31SALVITUTTI: la recensione del nuovo album di Flo

Flo-  31SALVITUTTI

Flo- 31SALVITUTTI

A distanza di due anni dall’ultima pubblicazione ufficiale, la cantautrice e poliedrica attrice Floriana Cangiano, in arte FLO, pubblica 31SALVITUTTI (produzione Arealive srl – distribuzione Believe Digital), un nuovo album di inediti che vede il francese Sebastien Martel, artista creativo e visionario, alla produzione artistica. Grande conoscitore della World Music Europea, del meltin pot parigino e della musica africana, Martel mescola il sapore delle banlieue francesi a quello di Napoli raggiungendo un risultato sonoro tanto intenso quanto eterogeneo. A colorare i suoni sono i testi e la inconfondibile vocalità di Flo, un’artista coraggiosa, sempre affamata di palco, di vita, di storie, di emozioni da sfidare e da trasmettere.
Il suo modo di esprimersi si muove lungo un filo sottile che unisce passione, estasi, malinconia e teatralità. Questa volta Flosceglie come punto di partenza un numero: il 31in numerologia rappresenta la lotta, il riscatto e la forza ed è per questo che le 12 canzoni in tracklist racchiudono storie di salvezza, eroica e consapevole oppure semplicemente casuale; storie che esortano, incitano a reagire, a farsi attraversare dalla vita, ad accogliere – anzi a provocare – il cambiamento.

31SALVITUTTI è il nostro primo grido di vittoria, la prima volta che da bambini ci sentiamo degli eroi. Salviamo noi stessi e gli altri, correndo a perdifiato più forte di tutti. Ma se nel gioco i bambini sono tutti uguali e ognuno può vincere, nella vita non è così: a molti questa possibilità è negata sin dal via. Sogno dei “nastri di partenza” più giusti, una corsa più umana, in cui ognuno possa procedere alla sua velocità, verso il traguardo che sceglie”, spiega la cantautrice a proposito della titletrack, cantando “Quando ti manca il fiato, corri più forte”. Il nuovo singolo OUI OUI SAUVAGE è un blues dal ritmo sinuoso emblema della sensualità. Bellissima la tammurriata intitolata AURORA BOREALE, un rituale dai richiami tribali, un inno alla libertà perché da che il mondo è mondo “chi canta votta fore”. L’ascolto prosegue con LA GAVIOTA; il brano trae ispirazione dalla novella di Fernan Caballero, in cui una ragazza soprannominata Gaviota (gabbiano), per la sua voce splendida e il suo spirito libero, intende migliorare la sua condizione attraverso una serie di relazioni con vari uomini. L’autore riserva alla protagonista un finale drammatico, Flo invece la esorta a volare sempre più in alto e a godere della vita senza riserve.

Video: L’uomo normale

Il brano più politico e più importante del disco è L’UOMO NORMALE: “L’uomo normaleè colui che è inconsapevole di quanto razzismo, di quanta omofobia, di quanto fascismo si nasconde dentro i suoi gesti quotidiani. Non è il criminale o il serial killer, ma il nostro vicino di casa, nostro padre, un nostro collega di lavoro. L’uomo normale forse siamo noi. È quello che lavora per la famiglia e quindi pretende che il figlio sia un campione per forza; che non picchia la moglie, ma le impone come vestirsi; che tollera gli stranieri e non ha nulla contro i gay”, spiega Flo a proposito di questo brano in cui ogni “però” diventa pesante come un macigno e finisce per creare differenze e divisioni.

Il picco massimo dell’intensità espressiva vocale di Flo arriva sulle note di ACCUSSÌ; il titolo riprende una parola napoletana dai mille significati e che in questo caso racconta di un sentimento nato, cresciuto e finito. Il tocco creativo è racchiuso in RADIO VOLKAN, la radio sovversiva e fantastica, che trasmette da un vulcano addormentato Particolare la personificazione della radio per parlare alla propria città spesso prigioniera dei propri stessi clichè e stereotipi: “Svegliati che il cambiamento può essere ora, venire da dentro” è il monito di Flo a Partenope e ai partenopei. Il discorso continua in MIRACOLOSA ANARCHICA, una sorta di ossimoro che descrive Napoli e tante altre città divise tra sacro e profano in cui si spera nei miracoli, ma allo stesso tempo capita di sentire dentro quella maledetta voglia di andare via.

Il nostro racconto di “31Salvi tutti”, si chiude volutamente con PER GUARDARTI MEGLIO, un brano dedicato a Ilde Terracciano e a tutte le spose bambine del mondo. Bambine vendute come oggetti, spesso vittime delle loro stesse famiglie dal destino tragico e drammatico. Vite al buio senza primavera e senza spiragli di libertà trovano un barlume di luce nelle parole di Flo, capace di raccontare sogni perduti con intenso pathos e travolgente emotività. Alla luce di questi promettenti presupposti sarà interessante scoprire “Brave Ragazze”, il lavoro di ricerca, traduzione e reinterpretazione di canzoni, firmate dalle più coraggiose cantautrici del mondo latino e mediterraneo che Flo pubblicherà nella primavera del 2021 e che segnerà in maniera ancora più decisiva un repertorio già ricco di verità e di emozione.

