Intervista ai Black Violin: musica classica e hip hop contro gli “Stereotypes”

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Will Baptiste (viola) e Kev Marcus (violino) sono i Black Violin, un duo che nel giro di pochi anni ha saputo affermarsi all’interno dello scenario musicale internazionale grazie alla potenza strutturale e scenica della propria formula basata sul curioso connubio tra musica classica e hip hop. Numeri alla mano, il recentissimo tour dei due musicisti afroamericani, che si sono esibiti in concerto anche all’Arci Bellezza di Milano, ha dimostrato un continuo crescendo di consensi, destinati a moltiplicarsi sulla scia della pubblicazione di “Stereotypes”, l’album uscito lo scorso 27 maggio per Universal Music.

Intervista

Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la vostra miscela musicale?

Da piccoli abbiamo studiato musica classica poi fuori scuola ascoltavamo soprattutto musica hip hop. Le nostre strade si sono incrociate al college in Florida e da lì è iniziato il nostro cammino che si fonda sull’unione di due generi così distanti. Per noi si è trattato di un processo naturale, abbiamo semplicemente unito le nostre più grandi passioni, un po’ come quando cerchi di creare un cocktail perfetto…

Come avete scelto il nome del duo?

Ci siamo ispirato al titolo dell’omonimo disco del violinista jazz Stuff Smith, un luminare che, con il suo esempio, ci ha dato la forza, il coraggio e l’entusiasmo di continuare a perseguire la nostra carriera musicale all’insegna della sperimentazione.

Cosa ci potete raccontare in merito alla genesi di “Stereotypes”, un album che vi espone anche al “giudizio” del pubblico di tanti artisti che hanno collaborato con voi come Melanie Fiona a Robert Glasper, da Daru Jones a Rob Moose…

Il processo creativo che sta alla base del disco è stato molto naturale. Spesso ci siamo trovati in studio ad improvvisare dei brani e a suonare seguendo l’istinto fino a quando non trovavamo il suono che ci piaceva. Solo in un secondo momento abbiamo aggiunto gli altri strumenti dando una struttura più complessa ai brani.

“Stereotypes” è una dichiarazione d’intenti per rompere le barriere? Quale ruolo pensate possa svolgere la musica in questo senso?

Partendo dall’ovvio presupposto che i pregiudizi sono frutto di congetture mentali, la musica riveste un ruolo di primaria importanza. Per quanto ci riguarda, la usiamo per far capire a tutti coloro che ci ascoltano che non bisogna mai fermarsi alle apparenze. In quanto musicisti afroamericani, noi stessi siamo l’esemplificazione di questo ragionamento. Quando camminiamo per strada con le custodie dei violini, la gente crede che facciamo jazz, non c’è niente di più divertente che sorprendere tutti stravolgendo cardini e certezze.

Che futuro prevedete per la musica classica?

La musica classica spesso viene percepita come un genere d’élite, con cui i giovani faticano ad interfacciarsi Vorremmo colmare questo gap tra presente e passato, speriamo di riuscirci.

Quali sono i vostri riferimenti musicali?

Oltre a Stuff Smith ci ispiriamo ad autori diversi che vanno dall’hip hop di Jay-Z e Kendrick Lamar, alla musica classica di Paganini, Bach, Beethoven, Vivaldi, Verdi ma anche a Stevie Wonder e Miles Davis.

“Running” chiude l’album ma mette anche un sigillo sulla vostra cifra stilistica…

Abbiamo arrangiato questo brano in due ore e, in effetti, riteniamo sia quello che rappresenta in maniera più esaustiva il nostro stile.

Black Violin durante l'intervista a Milano

Black Violin durante l’intervista a Milano

Esiste una ricetta perfetta per quella che definireste “buona musica”?

