Robin Schulz, venticinquenne producer tedesco, è pronto a far parlare nuovamente di sè con un nuovo album di inediti intitolato “Sugar”. Il disco verrà pubblicato il prossimo 25 settembre per Warner Music ma noi abbiamo potuto ascoltarlo in anteprima in occasione dell’esclusiva listening session, a cui lo stesso artista ha preso parte lo scorso 11 settembre, presso il Teatrino della Villa Reale di Monza per gli Mtv Digital Days. Nell’arco di un solo anno l’artista tedesco ha venduto quasi 7 milioni di copie dei suoi singoli nel mondo ed è diventato il nuovo DJ superstar con una tour schedule da numero 1 e più di 600 milioni di streaming su Spotify. Con questo nuovo lavoro, la sfida si fa ancora più avvincente. Le 15 tracce che compongono l’album sono state anticipate dal successo del primo singolo ‘Headlights’ feat. Ilsey e dalla titletrack ‘Sugar‘, arricchita dalla presenza alla voce di un altro giovane featuring, quello del diciannovenne cantante canadese Francesco Yates, e confermano la freschezza e la versatilità di Robin Schulz, ormai riconosciuto tra i dj producer più popolari al mondo. Durante l’affollatissima anteprima, l’artista ha omaggiato i fan con una breve selezione di alcuni brani contenuti nel disco, un modo per raccontare con i fatti quali aspetti di questo nuovo lavoro l’hanno coinvolto di più. All’interno della nutrita tracklist ci sono nomi emergenti ma anche artisti affermati come Akon (Heatwave) , i Disciples (Yellow) e soprattutto Moby per la bellissima traccia di chiusura intitolata “Moonlit Sky”. Sorprendente anche la scelta di voler rivisitare una grande hit storica come “Save Tonight”, celebre brano di Eagle-Eye Cherry , risalente al 1997. Segno, quest’ultimo, che la ricerca di Robin Schulz non guarda solo alle tecnologie del futuro ma anche alle indelebili emozioni del passato. Saranno forse questi gli ingredienti segreti del suo dilagante successo? Lo scopriremo con i riscontri ottenuti da “Sugar”.
A due anni e mezzo di distanza da “Pazienza”, Vacca ritorna in pista con “L’Ultimo Tango”, dal 18 settembre nei negozi per Produzioni Oblio/Sony Music. L’album è stato registrato a Kingston, in Giamaica, dove l’artista si è trasferito in pianta stabile. In questo lavoro, il quinto ufficiale, Vacca fonde tutte le sue passioni musicali utilizzando un linguaggio particolarmente ruvido e senza filtri, decisamente in linea con lo scenario socio-politico contemporaneo. In “Trust No One”, l’ultima traccia del disco, l’artista si cimenta, inoltre, per la prima volta, col “Patois” (la lingua creola giamaicana) e si propone al pubblico in una nuova chiave alludendo all’inizio di un nuovo percorso professionale che si prospetta all’orizzonte. Ecco tutto quello che l’artista ci ha raccontato qualche giorno negli uffici di Ma9Promotion a Milano.
In che senso questo album rappresenta l’inizio di una nuova era?
Non penso che all’interno della durata del ciclo della vita una persona possa riuscire a raggiungere la perfezione in termini musicali o artistici. Può esistere la perfezione in un certo periodo ma, arrivati ad un certo punto, bisogna accettare il fatto che la ricerca debba essere continua. La mia perfezione deve ancora arrivare.
Come valuti l’attuale situazione della scena rap italiana?
Apro una piccola parentesi: in Italia ci sono stati tanti rapper, nomi anche molto importanti che hanno fatto la storia di questo genere. Quello che è cambiato oggi è che tutte le regole e le strutture che si erano venute a creare, oggi non ci sono più. Adesso tutto è cambiato, sono arrivati artisti che se ne fregano di determinate regole, hanno fatto sì che il pubblico si abituasse ad un suono più vero, meno finto. Adesso il web è in grado a dare la giusta visibilità a determinati artisti; io sono uno di quelli nati e cresciuti con il web. Ho regalato davvero tanta musica attraverso la rete e questo mi è servito tanto a diventare quello che sono oggi. Il rapper è un tipo di artista che ha sicuramente più dignità di altri. Certo, a tutti e capitato di scrivere la hit per la radio ma, ad oggi, nessuno ti può dare la certezza che un singolo popolare possa facilitarti l’ingresso in determinati canali. Alla luce di quanto detto, la mia filosofia è: io faccio questo tipo di musica, se non ti piace, bene, se ti piace mi ascolti, non ho bisogno di scendere a compromessi.
Vacca ph Paifo
Come hai lavorato alla costruzione dei suoni di questo album insieme a Big Fish e Mastermind?
Con Fish lavoro ormai da un po’ di tempo, l’ultimo lavoro che abbiamo fatto insieme era “Sporco” nel 2010. Con Mastermind mi aveva prodotto “Faccio tutto quello che voglio” nel 2008. Per quanto riguarda le basi, tutto nasce da una richiesta mia in termini di genere. Solitamente fornisco una direzione in cui andare, poi è tutta farina del produttore. A quel punto posso scegliere il tipo di struttura, dire se voglio partire con la strofa invece che con il ritornello, posso apportare determinate modifiche sulla traccia dopo che ho registrato. Una volta mandata la voce in Italia, dato che io registro in Giamaica, i produttori hanno tutto il tempo per fare le modifiche, trovare i suoni più adatti alla mia voce.
Per quanto riguarda le tematiche che affronti in questo lavoro, quanto ha influito il fatto che tu l’abbia scritto in Giamaica?
Scrivo i miei dischi in Giamaica dal 2009. Il posto in cui vivo, le problematiche dell’isola, la gente, la lingua, il vivere in maniera diversa mi aiuta, mi dà ispirazione, mi fa vedere cose che non avrei modo di vedere altrove. Per quanto riguarda gli argomenti, in ogni lavoro cerco di essere diverso. Questo è l’ album più rap di tutta la mia storia. Di solito mischiavo il rap con il raggae, la dancehall, inserivo canzoni d’amore, robe che magari gli altri rapper non facevano. Qui ho trovato altri topic, diversi argomenti. C’è un pezzo che ho dedicato a tutti quanti i miei amici, uno che parla dei sogni in un modo diverso da quanto fatto in passato, un brano leggero, come “Il Ragazzo coi dread”, che parla di quello che sono io fisicamente. C’è un brano dedicato a mia figlia, una canzone dedicata all’amore in modo ironico e un pezzo semplice m molto tecnico come “Abc”.