Raffaella Sbrescia

 

Contatto: il ritorno coraggioso e consapevole dei Negramaro

Contatto - Negramaro

Contatto – Negramaro

A tre anni di distanza da “Amore che torni” i Negramaro sono tornati con “Contatto”: un concept album in cui 12 canzoni spiccano il volo dando voce e lustro al pensiero di sei fratelli/amici/complici che da ormai quasi vent’anni veleggiano in cima alle classifiche. Giuliano Sangiorgi, Emanuele Lele Spedicato, Andrea De Rocco, Danilo Tasco, Andrea Mariano, Ermanno Carlà anche questa volta si sono messi in gioco in un progetto ambizioso, intriso di verità e di speranza. Al centro di tutto c’è “Contatto”, una parola che ingloba al suo interno un significato potente, accentratore di declinazioni fisiche e metafisiche. Una parola che è sempre stata latente durante questo anno e mezzo di lavorazione, che non è stata subito sotto l’occhio dei Negramaro e che all’improvviso si è rivelata in tutta la sua potenza onirica, mai così adatta e necessaria.

A contraddistinguere questo lavoro sono naturalmente i testi di Giuliano, di cui andremo a sviscerarne significato e sfaccettature, ma anche e soprattutto la produzione che, a questo giro, è stata affidata alle sapienti mani di Andro che, in qualità di pianista, tastierista, dj e produttore, ha potuto fare la differenza apportando un concreto valore aggiunto con il proprio lavoro creativo. Nessuna delle 12 tracce di “Contatto” si può dare per scontata, l’effetto sorpresa è sempre dietro l’angolo e fa piacere constatare che il coraggio rimane una prerogativa della band salentina.

La tracklist si apre con “Noi resteremo in piedi”, una stand up song importante, nata durante un periodo difficile per Giuliano Sangiorgi e che mette nero su bianco delle riflessioni sincere, piene di vita e voglia di riscossa umana prima e artistica poi: “E allora mi troverai in piedi proprio allora che tutto è finito, quando pensi che sono caduto. Povero illuso ci avevi sperato e invece, che botta, son solo atterrato, sono solo atterrato, per riprendere fiato, per salire più in alto e ancora più in alto e ancora più in alto fino a sparire del tutto e ora mi prenderò tutto, quello che un tempo era mio adesso che è tuo domani è di un altro”. L’intento del cantautore è quello di mettere in campo una nuova letteratura musicale in cui lasciar convergere tutti gli argomenti che questo imbuto pandemico ha ingurgitato per ritrovare una nuova sensibilità. Sono scoperti i nervi che Giuliano tocca con le sue parole e, proprio in virtù di questa nudità emotiva, l’artista si mette in gioco insieme ai suoi compagni per rispondere alla disumanità attraverso le canzoni. È la musica il posto in cui la band sceglie di esporsi e di esprimersi a pieno, non c’è più scissione tra uomini e artisti, scrivere è politica e l’album è il post più completo in cui poter chiarire una volta per tutte il proprio pensiero.

Contatto - Negramaro

Contatto – Negramaro

L’ascolto prosegue con “Mandiamo via l’inverno” e il featuring intergenerazionale con Madame sulle note di “Non è vero niente”. Dopo 10 anni i Negramaro includono una quota rosa nella loro musica all’insegna della contemporaneità mostrando attenzione e compartecipazione ad una causa importante quale è quella della valorizzazione delle donne all’interno del panorama musicale italiano. Il brano “Devi solo ballare” è dedicato a Stella, la figlia di Giuliano, a cui l’artista chiede di poter essere felice e spensierata: “Devi solo ballare / fino a perdere la pelle / devi solo cantare / per raggiungere le stelle / per rubarne solo una che / faccia stare bene almeno te / e non ti faccia più pensare”. La speranza, come abbiamo modo di constatare a più riprese, è un sentimento che riveste una centralità a tutto tondo all’interno del disco. “Se finisse tutto qui/Senza più dare peso a quelle solite routine/ Che lentamente ci hanno ucciso/ E allora immagina di averne altre/ E tutte nuove da imparare/ Tu diresti che la vita/ Di sicuro è solo adesso/ Solo adesso/ Solo adesso/ Non è mai per sempre/ Ma facciamo che stavolta tu mi reggi il gioco/ E non diciamo ancora basta”, canta Giuliano in “Non è mai per sempre” raggiungendo il culmine del pathos in una ballad aulica e salvifica quale è “La cura del tempo”.

Video: Contatto

La parte finale del disco è particolarmente pregna di significato e ricca di citazioni: “Dalle mie parti” è una preghiera ad un mondo senza barriere e razzismi: “Dalle mie parti si dà una mano/ Dalle mie parti io resto umano/ Dalle mie parti…Dalle mie parti si corre in salvo di chi ha bisogno di un cuore amico”, scrive un ispirato Giuliano Sangiorgi. Il brano viene ulteriormente arricchito sia dalle orchestrazioni arrangiate dal M° Stefano Nanni, storico collaboratore di Luciano Pavarotti, sia da una lunga e suggestiva coda orchestrale ispirata alle atmosfere dei film di Sergio Leone. Ne “Terra di nessuno” Giuliano omaggia Lucio Dalla con un riferimento alla canzone “Anna e Marco” e con uno dei suoi tipici vocalizzi scat. La terra di cui parlano i Negramaro è da ripopolare e restituire agli esseri viventi: “Incontriamoci senza essere nessuno/ Senza sapere da dove arriva l’altro/ E ritorniamo a vivere solo nuove vite/ E ritorniamo a quello che non sappiamo/ A che importa sapere quanto tempo abbiamo/ Quanti stemmi abbiamo appesi al nostro petto/ Incontriamoci e lasciamo tutto al caso/ Che ci tratterrà come tratta nessuno”. Uguaglianza e fratellanza accompagnano questo concept album costellato di nuove consapevolezze e di obiettivi nitidi e definiti. È tempo di uscire dall’ombra e di farsi sentire. I Negramaro lo hanno capito, e a noi altri non resta che entrarci in contatto.

 Raffaella Sbrescia

Padroni di niente: Fiorella Mannoia ci racconta la verità.