Lavorando in questo settore abbiamo imparato a rispettare tutto. Se l’artista si esprime in modo sincero e arriva a chi lo ascolta non si può certo parlare di cattiva musica. Per noi esiste la musica che ascoltiamo volentieri o meno, indipendentemente dal genere. Una canzone deve trasmettere delle emozioni, saperci smuovere dall’interno, generare una reazione.

Vi siete esibiti davanti a più di 100 mila ragazzi nell’ambito di un progetto educativo realizzato assieme alla VH1 Save the Music Foundation. Qual è il bilancio di questa esperienza?

Ogni anno suoniamo davanti a migliaia di ragazzi per insegnare loro a credere in se stessi e fare al meglio quello che più gli piace.In questo senso  ci sentiamo in parte  responsabili perché vogliamo condividere con questi ragazzi il nostro dono e fargli capire l’importanza dello studio, della costanza, della disciplina ma anche della curiosità e della fantasia. I bambini non sono stati educati ad apprezzare la musica classica ma non è colpa loro, c’è bisogno di stimolarli ed invitarli ad incuriosirsi.

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Avete suonato anche in occasione di alcuni concerti dei 2Cellos, il duo di violoncellisti croati che hanno unito la musica classica al rock. Con la vostra musica avete completato l’offerta di generi. Come è andata?

I 2 Cellos sono molto bravi, hanno pubblico pronto a lasciarsi coinvolgere, per noi è stata un’esperienza molto stimolante.

Nel 2013 Barack Obama vi ha invitato al ballo inaugurale del suo secondo mandato presidenziale. Cosa vi è rimasto nel cuore?

Quello è stato sicuramente il punto più alto della nostra carriera. Avevamo suonato per sua moglie Michelle e le loro due figlie qualche mese prima, durante una cerimonia per l’infanzia, ed è stata proprio la First Lady a richiamarci per il ballo inaugurale del secondo mandato di Obama. Eravamo insieme a grandi star come Alicia Keys, Jamie Foxx, Usher, non ci sembrava vero. La cosa difficile sarà capire cosa fare da adesso in poi! (ridono ndr).

Raffaella Sbrescia

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Video: Stereotypes

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa: Daniele Sepe chiama a raccolta la Napoli underground per un progetto che unisce musica, cultura, società e politica.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Poteva stupirci con effetti speciali. E lo ha fatto. Lo ha fatto con 62 musicisti, un disco che è un racconto, divertente, ironico, romantico e a tratti irriverente. Lo ha fatto chiamando intorno a sé soprattutto giovani. Ragazzi napoletani che fanno musica, la fanno bene, divertendosi e facendo divertire.
Lo ha detto Dario Sansone, abbracciandolo commosso alla fine del concerto che si è tenuto sabato scorso al Nabilah, e che ha visto protagonisti Capitan Capitone (Daniele Sepe), e i fratelli della costa al completo. “Ringrazio Daniele Sepe, perché è stato il solo, tra i “vecchi”, a illustrarci un percorso, a farlo spontaneamente, a darci fiducia, a cercare con noi un incontro”. Ed è proprio questo il grande merito di Daniele: saper parlare ai giovani, saperli coinvolgere e farlo con l’autorevolezza del talento, dell’esperienza, dell’ironia, alle volte anche della “cazzimma”. Ma non smettere mai di farlo. Perché sono una risorsa che va coltivata. La sola che abbiamo.

Daniele, lo conosco da tempo, lo fotografo con piacere da anni durante i live, perché mi diverte, è un artista caratterialmente introverso, che vive nel sociale e per il sociale. Una forma di contraddizione? Può darsi. Ma quando fa una cosa, la fa spendendoci tutto se stesso, con una sensibilità e una passione “senza esclusione di colpi”.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Così è stato anche per questo progetto, nato da un incontro, un appello rivolto agli artisti napoletani il 7 luglio dello scorso anno, a partecipare gratuitamente ad un concerto a sostegno della lotta dei cassintegrati e licenziati della Fiat di Pomigliano d’Arco.