Per “L’Ultimo Tango” ti sei avvalso di collaborazioni importanti…
Sì. Ho scelto un artista nuovo, il cui nome è Paskaman, perché non mi piace dar spazio solo ed esclusivamente ai nomi che tutti quanti conoscono. In ogni mio disco c’è sempre qualche nuova realtà. C’è Jake La Furia, membro storico dei Club Dogo, con cui non collaboravo dal 2004. Undici anni dopo abbiamo deciso di omaggiare i nostri fan con questa collaborazione, poi c’è un pezzo con Jamil, il mio figlioccio artistico, e uno con Egreen , anche lui presente nella mia crew Vooodo Cod. Con Danti dei Two Fingerz abbiamo raccontato la situazione italiana in un modo più attuale. Poi c’è un altro ragazzo che si chiama Cali, un emergente veramente talentuoso. C’è Enrico dei Los Fastidios, il cui genere è lo ska. Il brano realizzato con lui parla dello stadio perché Enrico è uno dei responsabili della curva della squadra di calcio Virtus Verona, una squadra che milita in serie D la cui curva è molto impegnata contro il razzismo, contro l’omofobia. Si lotta contro duemila cose a favore dei diritti della gente. Quando sono in Italia spesso vado a seguire le partite della squadra. In curva ci sono punk, rappers, insomma un po’ di tutto; più che una curva, si tratta di un piccolo centro sociale da dove partono tante iniziative.
Come è stato cantare utilizzando il Patois, la lingua creola giamaicana?
Questo è il primo brano che ho registrato in Patois. Per questo motivo ci sono particolarmente affezionato e ho voluto che fosse in questo disco. Non è tecnicamente perfetto, si sente tanto l’accento italiano ma mi fa piacere che, pur avendo cambiato lingua, sono riuscito a mantenere intatta la mia tecnica.
Si tratta del primo passo verso qualcosa di nuovo?
In effetti abbiamo un album pronto, mancano due/ tre pezzi da registrare ancora. Sto lavorando affinchè il prossimo anno si provi ad andare in Europa. Cambierò tutto, si tratterà di un altro Vacca, quello che faccio ora non c’entra niente, sarà musica super leggera, con tanto reggae. C’è un team che sta lavorando su una serie di singoli, che mi aiuta a scrivere, a pronunciare perfettamente, che mi fa le basi e che mi obbliga ad andare in studio in determinate situazioni. Si tratta di un progetto pensato per uscire dall’isola, tutti i pezzi sono fatti uno alla volta, ognuno ha la propria storia e potrebbero anche non fare parte di un unico album. Il fatto di cantare in patois mi ha fatto venire la voglia di ricominciare, sto ritornando a 12 anni fa. Nessuno mi ha mai messo limiti o paletti. Non c’è stato mai nessuno che abbia potuto dirmi cosa dire, cosa fare, come dovermi presentare; ho sempre fatto tutto di testa mia ma sempre insieme al mio team. Ovviamente c’è gente che investe su di me mi hanno sempre lasciato libero.
Vacca ph Paifo
Qual è il legame tra questa cover così aggressiva con il titolo dell’album?
Guardando la forma del coltello, si evince la somiglianza con il cinque romano, ovvero il mio quinto disco. La forma simboleggia anche la V di Vacca. “Arancia meccanica” è stata una delle più grosse ispirazioni. Il coltello simboleggia anche un taglio: è finita un’ era, è finito un periodo. Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto. Con questo non significa che non voglia fare altro, voglio fare molto di più ma a un certo punto bisogna anche essere capaci di rimettersi in gioco. Questa, per ora, è la mia ultima danza italiana.
Come porterai tutto questo dal vivo?
A questo giro voglio creare uno show come non ho mai fatto prima. Voglio riuscire a portare ad un ottimo livello tutta la produzione e mi piacerebbe coinvolgere tutti coloro che hanno fatto parte di questo progetto e della mia storia negli ultimi 10 anni. In scaletta ci sarà tanto di questo disco ma darò spazio anche al rap del mio passato, cercherò di accontentare tutti con due ore e mezza di super show.
27/09 Agrigento – Mondadori c/o C.C. Le Vigne ore 19.00
28/09 Bari – Feltrinelli ore 17.00
La tracklist del disco:
“INTRO (NON UN PASSO INDIETRO)”, Prodotta da Zef; “L’ULTIMO TANGO”, Prodotta da Rik Rox ; “ABC”, Prodotta da Mastermaind e Kermit; “IL RAGAZZO COI DREAD”, Prodotta da Mastermaind; “MANCHI SOLO TU FEAT Enrico Los Fastidios”, Prodotta da Kermit; “NOI VS TUTTI”, Prodotta da David Hoover; “TRENDSETTER FEAT JAKE LA FURIA”, Prodotta da Rik Rox; “FINE DI UN SOGNO” Prodotta da Kermit; “ANCORA QUA FEAT JAMIL”, Prodotta da A&R; “MONA LISA”, Prodotta da A&R; “LEAD NEVA FOLLOW FEAT PASKAMAN”, Prodotta da Zef e David Hoover, “REVOLUTION” feat DANTI, Prodotta da David Hoover; “SANGUE DEL MIO SANGUE” , Prodotta da Mastermaind; “JORDAN” feat Cali, Prodotta da Kermit; “AKA” feat EGREEN, Prodotta da David Hoover; “TRUST NO ONE”Prodotta da BigFish.
“Pop-Hoolista”, l’album doppio platino di Fedez (che a un anno dall’uscita rimane stabile in cima alle classifiche) venerdì 9 ottobre si presenta nel repack “Pop-Hoolista Cosodipinto edition”, arricchito di contenuti extra in esclusiva: due brani inediti, “Beatiful disaster”, scritto e interpretato con l’artista internazionale Mika, e “21 grammi”(prodotti entrambi da Takagi & Ketra).
Nel repack anche il dvd“Pop-Hoolista Tour”, che ripercorre in 110 minuti, tra immagini sul palco e immagini di backstage, la strepitosa serie di concerti live del cantautore rap.
La copertina firmata da Radish, interpreta lo spirito ribelle, ironico e irriverente di Fedez rappresentato questa volta in una navicella spaziale in stile cartoon.
Per i fan piu’ appassionati il prezioso cofanetto special edition che, oltre al cd e al dvd, contiene una t-shirt.
“POP-HOOLISTA COSODIPINTO EDITION” e’ Prodotto dalla factory multimedialeNEWTOPIA (di Fedez e J-Ax ) e distribuito da SONY MUSIC ITALY.
