Madh presenta “Madhitation”: un esordio internazionale tra flussi orientali e correnti elettroniche

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 Marco Cappai, in arte Madh, è un giovane artista sardo che, a pochi mesi di distanza dalla sua partecipazione all’ultima edizione di X Factor, presenta “Madhitation”, un album che  non solo segna il suo esordio discografico ma decreta, a tutti gli effetti, l’affermazione di un nuovo filone musicale in cui la parola chiave è contaminazione. A caratterizzare ogni singola traccia contenuta nell’album sono le ispirazioni musicali di cui Madh ha tratto l’essenza da connettere ai suoi testi decisamente eterei, astratti e concettuali.  Muovendosi dal pop al rap, dall’Hip Hop al Reggae, dalla Drum and Bass alla Dancehall, Madh ha lavorato all’album in tempi ristretti senza, tuttavia, rinunciare alla ferma di intenzione di realizzare un lavoro di respiro internazionale. Aperto a mille interpretazioni e fluide immedesimazioni, “Madhitation” si presta ad un ascolto ludico e sorprendente. Melodie lineari e complesse si alternano ad intense incursioni di drum & bass finalizzate alla metaforizzazione di contrapposti stati d’animo. Durante l’incontro con la stampa, negli uffici Sony Music a Milano, Madh ci ha raccontato nel dettaglio le fasi di realizzazione di un lavoro che rappresenta soltanto il primo passo di un percorso artistico decisamente più articolato.

 Durante la tua partecipazione ad X Factor ti sei distinto per la scelta di brani molto diversi tra loro, anche per genere. Potremmo considerare questo album come la continuazione di un percorso che avevi già intrapreso con “Experimental”?

Sì, già in quel periodo cominciavo a scrivere a prendere ispirazione da tanti generi diversi e ho mantenuto la voglia di contaminazione anche in questo album.

Come spieghi la presenza di tanti elementi di rimando al mondo e alla musica orientale?

 Sono sempre stato affascinato dalla cultura orientale. Già durante i primi anni dell’adolescenza ho maturato una forte passione per il Giappone, sono un disegnatore, mi piace l’arte orientale e ho studiato lingua giapponese da autodidatta. Successivamente ho ampliato questa passione interfacciandomi anche con le altre culture orientali soprattutto quelle di Cina e India che rappresentano appieno il mio modo di pensare le cose. Mi piace il fatto che questa passione si rifletta all’interno della musica che creo.

Il discorso riguarda anche quello religioso?

Da poco più di due anni mi sono avvicinato al buddhismo anche se intendo questa religione più come una filosofia di vita. Non pratico, però molti aspetti di questa filosofia rappresentano il mio modo di pensare.

Recentemente sei tornato in Giappone e hai conosciuto anche Justin Bieber. Ci racconti questa esperienza?

Sono stato invitato a un evento organizzato da Calvin Klein a Hong Kong in qualità di influencer, in rappresentanza dell’Italia. Ho conosciuto diverse persone importanti tra cui anche Justin Bieber ma è stato un incontro molto veloce.

Madh ph.  Iconize

Madh ph. Iconize

Cosa è successo da X Factor ad oggi? Come hai lavorato al disco?

In verità non ho mai avuto una vera e propria pausa perché ho iniziato subito un club tour con 50 date da gennaio a maggio. In quei mesi non ho avuto tanto tempo per lavorare al disco, ho potuto lavorarci seriamente solo dopo la fine del club tour, da maggio a giugno. Al suo interno ci sono brani che avevo già scritto prima di X Factor, parte dell’album era già stata scritta però ho rivisitato tutto.  A mettermi pressione sono state le tempistiche di realizzazione perché chiudere 13 tracce in 2 mesi non è stato semplice, soprattutto visto il gran numero di collaborazioni presenti.

Come mai i featuring inseriti sono tutti con artisti sardi?
Una delle motivazioni principali è sicuramente la mancanza di tempo sufficiente. Avrei ugualmente ingaggiato questi artisti ma, con più tempo a disposizione, forse avrei potuto lavorare anche con persone non sarde. In ogni caso penso che la Sardegna sia molto valida a livello musicale e ho scelto coloro che secondo me potevano dare un tocco di originalità all’album.

Fedez è supervisore artistico del disco.

Sì ma non mi ha mai imposto nulla, mi ha lasciato esprimere al 100%, così come successo all’interno del talent, d’altronde. Devo molto a lui perché tra l’altro mi sta aiutando a promuovere il mio progetto ove e quando possibile. Di questo progetto ha sentito tutto e, anche se lui appartiene a un ambito musicale molto diverso dal mio, è interessato a tantissimi altri generi. Mi dà sempre molti consigli, primo tra tutti quello di scrivere sempre a prescindere dal giudizio degli altri.

Qual è il tuo sogno in questo momento?

Vorrei condividere la mia arte con il resto del mondo. Proprio ad Hong Kong ho fatto ascoltare parte del materiale a un po’ di persone e nessuno credeva fosse stato prodotto in Italia. Non rinnego di essere italiano ma ciò che voglio fare si addice di più al mercato internazionale, quindi spero di promuovere l’album anche al di fuori dell’Italia

A quale target di pubblico si rivolge la tua musica?

Sui miei social noto la presenza di persone di diverse fasce d’età. Non credo di avere un target univoco, sono più i giovani a seguirmi, senza dubbio, ma penso che anche gli adulti possano essere interessati a ciò che propongo.

Madh durante l'incontro con la stampa a Milano

Madh durante l’incontro con la stampa a Milano

Per diversi brani mi sono affidato al mio produttore storico Mitch (Michele Figus, ndr) che aveva già lavorato con me all’EP del 2013 Experimental.  Ho scelto di essere affiancato da Mitch perché è con lui che ho iniziato a fare musica e mi capisce artisticamente. La cosa più bella di questo disco è che ho fatto quello che volevo realmente fare.

A cosa leghi la scelta di  aver voluto inserire nell’album anche un brano in italiano?

“Vai” nasce da una sfida personale: non avendo mai proposto al pubblico un pezzo in italiano volevo ci fosse. Scrivere in italiano è molto più complicato rispetto all’inglese sia a livello di metrica sia per quel che riguarda il dare un senso a ciò che si dice, soprattutto per me che ho una scrittura decisamente astratta. Sono abbastanza soddisfatto del risultato ma per adesso non ho in mente di realizzare un disco completamente in italiano.

Stupisce, ed è stata spesso oggetto di critiche, la tua singolare pronuncia inglese…

La mia passione per l’inglese è nata durante il percorso scolastico, ma non ho mai seguito corsi specifici, sono un autodidatta. Mi è capitato di svegliarmi pensando in inglese a volte, è la lingua con cui mi esprimo meglio. La mia pronuncia nasce dalla contaminazione. I miei ascolti partono dal british soul, in particolare Amy Winehouse, una musa per me, passando poi per l’elettronica, il reggae. Il mio accento è un mix fra quello british e quello giamaicano, ma ci tengo a sottolineare che non sono un’eccezione, ci sono molti artisti che ascolto che fanno il mio stesso lavoro sulla lingua. Voglio che il mio inglese si faccia notare, voglio che si capisca che sono io a pronunciarlo.

In “Triangle” due flussi contrapposti completano un concetto unico…come ti è venuta questa idea?