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fa veramente impressione imbattersi in un disco che ti fa ragionare, che ti fa riflettere su te stesso e su quello che ti circonda. Sì, fa molta impressione perché é necessario ma è anche raro e difficile da trovare, così difficile che tante volte fa paura. Ecco quello che succede ascoltando “Padroni di niente” di Fiorella Mannoia, un’artista che è abituata a dare un significato ad ogni parola che canta e che con estrema naturalezza veicola parole importanti senza retorica alcuna. L’album, prodotto da Carlo Di Francesco, raggruppa 8 canzoni in grado di fotografare con un zoom ravvicinato alcune delle più intime riflessioni che ci stanno accomunando in questi mesi ma anche tanti dei sogni che molti di noi non riusciamo più a fare. D’altronde “Padroni di niente” è figlio del nostro tempo malato, sia fisicamente che metaforicamente. Il carico di riflessioni da fare è importante ma non è mai pesante. Lo sguardo di Fiorella e del suo raffinato parterre autorale non è quello di chi si mette sul piedistallo è, bensì, una coccola, un modo di osservare orientato alla comprensione e alla ricerca di una plausibile soluzione. Il valore chiave, nonché motore attorno a cui gira tutto il lavoro, è il valore della vita, qualcosa di cui non siamo mai padroni ma fortunati affidatari.

Si parte dalla omonima titletrack in cui la penna di Amara è più a fuoco che mai: la voce di Fiorella Mannoia di muove tra disincanto e speranza cantando: “C’è che siamo padroni di tutto e di niente/ C’è che l’uomo non vede, non parla e non sente/ Qui c’è gente che spera in mezzo a gente che spara e dispera l’amore/Qui c’è chi non capisce che prima di tutto la vita è un valore”. Si passa poi ad un mood più introspettivo con i corsivi di Ultimo che, attraverso la voce di Fiorella, diventano interrogativi intrisi di poesia: “Chissà quante domande ho fatto senza mai far capire cosa ho detto perché la vita è una commedia al buio dove per ridere serve del trucco e questa sera non voglio mentire solo guardarmi dentro per cambiare/ E chissà se questi giorni chiusi avranno un prato per volare fuori/ Io non trovo mai una spiegazione ma forse è proprio dai tuoi occhi che nasce una canzone”. L’impattante e centratissimo concetto di rottura attraversa le righe del brano “Si è rotto”: “Si è rotto il vetro, il cuore, l’emozione/ Si è rotto il filo, la chiave nel portone/ Le sere accese al mare a bere le parole a spegnere fatica, la fame e la ragione/ Si è rotto tutto, il manico e l’ombrello/ Il desiderio, si è rotto questo e quello/ Si è rotto il mondo, la luce delle scale il gusto dei sapori, la voglia di giocare/ Si è rotto il sogno, si è rotto all’improvviso quando guardavo il mondo che mi baciava il viso”, canta Fiorella, mostrandoci in maniera incredibilmente nitida la fotografia di uno stato d’animo circondato dalla nebbia e immerso nel torpore dell’incertezza.

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Fiorella Mannoia @Francesco Scipioni

Il momento riflessivo non finisce di certo qui, “La gente parla”, brano firmato da Amara e Simone Cristicchi, tuona e rimbomba facendo decisamente rumore in un modo così scomodo da provocare piacere in chi lo ascolta: Frasi dette così per caso/ Frasi senza senso o significato/ Frasi scontate e già sentite/ Le solite frasi trite e ritrite dette per gioia o per consolazione giusto per esprimere un’opinione/ Le frasi dette per circostanza/ quelle che restano dentro a una stanza /Le frasi dei soliti qualunquisti/ Quelle da veri professionisti/ Frasi da finti intellettuali/ Sempre diverse ma tutte uguali” sono quelle che ci bombardano il cervello a tutte le ore del giorno cercando di spegnerlo. E invece no, la resiliente Fiorella ci riprende per mano con “Sogna” prima: Sogna amore mio/ Sogna al posto mio/ Vivi il tempo tuo inseguendo un principio, un valore, inseguendo l’amore che guarisca le paure” e con “Olà” poi: Ti accende, guarisce, difende, trascina, ti arrende ricostruisce l’amore”. Bisogna raccontare la verità fino in fondo, anche quando non ci piace ed è questo quello che fa Fiorella che in “Eccomi qui” canta: “È un giorno che grida e mette pauraE che ci fa chiedere dove corriamo/ È un giorno che abbraccia tutti i confini/ Tra quello che siamo e quello che vogliamo”. Sempre più lontana dalla comfort zone e dalle verità scontate, Fiorella Mannoia chiude l’album con coraggio e lascia il segno con “Solo una figlia”, un brano tragico scritto dall’emergente Arianna Silveri (in arte Olivia XX) in cui l’artista duetta con l’autrice raccontando le drammatiche storie di due adolescenti accomunate da un destino tanto infausto quanto tragicamente comune a tante, troppe donne. Non può esserci il lieto fine in un disco intriso di verità.

Il vero in questo momento fa male ed è giusto esprimere gratitudine a chi come Fiorella sceglie di osservarlo e di raccontarcelo invece di distorcerlo.

Raffaella Sbrescia

 Tracklist

Padroni di Niente” (Amara), “Chissà Da Dove Arriva Una Canzone” (Ultimo), “Si È Rotto” (Enrico Lotterini, Fabio Capezzone, Fiorella Mannoia), “La Gente Parla” (Amara, Simone Cristicchi), “Sogna” (Edoardo Galletti, Fiorella Mannoia), “Olà” (Bungaro, Cesare Chiodo, Fiorella Mannoia), “Eccomi Qui” (Bungaro, Cesare Chiodo, Carlo Di Francesco) e “Solo Una Figlia (con Olivia XX)” (Arianna Silveri).