TRACKLIST
1. POP-HOOLISMO (INTRO)
2. GENERAZIONE BOH
3. VIVERE IN CAMPAGNA PUBBLICITARIA
4. BELLA ADDORMENTATA NEL BRONX
5. VELENO PER TOPIC FEAT LUCIOUZ
6. VOGLIO AVERTI ACCOUNT
7. MOET SCIANDON
8. MAGNIFICO FEAT FRANCESCA MICHIELIN
9. NON C’E’ DUE SENZA TRASH
10. SIRENE FEAT MALIKA AYANE
11. L’HAI VOLUTO TU
12. LOVE COST
13. POP- HOOLISTA FEAT ELISA
14. CARDINAL CHIC
15. L’AMORE ETERNIT FEAT NOEMI
16. COME NO
17. STEREO-TIPI
18. OLIVIA OIL
19. VIVA L’IVA FEAT J-AX
20. M.I.A. FEAT BOOMDABASH
21. 21 GRAMMI
22. BEAUTIFUL DISASTER SCRITTO E INTERPRETATO CON MIKA
Si intitola “Resistenza”il nuovo album di Giovanni Pellino, in arte Neffa. Pubblicato lo scorso 4 settembre per Sony Music, questo nuovo disco propone tredici brani dalle sonorità retrò, a metà strada tra soul e Rhythm & Blues. Le tematiche sono intime e personali ma mantengono un significante dalla valenza universale. Nubi di fumo e luci soffuse sarebbero lo sfondo ideale per questo viaggio musicale all’interno del vissuto dell’artista che cambia nuovamente pelle regalandosi un album profondo e senza filtri. L’apertura è affidata alla title track “Resistenza”, un brano caratterizzato da un messaggio politico forte e preciso “Ci hanno messo in un angolo e ci tagliano i viveri/ogni giorno è una guerra ormai/ noi dobbiamo combattere”, canta Neffa nella prima strofa del pezzo. Bello anche l’arrangiamento di “Colpisci”, realizzato insieme agli Gnu Quartet. L’atmosfera è malinconica, il fascino sensuale del soul e la forza immaginifica delle parole s’insinuano nell’anima fino a raggiungere le più alte vette con la struggente bellezza di “Un piccolo ricordo di Maria”, ulteriormente impreziosita da un affascinante guitar solo. “Dubay (Why, oh why?)” introduce un ritmo e un mood blues che verrà poi ripreso e sviluppato nella traccia conclusiva dell’album, “Giorni e giorni”. “Fidiamoci del sentimento/sempre meglio che restare là a farci un selfie e ritwittare un twit. Prendi un treno con la ruggine/ A bassissima velocità/ E proviamo un po’ a vedere se si può riuscire ancora a non sapere dove siamo ora/ Vediamo dove va il vento”, canta poeticamente Neffa nell’emblematica “Twit” mentre il brano più surrealista del disco è senza dubbio “Lampadine”, definita “figlia degli alieni” dallo stesso artista. Positivo anche l’invito contenuto in “Catalogo”:“Basta tuffarsi dentro a un mare di occasioni/ Per trovare quello che serve/ Mai accontentarsi perché il tempo non torna/ Poi rimpiangerà chi lo perde”. Inaspettata la sorpresa finale con una movimentatissima ghost track tutta da godere.
Intervista
Perché hai intitolato il tuo album “Resistenza”?
Viviamo in un mondo tecnologico dove tutto è bellissimo ma sforziamoci di pensare anche all’umanità. Sogno un mondo in cui tutti tirino su le mani ad un concerto senza che nessuno glielo dica. “Resistenza” è un monito che rivolgo ai ragazzi, la tecnologia è una grandissima figata, ma dobbiamo esser coscienti che è in guerra con l’uomo. Le macchine ci hanno aiutato ma ora dobbiamo riprendere in considerazione la nostra umanità!
“Sigarette” ha riscontrato un grande successo nonostante un ritornello che ti ha esposto ad alcune critiche…
Inizierei col dire che il fumo di sigaretta mi dà fastidio e ammetto che ho pensato molto all’ aspetto legato all’ipotetico ascolto della canzone da parte dei bambini. Allo stesso tempo, però, mi sono sentito di lasciare il brano come l’avevo scritto la prima volta. Raramente ho scritto canzoni come queste e che mi hanno emozionato per tanto tempo prima di venire a galla in un disco. Probabilmente in alcuni casi sarebbe più furbo fare altre scelte, ma sono le canzoni a fare me, non ci posso far nulla, sono totalmente asservito alla musica. Qualsiasi cosa si faccia per comandare la creatività, è una cosa che non permetto.
Ti è mai capitato di scrivere una canzone sparti-acque?
Certo. “Molto calmo”, ad esempio, ho iniziato a scriverla alle nove di sera e ho terminato alle sei di mattina. Questa è una di quelle canzoni che cambiano irrimediabilmente quello che eri e non puoi più prescindere da quello che hai scritto il giorno prima, ormai ti ha cambiato. Canzoni come questa le definisco “canzoni figlie di alieni” perché non capisco da dove vengono.
In questo album c’è una “canzone figlia di alieni”?
Si’: “Lampadine”; ogni volta che la riascolto non capisco da dove sia nata.
Neffa ph The Stylaz
Quanto c’è di te in questo disco?
Tutto quello che vivo mi ispira. Ovviamente non tutti i brani sono autobiografici, ma allo stesso tempo anche quando parlo di altre situazioni, qualche piccolo riferimento alla mia vita c’è, è inevitabile.
“Colpisci” ha un arrangiamento solare nonostante un testo drammatico. Come mai?
Quando una melodia mi fa partire qualcosa, capisco subito di cosa si tratta e so già in che direzione andare. Appena ho sentito la melodia di “Colpisci” ho capito che avrei dovuto trattare un argomento drammatico, quindi ho semplicemente seguito il mio istinto.
Neffa @ The Stylaz
Come vivi il tuo rapporto con la musica?
La musica mi ha salvato la vita sia umanamente che professionalmente. Forse negli anni ’90, quando avevo intenzione di fare il batterista, sarei dovuto andare in America. Certo, non sarei stato Neffa, ma avrei vissuto in uno stato in cui la musica è sacra e non importa se sei presente sui social o se hai 40.000 follower su Twitter.
Sei stato il primo a passare dal rap al cantato. Come ti rapporti con il tuo passato musicale?
Avere un passato ingombrante non è piacevole. Molta gente dopo che ho smesso di fare rap non è mai più stata in grado di ascoltare le mie canzoni senza preconcetti. Mi ci è voluto molto tempo per indirizzare la mia vita, per me è stato come se a un certo punto mi avessero buttato in un oceano e detto “Quella è la tua strada”. Sono conscio che il rap lo faccio enormemente meglio del canto, ma ci sono aspetti dell’hip-hop che non c’entrano assolutamente nulla con l’arte. A un certo punto non ce la facevo più a rappare, volevo cantare. Ho fatto il rap quando era un genere rivoluzionario. Oggi è quanto di più reazionario ci sia. E’ fatto di canoni.
Torneresti al Festival di Sanremo?