Ho unito due generi distanti seguendo l’idea di un processo compensativo. Nel caso specifico di questo brano la parte iniziale è molto più calma e rilassata: l’obiettivo è capire cosa sono e dove voglio arrivare. Nella seconda parte il brano si evolve fino ad arrivare alla drum & bass, che rappresenta la propria realizzazione individuale .

Come mai hai inserito nel disco due versioni di “Sayonara”?

Ho inteso “Sayonara” come l’inizio di qualcosa, in quanto inedito di lancio. Visto che si tratta del brano rimasto maggiornamente impresso nella mente del pubblico, ho voluto realizzarne una versione acustica perchè molti non ne hanno inteso il senso. Se ascoltato con un altro mood, è più facile percepirne il più profondo significato.

Che farai nell’estate 2015?
Parto con gli instore. Poi ho date ad agosto e punto a un club tour invernale.

Raffaella Sbrescia

Video: Gong ft. The Strangers

La tracklist

Tracklist “Madhitation”

1 – Sayonara

2 – Boomerang

3 – Triangle

4 – Gong feat. The Strangers

5 – River

6 – Tree feat. Anna Tifu

7 – Eyes On You

8 – Powa-Faya

9 – Kyoto Mind feat. Train To Roots

10 – Vai

11 – She feat. ArpXP

12 – Madhitation feat. The Strangers & Lukra

13 – Sayonara (acoustic version)

“Guelã”, il manifesto di libertà di Maria Gadù.

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Il talento della ventinovenne artista brasiliana MariGadù torna a farci sognare con il terzo album di inediti intitolato “Guelã”, disponibile dal 30 giugno 2015. Registrato e mixato da Rodrigo Vidal a Rio de Janeiro, coprodotto da Maria Gadù e dal musicista Federico Puppi, “Guelã” rappresenta un importante momento di svolta artistica per la cantautrice che dà voce alle sue canzoni, suona la chitarra e prende le distanze dalla invadente onda di popolarità che l’ha investita tra il 2009 ed il 2011, grazie al grande successo di brani come Shimbalaiê, Em Paz e Oração ao Tempo . L’autentica vocazione per la musica fa di lei un’artista a 360 gradi e la vena sperimentale che accompagna e scandisce le 10 tracce che compongono il suo nuovo lavoro discografico ne rappresenta una tangibile testimonianza.

Maria Gadù

Maria Gadù

Sonorità inedite e, in alcuni casi, sicuramente ibride, accompagnano testi intimisti ed intrisi di sentimentalismo. Frutto di pensieri e riflessioni profonde, “Guelã” racchiude uno scrigno di suoni da gustare con calma e doverosa attenzione. La struttura circolare che accompagna rispettivamente le tracce di apertura “Suspiro” e  chiusura “Aquária” lascia che l’ascolto possa librarsi senza etichette e limitazioni tra giochi di synth elettronici, gocce di desiderio e riff di chitarre antiche. La suadente vocalità di Maria Gadù penetra a fondo nelle fibre del cuore e la sua musica, a cavallo tra tradizione e sperimentalismo contemporeaneo, completa una miscela calda e potente, ispirata ed ispirante.

L’unica eccezione del disco è rappresentata da “Trovoa”, intenso brano di  Maurício Pereira, che Maria rilegge con altrettanta forza emotiva dando voce ad un amore che sconquassa l’anima. Decisamente originale l’arrangiamento realizzato per “Ela”, intriso di elettronica ed irresistibile scioglievolezza. Intrigante la scelta acoustic-ambient per “Sakédu”, senza tralasciare la sorprendente enigmaticità post-punk  contenuta da “Há”. Se al complesso costrutto strumentale di Maria Gadù associamo il suo intimismo colloquiale e la sua voce vermiglia, l’ascolto di “Guelã” è ciò che ci occorre per un’ esperienza in grado di deliziare anche gli ascoltatori più esigenti.

Raffaella Sbrescia

La Gadù tornerà in Europa il prossimo mese per partecipare il 17 al Montreux Jazz Festival e sarà in Italia, sempre a luglio, per tre concerti: il 23 a Ravello – Ravello Festival, il 24 a San Mauro Pascoli (FC) – Villa Torlonia ed il 26 a Treviso -  Suoni di Marca.

Tracklist
01.Suspiro
02.Obloco
03.Ela
04.Semi-voz
05.Trovoa
06.Sakédu
07.Tecnopapiro
08.Há
09.Vaga
10. Aquária

Natalia Lafourcade presenta Hasta la raíz: “Il mio disco più intimo”

 

Natalia Lafourcade

Natalia Lafourcade

Natalia Lafourcade, tra le voci femminili più apprezzate del mondo latino, presenta per la prima volta in Italia il suo nuovo album da solista, il sesto in studio, intitolato “Hasta la raíz”, pubblicato lo scorso 9 giugno per Sony Music. Scavando a fondo tra le emozioni della propria anima, Natalia ha innescato un processo compositivo intimo, eppure in grado di stabilire un’immediata connessione con il pubblico. Definito l’album più viscerale dell’artista messicana, “Hasta la raíz”, testimonia concretamente l’ autenticità di una musica che è il frutto di una profonda ricerca interiore.

Registrato a Los Cabos, Veracruz, Colombia, Cuba e Las Vegas, luoghi dove Natalia ha trovato la pace e l’ispirazione necessarie per scrivere canzoni che esprimono i suoi stati d’animo con grande schiettezza, il nuovo lavoro giunge dopo l’album tributo al compositore e poeta Agustín Lara, in seguito al quale Natalia ha avvertito fortemente il desiderio di tornare a comporre un repertorio originale. Una carriera varia e multiforme, quella di Natalia LaFourcade che ha suonato in diverse band: “ho iniziato con in gruppo perché non sapevo come affrontare la musica da sola. Ma ora sono troppo irrequieta, cambio progetti troppo spesso per stare in una band”. Intesa come un mix di esperienze, con stili musicali diversi, la musica di Natalia è un linguaggio, con cui la cantautrice inseguire le proprie inquietudini.  “Hasta la raiz” si avvicina ad una particolareggiata forma di latin pop, raffinato e piacevole. Tra i dodici brani inseriti nell’album troviamo la title track “Hasta la raíz”, primo singolo tratto dall’album, di cui Lafourcade firma parole e musica insieme a Leonel Garcia,  affrontando il tema dell’amore e della riconciliazione con se stessi, con le proprie radici e con la propria essenza: “In quest’epoca in cui il mondo va a mille all’ora e tutto cambia nel giro di un attimo, credo sia importante ricordare chi siamo e da dove veniamo. In questa canzone ho ricordato le mie origini e confermato il mio indirizzo, per ribadire da dove vengo e dove vado”.

Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione dell’intervista che le abbiamo fatto negli uffici italiani di Sony Music a Milano.

Com’è hai lavorato alla realizzazione di “Hasta la raíz”?

Le canzoni di quest’album sono tutte molto spontanee. Quando lavoravo sui brani di Lara ero in un periodo di fermo, non riuscivo a fare null’altro per cui mi sono imposta un esercizio di composizione quotidiana e di tecnica di scrittura musicale; in questo modo ho iniziato a scrivere di tutto e a lasciarmi andare. A volte mi sedevo secondo il tipico cliché: una tazza di caffè, una penna e un pezzo di carta…ma non veniva fuori niente. Altre volte, invece, improvvisamente arrivava un’ispirazione immediata in cui musica e parole nascevano da sole,  le registravo sul cellulare o le scrivevo su un foglio di carta, mettendo in un quaderno le canzoni una volta finite.  Dopo diversi mesi le ho riprese, ho riascoltato i pezzi che avevo composto e i più belli li ho registrati. Così è nato questo disco, che è molto personale e intimo.