Ólafur Arnalds: Some kind of peace per affrontare il caos.

Ólafur Arnalds

Ólafur Arnalds

Il polistrumentista e compositore islandese Ólafur Arnalds ha pubblicato il nuovo album, “Some kind of peace”. Il lavoro nasce da una presa di coscienza ben precisa: tutto quello che possiamo fare è lasciarci andare e scoprire come reagiamo a ciò che la vita ci offre. Per la prima volta il pianista islandese lascia fluire la vulnerabilità e l’emotività più intima attraverso un viaggio musicale introspettivo che si muove sullo sfondo di un mondo caotico e privo di certezze.

Some kind of peace è stato registrato nel nuovo studio di Ólafur nel porto nel centro di Reykjavik. Una finestra sulla natura che ha offerto all’artista un modo unico e straordinario per esprimersi al meglio e lasciarsi ispirare da un contesto speciale ma anche dalla sua vita personale . Suoni di pianoforte e tastiere scintillanti si muovono vorticosamente raccontando sia il mondo reale che pezzi di vita vissuta dall’artista che, come di consueto, utilizza magistralmente tecniche di campionamento per unire archi e pianoforte in modo delicato e sognante. In virtù di questa sua passione per la sperimentazione, in Some Kind Of Peace, Arnalds, unisce le forze con altri artisti per dare vita ad un progetto ancora più personale. Per questo album, infatti, i collaboratori non sono stati scelti solo per quello che potevano offrire, ma anche per il legame che Arnalds condivide con loro. Nel brano di apertura “Loom”, il musicista britannico Bonobo contribuisce a un suono pulsante e un po ‘eclettico. La loro chimica è nata durante un’escursione nella natura islandese lo scorso anno e il risultato è magico. Il sognante e malinconico brano “The Bottom Line” vede Arnalds affiancato dal suo amico Josin, un cantautore tedesco. “Back To The Sky” vede invece la partecipazione del collega islandese JFDR: una voce pura e cristallina, perfetta per dare luce agli strati di suono di Ólafur. L’album si chiude con “Undone” : il concetto da cui nasce la trama del brano è spiegato dallo stesso artista. “Di tanto in tanto nella vita, senti delle increspature e non sai cosa siano, e la maggior parte delle volte scegliamo di ignorarle”. Il messaggio del disco è proprio questo: seguiamole queste increspature, offriamo conforto a noi stessi e a chi è stanco del mondo. Scorgiamo i barlumi di magia che ci circondano e facciamone tesoro, ci serviranno quando i nostri migliori piani verranno scombinati dal caos.

 Raffaella

Video: Loom

Tracklist

1. Loom (Feat. Bonobo) 2. Woven Song 3. Spiral 4. Still / Sound 5. Back To The Sky (Feat. JFDR) 7. Zero 7. New Grass 8. The Bottom Line (Feat. Josin) 9. We Contain Multitudes 10. Undone

DAVIDE “BOOSTA” DILEO presenta il nuovo album “Facile”

 DAVIDE BOOSTA DILEO

DAVIDE BOOSTA DILEO

Esce oggi “FACILE”, il nuovo album da solita di DAVIDE “BOOSTA” DILEO(tastierista e co-fondatore dei Subsonica) per Warner Music Italy.

Il lavoro è completamente strumentale, si compone di 12 composizioni inedite e nasce con la predisposizione ad accompagnare gli stati d’animo perchè figlio delle ispirazioni e delle suggestioni scaturite nei mesi scorsi nel silenzio del Torino Recording Club, lo spazio privato di Boosta tra pianoforti, vecchi registratori a nastro e piccole incursioni di elettronica. Un racconto intimo, che non ha fretta né ansia, di cui lo stesso Boosta ha ampiamente parlato in videoconferenza stampa. Ecco le sue dichiarazioni.

Facile” si è fatto spazio nel dramma di questa pandemia e ha sancito una presa di coscienza importante. Pensavo che questa parte della mia carriera sarebbe iniziata tra 5 o 10 anni. Si sa che tra un disco e un tour i tempi sono ridotti, invece dopo “Microchip temporale” l’astronave madre dei Subsonica ha messo i motori al minimo e ho preso la palla al balzo per dare il via al progetto che accompagnerà la seconda parte della mia vita.

Quando scrivi canzoni hai la necessità di osservare e di fare riferimento a qualcosa che vedi e che senti. Qui l’esigenza è quella di poter suonare con l’unico fine di fare qualcosa che ti faccia veramente stare bene. Con il passare degli anni cerco di emozionarmi da solo, questo determina uno spostamento di baricentro fondamentale: non vedo l’ora di suonare cose che mi piacerebbe ascoltare. Questo non vuol dire essere presuntuosi, anzi. Sono convinto del fatto che più onesti siamo, più c’è la possibilità di affezionarci per primi a quello che facciamo e di conseguenza che qualcuno possa apprezzarle nella loro essenza. Mi sono stufato di fare cose nell’ottica di piacere agli altri, voglio fare qualcosa di cui essere fiero di proporre. Non si tratta di un esercizio di stile, in mezzo alla scrittura ogni tanto ci sono scintille di magia.

Ognuno di noi ha una relazione binaria con il suono, la musica è facile perché o ti dà qualcosa o non te la dà. La musica è uno strumento di vita, non importa per quale motivo la fai, è importante vedere cosa diventa per le persone che la ascoltano.

