collaborato con Amy Winehouse ed altri artisti. Tra gli autori dei brani troviamo, invece,Bernard Butler (ex chitarrista degli Suede), D.D.Bridgewater , Max Greco e David Florio. A distanza di due anni da “Sun”, questo lavoro apre un nuovo capitolo all’interno della discografia di Biondi che, ispirandosi liberamente alle sonorità dei Coldplay, ha scelto di sperimentare la sua voce realizzando, così, un variegato prisma sonoro. Le tredici tracce che compongono il disco sono il frutto di grandi amicizie che l’artista ha portato avanti negli anni ed il risultato, fresco e moderno, conserva l’eleganza e la ricercatezza che da sempre contraddistinguono la progettualità discografica di Biondi.
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
La tracklist si apre con “Open Up your eyes”, “All my life”, “Love is a temple”: una triade incentrata sui sentimenti, espressi in maniera prima concettuale poi più esplicita in “All I want is you” e “I choose you”. “You Can’t Stop This Love Between Us” viene dalla collaborazione con due DJs degli anni novanta come Bini & Martini e racchiude tutto il gusto per la miscela soul/funk tanto cara all’artista siciliano. Eletto a manifesto di rinnovamento e cambiamento dallo stesso Biondi, “Come down” è l’altro brano da segnalare, insieme a “Where does the money go”, un brano insolitamente vicino al raggae, che chiude il disco lasciando una sensazione di sorpresa e stupore nell’ascoltatore.
Raffaella Sbrescia
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Queste le date in corso del tour “Mario Biondi Live 2015” (prodotto e organizzato da F&P Group):
Il 22 maggio a Bari (Teatro Team)
Il 24 maggio a Palermo (Teatro Politeama)
Il 25 maggio a Catania (Teatro Metropolitan)
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Dopo i concerti in Italia, l’ormai consolidato successo internazionale di Mario Biondi porterà l’artista in tour anche in Europa e in Asia. Queste le prime date confermate: il 27 maggio a Londra (Regno Unito), il 28 maggio a Vienna (Austria), il 30 maggio ad Amburgo (Germania), il 31 maggio a Zurigo (Svizzera), il 2 giugno ad Amsterdam (Olanda), il 6 giugno a Baku (Azerbaigian), l’8 giugno a Mosca (Russia), il 10 giugno a Bruxelles (Belgio) e l’11 giugno a Parigi (Francia).
“On stage” con Mario Biondi: Alessandro Lugli alla batteria, Federico Malaman al basso, Massimo Greco alle tastiere e programmazione, David Florio alle chitarre, Marco Scipione al sax, Fabio Buonarota alla tromba e Romina e Miriam Lunari, cori, danze e coreografie.
Photogallery a cura di: Roberta Gioberti. Foto realizzate durante il concerto tenutosi lo scorso 20 maggio 2015, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti
Eros Ramazzotti torna con “Perfetto”, un nuovo album di inediti (Universal Music) che rispecchia appieno lo status di un uomo, padre, figlio, compagno, artista nel momento più vivo e più autentico della propria esistenza. All’interno dei 14 brani realizzati tra Milano e Los Angeles, Eros canta l’amore nel senso più ampio del termine, inteso quasi come evoluzione individuale. Comprendere se stessi, conoscere a fondo i propri limiti e le proprie risorse, rappresenta, mai come in questo caso, l’opportunità per affrontare con nuovo slancio la fase adulta della vita e della propria carriera artistica. Prodotto da Claudio Guidetti, “Perfetto” intende rappresentare la fedele descrizione di questo stato di cose che, per Eros, racchiudono l’essenza della felicità. Avvalendosi della prestigiosa collaborazione ai testi di Federico Zampaglione, Mogol, Kaballà (Giuseppe Rinaldi, che aveva già collaborato con Eros per Calma Apparente), Pacifico e Francesco Bianconi (Baustelle), Eros Ramazzotti ha mantenuto un legame tangibile con le radici della tradizione musicale italiana ma allo stesso tempo ha ricercato nuove sonorità collaborando con alcuni musicisti importanti come Michael Landau , Vinnie Colaiuta, Sean Hurley e Jim Keltner tra gli altri.