Quali sono state le difficoltà maggiori in questo percorso di ricerca e riscoperta di te stessa?

La cosa più difficile è stata la sfida anzitutto con me stessa nel tornare a fare un nuovo album dopo il tributo ad Agustín Lara, che io ritengo un genio della musica. Il mio obiettivo principale era tornare a comporre: ti chiedi tante cose quando componi una musica, attraversi momenti di grande sicurezza e altri in cui tutto sembra brutto. Questo disco mi ha aiutato a ritrovare me stessa, la mia musica e le mie canzoni che, soprattutto in quest’album, sono state un canale di guarigione completando un percorso di forte crescita personale.

Nelle tracce del disco c’è tanto struggimento affiancato da una grande forza d’animo. Quanto Messico c’è in questo album?

Ho cercato di riconnettermi con la mia terra natia anche sul piano musicale e devo dire che mi sento fortunata nel fare musica per un pubblico che mi accompagna da tempo e che conosce i miei dischi. Il Messico è un centro importante per la musica latina, molti artisti partono proprio da lì per arrivare in tutto il Sud America.

NATALIA LAFOURCADE_cover HASTA LA RAIZ

Nel tuo Paese sei famosa, qui in Italia sei considerata un’emergente…come ti senti a riguardo?
Per quanta fama si possa avere, ogni disco è come ripartire da zero. Nessuno ti garantisce che funzionerà e che la gente lo gradirà. La speranza è quella di connettermi con le emozioni delle persone che mi ascolteranno.

Quali sono gli artisti che hai ascoltato in questi anni e che ti hanno influenzato di più?
Ce ne sono diversi: Billie Holiday, Bjork, Fiona Apple, Nina Simone e anche la grande cantante messicana Toña la Negra. In ogni caso l’artista che mi ha dato più di tutti è stato Agustín Lara; lui mi ha insegnato a cantare con il cuore, con le emozioni. Prima di lavorare con le sue canzoni, cantavo e basta.

Sei molto impegnata anche nel sociale a sostegno di associazioni benefiche, sei ambasciatrice di Save the Children, sostieni la SIVAM  e hai composto l’inno di un movimento giovanile  che si batte per la libertà di espressione. Qual è il tuo ruolo in questo tipo di contesto?

La musica ha un forte potere, sveglia la coscienza delle persone e proprio per questo avverto una grande responsabilità per ciò che canto. Anche ai giovani, attraverso le mie piccole collaborazioni, mando questo messaggio: quello di tornare alle origini, di connettersi con se stessi.

Raffaella Sbrescia

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Video: Nunca es suficiente

Tree of Life, l’opera omnia di Roberto Cacciapaglia

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“Tree of life” è il titolo del nuovo lavoro discografico del noto compositore milanese Roberto Cacciapaglia. Al suo interno non solo musica classica ma anche tanta sperimentazione per un Iavoro suggestivo ed emozionante. I sedici brani inseriti nella tracklist dell’album comprendono i primi sei brani dell’omonima suite, trasmessa tutte le sere a EXPO 2015, una serie di composizioni inedite e diversi temi riorchestrati appositamente per questo progetto. Cacciapaglia scava a piene mani sul fondo del suo forziere di note regalando al pubblico un buon motivo per mettersi comodi e sognare ascoltando. Pianoforte, orchestra  e sperimentazioni elettroniche danno vita ad un filo di continuità tra antico e moderno. L’opera omnia di Cacciapaglia rappresenta una sintesi di intuizioni e composizioni, sentimenti e suggestioni, idee e riferimenti in grado di fornire input trasversali. Grazie alla partecipazione della Royal Philharmonic Orchestra, la Dubai Philarmonic Orchestra e la Milano Classica, il progetto si avvale di un’acustica veramente notevole, in grado di portare alla luce anche gli armonici, suoni generalmente non distinguibili dall’orecchio umano.

Roberto Cacciapaglia

Roberto Cacciapaglia

 Si parte dalle misteriose sonorità di “Sonanze”, molto vicine a quelle del didgeridoo, si continua con l’intreccio sonoro di “Fiamme”, archi veloci e fluttuanti forgiano la vita in un travolgente vortice di note. Il ritmo crescente di “Oceano” detona energia sul finale imponente mentre la metallosa intro di “I feel alright” entra in contrapposizione con il titolo stesso della composizione innescando un meccanismo di perturbante bellezza; il mood è quello tipico di un film apocalittico. A stemperare i toni è la potente voce del soprano Nuria Rial nella bellissima e magica “Figlia del cielo”. Nemesi di un mitologico passato, la figura che Cacciapaglia ci propone è ispirata all’idea di fertilità e condivisione. Maestosa e potente è la traccia di “Wild Side”, la composizione che infonde linfa vitale all’albero della vita e che rimpingua i vuoti di una vita che scorre sempre più velocemente. Mielosa e fluttuante “Waterland III”, scelta per dare voce ai suoni degli abissi.

L’arcobaleno di emozioni continua attraverso l’incontro tra elettronica ed acustica in “The future” e “The prelude”. Assonanze e dissonanze di significati e significanti prendono vita lungo l’intreccio di mille diramazioni sonore. Ecco sopraggiungere, una dopo l’altra, “Sonanze V”, “Floating”, Strings of Light”, “Sonanze III” fino all’enigmatica “Six Notes” con l’Ensemble Garbarino e l’inquietante fagocitare di “Expansion”. A ristabilire l’equilibrio degli elementi e delle emozioni ispirate da Cacciapaglia è la fresca limpidezza di “Transparence”; il cerchio della vita si chiude all’insegna della pace e della fratellanza.

Raffaella Sbrescia

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Tracklist

1 – I. Sonanze
2 – II. Fiamme
3 – III. Oceano
4 – IV. I feel alright
5 – V. Figlia del cielo
6 – VI. Wild side
7 – Waterland III
8 – The future
9 – Prelude
10 – Sonanze V
11 – Floating
12 – Six notes
13 – Strings of light
14 – Sonanze III
15 – Expansion
16 – Transparence

“Eterno Agosto”: dopo il boom de “El Mismo Sol” Alvaro Soler presenta l’album d’esordio