Conti mi ha chiesto di andare e ammetto che le ultime edizioni mi sono piaciute molto perché Carlo ha saputo riportare la musica al centro di tutto scegliendo le canzoni e non le persone. Vedremo cosa succederà, nel frattempo vorrei ribadire che non sono un artista di nicchia, sono tutt’altro.
Resistenza
Colpisci
Un piccolo ricordo di Maria
Sigarette
Per fortuna che c’è il mare
Dubai (Why, oh why?)
Twit
Occhi chiusi
Realtà
Lampadine
Catalogo
Ma Jolie
Giorni e giorni
“Kiss kiss bang bang” è il nuovo album di Baby K. Prodotto da Tagagi e Ketra, l’album si compone di 14 tracce in cui l’artista svela per la prima volta il suo lato più intimo ma sempre con uno stile diretto e grintoso. Il filo conduttore di questo nuovo lavoro è il concetto della dualità, fortemente tangibile nella contrapposizione di tematiche e sonorità. I due elementi che più emergono sono le carezze della femminilità, che si traduce nelle melodie, e la forza della determinazione che si ritrova nel rap. Dopo gli ottimi riscontri ottenuti del singolo platino “Killer” feat. Tiziano Ferro e dell’album “Una seria”, Baby K riparte con una nuova consapevolezza e con la grande forza derivante dallo straripante successo dell’irresistibile singolo “Roma-Bangkok”. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione della presentazione dell’album a Milano.
Come nasce “Kiss Kiss Bang Bang”?
Dopo un anno frenetico mi sono fermata per un pò e ho riflettuto su cosa avrei voluto comunicare. Mi sono affacciata alla musica come emergente, quindi volevo creare un album che spiegasse a tutti chi fossi veramente, che parlasse non solo delle mie idee ma della mia vita con riferimenti molto precisi a quello che ho fatto e vissuto. Ho pensato molto a cosa volevo dire e a come il pubblico mi ha percepito fino ad oggi. Questo è il risultato ed è la mia rivoluzione.
Perché “Kiss Kiss Bang Bang”?
Il titolo si ricollega ad almeno tre film omonimi e rappresenta la perfetta sintesi di quello che volevo comunicare attraverso il disco: un gioco di contrasti.
A cosa ti sei ispirata per la cover e il booklet dell’album?
La cover si colloca a metà strada tra “Dirty Dancing” e “Flashdance”. Attualmente sono in fissa per gli anni 80 e 90 quindi mi piaceva l’idea che la cover avesse un mood vintage. Nei testi parlo delle cose che faccio, dello shopping online, dell’amore ai tempi degli hipster, della mia passione per la moda. Ho anche studiato per fare la stylist in una costosa scuola di Roma, poi ho scelto la musica ma mi è rimasta sempre una passione sfrenata per gli abiti. La maggior parte dei miei soldi li spendo per fare shopping, è una cosa che amo.
“Chiudo gli occhi e salto” è un brano in cui ti esponi tanto…
Se in “Roma – Bangkok” racconto la voglia di viaggiare e di divertirsi, in “Chiudo gli occhi e salto” evidenzio le sofferenze degli addii. Mi sono messa a nudo ed ho tirato fuori tutte le emozioni più intime che, per la prima volta, racconto ad alta voce: gli amici, la famiglia, i ricordi. Per il featuring di questo brano ho scelto Federica Abbate che, insieme ai produttori del disco, mi ha accompagnata in questo viaggio.
Baby K
Via libera alle fantasie in “Lasciati le sneakers”.
Ho approfittato di questo pezzo per prendermi una piccola rivincita. In questo caso la donna ha in mano le redini del gioco…
Non sei nuova a collaborazioni di successo eppure “Roma – Bangkok” rappresenta un caso eclatante. Come nasce questa canzone?
Avevamo il disco pronto ma ci mancava un brano d’apertura, un pezzo forte da lanciare per il mio ritorno. I produttori mi hanno mandato questo brano nel giro di cinque giorni e, appena l’ho ascoltato, mi sono messa a ballare. Ogni canzone del mio album gioca sui contrasti, quindi anche questo doveva farlo, ci abbiamo pensato un po’ su e poi abbiamo scelto Giusy Ferreri, un nome che nessuno si sarebbe aspettato. Lei in pochissimo tempo ci ha mandato il provino e, quando è arrivato, è nato subito grande affiatamento.
Il grande riscontro ottenuto da “Roma – Bangkok” ti pone in uno stato d’animo più rilassato rispetto all’uscita del disco?
Sinceramente il successo di un brano non garantisce nulla. Diciamo che inizio in maniera positiva, parto con il sorriso.
Di forte impatto è anche “Fakeness”, il brano in cui hai collaborato con Madh.
Ci siamo conosciuti dal vivo al Coca-Cola Summer Festival e ho subito pensato che la nostra collaborazione poteva essere interessante perché Madh ha gusti molto esterofili come i miei. Avevamo scritto ognuno una canzone molto simile dedicata alle persone che trovi in discoteca e sulle serate frivole. Abbiamo unito le due cose ed ecco fatto! “Fakeness” è un brano sui generis che fin’ora in Italia non abbiamo mai trovato e sono convinta che i fan di Madh lo apprezzeranno.
“Hipster Love” è un brano molto attuale…
Il brano racconta di una ragazza che porta a casa un hipster. È un gioco, è l’amore 2.0. Allo stesso tempo difendo e ironizzo su una delle figure più attuali e cult dei nostri tempi.
Ti senti più pop o più rap?
Da sempre coesistono in me sia lo spirito del rapper che quello della cantante. Più vado avanti con il tempo, più sono conquistata dalle melodie. Logicamente non potrò mai diventare una cantante in senso classico, ma sono anche convinta che a 50 anni non potrò presentarmi così come adesso. Quello che è certo è che conserverò il mio stile ed il mio modo di esprimermi.
La tua musica punta all’estero?
Ammicco a un sound estero perché ci sono cresciuta, è naturale. Mi piace l’idea di essere una novità e del fatto che magari sto rompendo le regole. Non mi precludo nulla ma, per ora, voglio focalizzarmi sul panorama italiano.
Ti esibirai alla finale di Miss Italia con Giusy Ferreri. Come vivi la cosa?
Sono contenta di partecipare! Io e Giusy abbiamo creato un connubio energetico e metteremo un po’ di grinta e un po’ di pepe al programma!
Cosa auguri a questo disco?
Spero che vi faccia entrare nel mio mondo pieno di colori ma sempre autentico e vero!