Il risultato è un viaggio tra sonorità folk e modern-country, ballads elettroniche e tantissimi riff di chitarra: “Una canzone la puoi vestire come vuoi, ma l’importante è cosa vuoi trasmettere”, ha raccontato Ramazzotti durante la conferenza stampa di presentazione del disco a Milano. In effetti sono tanti i contenuti racchiusi nella tracklist del disco che, diversamente da quanto ci si aspettava, non contiene duetti. Si parte con “Alla fine del mondo”, accolta con sorpresa dagli addetti ai lavori, per il sound country che attraversa il testo, il moderno Don Chisciotte ramazzottiano si sposta poi sulle note estemporanee de “ Il tempo non sente ragione”, un ragionato invito a vivere qui ed ora. Al momento il brano più amato è proprio la title track “Perfetto”, incentrata sui dettagli e sulle piccole cose in grado di poter fare davvero la differenza nella nostra vita. Parole di conforto per chi è stanco di commettere errori sono racchiuse nell’evocatività poetica di “Sbandando” mentre l’energia di “Sogno n.3” rappresenta lo stacco perfetto prima di immergerci tra le intime e delicate parole di “Rosa nata Ieri”, in cui Eros parla con il cuore in mano ad una giovane donna che si affaccia alla vita tra incertezze, sogni e paure, tutte da affrontare a viso aperto.
Intensa e positiva “Vivi e vai”, ricca di suoni e spunti per il nostro vivere quotidiano. Come sempre ispirato dall’amore, Eros canta con particolare trasporto “Un’altra estate”, “L’amore è un modo di vivere”, “Il viaggio”: un percorso a tappe, scandito dalla ricerca della propria identità. La celebrazione della passione e dei sentimenti autentici continua con “Tu gelosia”, “Sei un pensiero speciale”, “Buon Natale ( se vuoi)”. Verace e sincero, Ramazzotti sceglie di chiudere il disco con “Tra vent’anni”, un brano intenso e delicato, destinato a diventare parte integrante della classica antologia ramazzottiana. Non rimane che attendere in che modo Eros deciderà di costruire il suo nuovo per il lungo tour che partirà il prossimo 12 settembre al 105 Stadium di Rimini per prendere successivamente il largo attraverso tutta l’Europa e toccare, infine, anche molte città della Russia, comprese Mosca, Tbilisi e Baku.
Dolce, appassionata, sensibile e romantica da un lato, forte, determinata e tenace dall’altro. Claudia Lagona, in arte Levante, dall’alto dei suoi 27 anni conquista il pubblico con “Abbi cura di te”, un nuovo intenso lavoro discografico che porta la firma di INRI e Carosello Records, in cui le dodici tracce che lo compongono lavano via le ferite e pagano per intero e senza mezzi termini il saldo con le sofferenze del passato. Ogni brano possiede una propria dimensione definita, una storia da raccontare, una ferita da rimarginare, uno scopo da raggiungere: la felicità. Arrangiamenti raffinati e sonorità ricercate sono il frutto della produzione artistica di Alberto Bianco, già operativo per “Manuale Distruzione” e regalano una sfumatura unica a ciascun pezzo.