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Dopo aver saldamente conquistato la vetta delle classifiche con il super tormentone “El Mismo Sol”, il cantautore Alvaro Soler  pubblica “Eterno Agosto”, l’album d’esordio registrato tra Berlino e Barcellona in cui il giovane artista cosmopolita riversa le sue esperienze personali attraverso una miscela musicale che unisce la solarità mediterranea, la ritmica metropolitana berlinese e la poesia minimalista di stampo orientale. Naturalmente predisposto all’uso delle lingue, curioso e aperto alla sperimentazione, Alvaro che è cresciuto tra Spagna, Giappone e Germania, ha concentrato le proprie energie nella ricerca di un sound inedito che potesse in qualche modo rappresentare l’essenza della sua personalità così ricca e complessa. Se il singolo di lancio “El Mismo Sol” lancia un preciso messaggio di fratellanza e accettazione dell’altro, tra allegri xilofoni e riff contagiosi, la title track “Agosto” prende ispirazione dalla fine di una storia d’amore che Alvaro ha affrontato cercando di venire a patti con il dolore e si sviluppa attraverso una tastiera d’epoca arpeggiata e una melodia contemplativa e compiacente. Scanzonata ed ottimista la trama di “Tengo un sentimiento”, brano caratterizzato da un arrangiamento distante dai primi due e leggermente più metallico. Versatile e sperimentatore, Alvaro spazia tra temi e ritmi, sogni, ricordi e speranze. Divertente il brano up-tempo “Lucia” , dedicato alla sorellina da difendere, delicato il testo ispirato al canto popolare intitolato “Cuando volveras”, trascinanti le percussioni esotiche in “Esperandote”. La tracklist si chiude con “El Camino”, una canzone di forte impatto emotivo in cui la voce di Alvaro si fonde perfettamente con il suono della sua chitarra e il ritmo del basso spagnolo.  Il testo parla dei diversi ostacoli nella vita che portano a pensare se si è ancora sulla strada giusta e rappresenta il momento d’ascolto più intenso di tutto l’album che, in quanto opera prima, convince per freschezza e attenzione al dettaglio.

 Ecco cosa ci ha raccontato l’artista negli studi di Universal Music a Milano, in occasione dell’ospitata a The Voice of Italy

Alvaro, complimenti! “El Mismo Sol” ha letteralmente conquistato l’Italia…

Grazie mille, sono contentissimo! In effetti questo è il Paese in cui la canzone sta avendo maggior successo. Il brano è salito in vetta alle classifiche in pochissimo tempo, ora stiamo lavorando affinchè possa uscire anche negli altri Paesi.

Cosa ci racconti nell’album “Eterno Agosto”?
È un disco che parla di esperienze personali. Nella canzone “Lucia” dico a mia sorella (Paola, ndr) che deve stare attenta ai ragazzi; sta diventando una donna e io che sono il fratello grande devo proteggerla! Nella canzone “Tengo Un Sientimento si parla del divertirsi con gli amici, c’è un verso molto divertente che ripete i numeri 4, 7 e 20: «4 amici mi portano al bar, 7 volte uno shot di gin e 20 ragioni per festeggiare». Altre canzoni parlano di relazioni d’amore che ho avuto e di rotture sentimentali. Ci sono poi brani più «filosofici» come “El Camino, che parla dei momenti in cui ti accorgi che le cose non sono come le avevi immaginate ma che, ad ogni modo, fanno comunque parte del tuo cammino. Questa è la mia filosofia di vita: tutto ciò che accade, accade per una ragione. Spero che le persone quando ascolteranno il disco potranno staccare la spina da tutto e rilassarsi.

Alvaro Soler

Alvaro Soler

Sei di Barcellona ma sei vissuto molti anni a Tokyo, e adesso vivi a Berlino… c’è un posto che ti fa sentire davvero a «casa»?
Barcellona è ancora la mia casa, ogni volta che prendo l’aereo per tornare provo questa bellissima sensazione di appartenenza.

Come hai iniziato a fare musica?
A 10 anni, quando vivevo a Tokyo, i miei genitori mi regalarono una tastiera elettronica, poi a scuola cantavo in un coro e avevo una band. Verso i 16 anni ho iniziato a scrivere e registrare, ho formato un’altra band con mio fratello quando siamo andati in Spagna e abbiamo scritto due album. In seguito ho deciso di fare le cose da solo per vedere come sarebbero andate…

Come ti sei trovato quando vivevi in Giappone?
In realtà frequentavo una scuola tedesca quindi non ero completamente immerso nella cultura giapponese. Ricordo però che andavamo spesso al karaoke perché, essendo troppo giovani, io e i miei compagni non potevamo avere accesso alle discoteche. Passavamo intere serate a cantare e il giorno dopo non riuscivamo neanche a parlare.

Chi sono i tuoi riferimenti musicali a cui ti ispiri? Conosci e ascolti musica italiana? Se sì, chi apprezzi tra i cantanti italiani?
Mi piace ascoltare tanta musica, in macchina con i miei genitori ascoltavamo i dischi di Juanes e Phil Collins. Poi Linkin Park, Maroon 5, John Mayer, ecc. Tutti artisti molto differenti, in effetti: non ne ho uno preferito in particolare. Per quanto riguarda la musica italiana, da piccolo ascoltavo molto Andrea Bocelli ed Eros Ramazzotti. Ultimamente ascolto Tiziano Ferro e Laura Pausini.

Cos’è per te la musica?

A me la musica ha sempre fatto bene, al suo interno c’è qualcosa che disattiva per un attimo i miei pensieri e che mi fa sentire meglio: è come una medicina. Quando le cose si mettono male, è meraviglioso buttarsi di testa tra le note.

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 Raffaella Sbrescia

Video: El Mismo Sol ( Live Acoustic Version)

Grand Romantic: Nate Ruess presenta il primo album da solista. L’intervista al frontman dei Fun.

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Nate Ruess, frontman dei seguitissimi Fun., pubblica “Grand Romantic”. Questo suo primo album da solista nasce dall’esigenza di raccontare un forte cambiamento interiore ed un nuovo approccio all’amore  racchiudendo al suo interno un mix tra pop, elettronica e influenze black. Oltre alla collaborazione con il produttore  Jeff Bhasker e con il musicista e produttore Emilie Haynie (Lana Del Rey) alle percussioni, questo lavoro vanta la partecipazione di  Lykke Li nei cori di “Nothing without love” , di Josh Klinghoffer, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, di  Jeff Tweedy dei Wilco in “Take It back” e di Beck in “What This World Is Coming To”. Anche la copertina del disco è il frutto di un’idea precisa che nasce dalla mente della pittrice Teresa Oaxaca, che Nate ha scoperto sul web durante le ricerche per la sua idea di realizzare un ritratto che illustrasse la sua idea di “romanticismo”. Carico ed entusiasta di questa nuova avventura professionale, il cantante ha incontrato la stampa a Milano; ecco quello che ci ha raccontato.

Nate, sei finalmente pronto a liberare il gran romantico che è in te?

Per alcuni anni ho messo da parte le mie emozioni. Non mi piaceva essere vulnerabile, poi, crescendo, mi sono reso conto che molte persone si sentivano esattamente come me e questo mi ha dato coraggio. Grazie alle esperienze della vita  ho imparato a lasciarmi andare e ad amare senza troppe aspettative, questo mi ha  permesso di poter essere anche romantico.

Cosa racconti in “Nothing without love?

Ho scritto questo brano per descrivere un sentimento di forte solitudine. Ci sono periodi in cui ti pesa essere single e hai paura di non incontrare la cosiddetta anima gemella, poi, un giorno, come per magia, tutti questi pensieri svaniscono. Nothing without love mi ha portato fortuna, perchè adesso sto con una ragazza di cui sono molto innamorato.

Il tuo primo album solista Grand Romantic è prodotto e scritto insieme a Jeff Bhasker. Come mai hai scelto lui?

In verità lavoriamo insieme da anni.  Jeff ha dato un contributo significativo al successo del singolo We are young e dell’album Some nights. Coautore e un produttore brillante,  Jeff mette tutto se stesso in quello che fa e che ama le canzoni che crea.