Una lunga gestazione, un meticoloso lavoro di ricerca sonora e musicale e messaggi pregni di significato caratterizzano “Le stelle non tremano”, il sesto album in studio di Dolcenera pubblicato l’11 settembre. L’album arriva a distanza di tre anni dal precedente “Evoluzione della specie” ed è interamente scritto, arrangiato e prodotto dall’artista. Gli undici inediti presenti nella tracklist trovano ispirazione in Kant, Platone, Gandhi, così come a Pasolini e Monicelli e si muovono tra suoni elettronici, canzone d’autore e contaminazioni orientali e africane confermando la natura eclettica di Dolcenera, sempre più cantautrice del nostro tempo. Tra filosofia, sentimenti e ricerca, Emanuela Trane disegna il percorso di un cammino che offre diverse piste da seguire. Il risultato è un’accattivante alchimia di generi che va dal pop più classico alla dance più esaltante, dal rock più graffiante al sound dell’estremo oriente. Con le sue debolezze, i suoi punti di forza e tutta la passione che la contraddistingue, Dolcenera è tornata con un progetto ambizioso, completo, innovativo che esorcizza il nostro demone comune: la paura del futuro.
Ecco quello che l’artista ci ha raccontato:
“Le stelle non tremano” è un album che non lascia niente al caso, a partire dalla data di uscita…
Tutti tendono a ricordare più facilmente la dichiarazione di guerra al mondo con il tragico attentato che ha coinvolto le Torri Gemelle di New York, invece della dichiarazione di pace nel mondo che fece Gandhi nel 1906 con la ‘Satyagraha’. Verso i tre quarti del processo di scrittura dei testi di questo album mi sono resa conto del fatto che parlavo sempre della stessa cosa, temevo che mi stessi ripetendo e mi chiedevo dove volessi arrivare. Alla fine ho capito che il filo conduttore era uno solo: combattere la paura del futuro. Mi sono resa conto che questa tematica era presente in tutti i pezzi, ognuno chiaramente prendeva un’accezione diversa però partiva sempre da una constatazione della realtà e del nostro periodo storico. Siccome l’11 settembre è il giorno in cui hanno voluto metterci paura, ho scelto questo giorno proprio per esorcizzare la paura. In “Niente al mondo”, ad esempio, ho scritto: “Abbiamo vinto/abbiamo perso ma/è il nostro tempo/per quello che ne so/ è tutto quello che ho”; c’è stata una fase in cui siamo stati bene e adesso siamo in crisi ma questo è il nostro tempo ed è tutto quello che abbiamo.
Perché contrapponi il sogno alla speranza?
Volevo scrivere una canzone sulla speranza per innescare un tipo di atteggiamento positivo. Dopo la rabbia di “Ci vediamo a casa”, un pezzo che non dava speranze in cui cantavo “La chiamano realtà questo caos legale di dubbia opportunità”, ho voluto trasformare questo sentimento in speranza contro precarietà e disgregazione. Mi sono ritrovata per caso a leggere qualcosa di Pasolini e guardare su Youtube un video di Monicelli, entrambi avevano detto in momenti diversi la stessa cosa: avevano contrapposto la speranza al sogno. La speranza è qualcosa di negativo e di passivo che ti porta a credere che ci sia qualcuno che ti possa regalare una via d’uscita; il sogno invece è attivo, porta a muoversi, ad agire. Ho capito che bisogna combattere la passività della speranza, non serve aspettarsi qualcosa se questo non viene cercato e conquistato.
Il testo di “Credo” gioca su alcuni atti di fede smontandoli subito dopo. Tu in cosa credi?
Credo nella passionalità, nella trasparenza , nella sincerità, nell’equilibrio dei sentimenti e delle forze della natura, nell’amore e nella capacità di raggrupparsi. Alla fine credo che tutto sia collegato dalle fogne fino al cielo stellato. Siamo tutti inscindibilmente collegati.
Come sei arrivata al titolo dell’album?
Il titolo nasce da una frase che è all’interno di “Fantastica”, una canzone dedicata a un amico che non c’è più e che mi ha insegnato a vivere con un sorriso, con ironia. “Le stelle non tremano” è arrivato anche perché lui studiava ingegneria aerospaziale e anche perché quando si pensa ad una persona che non c’è si tende a guardare il cielo. Un’altra motivazione è che questa frase è anche metafora di non avere paura, provare a guardare le cose da una diversa prospettiva.
Cos’è che ti fa sognare?
Mi appiglio ogni volta a qualcosa di diverso: all’amore, alla passione, allo sport (sono sempre stata una sportiva sin da bambina), alla musica. Le passioni possono essere cangianti ma ogni volta devo andare fino in fondo. Mi piace conoscere, sapere, scavare e la musica è qualcosa che ti consente di continuare ad imparare e conoscere per tutta la vita.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Quanto tempo ci voluto per realizzare questo progetto?
Ho scritto l’album in due anni e mezzo, quasi tre. Si tratta di un lavoro portato avanti a fasi, con tempi di pausa. Ho sempre cercato di mantenere una certa indipendenza artistica, lasciando alla persona il tempo di vivere per poter raccontare. Un lusso che mi sono concessa e che si paga in tanti modi. Ad esempio in famiglia non fanno altro che ripetermi che non mi si vede in tv. Che devo farci? Sto facendo quello per cui forse dopo andrò in tv (ride ndr).
A proposito di presenza in tv, l’esperienza del reality l’hai definita devastante…
Sì, quella sì. Sono stata la madrina di questo disastro (ride, ndr). Music Farm uno strano reality musicale con dei cantanti che avevano anni di carriera alle spalle. Fu una rivelazione il fatto che per ben due edizioni vinse ‘il giovane’ del gruppo. Quando ho fatto quell’esperienza, non avevo consapevolezza dell’età che avevo , ero più chiusa, più bambina. Anche da ragazzina non parlavo spesso, per me è stato molto difficile. In seguito ho dovuto cambiare approccio ma questo cambiamento è avvenuto solo recentemente. La cosa bella di quell’esperienza è stato il mio scoprirmi arrangiatrice. Per esempio quando c’era da fare una cover, potevo studiarla e farla mia. Mi ricordo soprattutto la mia versione di “I will survive”.
Ti capita di guardare i reality show?
Io non guardo assolutamente reality, guardo solo Super Tennis, DMax e Focus.
Parlando della minuziosa ricerca sonora che caratterizza il disco, ci racconti le tappe che hanno scandito la scelta degli arrangiamenti, in particolare quello di “Immenso”?
“Immenso” è una delle mie preferite del nuovo album. L’arrangiamento è molto particolare, moderno ma al contempo fedele alla tradizione della musica italiana. E’ un pezzo che ruota attorno a diversi punti di vista, c’è lo spazio che riempie il cuore, ma anche un vuoto che crea un abisso nell’anima. Ho lavorato veramente molto alla realizzazione di questo brano, circa due mesi. La grande scoperta è il synth suonato a reverse, una figata cosmica. Ho usato anche una tromba solista e, dato che mi è piaciuta molto, l’ho inserita in diversi pezzi. Anche il basso di questo pezzo è uno dei più belli dell’album; l’ ho programmato nota per nota al pianoforte ed è difficilissimo da suonare.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Come porterai tutto questo in tour?