Mi fa piacere fare un cenno approfondito sulla cosa, perché alla Fiat di Pomigliano esiste un reparto di confino. Un reparto “fantasma” dove vengono relegati i disobbedienti. Un reparto che “non c’è”, che non è mai entrato in funzione. Un reparto dove ogni tanto accade che qualcuno si suicidi.

E per aver rivendicato il diritto ad una condizione lavorativa non alienante, e soprattutto per essersi ribellati esponendo un manichino raffigurante Marchionne appeso ad una corda, a seguito dell’ennesimo suicidio da alienazione, cinque operai sono stati licenziati seduta stante.

Non si sono arresi, hanno continuato a lottare. Ed hanno incontrato la sensibilità di Daniele, che ha chiamato a raccolta una trentina di artisti, chiedendo loro di esibirsi a sostegno della loro lotta. Veramente gli artisti che avrebbero desiderato partecipare erano molti di più. Ed è incredibile quanti provino il piacere di suonare insieme a questo ruvido, spassoso e intrigante saxofonista, dal carattere imprevedibile e dal cuore a 24 carati.

Da quella serata è nato un progetto. Una lunga narrazione per l’estate, la cui stesura è durata un intero inverno.

Un inverno di collaborazioni, confabulazioni, registrazioni, ammonizioni, esaltazioni.

Un inverno che ha partorito un lavoro di incredibile bellezza.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Si parte col prologo, “La Tempesta”. E subito una citazione irrinunciabile, un richiamo alla Tarantella del Gargano. Dopo di che, ampio spazio alla fantasia degli artisti. Da Dario Sansone dei Foja, autore di “Penelope”, e, nelle vesti di “pittore”, del bell’acquarello copertina del cd, alla divertente storia del Rangio Fellone di Tartaglia, da Gino Fastidio, a “La Maschera”, passando attraverso Mario Insenga, ‘o Rom, The collettivo, Nero Nelson e la sua “jazzata” Bambolina, fino ad arrivare a quel piccolo capolavoro di essenzialità, che è “L’ammore o vero”, partorito dall’animo sensibile di Alessio Sollo e Claudio Gnut, costruito su un giro armonico elementare e dolce, che accarezza le emozioni con la semplicità delle cose genuine. Vere come l’amore dovrebbe essere, e come lo è il sax di Daniele. Pulito, schietto, permanente.

Lo spettacolo che ne consegue è colorato, divertente, intenso, coinvolgente, entusiasmante: teatrale. Costumi di scena sgargiantissimi, tanta energia, tante note, commozione, pubblico in delirio, un feedback ininterrotto, un’energia che resta addosso anche dopo, ancora a lungo.

Daniele conduce senza condurre, sempre fisicamente un passo in dietro al gruppo, lo coordina, lo prende per mano, impercettibilmente, ma con determinazione. Nel frattempo tiene d’occhio tutto. Dal pubblico, ai tecnici, ai musicisti, ai fotografi…..è incredibile la capacità di coordinamento del Capitano.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Un Capitano che non rischia ammutinamento, troppo amato dalla sua ciurma.
Un Pirata ed un Signore, come la tradizione romanzesca vuole.

Il cd, prodotto in autofinanziamento, è sicuramente tra le novità più appetibili dell’estate. Un’estate da trascorrere su note ballerine e saltellanti, senza perdere di vista i contenuti. Che sono, tanto testuali, quanto musicali, di primissima scelta. Ma alla qualità nei lavori di Sepe siamo abituati. E’ che fino ad oggi non lo avevamo ancora visto confrontarsi con la realtà cantautoriale, se non in qualche rara occasione in ambito folk. Sepe non insegue le mode: però ama confrontarsi con tutto, e ci rende tutto sotto una forma interpretativa non solo ineccepibile, ma anche emotivamente coinvolgente.