Il duetto con Pink nel singolo “Just give me a reason” ti ha portato davvero fortuna…

Lavorare con P!nk, al di là del successo che il brano ha ottenuto, è stato molto gratificante. Lei è un’ artista che si fa condizionare da quel che pensa la gente, è sempre se stessa. Abbiamo scritto il brano ma io mi sarei dovuto limitare al ruolo di co-autore, poi lei mi ha detto: “Voglio che diventi un duetto” ma io non avevo nessuna intenzione di accettare. Poi però con uno stratagemma mi ha fatto entrare in studio a cantare e quando abbiamo ascoltato il risultato mi ha detto che la canzone sarebbe dovuta rimanere così. Ora sono molto contento di aver partecipato anche vocalmente al brano ma al momento non ci sono altre collaborazioni in vista. Adesso sono concentrato sulla mia carriera solista, se ci saranno le condizioni e soprattutto se dovesse uscire fuori una canzone interessante, perchè no, mai dire mai!

Che effetto ti fa a ritrovarti da solo sul palco dopo tanti anni in un gruppo?

Mi piace avere più tempo per me ed essere solo ogni tanto. Da solista ti senti più responsabilizzato e libero di creare la musica che vuoi, senza dover mediare con altre persone.

E i Fun.?

Non ho avuto tempo di parlare molto con loro negli ultimi mesi, sono stato molto impegnato. Penso che qualche membro della band abbia solo ascoltato dei provini quando le canzoni erano ancora solo abbozzate.

Nate Ruess

Nate Ruess

Cosa hai provato a duettando con Brian Wilson in “Saturday night?

Lavorare con Brian è stata l’esperienza migliore della mia vita. Circa 10 anni fa ho letto di tutto su di lui, ho ascoltato in modo ossessivo tutti i suoi album per cercare di carpire i suoi segreti e non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovato a cantare insieme a lui. Quando ci siamo incontrati in studio gli ho chiesto di cantare God only knows, una delle mie canzoni preferite;  un momento che non dimenticherò mai.

Com’è stato lavorare con Beck per “What This World Is Coming To”?

Ho sempre guardato a lui per la sua capacità di evolversi costantemente e saper fare incursione in diversi generi musicali. Dopo il duetto con P!nk volevo collaborare con qualcuno che avesse una voce più bassa della mia. Prima che vincesse il premio come ‘Album of the year’ ai Grammy di quest’anno aveva accettato di lavorare con me ma poi pensavo che non avrebbe voluto più farlo; invece mi ha chiamato e ci siamo incontrati per registrare in California. Lui ha scritto la parte delle chitarre, io avevo un testo pronto che mi era venuto in mente in doccia, ma gli ho detto che se avesse voluto avrebbe potuto tranquillamente cambiarlo.

Hai dichiarato di essere romantico ma anche cinico: come convivono questi due aspetti?
Il cinismo non mi abbandonerà mai, è forse l’unica cosa che ho davvero, il romanticismo invece è l’unica cosa che voglio.

Qual è la cosa più romantica che hai fatto?
Ho fatto un disco per la mia ragazza!

Raffaella Sbrescia

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Video: Nothing without Love”

No place in Heaven, Mika presenta il nuovo album di inediti. L’intervista e la recensione del disco

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“No Place in Heaven”, il nuovo lavoro discografico di Mika  è un album artigianale e leggero al contempo (Virgin/Emi per Universal Music). Le  melodie dolci e sinuose si sposano con sonorità che riecheggiano di pop vintage ma che non dimenticano la chanson  d’amour.  La dolcezza pungente e la disarmante onestà con cui Mika ha cesellato le  17 tracce (nella versione deluxe) che compongono il suo quarto album sono il risultato di due anni intensi di lavoro creativo, in collaborazione con Gregg Wells. Registrato a Los Angeles, prima in uno studio con accanto Pharrell Williams, poi in una grande casa degli anni ‘50 dove Mika si è rinchiuso per qualche mese, “No Place in Heaven” elenca il pantheon del cantautore anglo-libanese che, se da un lato abbandona il ben noto falsetto, dall’altro mischia colori, suoni,e sentimenti contrastanti  e lo fa attraverso un sottotesto ispirato agli anni ’70, il primo Elton John, il primo Billy Joel, Carole King e il Laurel Canyon. Il basso pulsante e ritmico di “Talk about you” introduce il cantato dolce ed ovattato di “Good guys” in cui Mika cita i suoi punti di riferimento, a seguire la dance bohemienne di “L’amour Fait ce qui’il veut” . Intensamente intimo ed incredibilmente trasparente “All she wants”, il brano in cui l’artista mette a nudo i pensieri reconditi ed il rapporto con sua madre. Tra brani ritmati e ballate malinconiche “Hurts”, “Last party”, Les baisers perdus”, “No place in heaven” è la preghiera senza filtri in cui Mika si apre al mondo con una deliziosa delicatezza: “For ever love I had to hide and every tear I ever cried. J’m down on my knees, I’m begging you please cos there’s no heaven for someone like me”. Suadente e calda la melodia di “Boum boum boum”, corale e coinvolgente il ritmo di “Oh girl, you’re the devil”, disincantato ed estroso il country pop di “Rio”. Questo nuovo album è, in sintesi, una sorta di definitiva liberazione per Mika. Una libertà che gli è servita per affrontare temi importanti nel disco come la sessualità, la paura di come gestirla e l’amore.  Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione dell’incontro con la stampa a Milano, prima delle prove del concerto sold-out al Fabrique.

Mika, come sei arrivato a “No place in Heaven”?

Volevo liberarmi da tante paure. Ogni cd ha rappresentato un passaggio importante nel mio percorso. L’ultimo, “The Origin of Love, è stato un punto di rottura, ha segnato un solco che mi ha permesso di cambiare e ripartire da zero e lavorare in totale libertà. Così è stato anche  in questo disco, attraverso queste canzoni sono andato dritto al punto, senza giri di parole o metafore. Insomma, non mi nascondo più.

Perché hai scelto questo titolo?

Il titolo non rappresenta una frase triste, al contrario, è gioiosa. Se troverò posto in paradiso, bene, altrimenti non c’è problema, io non voglio andarci a tutti i costi. Questa affermazione in realtà va contro la cultura orientale con cui sono cresciuto. La parte libanese che c’è in me include una buona dose di paranoia nell’affrontare le faccende personali, solitamente considerate volgari. Ora che sono riuscito ad abbattere il muro, esco finalmente  dal guscio. Adesso ho capito che la vera vergogna è tenerle dentro certe cose. Anni fa parlavo di niente, tenevo tutto a distanza. Ora è il momento del coming out dell’anima. Per di più il momento in cui un disco viene pubblicato è quello in cui una cosa personale e intima, che finora è stata mia, diventa di tutti.

All She Wants” è un testo autobiografico?

Certo, la madre che sogna per il figlio una moglie, un buon lavoro e una posizione sociale, come nella tradizione più classica, è proprio la mia. Invece, altro che casa e nipoti: mia mamma si ritrova a organizzarmi il guardaroba per gli show. Si è trasformata in una zingara senza accorgersene! (ride, ndr)

Tante tracce in francese ma nessuna in italiano…

Ci ho provato ma i tentativi sono stati tutti bocciati: la pronuncia è troppo difficile! Il francese lo parlo da una vita e, a dire il vero, mi ha aperto le porte all’italiano. Senza il francese non avrei mai potuto imparare questa lingua così velocemente.