Levante
Si comincia con “Le lacrime non macchiano”, un brano agrodolce profumato di pop-rock venato d’elettronica. Imbarazzo, disagio, incertezza, timore e rischio irrorano i versi di “Ciao per sempre” mentre la titletrack “Abbi cura di te” diventa un mantra da seguire, un focus su cui mantenersi concentrati: “Segui la parte sinistra, il battito lento, l’istinto che sia , segui le orme dorate, i cieli d’argento, non perderti via”, canta Levante, con semplicità e classe, con schietta malinconia dal gusto retrò. Più allegra e movimentata “Caruso Paskoski”, ispirata al film del 1988 di Francesco Nuti “Caruso Paskoski di padre polacco” che Levante vide in tv col papà. Romantica e sognante è, invece, “La rivincita dei buoni”, le cui sonorità strizzano l’occhio alle melodiche ballads anni ’50. Notevole il suadente groove della chitarra acustica folk di “Contare fino a dieci”. Commovente ed intensa “Finché morte non ci separi”, brano in cui Levante canta con la madre ripercorrendo le prime fasi della storia d’amore dei propri genitori. Amore, amore e ancora amore come in “Tutti i santi giorni” e soprattutto in “Lasciami andare”, prodotta dal compagno di Levante, Simone Cogo alias The Bloody Beetroots ed irrorata di affascinanti tocchi di elettronica. Divertente, ironica e spassosa “Pose plastiche”, un brano che non le manda di certo a dire e che demolisce i “sorrisi indossati all’occorrenza”. Forte e potente “Mi amo”: “mi amo e non importa se ridi di me, sì mi amo anche quando non so sopportarmi”, canta ferma e decisa Levante, salvo poi commuoversi intonando “Biglietto per viaggi illimitati”, il racconto poetico dell’addio al padre ferroviere, che chiude questo disco così come si concluderebbe un sogno malinconico e gioioso al contempo e che ci lascia sospesi in un limbo distante dal cinismo imperante del nostro tempo.
Ecco cosa ci ha raccontato Levante in occasione della presentazione alla stampa di questa mattina a Milano:
Qui parliamo di coraggio… tu ti rendi conto di essere coraggiosa, di aver intrapreso una strada che prescinde dai luoghi comuni della musica, che ti vede protagonista del palco insieme alla tua chitarra… come affronti questo tuo modo di essere?
Io non ho mai creduto di essere una persona coraggiosa perché in ogni cosa che faccio, ho sempre una paura incredibile però è anche vero che il coraggio senza paura non è coraggio per cui è anche giusto che ci sia una sensazione di debolezza, di fragilità. Credo di essere stata coraggiosa nello scegliere di essere felice e questo tipo di musica, insieme a questo tipo di percorso, mi fa stare bene; non ce n’è un altro che mi farebbe stare meglio di quello che sto facendo adesso.
Ti sei presentata come artista indipendente , quanto ci tieni a mantenere questo status e quanto ti preoccupa il passaggio in spazi più ampi sia televisivi che festivalieri?
Io non ho paura di questo. Spesso si tende ad associare l’essere indipendenti all’essere qualcosa di molto opposto al pop e non è così! Io sono molto pop, non sono molto distante dalla tv e dalle cose più “commerciali”. Spero di essere indipendente nelle scelte, vorrei essere sempre in grado di poter essere l’ultima persona a dare l’ultima parola, quella decisiva. Vorrei sempre poter contare tanto rispetto magari ad una major che mi vorrebbe avviare verso percorsi che non amerei fare.
Il mainstream implica una serie di scelte comunicative diverse…
Sì, eppure il mainstream mi mi scarta perché sono considerata un po’ borderline. Nel mondo la mia musica è pop, in Italia, invece, sono borderline…. Il mio esempio Carosello Records, una realtà indipendente molto forte, salda, con dei principi fermi, eppure di successo, per cui credo si possa diventare grandi senza svendersi.
Levante
Hai definito il tuo disco “l’Abbecedario della felicità”…come sei arrivata a questo percorso?
È stato tutto molto naturale. Ho scritto “Abbi cura di te” durante tutto il 2014, nell’ambito del “Manuale Distruzione tour” quindi avevo tantissime cose da dire proprio perché stavo facendo delle scelte molto forti, sia a livello personale che musicale. In queste 12 tracce parlo tanto di me poi ho stretto dei forti legami con tantissime persone che amo e che mi sono state molto vicine per cui ci sono anche dei racconti che non ho vissuto in prima persona ma che racchiudono una sorta di cammino verso la serenità, verso la voglia di essere felici. Fino a qualche anno ha, ho avuto un atteggiamento adolescenziale, mi crogiolavo nella tristezza poi, ad un certo punto, ho sentito l’esigenza di essere felice e la svolta è stata il saper scegliere. La felicità non la trovi dietro l’angolo, la felicità è dentro di te, nel momento in cui hai il coraggio di fare le scelte che ti portano ad esserlo, lo sei.