Sono due anni che non faccio tour, non posso portare una trentina di elementi sul palco per cui dovrò capire come riarrangiare tutto con 4-5 elementi . C’è un uomo che renderà speciale la scenografia dello spettacolo, lui è Joe Campana, un super professionista che lavora con i più importanti nomi della musica italiana ma soprattutto un uomo concettuale. A dicembre ci sarà un tour teatrale e, sebbene, non si tratterà di un concerto acustico, non rinuncerò ad una parte piano e voce in cui potrò sbizzarrirmi e divertirmi di più.
Ci racconti come è nato il concept della cover e del booklet dell’album?
Conosco da anni Guido Daniele, un artista di fama internazionale, un uomo che fa parte di una generazione folle, che noi non possiamo capire. Guido mi proponeva da tempo un progetto artistico e, in quest’occasione, ha voluto coinvolgere anche il noto fotografo Paolo Cecchin lasciandomi comunque la libertà di scegliere cosa farmi dipingere sul mio corpo. Dato che per questo disco ho pensato all’elettronica contaminata da strumenti primordiali, ho pensato a circuiti e neuroni; sono un’aliena con tratti umani.
Come affronti la paura?
Riesco a superare la paura dei cambiamenti soltanto con la voglia di sorprendermi. Non posso pensare di poter fare una cosa uguale all’altra, devo poter crescere, questa è l’unica cosa che mi salva.
Il brano “L’anima in una lacrima” racchiude in sé una metafora che esprime un concetto molto intenso. A cosa o chi ti sei ispirata?
Avevo in testa questa frase a cui pian piano volevo dare un senso. Quando ho scoperto le parole di Herman Herman Hesse ho capito: “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima”. Parole diverse per esprimere un concetto simile e che possono raccontare sentimenti e situazioni differenti.
Ne “Il Viaggio” dici: “Cos’è che vedi in me tra miliardi di vite”. Un maestoso interrogativo…
Questa canzone ha una doppia dedica: in primis al mio compagno e poi ai ragazzi del mio Fanclub. Ho tradotto il tutto in forma musicale con le claps da stadio, i cori e la condivisione dei suoni che arrivano dal pubblico.
Quanto amore c’è in questo lavoro?
L’amore in questo disco è presente in tante forme: l’amore verso un progetto, verso un sogno condiviso, per la persona che ti sta accanto, colui che ti dà l’equilibrio e che ti tira fuori dalla depressione.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Perché hai definito il brano “Universale” come una sorta di testamento?
Questo è il mio pezzo preferito, oltre a “Immenso”. Chiaramente anche gli altri brani hanno una particolarità sia sonora che contenutistica. Questo, però, è un po’ più complicato. “Effimero è il destino di vivere sospesi” è l’intro ed è già chiaro che siamo su un altro livello. Adoro questo pezzo perché è complicato quanto lo sono io, è la sintesi totale di me. Nella terza strofa scrivo: “Determina le sorti/non è virtù dei fessi/ avere più fiducia/per credere in se stessi/ ma è come avere in mano un libro senza le parole”. Il senso è: va bene essere caparbi ma bisogna avere un contenuto, bisogna sforzarsi di riflettere, di avere un’opinione sul mondo, di studiare, di approfondire, avere la voglia di scrivere ogni giorno una frase nuova sul libro della vita.
Ogni giorno è un giudizio?
La capacità di autoanalisi è la nostra prova quotidiana. “Cerco di fare qualcosa di nuovo ogni giorno, senza paura”, così mi disse un miliardario che incrociai una volta in Sardegna. Alla fine è vero, l’attitudine a fare una cosa diversa al giorno può fare la differenza nel nostro piccolo.
Stai anche producendo dei lavori per altri?
Sì sto seguendo un ragazzo ma è ancora top secret.
Com’è lavorare con te?
Siccome io ho fatto tutto da sola, sono convinta che anche gli altri debbano fare da soli. L’ideale è scoprire qual è la caratteristica di suono più adatta alla propria scrittura. Insieme facciamo un percorso mentale e di scrittura poi chiaramente ci metto un po’ del mio per quanto riguarda gli arrangiamenti…
Quali sono i tuoi ascolti?
Non ho un gusto musicale preciso, a me piace tutto e cerco di prendere il meglio di ogni genere. Mi piace usare diverse applicazioni che mi consentono di spaziare. Non parlo solo di iTunes e Spotify, c’è anche Discover Music che mi permette di scoprire gruppi e cantautori che non hanno mai pubblicato.
Esce il CD Women Profile for Africa a sostegno dell’omonimo progetto di Fondazione Umberto Veronesi e Cesvi per la prevenzione e la diagnosi del tumore al collo dell’utero per le donne africane nella Repubblica Democratica del Congo.
Ogni singolo acquisto dell’album (fisico e digitale) permetterà a una donna congolese di effettuare un pap test per combattere il tumore all’utero, che ancora oggi è il terzo tumore più diffuso tra le donne di tutto il mondo ed è la causa principale di morte per cancro tra le donne africane.
Grazie al prezioso sostegno di Warner Music Italy, sono stati selezionati artisti e brani capaci di suscitare emozioni durante l’ascolto. L’ascoltatore potrà immergersi nelle suggestive alchimie dei suoni Afro-Pop e Urban-Soul di Zap Mama, nel coinvolgente ritmo dell’astro emergente Y’akoto, fino a incontrare una delle icone, non solo musicali, del mondo africano Angélique Kidjo, in un duetto R&b con Joss Stone nella rilettura di un classico degli Stones.
Non mancano suoni più occidentali, come “People Help the People”, elogio al supporto reciproco di Birdy,la splendida ballad“I’ll Stand by You” deiPretenders, fino ad arrivare a “Somewhere Only We Know”, toccante messaggio di Lily Allen.
Impossibile non citare le figure artistiche dei Morcheeba, con l’ipnotica e sognante “The Sea”, gli Everything But The Girl e il loro prezioso manuale per decifrare il linguaggio di donne e bambini e Irene Grandi con “(You Make Me Feel) Like a Natural Woman”, appassionato omaggio al mondo femminile.
La selezione propone anche la malinconica e raffinata Imany, l’Afropean hip-hop delle Les Nubians, il flamenco attualizzato dell’ispano-guineanaBuika e l’inno di solidarietà al popolo africano del duo del Mali Amadou & Mariam, rivisitato in un dance remix di Bob Sinclar.