Se passa per le vostre piazze o per i vostri teatri, non perdetevi Il Capitano e la sua ciurma.

Non ve ne pentirete.

Parola di pappagallo.

Roberta Gioberti

“Tutto passa”, il cantautorato schietto e senza peli sulla lingua di Artù

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Fa sempre piacere scoprire canzoni che vengono dritte dal cuore di qualcuno perché è proprio lì che sono destinate a ritornare. Questo è ciò che avviene con quelle scritte da Alessio Dari, in arte Artù, e raccolte in “Tutto passa” (Sony Music), un album in cui suoni semplici, veraci e limpidi vestono parole che sanno di strada e di vita vissuta. La poetica di Artù è diretta, autentica, immediata e, proprio per questo, più incisiva ed efficace. La musa del cantautore è Roma, la città che – come spiega lui stesso – «Prima ti fa godere, ti fa innamorare, ti ammalia con la sua bellezza e santità e poi ti lascia, ti abbandona a te stesso». Una Roma che nel singolo apripista “Roma d’Estate” viene presentata come una ragazza di strada che tutti cercano di saccheggiare, ‘stuprare’ e metterci le mani «però lei è talmente bella che non sarà mai di nessuno», spiega Artù.

Artù

Artù

Tra i vicoli del centro, il caldo, le zanzare e la puzza di vino, il cantautore si contestualizza con naturalezza pur rimanendo fuori dagli schemi e, senza peli sulla lingua, urla con ironia tutta la sua rabbia verso un mondo che non gli piace ma che non riesce però a non amare, cercando di dare sempre nei suoi brani una luce di speranza. Il disco contiene altri nove brani: ‘Zitti’, nata come sfogo contro i tuttologi, “Tutti a scuola” (con un irriverente cameo di Mannarino, con cui già aveva collaborato nel brano ‘Giulia domani si sposa’, contenuto nel suo primo album), il già citato “Roma d’estate”. A seguire la titletrack  “Tutto passa”, incentrata sul ciclico alternarsi delle vicissitudini terrene. Brillante “Bene io sto male”, in cui Artù si diletta ad elencare tutte le cose che non sopporta salvo poi accorgersi di non sopportare neanche se stesso. Significativo il brano metaforico “Il circo se n’è andato” in cui l’artista, affannato a rincorrere un successo illusorio, si accorge che in realtà non era quello che desiderava. Rustica è la bellezza di “Tulipani”(che vede la partecipazione di Mari di Guai), dedicato all’incapacità di amare. La solitudine, la rabbia, l’amore, la miseria della caducità umana; questi sono i temi che fanno dell’arte di Artù un cantautorato “per immagini” in grado di scardinare le sovrastrutture a vantaggio delle più semplici emozioni.

Raffaella Sbrescia

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Tracklist:
1) Zitti
2) Tutti a scuola
3) Roma d’estate
4) Tutto passa
5) Bene io sto male
6) Il giorno del peccato
7) Il circo se n’è andato
8) Tulipani
9) Viola
10) Anna