Continui ad avere esempi o punti di riferimento in ambito artistico –musicale oppure vai per la tua strada?
In questo periodo i miei lavori ricordano un po’ Leslie Feist poi c’è Carmen Consoli: tanti mi associano a lei e per me è un grandissimo onore poi mi rendo conto che siamo tanto diverse, sia nella scrittura che nel modo di vivere la musica e di farla, poi ci sono Cristina Donà, Janis Joplin, Alanis Morrissette e Mina.
Perché stai facendo fatica ad imparare i nuovi testi?
Da quando è esplosa “Alfonso” non mi sono mai fermata, sono sempre stata in giro con il tour, ho scritto il disco, siamo stati in Europa, in America, ho registrato il disco, ho iniziato subito la promozione e non ho avuto il tempo di studiare…giuro che mi preparerò meglio!
Parlaci del tuo rapporto con la Sicilia, della canzone in cui canti con tua madre nel disco e di quella che hai dedicato a tuo padre…
Ho una sorta di amore-odio con la Sicilia, l’ho lasciata all’età di 14 anni con mia mamma, valigia e chitarra, per sopravvivenza. Sono molto innamorata della mia terra, ci torno spesso, ho tutti i parenti paterni lì, la mia casa, i miei ricordi. Quando ci torno è sempre una sorta di capriola nel passato…
Ho sempre raccontato di mio padre, la sua scomparsa è stata la ferita più grande, la prima in assoluto per me. Anche in questo album c’è un brano che parla di lui ed è “Biglietto per viaggi illimitati”: sono figlia di un ferroviere e, quando lui è mancato, mi sono ritrovata con questa specie di scherzo del destino con questo biglietto per viaggi illimitati…La cosa amara è che quando lui mancò, l’unico posto in cui volevo raggiungerlo non era possibile da raggiungere per cui racconto di questo treno che non posso prendere. Per quanto riguarda mia madre, invece, finalmente ho raccontato una storia di cui mi vanto tantissimo fin da piccola: questa mamma sedicenne, un po’ pazza, che lega le lenzuola calandosi dal primo piano di casa, lasciando le finestre aperte a Torino, facendo ammalare la sorella con la febbre a 40. Il tutto per raggiungere il mio papà, che in quel periodo studiava ingegneria meccanica a Torino e che si era innamorato di questa ragazzina. L’idea più bella di questo disco è stata proprio quella di voler far cantare mia mamma. Inizialmente ero terrorizzata perchè non è facile ascoltare la propria voce in cuffia, in uno studio, essere intonati, precisi ed interpretare bene un brano. Lei però, superato il primo scoglio per l’ inevitabile emozione , è stata davvero bravissima.
E per quanto riguarda gli arrangiamenti?
Lo scorso maggio ho preso Alberto Bianco da parte e gli chiesto se gli andava di arrangiare anche questo nuovo lavoro; lui si è chiaramente emozionato, mi ha stretto forte e da lì è ripartito tutto. Alberto è stato davvero bravo perché, se per “Manuale Distruzione” ero stata un po’ assente per cappuccini e caffè dalle 9 alle 17, in “Abbi cura di te” sono stata, al contrario, molto presente e molto esigente. Insieme abbiamo comunque trovato un buon compromesso tra i suoni e tutto il resto ed il risultato mi soddisfa molto, soprattutto nel caso della titletrack del disco. Per quanto riguarda “Ciao per sempre”, l’arrangiatore è Ale Bavo, produttore torinese che ha anche curato la produzione delle voci. Ci sono stati anche i contributi degli elementi della mia vecchia band, tutti cantautori, artisti con dei loro progetti in cantiere. “Lasciami andare”, invece, è stata prodotta da The Bloody Beetroots e, anche se non avrei mai voluto questa collaborazione, perché sarebbe stato facile additarla, è nata in modo davvero molto naturale. Quando ha ascoltato questa canzone, Simone si è emozionato, ha insistito perché potesse farne una versione propria e, quando io e Alberto l’abbiamo sentita, abbiamo pensato che non esistesse una versione migliore di quella e quindi ce la siamo tenuta portando una ventata di elettronica nel disco, seguendo, tra l’altro, un mio antecedente avvicinamento al genere, senza perdere il legame con le origini.