Tra le canzoni spicca “Good Guys” in cui citI artisti e intellettuali come Andy Warhol, James Dean, Arthur Rimbaud, Walt Whitman, Ralph Waldo Emerson, Rufus Wainwright. In che cosa ti hanno delle personalità così diverse tra loro?
Erano tutti profondamente controcorrente. Anzi, hanno cambiato la direzione del vento, avevano una spinta culturale ed emozionale quasi punk.

Aggiungeresti qualche italiano?
Senza dubbio, Dario Fo. Poi c’è Morgan, quando è di buon umore, quando non lo è, lo toglierei (ride ndr).

È vero che farai un disco con Morgan?

Siamo stati in studio assieme durante il periodo di X Factor. In quel contesto ho visto un ragazzino che, lontano dalle pressioni dei media, giocava con gli strumenti con gioia pura. Qualcosa con lui mi piacerebbe farla, prima o poi accadrà. Intanto ha preso una canzone che ho scritto con Guy Chambers, l’ha sistemata e l’ha trasformata in “Andiamo a Londra” (la prima nuova canzone dei Bluvertigo).

Ti occupi di tante cose per poter fare quello che desideri in musica. Questo discorso vale anche per il libro che stai scrivendo per Rizzoli?
Io sono prima di tutto un musicista, quasi tutto il resto lo faccio per potere fare il disco che voglio io, senza vincoli. Il libro sarà un diario intimo, divertente e duro. In un capitolo parlo della mitologia siriana di mio nonno, in quello dopo della mia frustrazione in un supermarket…

Mika

Mika

Cosa ti piace del nostro Paese e cosa no?
Da evitare le spiagge perché ovunque ci sono teleobiettivi pronti a riprenderti e gli aeroporti sono veramente pessimi. Amo invece il Piemonte, con le sue colline verdi e misteriose e la sua gente che si nasconde un po’ per poi rivelarsi cordiale. E poi c’è il vino, non solo quello piemontese.

Cosa ci anticipi del tour?

La copertina del cd dà un’idea del progetto: mi sono ispirato al Futurismo italiano. Sarà uno show fatto a mano, nel senso che non ci saranno effetti speciali; nessun ledwall, per intenderci. Mi piace sempre creare con la fantasia ma attraverso oggetti reali, che recupero dalla strada. Insieme al mio team sto realizzando i disegni, adopereremo la carta. Anche la mia musica è fantasiosa, spesso si tratta di un modo tutto mio per reagire al dolore. A questo proposito, ho scritto “Relax” a Londra quando ci hanno fatto evacuare dalla metropolitana per gli attacchi terroristici; sono andato a casa e ci ho scritto una dance song!

Raffaella Sbrescia

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Le date del tour italiano

23 luglio – Taormina (Teatro Antico)

25 luglio – Cattolica (Arena della Regina)

27 settembre Assago (Mediolanum Forum)

29 settembre Roma (Palalottomatica)

30 settembre Firenze ( Mandela Forum)

Intervista a Conchita Wurst: il debut album “Conchita” e l’autobiografia di una nuova diva

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La tenacia, la sicurezza e l’intraprendenza di Conchita Wurst ( all’anagrafe Tom Neuwirth) rappresentano un importante barlume di speranza per tutti coloro che nel cuore hanno un sogno da realizzare ma anche un fitto percorso ad ostacoli da affrontare. Accolta con clamore dalla stampa italiana, Conchita ha presentato il libro Io Conchita. La mia storia, uscito il 15 maggio per Mondadori Electa e il suo disco di debutto “Conchita”, pubblicato da Sony Music lo scorso 19 maggio, nella Sala Reale della Stazione Centrale di Milano. Un album molto variegato, forse troppo, che spazia dalla dance alle ballate drammatiche senza farsi mancare spruzzate di swing. Un lavoro sicuramente impegnato, ricco di importanti messaggi ma che parla anche di cuori spezzati e storie d’amore dal triste epilogo. Con il suo allure da gran diva, Conchita dimostra di essere in realtà una persona semplice e affabile, nonché un’intensa interprete dalla voce potente e carismatica.

“Conchita” è il tuo album d’esordio. Come hai lavorato a questo progetto così importante per te?

Ho realizzato questo album in modo egoistico, perché volevo che prima di tutto piacesse a me. Ho ricevuto più di 300 canzoni da vagliare e ascoltarle tutte ha richiesto non poco tempo. Non mi importa chi scrive le canzoni, sono molto precisa e quando si tratta di scegliere una canzone da cantare, deve esserci subito almeno una parte di me nel brano, di solito mi colpisce la melodia, poi passo al testo. “The Other Side of Me”, ad esempio, è stata scritta da un autore svedese, Erik Anjou, a cui l’ispirazione è venuta guardandomi sul palco dell’Eurovision. Questa canzone per me è speciale perché Eric è rimasto così ispirato da mandarmi la canzone, senza pensare ad altro.  Più in generale sono felice che il disco sia così colorato e sfaccettato, ‘Conchita’ abbraccia tutti i miei generi musicali preferiti e per questo spazia dalle ballate drammatiche ai brani dance.

Quando hai capito di voler fare musica nella vita?
A 7 anni giocavo a fare la cantante e sognavo di essere famosa, perché – credetemi – essere famosi è divertente. Sono sempre stata molto determinata nel perseguire i miei scopi e, dato che il mio sogno è vincere un Grammy, non ci sono scuse, quando si ha un obiettivo bisogna lottare per raggiungerlo!

E che cosa cantavi a 7 anni?
Shirley Bassey era il mio punto di riferimento. Non conoscevo la lingua l’inglese ma in una compilation di mia madre c’era “Goldfinger “, un brano che cantavo in continuazione cercando di imitare la voce di Shirley che mi ha inconsapevolmente dato lezioni di canto.

A cosa attribuisci il tuo successo? Non hai paura che il clamore creatosi intorno al tuo personaggio possa presto esaurirsi?

 La cosa più importante per me è essere autentici. Ho creato questo personaggio e porto sul palco una mia verità. Sono a mio agio, mi diverto, sono la persona che avrei sempre voluto essere. All’Eurovision ci sono stati diversi fattori che mi hanno aiutato: la canzone, la performance, certamente anche il look, ma soprattutto persone che hanno creduto in me. La scelta che ho fatto è di essere felice nella vita, quindi so che se anche tutto questo dovesse finire troverei ugualmente il modo di esserlo.

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Oltre al disco è uscita anche una biografia. Com’è nata l’idea di raccontare la tua storia in un libro?
Dopo la mia vittoria all’Eurovision un editore mi ha fatto questa proposta ma all’inizio ero del tutto contraria! Ho 26 anni, mi sembra un po’ prematuro scrivere le mie memorie. In seguito mi hanno chiesto di ripensarci e mi sono detta: “Se proprio devo farlo allora deve essere il genere di libro che comprerei”. A me piacciono quelli con molte foto e, proprio per questa ragione, in questa biografia ce ne sono tante. In quattro giorni ho raccontato la mia vita ad un ghostwriter  ed ho avuto la possibilità di  scoprire e riscoprire tante cose di me.

Che rapporto c’è tra Tom e Conchita? Che cosa hanno imparato l’uno dall’altra?
Conchita ha imparato da Tom a essere più rilassata e orgogliosa di quel che fa, mentre Tom ha imparato da Conchita a lavorare sodo per riuscire nella vita ed avere successo.