Video: Autoritratto

Questo è un disco insicuro e rassicurante al contempo. Il suono è dilatato, le melodie non sono mai forti, mai arroganti. Non è balbuziente ma il tratto è ancora a matita. Ho scritto anche dei pezzi molto definiti, molto simili a canzoni che ho messo da parte mentre compilavo la tracklist con l’intento di lasciare più spazio al suono. Questa è un’ammissione di mancanza di certezze, il riverbero di un contesto difficile in cui non ci sente perfettamente definiti. Mi sento una lastra sottile che potrebbe spezzarsi. Non avevo bisogno di mettere pezzi definiti, non era questo il momento giusto.

Le uniche parole che ho utilizzato le ho messe nei titoli, è stato come mettere la firma sotto il quadro. Per quanto riguarda il progetto grafico, mi sono avvalso di Instagram dove ho avuto modo di scoprire i lavori di Valentina Ciandrini. Mi divertiva molto molto di dare colore a questo lavoro, mi piaceva l’idea di una confezione che fosse anche bella e anche diversa.

Parlando invece del contesto generale, pur essendomi ripromesso di non fare polemica non ce la faccio a dare per scontato che questa sia una classe dirigente all’altezza della situazione. Capisco la difficoltà e i problemi però continuo a non avere la sicurezza e le certezza che le persone ci governano, partendo dal Presidente del Consiglio, passando per il ministro della cultura, abbiano la capacità di spiegazione, di onestà, di fiducia necessarie. Si sente proprio l’odore della politica in confusione.

Boosta di Davide D'Ambra

Boosta di Davide D’Ambra

Se mi chiedete che valore ha il silenzio, vi dico che mi piace stare da solo, che non ho particolare bisogno di compagnia. Il silenzio è uno spazio sacro e fondamentale, ne ho bisogno e mi sento molto a mio agio. Mi piacerebbe diventare come un minimalista del ‘900. Tra tutti mi ispiro a Federico Monpù, ha avuto una vita mediocre, la sua bio dura tre righe però ha scritto una serie di composizioni intense. Di recente mi sono avvicinato al Movimento Fluxus, sono finito in una mostra a Torino in cerca di ispirazione e come per magia all’improvviso ho scoperto una piccola esposizione del compositore Giuseppe Chiari che non conoscevo. In quella saletta c’era il video di una ripresa stretta delle mani che litigavano e che si accarezzavano, era davvero ipnotico. In uno dei 5 spartiti esposti c’ era scritto che la musica è facile, lì ho capito di essere nel posto giusto. Se mi metto a riflettere sui miei ascolti, mi viene spesso da pensare che una canzone come “Avrai” di Baglioni aveva mille accordi ed è difficile da suonare. Ora ho la sensazione che nel continuare a scrivere stia finendo l’inchiostro. Mi fa fatica distinguere quello che ascolto oggi, la grammatica della musica del ‘900 era un tomo, ora sta diventando un Bignami sempre più piccolo, da cui si strappa ogni giorno una pagina. Ritorniamo alla complessità, prendiamoci tempo per andare più a fondo.

Raffaella Sbrescia

 

La tracklist di “FACILE”:

1.Fiducia”

2.Lacrime di San Lorenzo”

3.Nella nebbia per mano”

4.Diva”

5.Sulle dita”

6.La danza delle api”

7.Una vecchia mappa”

8.Nello spazio abbracciati”

9.Autoritratto”

10.Amore per le geometrie”

11.Daimon”

12.Istruzioni per un abbandono”

 

Raffaella Sbrescia

 

(Dis) Amore è il nuovo album dei Perturbazione. Intervista a Tommaso Cerasuolo

(Dis) amore -cover album

Dopo una lunga attesa i Perturbazione tornano su pubblica piazza con (Dis) amore. Un concept album doppio, stratificato, variegato e ricco di spunti sia letterari che musicali. Il racconto racconta l’evoluzione di un rapporto a due servendosi di personaggi senza nome e senza sesso che attaversano la scoperta, l’innamoramento, la pienezza della condivisione, il consolidamento, il dubbio, le crepe, il silenzio, la distanza, l’assenza, il dolore, il disamoramento. Si tratta di persone che, nella loro unicità, ci lasciano lo spazio necessario per identificarci attraverso dettagli carnali e tangibili. Lo speciale diventa normale in disco che parla sottovoce ma con fermezza e che per questo è destinato a lasciare un segno.

Intervista a Tommaso Cerasuolo.

Ciao Tommaso, questo lavoro si prende il tempo necessario per raccontarci una storia dentro tante storie attraverso una stratificazione di sentimenti e immagini. Come vi è venuta questa idea?

In questo lavoro c’è forte corrispondenza tra musica e vita. Le nostre canzoni sono molto aperte, ognuno le abita a suo modo e anche i testi sono in grado di evolversi nel tempo lasciando dei. Non c’è un utilizzo metaforico delle immagini, la nostra scrittura può essere felicemente abitata da chi la fa sua. Il nido domestico dei protagonisti del disco ci ha dato il là per pensare ad un progetto raccontato in ordine cronologico.

La prima sensazione che balza alla mente è una forte corrispondenza filmica, come se ogni canzone fosse propedeutica all’altra in una susseguirsi di inquadrature traslabili nel reale.

Abbiamo effettuato un lavoro di stratificazione. All’inizio abbiamo valutato quanto materiale avessimo sull’innamoramento e disamoramento da un punto di vista non convenzionale. Quando poi abbiamo capito che volevamo sviluppare il lavoro in ordine cronologico, abbiamo cesellato la scrittura quasi come se ci stessimo muovendo con una cinepresa. Le voci dei due protagonisti non sono definite, ognuno le abita come vuole. A volte ci serviva l’esterno per raccontare in che modo potesse influire il contributo della società all’ interno dell’idillio domestico prima e della rottura poi. Amore e disamore hanno la stessa energia emotiva sia dentro casa che fuori. Abbiamo usato anche dei tagli di montaggio, a volte serviva l’inquadratura lunga, altre volte un bel primo piano con uno stacco breve senza essere ridondante. Abbiamo adottato un molto diverso di lavorare che ci ha regalato molta soddisfazione.