Impreziosiscono la raccolta, due grandi artiste italiane, alle quali va il nostro sentito ringraziamento per la loro partecipazione: Ornella Vanoni e Laura Pausini.
Il progetto musicale mira a rafforzare la consapevolezza dell’importanza della prevenzione, anche oltre confini, e la volontà a sostenere un progetto come Women Profile for Africa.
L’album è disponibile in tutti i negozi di CD e nei principali store digitali (Itunes, Amazon, Google play, IBS, La Feltrinelli).
“Volevo fare il cantante. Ho iniziato a suonare il piano a sei anni per poter un giorno accompagnare la mia voce. Oggi invece è la mia voce ad accompagnare il pianoforte”. Con queste parole Stefano Bollani introduce “Arrivano gli alieni”, il terzo disco in solo dopo “Smat smat” (2003) e “Piano solo (2007), in uscita venerdì 11 settembre, per Universal Music. Realizzato in completa autonomia al pianoforte e al fender Rhodes e composto da 15 brani molto variegati, questo album racchiude quella che è l’essenza di Stefano Bollani oggi: libero, coraggioso, disinvolto, ironico e genuino. Spaziando dagli evergreen “Quando quando quando”, Jurame”, “Aquarela Do Brasil” agli inediti assoluti “Microchip”, “Un viaggio” e la titletrack “Arrivano gli Alieni”, Bollani mette subito le cose in chiaro: non ci sono preconcetti. Ed è così che l’artista si cimenta per la prima volta come cantante, autore di testi e musiche. “Gli alieni quando passano di qua mica prendon le abitudini di quaggiù, mica fanno scambio case house exchange, mica utilizzano car sharing o internet. Solitamente ci oltrepassano, non li guardi e non ti guardano e stanno a controllare se il pianeta è in asse con il blu, è in tono con il verde, è pieno di caucciù, e se la sua energia è annoverabile tra i più”, canta Bollani, concentrando l’attenzione su temi importanti, senza mai abbandonare una sottile leggerezza di sottofondo.
Ecco quello che l’artista ci ha raccontato durante la presentazione dell’album.
Come hai selezionato le canzoni che hai inserito nell’album e da quanto tempo le avevi in testa?
In realtà da poco tempo, in un primo momento ho pensato a chi avrebbe potuto cantarle ma nessuno mi sembrava adatto; alla fine ho deciso di cantarle io stesso. Gli inediti sono nati di getto, ne avevo solo tre ma non volevo aspettare che ne arrivassero altri otto per fare un album intero. Quando ho un’idea mi piace lanciarla subito e così è successo.
Come motiveresti i richiami a Carosone in “Microchip” e a Bruno Martino in “Arrivano gli Alieni”?
Sinceramente è un caso ma il parallelo ci sta tutto. Sono due autori che fanno parte del mio background.
Quali sono i tuoi autori preferiti?
I Beatles, anche se musicalmente siamo lontanissimi, e molti brasiliani, su tutti cito Jobim e Chico Buarque. Tra gli italiani potrei usare molti nomi scontati come Jannacci, Gaber, De André ma sento vicine anche alcune canzoni di Capossela e Silvestri. Ecco, io mi innamoro delle singole canzoni non delle intere discografie. A questo aggiungo di non essere preparato sugli autori più recenti, quelli che non hanno cognome.
Chi sono gli alieni di cui parli?
L’alieno può essere usato come metafora, è quello che ci può salvare provenendo dall’esterno, qualcuno che è estraneo da noi e che guardando la nostra situazione ci viene a salvare. Mi immagino alieni che passano sulla terra di tanto in tanto per controllare cosa stiamo facendo e se abbiamo imparato a rispettare la natura, cosa che purtroppo non accade tanto spesso.
In una tua vecchia intervista hai detto che da bambinovolevi diventare come Celentano…
Era il mio sogno quando avevo sette anni. Lo imitavo allo specchio, sapevo a memoria tutte le sue canzoni, lo ammiravo perché era in grado di fare qualsiasi cosa, cantare, scrivere, stare sul palco, recitare, fare teatro e programmi tv. In effetti è quello che ho cercato di fare nella vita.
Quanto è stato difficile scrivere ?
All’origine del progetto c’è il desiderio di raccontare qualcosa di personale per cui, o scrivevo un libro o cantavo le mie canzoni, ho optato per la seconda opzione. Mi ha stupito la facilità con la quale scrivevo: ammetto che avevo solo me stesso a giudicare e io sono molto indulgente. In tutto.
Quanto ti rispecchi in questo album?
Di solito mi rispecchio sempre nell’ultima cosa che ho fatto. Sono grato alla Universal per aver stampato subito il disco, ci sono ancora parecchio dentro.
Hai mai avuto problemi con i cosiddetti “puristi”?
Il contrario di puro è sporco e, dato questo presupposto, rifuggo fortemente da questa contrapposizione. Quello che mi obbliga a stare dentro una struttura mi mette in difficoltà.
Come mai l’utilizzo del Fender?
L’ho riscoperto negli ultimi anni, soprattutto quando ero in tour con Irene Grandi. Mi sono divertito a suonarlo perché permette di creare sfumature diverse , è uno strumento vivo sotto le dita, mi mette a disposizione una notevole tavolozza di colori.
Nella canzone gli alieni danno un comandamento, quale?
Non lo dico, ognuno deve elaborarsi il proprio.
Come è nato il brano Microchip?
Negli Stati Uniti è possibile acquistare online dei microchip e darli ai propri figli così che possano sempre esser controllati. Questa cosa l’ho trovata a dir poco raggelante e lo dico dal punto di vista di un genitore. È pericoloso far passare che possa essere utile l’idea di un mondo di persone controllate, penso che siano molto meglio le differenze e che il mondo in realtà sia solo pieno di paura.
A cosa ti sei ispirato per un’interpretazione del napoletano così simile all’originale?
Mi sono ricordato di una scena che ho visto di recente ad Ischia, c’era una signora che si comportava in modo da tenere tutta la famiglia sotto controllo senza muovere un muscolo. Tirerei in ballo la cosiddetta “socialità ricorsiva”, un modus operandi molto diffuso in certi contesti e che si sposa perfettamente con il mood di “Microchip”.
Quanto hai modificato le cover che sono nell’album?
Tantissimo. Sono partito dal ricordo che avevo di quelle canzoni, dalla loro ossatura e ho trasfigurato il tutto
Parteciperesti al Festival di Sanremo?
Rifuggo l’idea di gara, potrei andarci però come ospite super pagato (ride, ndr)
Quali saranno i tuoi prossimi passi?