Raffaella Sbrescia
A giugno prende il via il tour di Levante. Organizzato da OTRLive Srl, queste le prime tappe confermate:
6 giugno – Milano – Miami Festival
16 giugno – Bologna – Biografilm Festival
20 giugno – Sassocorvaro (PU) – Indietiamo Festival
26 giugno – Foresto Sparso (BG) – Forest Summer Fest
Ha appena compiuto vent’anni ma è già al centro dell’attenzione mediatica. Lui è Lorenzo Fragola, vincitore dell’ultima edizione di “X Factor”, scrittore ed interprete delle canzoni contenute in “1995”, il suo album d’esordio. Prima di cimentarci in un approfondimento relativo a questo nuovo talento italiano, ci siamo riservati di ascoltarlo più volte dal vivo per capire fino in fondo l’identità artistica di un giovane su cui sono state investite, a ragione, moltissime energie produttive. Dopo il lancio del singolo certificato doppio disco di platino per le oltre 60.000 unità acquistate negli store digitali e una partecipazione tra i “Big” a Sanremo (pur con un piazzamento a metà classifica, 10), Lorenzo si è concentrato nella realizzazione del suo primo disco, prodotto da Fausto Cogliati e Fabrizio Ferraguzzo, prendendo parte a diverse fasi di lavorazione dell’album e curandone anche gli arrangiamenti. Quello che colpisce di Fragola, pupillo di Fedez, è la già discreta capacità autorale, l’immediatezza empatica del suo cantato e la graziosa miscela pop in cui è riuscito ad incanalarsi in maniera piuttosto rapida.
Lorenzo Fragola
Entrando nello specifico dell’album l’iniziale “The rest”, traccia d’apertura del disco, è infarcita di sonorità british mentre “Best of me” marcia sulla stessa via con un po’ più di energia. Conquista consensi sempre maggiori “The reason why”, già lanciata ad X-Factor e doppio disco di platino, scritta da Fragola con Michelle Lily Popovic e Fausto Cogliati. Decisamente riuscita la versione acustica di “Dangerous” di David Guetta che, a metà disco, rappresenta, ad oggi, un’astuta scelta ritmica. Molto intenso il testo “ Who i am ?”, in netta contrapposizione con la spensieratezza di “ #fuori c’è il sole”. Tra gli autori anche Rebecca Ferguson per “Homeland”, “Nek” per “Da sempre” ed Ermal Meta per “La nostra vita è oggi”.
Lorenzo Fragola
I colpi in canna per Lorenzo Fragola son, dunque, tanti; 1995 è un disco in grado di essere apprezzato anche dai più schizzinosi e rappresenta un buon presupposto per spianare un percorso che sicuramente avrà diversi ostacoli da aggirare. Una sfida, quest’ultima, che Lorenzo si appresta ad affrontare con grinta e voglia di fare raccogliendo entusiasmanti consensi con il suo pop acustico, irrorato di soul bianco.
Raffaella Sbrescia
Gli appuntamenti live di Lorenzo Fragola:
28 Maggio Piazza Duomo – Milano per ”Radio Italia 3.0″, un momento dedicato ai giovani all’interno di “RadioItaliaLive – Il Concerto”.
LORENZO FRAGOLA – TOUR 2015
Ven 2 Ottobre – Roma, Atlantico
Sab 3 Ottobre – Napoli, Casa della Musica
Dom 4 Ottobre – Bari, Demodè Club
Ven 9 Ottobre – Padova, Gran Teatro Geox
Sab 10 Ottobre – Nonantola (MO), Vox Club
Lun 12 Ottobre – Milano, Alcatraz
Gio 15 Ottobre – Firenze, Obihall
Ven 16 Ottobre – Venaria Reale (TO), Teatro della Concordia
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