Ogni tassello è funzionale all’altro dunque.

Esatto. Abbiamo scritto in funzione della narrazione, questo è stato molto stimolante.

Da un punto di vista testuale, si evince un importante impegno narrativo. Da dove nascono queste suggestioni?

Prima di tutto dall’osservazione delle vite intorno a noi, siamo circondati da parenti e amici della nostra età che hanno vissuto montagne russe emotive ma ci siamo ispirati sicuramente anche a tanta letteratura. Una scrittrice molto importante è Natalia Ginzburg, la scintilla iniziale è nata nei primissimi pezzi. In particolare “Io mi domando se eravamo noi” è proprio una frase che la scrittura usa in un contesto abbastanza diverso da quello attuale ma comunque parla dello spaesamento. In particolare abbiamo attinto da spettacolo teatrale, rappresentato presso il Teatro Stabile di Torino alla fine del 2016, che si intitolava “Qualcuno che tace”, una trilogia tratta dai pezzi teatrali della Ginzburg. Rossano (ndr) è più letterario di me ma abbiamo questo collaudatissimo metodo di scrittura a 4 mani; lui scrive con una sua metrica sapendo che io poi ci metto mano e smonto i versi per cercare linee melodiche, siamo molto elastici. Ross dà sempre moltissimo materiale e in questo disco c’è moltissimo di suo. Ad esempio aveva letto delle pagine di Albinati per il tema dell’adulterio e del possesso, poi c’è l’influenza di John Cheever, e poi ancora Romagnoni, George Fontana, Buzzati, Parise, Domenico Starnone. Si tratta di letture che aveva interiorizzato e che è riuscito a mettere in luce con una predisposizione emotiva importante. Ci sono anche frasi afferrate dalla vita reale, come accade nel brano “Taxi Taxi”. Una sera Io Cris e Rossano eravamo a Milano per della promozione, il tassista parlava di storie di persone estranee in un turno di notte e abbiamo fatto nostro il suo racconto. Al fianco alla razionalità letteraria è bello imbattersi nella realtà per rendersi conto della reale vibrazione e sfumatura che stai cercando.

Forse è  per questo che è destinato a fare la differenza?

Questo è un aspetto importante. Il problema della musica italiana è che c’è un abuso di parole astratte come mondo, universo, infinito, vita, amore, cuore, tutto è grande. A noi piace scendere nel dettaglio, afferrare la realtà con dettagli molto carnali, dare l’idea della concretezza nella scrittura, presentare un’immagine personale per farci capire da chi ci sta ascoltando. In questo modo dal particolare puoi aggiungere l’universale. Un po’ avviene con la siepe di Leopardi, senza la siepe non c’è l’infinito; in questo modo le cose vengono messe a fuoco e diventano tangibili.

 Un altro aspetto che dà completezza a questo lavoro è anche la varietà musicale che lo attraversa.

 I testi di Natalia Ginzburg erano ambientati negli anni ‘60 e ‘70 per cui ci siamo presi dei riferimenti di quelle atmosfere. La musica è come una pietra che rotola si un piano inclinato e tu ci finisci sopra (ride ndr).

La cosa bella di Cris che ha prodotto tutto il lavoro è che ha ampliato molto il suo bagaglio e lo spettro armonico perché ha lavorato a tanti altri progetti un po’ più sghembi, sotterranei di matrice blues. L’anno scorso Cris ha musicato un bel documentario su Anna Magnani, diretto da mio fratello e che è stato presentato anche a Cannes. Tutte queste cose sono finite nel suo bagaglio e io, che sono un cagnaccio che usa l’istinto per lavorare sulla parte metrica e melodica, mi sono reso conto di trovarmi su terreni nuovi. Abbiamo suonato tanto i pezzi in sala prove e abbiamo cercato di registrarli in modo da restituire fedelmente questo mood, tenendo anche i piccoli errori, senza mettere a posto i rullanti o quantizzare tutto. Adesso la musica è sempre tutta in briglia, molto artificiale, il gusto attuale ricorda il gluttammato: tutto è buono ma si assomiglia molto come sapore. Noi volevamo essere selvatici e meno sovraprodotti.

Coerenti in tutto nella forma e nella sostanza.

Il messaggio che danno questi personaggi è racchiuso nella capsula del tempo che contiene la nostra verità, fatta di entusiasmi ma anche di sbagli, di assenze. Senza le parentesi non verrà fuori la verità.

Il brano più prezioso è “Conta su di me”. Il concetto di fiducia è, ad oggi, quello più perseguibile da parte di tutti noi.

La fiducia arriva a due terzi del disco e non è un caso. I temi si compenetrano: pazienza, fiducia, sostegno reciproco sono racchiusi in una dichiarazione di coraggio e allo stesso tempo di resa. Questa è una canzone disarmata ma è anche una delle più belle del disco. Possiamo aver attraversato grandi paludi ma dentro una grande tempesta per un attimo di squarciano le nubi e quello che rimane è l’autenticità di un rapporto che unico che nessuno potrà toglierci.