Video: Roma d’estate

Stefano Bollani “scugnizzo” folk jazz in “Napoli Trip”. Intervista e recensione

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«Napoli è una città che emana un’energia sotterranea incredibile. Ho cominciato ad amarla con i dischi di Carosone, un artista che sapeva fare tutto restando una persona seria». Questo lo spirito con cui Stefano Bollani, eccellente pianista italiano, presenta “Napoli Trip”, il suo ultimo lavoro discografico (Universal Music), in uscita in tutto il mondo il 17 giugno, dopo la pubblicazione europea. Ispirata alle maschere, ai vicoli, alle sette di Partenope, la sfida di Bollani prende le mosse da un’attrazione fatale: «A Napoli c’è un’energia che arriva da sotto, un flusso che i napoletani stessi faticano a gestire vivendo di estremi, tra grandi difficoltà e grandi gioie. Una spinta quasi esoterica che differenzia Napoli da qualsiasi altra città», spiega Bollani, che aggiunge: «Quando ho scoperto Carosone, sono rimasto folgorato, mi ha traghettato verso il jazz, non volevo dedicargli un intero disco, ho quindi allargato il discorso. In questo album non c’è la mia visione di Napoli, ci sono diversi punti di vista. Insieme a Daniele Sepe, un napoletano decisamente atipico con l’anima e l’orecchio rivolti sempre altrove, abbiamo eseguito delle composizioni originali ispirate a Napoli. Daniele mi ha riempito di dischi partenopei, che mi hanno fatto confrontare con personaggi straordinari; su tutti cito Ria Rosa, “la nonna del femminismo” che cantava in maniera forte e volgare canzoni attualissime. I brani sono strati scelti insieme a Sepe, quelli in piano solo sono melodie che mi piacciono, ho risolto l’imbarazzo della scelta affidandomi come al solito al cuore».

Stefano Bollani

Stefano Bollani

 Partendo da “’Nu quarto ‘e luna”, Bollani snoda le sue vie strumentali lungo i sentieri di un folk jazz in continua evoluzione. La chiave di lettura del disco è insita nel fondamentale contributo del polistrumentista etno jazz Daniele Sepe, del clarinettista Nico Gori e del batterista francese Manu Katchè, che Bollani porterà con sé anche in tour a luglio e agosto, con l’aggiunta di diverse novità.  La commistione tra folclore e avanguardia si riveste di reminiscenze e pulsazioni nuove: si va da “Putesse essere allero” di Pino Daniele a “’O sole mio”, passando per “Caravan Petrol” al piano e “’O guappo ‘nnamurato” di Raffaele Viviani per flauti e legni. La chicca del disco è “Reginella” di Libero Bovio, registrata a Rio con bandolim di Hamilton de Hollanda: «Ero a Rio a registrare il di disco De Hollanda con Chico Buarque – racconta Bollani – Una sera Chico se n’è andato perché voleva vedere una partita così  lo studio  rimasto a disposizione, già pagato, e ho colto l’occasione per chiedere ad Hamilton di registrare questa versione molto particolare di un brano sempre affascinante».

Stefano Bollani

Stefano Bollani

Tra le curiosità segnaliamo Bollani cantante in “Guapparia 2000”, dell’amico Lorenzo Hengheller, ed il contributo del producer norvegese Jan Bang in “Sette”. La forza di Bollani sta, dunque, nel giocare con la musica all’insegna della più totale libertà, proprio come uno “scugnizzo”: geometrie, spazi, influenze e richiami si fondono in un’unica pozione in grado di ammaliare e divertire l’ascoltare senza alcuna forzatura.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Luca Seta: quando musica, poesia e recitazione coesistono nella stessa anima

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta è un attore e cantautore italiano. Dopo aver calcato per anni la scena del teatro ed essersi fatto conoscere dal grande pubblico televisivo recitando in serie di successo e come protagonista della soap “Un posto al sole”, esordisce nel 2013 come cantautore con l’album “In viaggio con Kerouac”, che presenta con una tournèe in Italia e all’estero. Fino al 5 giugno 2016 l’artista sarà in Kazakistan per tre date promosse dall’Ambasciata Italiana nel programma degli eventi musicali dell’Anno della Cultura Italiana in Kazakistan. L’abbiamo incontrato a ridosso della partenza per approfondire la sua conoscenza e del suo variegato immaginario.

 Intervista

Raccontaci della tua natura girovaga, immagina di trovarti di fronte ad una platea raccolta che ha voglia di conoscere Luca mentre compone, lavora e si immagina cose…

L’atto creativo è inconsapevole, vivo normalmente fino a quando una canzone o una poesia arrivano da me; a quel punto mi fermo e le traferisco su carta. Il processo creativo è sempre in atto dentro di me, non devo far altro che ascoltarlo bene per fermare l’attimo.