Cosa faresti se avessi modo di incontrare Putin?
Vorrei incontrare Putin per capire cosa vuol dire essere Putin. Potrei imparare tanto da lui anche se ha preso decisioni che non mi hanno reso felice. Discutendo con lui vorrei capire i suoi ragionamenti per poi provare a fargli cambiare idea.

 Com’ è Conchita nella vita di tutti i giorni?
Ho una vita privata normale e non mi prendo troppo sul serio. Senza ciglia finte e parrucche non mi riconoscereste. Vado al supermercato, prendo i mezzi pubblici e nessuno sa chi sono.

Quando potremo ascoltarti dal vivo?
Al momento sto promuovendo l’album e il libro in tutto il mondo. In fondo non sono Madonna, perciò non posso aspettarmi un pubblico di migliaia di spettatori ad un mio show, però ho la possibilità di cantare nel corso della promozione. Andrò in Australia, Giappone, Stati Uniti e poi farò qualche concerto: non sarà un vero e proprio Conchita Tour, però un giorno ci sarà!

 Raffaella Sbrescia

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Video: You are Unstoppable

Intervista a Giorgio Moroder: dagli allori degli anni ’80 alle hits del nuovo album “Déjà Vu”

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Eleganza, gusto e raffinatezza contraddistinguono Giorgio Moroder, creatore della disco music e pioniere dell’elettronica. Tornato in auge all’alba delle 75 primavere, grazie alla sua partecipazione in “Random Access Memories” dei Daft Punk con il brano “Giorgio by Moroder”, il dj e producer originario di Ortisei pubblicherà il prossimo 16 giugno  il nuovo attesissimo disco solista “Dèjà vù”, a ben 30 anni di distanza dal suo ultimo lavoro di inediti. Dodici canzoni e una serie di importanti featuring da Sia a Charli XCX, da Mikky Ekko a Kylie Minogue, da Matthew Koma a Britney Spears, da Foxes a Kelis fino a Marlene racchiudono l’essenza di un lavoro che ha richiesto ben due anni di preparazione. In attesa del suo ritorno in Italia per due live djset : il 24 luglio sarà a Roma a Villa Ada, a “Roma incontra il Mondo” e il 25 luglio a Milano, all’Estathé Market Sound, ecco tutto quello che Mr Moroder ci ha raccontato in occasione della presentazione del nuovo album.

Negli anni 70-80 è diventato una star mondiale, oggi  la digital generation impara a conoscerla dopo aver collaborato con i Daft Punk…

I Daft Punk mi chiesero di partecipare al loro progetto nel 2013 ma non avevo idea di quello che avessero in mente, pensavo di andare in studio e creare un brano. Invece no, loro volevano solo che parlassi della mia vita. Non ho più sentito niente per mesi  poi mi hanno fatto sentire il pezzo e mi è piaciuto subito.

Da lì, l’idea di tornare sulla scena musicale?

Normalmente un artista che non lavora più da anni non decide di punto in bianco di pubblicare un disco nuovo. Io non sono un cantante, compongo solo le musiche, devo avere qualcuno che canta sulle mie basi e poi, senza l’aiuto di una casa discografica non sarei riuscito a realizzare niente. Subito dopo il successo del brano con i Daft Punk mi sono arrivate delle offerte e alla fine ho scelto Sony perché ho pensato che avrei potuto fare delle belle canzoni con gli artisti del loro catalogo; è stata una selezione piuttosto complessa, ho impiegato quasi due anni per la realizzazione del disco.

Che cosa stava facendo  prima di quel momento?
Avevo progettato una macchina a 16 cilindri, la Cizeta Moroder (per la casa automobilistica che inizialmente si chiamava proprio così, per un progetto suo e di Claudio Zampolli ndr), una macchina che costava 600mila dollari, di cui io possiedo il prototipo. Giravo molto, giocavo a golf e poi mi dedicavo a qualche progetto speciale come, ad esempio, il pezzo per le Olimpiadi di Pechino, al quale ho dedicato due anni di lavoro.

“Déjà Vu” racchiude un perfetto mix tra pop ed elettronica; com’è stato innestare le sonorità degli anni 70-80 nei giorni nostri?

Per quanto riguarda i suoni è stato facilissimo, ne ho fatti a centinaia negli anni. Il problema si è presentato quando mi sono reso conto di dover realizzare qualcosa di nuovo, magari con un tocco retrò, un po’ come hanno fatto i Daft Punk con “Random Access Memories”. Quindi ho realizzato un album che è una combinazione tra suoni retrò e genere EDM (Electronic Dance Music, come viene chiamata la musica dance nel mondo, ndr.).

Come avere lavorato alle collaborazioni presenti in questo disco (Britney Spears, Sia, Kylie Minogue, Charli XCX)? Avete lavorato in studio assieme?

No, ormai c’è un sistema totalmente nuovo. Sia, per esempio, non l’ho mai incontrata ma spero di farlo prossimamente. Le ho mandato la base, lei ha scritto le parole, ha cantato e mi ha rimandato il tutto. Io poi ho riarrangiato e finito la canzone.

Com’è stata scelta Tom’s Diner per il duetto con Britney?

Britney è venuta a sapere che la Sony voleva farla collaborare con me, e lei mi ha chiesto se volessi fare Tom’s Diner di Suzanne Vega, pezzo che mi è sempre piaciuto. Con lei è stato ancora più complesso perché io ho realizzato la prima base, poi un amico l’ha rielaborata, poi lei l’ha cantata, dopodiché io l’ho ripresa e rivista, l’ho mandata in Germania da due ragazzi bravissimi che l’hanno cambiata un po’ e poi è tornata da me. A quel punto l’ho rielaborata ancora e finalmente l’ho finita con un altro produttore. Insomma è stato un lavoro di sei, sette persone sparse per il mondo.

Invece con Kylie Minogue ha avuto un rapporto più diretto?

Si, ho lavorato alla base con un suo musicista, lei ha lavorato con un’altra cantante a Londra e ci siamo trovati a Los Angeles per finire il pezzo. Una volta lanciato il singolo, sono andato in tour con lei in Australia, è stato bellissimo. Lei è bravissima, gentile, balla e canta. ha proprio il senso della comunicazione con il pubblico.

È vero che sta lavorando a un nuovo progetto con Kylie e Garibay?

Garibay ha realizzato 4 pezzi, belli ma non troppo commerciali. Kylie mi ha chiesto se potessi scrivere qualcosa di sexy in italiano e lo includerà nel progetto. Adesso stiamo pensando di rifare quel pezzo rendendolo più commerciale. Ma è un’idea, non c’è niente di sicuro.

Kelis ricorda la “sua” Donna Summer.
Ha una voce molto rythm & blues: ad ascoltarla a occhi chiusi potrebbe essere lei. Donna era brava, proprio brava. Aveva cantato nel musical “Hair” e dopo aver concluso quell’esperienza, si esibiva in qualche locale dal vivo. Allora io l’ho invitata in studio per delle prove, mi è piaciuta moltissimo e abbiamo inciso subito due pezzi. Poi il successo è arrivato con la famosa “Love To Love You Baby” che è stata la numero uno in assoluto per me e per lei.

Per alcuni dei nuovi brani usciranno dei remix per poterli suonare in discoteca?

Si, due o tre remix di “Right Here, Right Now” sono già usciti. Ne abbiamo in arrivo qualcuno per “Déjà Vu”. Il primo sarà di Benny Benassi, poi uno con un nuovo ragazzo tedesco, Felix Jens e poi uno con Markus Schulz.