 Raffaella Sbrescia

Video: Io mi domando se eravamo noi

 

“Mentale strumentale”: il tesoro nascosto dei Subsonica. Recensione

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Mentale strumentale” nasce nel 2004 per sancire in modo netto, anticonvenzionale e definitivo la virata verso la libertà dei Subsonica. La rottura all’epoca fu drastica, radicale e soprattutto scomoda. Sedici anni dopo, quel lavoro ritrova la luce per offrirci un viaggio spaziale e artistico, culturale con una finalità nobile: le royalties dell’album andranno infatti a sostegno della Fondazione Caterina Farassino, impegnata con il progetto “Respira Torino”, nato per supportare le attività degli ospedali di Torino e Asti durante l’emergenza sanitaria in corso. La linea di continuità dal passato a oggi risulta evidente nelle intenzioni, in quel sano gusto per la jam session nel senso più autentico del termine. La tracklist non è semplice, così come non è di immediata fruizione. Suoni freddi, distopici, industriali cercano una via di ingresso all’interno del substrato cognitivo e si fanno via via strada in modo contorto e tortuoso. Si passa dal mood metallico di “Decollo a voce off” passando dagli strumenti acustici di “Detriti nello spazio” fino alle percussioni esotiche delle corde boliviane e di un bodhran indiano arrivando alle voci angeliche di Madame Mystere “A di addio”. L’attualità del progetto è tangibile grazie al saggio utilizzo di synth analogici mixati con strumenti a corde e le oniriche suggestioni delle voci trasfigurate di Samuel.Malinconia, oscurità, esoterismo hanno spesso accompagnato il percorso musicale dei Subsonica che, in questo senso, non si sono mai risparmiati. Inquietudini, angosce, speranze, desideri convivono in modo a tratti originale e curioso, a tratti perturbante e sinistro. Il flusso musicale è liquido, così come la fruizione di questo album non può che essere soggetta a diverse interpretazioni anche mutabili nel corso di diverse occasioni di ascolto. “Mentale Strumentale” richiede concentrazione, attenzione e analisi. Le tracce finali e in particolare “Rientro in atmosfera” appaiono come il preludio a una nuova parte di un racconto emozionale rimasto in sospeso, pronto per raggiungere nuovi mondi inesplorati.

Raffaella Sbrescia

  1. Decollo – Voce Off
  2. Cullati Dalla Tempesta
  3. Artide 3 A.M.
  4. A Nord Di Ogni Lontananza
  5. Detriti Nello Spazio
  6. A Di Addio
  7. Tempesta Solare
  8. Delitto Sulla Luna
  9. Strumentale
  10. Rientro In Atmosfera

Scritto nelle stelle: la recensione del nuovo album di Ghemon

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Scritto nelle stelle” è il nuovo album di Ghemon (Carosello Records). In queste nuove undici tracce, l’artista mette a fuoco una fotografia nitida, vivida, concreta di un rinnovato status quo. Coerente alla sua filosofia, Ghemon riesce ad affinare ancora una volta l’uso delle parole ma soprattutto lavora molto bene con il sound. Soul, r’n’b, hip hop, rap, jazz convivono in una miscela sonora che è un unicum raffinato, vivace e mai banale. Trasparente, onesto, per questo a tratti scomodo, Ghemon mette in risalto una personalità spigolosa, mai facile da accettare nella sua totalità ma sempre capace di mostrarsi attraente.

Si parte da “Questioni di principio”, all’interno del brano la disamina di Ghemon è ampia: analisi, giudizi, ridimensionamento, libertà sono i grandi temi che ruotano in questi 4 minuti intrisi di classe. Elettricità e chimica attraversano la trama di “In un certo qual modo”, in cui traspare purezza di intenti e di penna. I pensieri fuori tempo massimo di “Champagne” come Stappo una boccia di champagne per il pericolo scampato, chissà se non mi fossi fermato dove sarei a quest’ora sanciscono una sana presa di coscienza e la voglia di chiudere finalmente un cerchio. Le giornate incompiute raccontano di un periodo diverso da quello che viviamo ma riescono a incastrarsi stranamente benissimo con questa quarantena in lockdown: No, ma quale cena fuori, non provarci nemmeno / Hai ragione, che i miei amici non li vedo da un po’ / È un momento pieno zeppo di giornate incompiute / E di pessime battute nei gruppi WhatsApp / Di delivery che tanto mangio davanti al computer. Così canta Ghemon un po’old school, un po’ avanguardista. Molto intima è “Cosa resta di noi”: un’elaborazione del lutto, il racconto di un’evoluzione personale complessa e mai facile. Tu sei il coraggio che a volte mi manca, scrive Ghemon in “Inguaribile e romantico”. E ancora: faccio fatica in mezzo alle persone perché non so cosa ci si aspetti da me”. Il genio senza coraggio serve a poco. Quanta verità in “Buona stella”. Suggestivi i flashback fedelmente aderenti alla quotidianità tra scuse, assenze, silenzi, ritardi, prese di coscienza di “Io e te” e “Un vero miracolo”. Di grande impatto e promettenti sono le velleità da crooner mostrate nella perla del disco “Un’anima” piena di macchie e di zone d’ombra sì, ma anche fascinosa e raffinata. Il disco si chiude con “K.O”: una ritmica più dura ma funzionale a una dichiarazione d’intenti nitida e definita: mettere da parte l’aria da vittima e non mollare mai il colpo.