Che tipo di energia hai raccolto durante il live all’Auditorium Parco della Musica di Roma dello scorso 20 maggio?

Suonare lì è stato veramente fantastico, già durante il soundcheck eravamo molto emozionati perché quel posto è stato costruito apposta per fare musica, ha un’acustica meravigliosa e ci va a suonare gente di straordinario livello artistico. Il pubblico che viene lì lo fa per ascoltare con un’attenzione ed un’energia tale da farti sentire a tuo agio fin dai primi secondi di performance.

Come si è evoluta dal vivo la musica contenuta nel disco “In viaggio con Kerouac”?

Il live è diventato qualcosa di completamente diverso, un viaggio musicale, testuale ed emozionale che vive una continua evoluzione grazie all’importante contributo dei musicisti che mi accompagnano, visto che si tratta di jazzisti (Gabriele Buonasorte, sassofonista e arrangiatore dell’intero disco, Simone Maggio al pianoforte, Mauro Gavini al basso, David Giacomini alla chitarra, Saverio Federici alla batteria.) Ci sono tanti momenti dedicati all’improvvisazione, in questo senso mi sento un po’ jazzista anche io. Infine, oltre alle improvvisazioni, ci sono le mie poesie e i miei racconti che, in quell’occasione sono state lette ed interpretate da Massimiliano Varrese.

Metterai in atto anche un progetto in duo…

Sì, sarò in giro insieme a Gabriele Buonasorte per un progetto chitarra, voce e sassofono. Si tratterà di un mix tra reading e concerto, incentrato verso una direzione più intima, le canzoni saranno rivisitate e  ci saranno più letture di miei racconti.

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Di cosa parlano questi tuoi racconti?

Vorrei pubblicare due volumi: uno che racchiuda le mie poesie, l’altro sarà un vero e proprio un libro e si chiamerà “Diario di un vagabondo”: Si va dall’incontro con una donna ad una giornata di surf in Brasile, passando per un semplice viaggio in treno fino a singoli momenti che fermano un attimo. Scrivo di quello che mi emoziona e che la vita mi offre.

Che rapporto hai con il dialetto piemontese?

Ho voluto includere due canzoni in dialetto nel disco ma non è stata una scelta, piuttosto mi è venuto spontaneo farlo. Durante la prima parte della mia vita sono cresciuto con mio nonno paterno Giuseppe che, non avendo studiato a scuola, preferiva parlarmi in dialetto invece di usare un italiano non corretto. Ho scritto il brano intitolato “Con il fucile in mano” quasi come se fossi al suo fianco, il dialetto è assolutamente parte di me.

Cosa ti aspetti dalla tua avventura in Kazakistan?

Sto bene attento a non avere aspettative, preferisco vivere l’attimo e vivermelo fino in fondo, abbiamo un programma fittissimo e voglio godermi ogni istante di questa opportunità.

Tra le canzoni del disco, soffermiamoci su “La canzone di Marinella (parte seconda)”; efficace l’idea di riprendere un punto cardine della nostra storia musicale quale è Fabrizio De Andrè con  un seguito che si sposa con le drammatiche vicende dei nostri giorni…

La canzone di De Andrè nacque dopo aver letto un articolo in cui si narrava della triste vicenda di una ragazza ritrovata senza vita sul letto di un fiume. Nessuno ne aveva reclamato il corpo o la scomparsa, forse si trattava di una prostituta. De Andrè le regalò un nome, una storia, un amore. A me è capitato di ascoltare al telegiornale l’annuncio di una vicenda simile con il ritrovamento di una donna uccisa, nei pressi del Lago d’Orta. Quella vicenda mi rimase tanto impressa da indurmi a scrivere un pezzo in piena notte, il titolo è ovviamente venuto da sé.

Infine un accenno alla tua carriera di attore. Cosa bolle in pentola?