Non c’è nessun progetto di classica all’orizzonte, anche se mi piacerebbe tirare l’orchestra dalla mia parte. Ho un tour in arrivo e la trasmissione su Raitre, anche se per il momento è tutto un work in progress. Suonerò live per il MiTo il 15 settembre all’Auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, in particolare eseguirò la “Rapsodia in Blu” di Gershwin con l’Orchestra Haydn di Bolzano mentre il 16 settembre sarò agli Arcimboldi di Milano per presentare per la prima volta in assoluto “Arrivano gli alieni”.
Cosa pensi dell’evento “Il jazz italiano per l’’Aquila”?
Non c’ero ma non so se sarei andato; tra l’altro ero anche impegnato per un altro concerto. So che c’era tantissima gente e che è stato un grande evento però non ho ben capito quale fosse il senso ultimo. In pratica il governo ha organizzato una cosa per ricordare che il governo doveva fare qualcosa che non ha fatto.
Che rapporto hai con la sua etichetta discografica?
Non abbiamo nessun contratto di esclusiva, di volta in volta rinnoviamo la nostra sintonia. Cambiano gli interlocutori in base ai progetti.
Tornerai anche a recitare?
A marzo sarò nel cast de “La Regina Dada” e gireremo i teatri. Siamo in fase di riscrittura. In passato avevo partecipato al drammatico provino del film “ E la chiamano estate”, fui chiamato dallo stesso regista e per questo convinto che alla fine sarei stato preso; alla fine il provino mi ha provato a tal punto che, quando mi hanno scartato, ho tirato un sospiro di sollievo.
Caduta e volo, separazione e ricongiungimento. Ecco i temi che attraversano il nuovo album della cantautrice pugliese Erica Mou, prodotto da Auand Records con il sostegno di Puglia Sounds e distribuito da Artist First. Nei tredici brani arrangiati insieme a Francesco Diodati, Alessandro Marzi e Francesco Ponticelli, Erica ritorna alle origini del suo percorso artistico, raccontandosi con coraggio e attingendo ai propri ricordi più intimi cadenzandoli con ritmi leggeri e melodie delicate. La potente nitidezza della sua voce è il mezzo attraverso cui emerge l’energia, la profondità e l’autenticità di un progetto costellato di immagini ed intuizioni semplici e slanci poetici in cui ciascuno di noi si può riconoscere. “Tienimi il posto” è un album intimo e diretto, un investimento d’emozioni ad ampio raggio, a partire dal fascino immaginifico della copertina realizzata da Paolo Troilo, perfettamente in linea con i temi portanti delle canzoni che, partendo da una base di chitarra e voce, con aspetti acustici particolarmente marcati, acquisiscono forza poco per volta.
Il disco si apre con il brano “Sottovoce”, una canzone dove si rinuncia a parlare ma si continua a dire tante e tante cose che si fissano negli angoli più remoti della testa. “Tutto ciò che ritenevo indispensabile non è altro che abitudine”, canta Erica in “Indispensabile” rivelando in maniera tangibile una forte componente autobiografica. Scelte consapevoli, coraggiose, con o senza colpa, si lasciano irradiare dalla luce del singolo di lancio “Ho scelto te” mentre le parole si incontrano, si arrotolano, si incastrano nella giocosa struttura de “Le macchie”, ulteriormente impreziosita da un’ottima linea di basso finale. La traccia più raffinata ed elaborata al contempo è “Biscotti rotti”, l’elogio alla “frastagliata unicità dell’imperfezione”; il mantra del nostro vivere quotidiano. Tracce di aria, gocce di suono, bolle di silenzio riempiono le oniriche didascalie disegnate dalla voce di Erica Mou; teniamole il posto, dunque, e lasciamoci condurre per mano in un mondo fatto di contorni vaghi e orizzonti aperti.
Tracklist: 1. Sottovoce, 2. Come mi riconosci, 3. Indispensabile, 4. Niente di niente, 5. Ho scelto te, 6. Le macchie, 7. Che pioggia, 8. Quando eravamo piccoli, 9. Se mi lasciassi sola, 10. Biscotti rotti, 11. Non sapevo mai mentirti, 12. Depositami sul fondo, 13. Tienimi il posto.
Abbiamo imparato a conoscerla grazie al grande successo ottenuto negli ultimi 18 mesi. Lei è Jess Glynne, una cantautrice britannica che, dopo aver esordito al n°1 con ‘Rather Be’ (coi Clean Bandit nel febbraio 2014), è riuscita a piazzare al vertice delle classifiche anche ‘My Love’ (coi Route 94 a Marzo 2014), ‘Hold My Hand’ (Aprile 2015) e ‘Not Letting Go’ (con Tinie Tempah a Luglio 2015). Con il quinto singolo consecutivo intitolato ‘Don’t Be So Hard On Yourself’ per la Glynne arriva anche “I cry when I laugh”, l’album full lenght, pubblicato lo scorso 21 Agosto in UK ed il 28 Agosto in Italia, su etichetta Atlantic Records. Un mix di soul, di tristezza, di lacrime ed euforia attraversa le 20 tracce della deluxe edition di questo album di debutto che Jess ha fortemente voluto lottando oltre il dolore, alla ricerca di una felicità tuttavia possibile. “Questo album parla di una ragazza che era spensierata, che ha avuto qualche problema, che si è trovata col cuore spezzato, e che ha trovato la sua strada attraverso questa esperienza, non con la tristezza ma con la speranza, e non lasciandosi mai scoraggiare”, spiega la cantante introducendo un lavoro veramente variegato, forse troppo. Se è vero che all’interno della tracklist manca un discorso omogeneo, è altrettanto vero che il vero filo conduttore risiede proprio nella vocalità della Glynne, tanto versatile, quanto comunicativa. Che sia sui ritmi dance delle super hit che ci hanno fatto ballare per mesi, o sulle più intime note delle ballads all’interno del disco, i tratti black della voce della cantante dalla chioma fiammante, riescono a trovare costantemente un solido appiglio nell’ animo dell’ascoltatore.
Jess Glynne
La leggerezza di ‘Don’t Be So Hard On Yourself’ “disegna” un sorriso mentre la si ascolta, ‘Gave Me Something’ racchiude una repentina presa di coscienza individuale mentre la delicata ‘Take Me Home’ rielabora il concetto di tristezza conferendogli una nuova e più rosea sfumatura. Una delle trace di chiusura dell’album è la super ballad ‘Saddest Vanilla’, brano intenso, introspettivo, cantato con una potente carica espressiva, in cui Jess duetta con la popstar inglese che ha venduto milioni di dischi Emeli Sande, un ottimo featuring in un album che, nella sua varietà, offre un’ampia panoramica delle influenze e delle radici musicali di Jess Glynne. Tracciando un bilancio finale, “I cry when I laugh” offre alla Glynne un buon punto di partenza per limare, valutare, sperimentare e scegliere le tappe di un percorso che possa garantirle una certa continuità di resa, sia in termini di vendite che di crescita artistica.
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