 Raffaella Sbrescia

Video: Buona stella

TRACKLIST 

01. Questioni di principio
02. In Un Certo Qual Modo
03. Champagne
04. Due Settimane
05. Cosa Resta Di Noi
06. Inguaribile e Romantico
07. Buona Stella
08. Io e Te
09. Un Vero Miracolo
10. Un’Anima

Settebello: la recensione del nuovo album di Galeffi

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SETTEBELLO” (Maciste Dischi/Polydor/Universal Music) è il titolo del secondo album del cantautore romano GALEFFI pubblicato lo scorso 20 marzo 2020. Prodotto dai Mamakass, duo composto da Fabiò Dalè e Carlo Frigerio, l’album si contraddistingue all’interno di un mare magnum di proposte grazie ad un tipo di approccio alla musica decisamente vivo, frenetico, creativo. Galeffi, all’anagrafe Marco Cantagalli, fa tesoro del felice connubio con i produttori che insieme a lui fanno parte della squadra autorale della Warner Chapell e, senza la frenesia di voler sfornare tormentoni, si prende la sacrosanta libertà di sperimentare mettendo in piedi una tracklist di tutto rispetto. “Settebello” strizza l’occhio al passato in maniera intelligente e dinamica, i testi nascono da suggestioni contemporanee e da rapporti difficili da mantenere ma si accompagnano a reminiscenze jazz, a giri di basso caldi e sinuosi, a echi funky e ad affondi blues. “Ho un cruciverba nella testa, ma quasi mai la soluzione”, canta e scrive Galeffi, a tratti molto vicino allo stile e alle intenzioni di Cesare Cremonini. Inquieto, incerto, appassionato, sguaiato, violento, crudo, nudo, Galeffi mette in campo la sua voce lasciandone scorgere diverse sfumature, vive e attraversa le note rendendole vive, significanti, intense. Cantautorato, itpop, rock, jazz funky, blues, surf garage convivono felicemente senza stancare mai. Il brano più controverso del disco è “Cercasi amore”: nata come una canzone elettronica, successivamente diventata un pezzo per chitarra e voce, poi una ballad ed infine una canzone rock. La gemma della tracklist è invece “America”, il colpo di scena, l’asso dal cilindro, il frutto della volontà dell’artista di prendersi il lusso di mostrarsi per quello che è e intanto “Butto la pasta quel tanto che basta per non sentire il vuoto che c’è”. Vibrano i richiami allo stile di Ghemon in “Grattacielo”, ormai immancabile il divertissement strumentale, stavolta intitolato “Quasi quasi”. Il disco si chiude con “Bacio illimitato”,quasi a sigillare l’epopea sentimentale fallimentare che attraversa un’emotività incerta e in cerca di una nuova consapevolezza che l’esperienza sicuramente saprà dare ad un cantautore dall’ottimo potenziale.

Raffaella Sbrescia

Video: America

Tracklist:
1. Settebello
2. Monolocale
3. America
4. Dove Non Batte Il Sole
5. Grattacielo
6. Quasi Quasi
7. Tre Metri Sotto Terra
8. Cercasi Amore
9. Gas
10. Bacio Illimitato

Immensità: la recensione della suite di Andrea Laszlo De Simone

Immensità - Andrea Laszlo De Simone

Immensità – Andrea Laszlo De Simone

Immensità è il titolo dell’ultimo lavoro discografico del cantautore torinese Andrea Laszlo De Simone, pubblicato lo corso 8 novembre per 42 Records. L’opera è una suite della durata di 25 minuti: nove tracce suddivise in 4 capitoli, con un brano cantato per ogni capitolo. Preludi, interludi, conclusioni si susseguono all’interno di una vorticosa spirale emotiva senza fine. Andrea Laszlo De Simone è un artigiano della musica, la sua visione è il frutto di una ricerca artistica immaginata, concepita, lavorata, veicolata in solitudine. Nella costruzione dei suoi arrangiamenti, l’artista osa, mescola, mette a nudo influenze, idee, suggestioni con calma, tranquillità, lasciandosi cullare dal tempo. Navigando lo spettro delle illusioni Andrea Laszlo De Simone mette a punto un immaginifico percorso di accettazione della realtà attraverso il naturale scorrere del tempo. La musica avanza con prepotenza per raccontarci che siamo in grado di rivoluzionarci completamente molte volte all’interno di una sola vita: ogni volta si ricomincia con dei presupposti nuovi sempre basati sulle stesse dinamiche: c’è una fase di entusiasmo possibilista (il sogno), seguita da un fisiologico ridimensionamento (la realtà), giunge immancabile  lo smarrimento (lo spazio) fino all’accettazione o alla rinascita (il tempo). L’atmosfera ovattata, avvolgente, onirica de “Il sogno” viene incalzata dagli archi e le percussioni de “La nostra fine”. La vita che racconta l’artista è un piano inclinato in cui il domani scivola via. “Così è successo lo sai, la nostra vita sceglie per noi”, canta Andrea mentre prendono vita le suggestioni, gli arpeggi e i violini del brano più ibrido:“Mistero”, incluso nel capitolo “Lo spazio”. Suoni del passato e del presente si incrociano come in una sorta di contrasto biblico, precursore di una svolta empirica. L’ultimo capitolo è il “Il tempo”, raccontato dal brano “Conchiglie”: Ti sei un po’ spaventato / proprio come pensavo / vedrai non serve a niente rintanarti in te stesso / siamo solo conchiglie sparse sulla sabbia / niente potrà tornare a quando il mare era calmo. Ed è tutto chiaro, limpido, nitido e devastante. Il cerchio si conclude e l’opera può finalmente ritenersi pienamente riuscita nell’intento di regalarci un bel mucchio di emozioni. Per chi desidera godere appieno di ogni singolo frame di questo lavoro, da non perdere il mediometraggio con soggetto e musiche dello stesso Andrea Laszlo De Simone.

Raffaella Sbrescia

Mediometraggio: Immensità

TRACKLIST

01. Preludio: Il sogno

02. Capitolo I: Immensità

03. Interludio primo: La realtà

04. Capitolo II: La nostra fine

05. Interludio secondo: Lo spazio

06. Capitolo III: Mistero

07. Interludio terzo: Il tempo

08. Capitolo IV: Conchiglie

09. Conclusione

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