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Molte persone restano ancora sorprese scoprendo che le canzoni delle colonne sonore di film di successo quali “Scarface”, “Top Gun”, “American Gigolo” e “La storia infinita”  le ha composte lei..

Sì, infatti! Ci sono anche persone del mondo musicale mi chiedono ancora se ho fatto io la colonna sonora di “Top Gun”. L’altro giorno, per esempio, abbiamo parlato di “Call Me” (canzone cantata da Blondie e parte della colonna sonora di “American Gigolo”, ndr.) e mi chiedevano esterrefatti se l’avessi realizzata io. Adesso i giovani sono molto più informati di venti o trent’anni fa, ascoltano musica in ogni occasione e con qualsiasi mezzo. Una volta o compravi il disco o ascoltavi le novità alla radio. Ora grazie ai servizi online puoi ascoltare tutto quello che vuoi, quando vuoi.

Giorgio Moroder

Giorgio Moroder

Dei dj/produttori attuali, con chi le piacerebbe collaborare?

Mi piacciono Mark Ronson e Calvin Harris. Mi piace moltissimo Skrillex ma anche Tiesto e David Guetta, sono tutti bravi.

C’è qualche altro artista con cui vorrebbe lavorare?
Lady Gaga mi ha chiesto di comporre qualcosa per il suo album, per ora non siamo riusciti a incontrarci ma appena torno in America vediamo se sarà possibile. Mi piacerebbe lavorare anche con Rihanna, che è una delle migliori secondo me. C’era qualcosa in cantiere con Lana Del Rey, ogni tanto ci sentiamo e ogni volta mi ripete che le piacerebbe lavorare con me…vediamo che succede!

Per molti produttori lei è stato un maestro, ma ora che ha dovuto realizzare un disco nuovo ha preso in prestito qualche tecnica da altri?
Come tecnica elettronica sono al livello degli altri perché uso i loro stessi programmi, come Pro Tools, quello che devo imparare riguarda i suoni: è così difficile trovarne di nuovi se non hai gli ultimissimi sintetizzatori, perciò faccio dei demo con i suoni che ho, poi i miei musicisti trovano i sound più particolari. Quelli che si sentono all’inizio di Right Here, Right Now, ad esempio, sono stati abbastanza difficili da trovare anche per loro. Un mio amico produttore invece, Fernando Garibay, prende dei suoni, li lavora con quelli che ha già, li salva e così li tiene da parte, io invece non ho tempo di farlo ma neanche voglia…

Dopo questo disco che cosa la aspetta?
Sto finendo le musiche per il videogame del film Disney Tron, sto parlando con un regista per un film piuttosto importante, e poi farò un musical sullo stile di Mamma mia con 6 o 7 pezzi miei e 10 o 15 che comporrò ex novo: sarà tutto basato sui DJ e sulla dance music.

Raffaella Sbrescia

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 Video: Déjà vu

Drones, i Muse picchiano duro in un’ opera rock oscura ed affascinante

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“Drones”, il nuovo album dei Muse segna l’atteso ritorno della rock band a tre anni dal sovrastrutturato “The 2nd Law”. L’album è un lavoro diretto , molto più suonato ed incentrato su un concept di grande attualità e fascino. Presentato come un ritorno a suoni più grezzi e rock dagli stessi Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard e prodotto da Robert Mutt Lange,  “Drones” parla dei contrasti tra libertà e oppressione, consapevolezza e alienazione, uomo e macchina.  Nella tensione tra estremi opposti si compie, dunque, la narrazione di un’ opera  intrisa di oscurità. La ‘progressiva disumanizzazione’ del mondo, simbolicamente rappresentata dall’invasione dei droni, è terreno fertile per la poetica dei Muse.

Il frontman Matt Bellamy ha descritto “Drones”  come un album che esplora il viaggio di un essere umano, dal suo abbandono e perdita di speranza, all’indottrinamento del sistema per renderlo un Drone Umano, fino alla finale liberazione dagli oppressori: “Ho iniziato ad interessarmi ai droni – ha raccontato Matt alla stampa – leggendo un libro sul massiccio impiego di queste macchine nelle operazioni di guerra, soprattutto in Afghanistan (Predators -The CIA’s Drone War on al Qaeda Dartmouth del professor Brian Glyn Williams,ndr). Ho appreso che intelligenza artificiale e droni saranno sempre più integrati, così che la decisione di uccidere qualcuno potrà essere presa da un robot e non da un altro essere umano. Mi è sembrata un’interessante metafora del futuro, attorno alla quale far ruotare l’intero concept del disco”. A questo discorso si collegano le caratteristiche strumentali dell’album: un approccio diretto al noise rock, un forte pathos ritmico, schitarrate bollenti e batteria imponente.

“E’ esattamente questo il disco che volevamo fare: non ci interessava mettere insieme un “collage di canzoni” –  ha spiegato Dominic Howard, il 37enne batterista – E’ nato tutto già all’epoca dell’ultimo tour  quando abbiamo realizzato di aver bisogno di tornare a qualcosa di più concettuale e rockeggiante. Questa volta siamo partiti dalla musica, da noi tre in una stanza a suonare e il sound è venuto naturalmente più heavy. ‘Drones’ ci ha riportato alla musica “suonata”. Per questo abbiamo voluto un produttore esterno, volevamo essere concentrati sulla musica, riprenderci i nostri strumenti e tirare fuori da quelli il suono del disco. Oltretutto visto che il tema del disco è una lotta tra umanità e tecnologia, con quest’ultima vista come ‘il male’, aveva ancora più senso realizzare l’album in un modo più ‘umano”. 

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Con una copertina che rimanda a The Wall richiamando alla mente facili riferimenti orwelliani, il racconto di “Drones” inizia con la selvaggia “Dead Inside” proseguendo fino ad “Aftermath” tra sprofondamento psicologico, manipolazioni e rinascita individuale racchiusa tra le parole di “The Handler”: “I don’t want to be used by others. I don’t want to be controlled. I don’t want to be a cold, non-feeling person. I want to actually feel something”. Un discorso alla stampa di JFK (1961) centrato sull’indipendenza e sulla libertà di pensiero porta all’epilogo, dove il senso di inquietudine pare lasciare spazio alla fiducia nell’umanità e nell’amore. A chiudere l’album, e quindi la narrazione, è proprio la titletrack: “My mother, my father, my sister and my brother, my son and my daughter killed by drones”, recitano le liriche del brano che si chiude con una Missa Papae Marcelli, composta da Pierluigi da Palestrina nel 1562 e ‘rivisitata’ dallo stesso Bellamy.

 I tre di Teignmouth porteranno “Drones” in tour già a partire da settembre: “Saremo prima in Asia e Sud America – ha anticipato Bellamy – e verso la fine dall’anno in Nord America. In Italia torneremo (dopo la data del 18 luglio al Rock in Roma festival) all’inizio del 2016 ma niente stadi: questa volta faremo più serate ma in spazi più piccoli, così da avere un maggior controllo sugli effetti speciali e sulle tecnologie – droni compresi – che vogliamo utilizzare”.

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Tracklist:

1. Dead Inside

2. [Drill Sergeant]

3. Psycho

4. Mercy

5. Reapers

6. The Handler

7. [JFK]

8. Defector

9. Revolt

10. Aftermath

11. The Globalist

12. Drones.

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