Sto lavorando alla nuova fiction di Marco Giallini, sarò il protagonista di una puntata. La serie è poliziesca e uscirà nel 2017. Marco è una persona fantastica, ha un’umanità non comune e merita tutto il successo che sta avendo; sono felice di averlo incontrato e di lavorare con lui.

 Raffaella Sbrescia

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“Millanta Tamanta”: le oniriche vie sperimentali degli WOW

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“Millanta Tamanta” è un modus vivendi, la non risposta che Rodari dava agli umani distruttori di cose e valori di una città una volta irreale, oggi molto verosimile. Da questa espressione traggono ispirazione gli WOW che scelgono 42 Records per pubblicare il secondo lavoro discografico nel giro di sei anni di vita artistica. Nelle nove tracce che compongono “Millanta tamanta” Leo e China ridisegnano la linea ritmica della loro musica attraverso l’ingresso di Cheb Samir e Thibault Bircker. Il risultato finale supera l’ovvio recupero degli inimitabili anni Sessanta per abbracciare un’attitudine pop onirica dal fascino senza tempo. Languide chitarre in evidenza, voci fuse all’unisono, arrangiamenti melanconici ed enigmatici al contempo disegnano armonie jazz-fusion, ambient, funky e garage rock.  La voce ricopre un ruolo chiave all’interno di un accumulo di suono in costante apertura “concettuale° alla psichedelia. Gli spazi siderali in cui si muovono gli WOW traggono linfa vitale dalla zona compresa fra il Pigneto e Tor Pignattara, posti come il Fanfulla , il30formiche, il Dal Verme, l’INIT, Le Mura ricoprono, infatti, un ruolo chiave per comprendere, apprezzare e godere di questo interessante lavoro sperimentale improntato alla mescolanza di mondi semantici e flussi sonori.

Raffaella Sbrescia

Video: Il mondo

I “Good Times” di Stefano Signoroni

Stefano Signoroni

Stefano Signoroni

“Good times” non è soltanto il titolo del disco d’esordio del cantante, compositore, musicista e intrattenitore Stefano Signoroni ma è anche quello che si prova partecipando ad uno dei suoi concerti. Abituato a calcare i palcoscenici europei, Signoroni annovera nel proprio repertorio brani decisamente eterogenei: si va dagli standard jazz alla musica leggera fino alle jam sessions senza soluzione di continuità. In questo nuovo lavoro il musicista raccoglie 8 cover in inglese, 3 brani in italiano e 2 inediti fondendo sapientemente sonorità pop a un elegante stile vintage, rievocando, seppur in chiave moderna, le atmosfere delle grandi orchestre e degli show del passato. Ad un ascolto godibile di un lavoro pensato per momenti di spensieratezza e relax, Signoroni associa una presenza scenica capace di coinvolgere e divertire il pubblico. I suoi viaggi sonori partono da lontano ma ci conducono per mano nei meandri dell’oggi. Non perdetevi l’energia live di questo showman d’altri tempi.

Raffaella Sbrescia

Video: Stai lontana da me

“Se avessi un cuore”: la svolta elettronica di Annalisa. Intervista e live report dell’anteprima milanese

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“Se avessi un cuore” (Warner Music) è il titolo del nuovo album di Annalisa e vedrà la luce il 20 maggio 2016. In questo nuovo progetto discografico l’artista ha scelto di mettersi in gioco a 360 gradi, sia per quanto riguarda la scrittura, in qualità di autrice in tutti i 12 brani contenuti nell’album, sia per quanto riguarda gli arrangiamenti intrisi di sonorità elettroniche, frutto del lavoro di ricerca operato insieme a Fabrizio Ferraguzzo, Luca Chiaravalli, Diego Calvetti e l’emergente MACE.

Live report del concerto al Teatro Nazionale di Milano

Due ore piene, intense, sorprendenti. Annalisa cambia volto e si reinventa con un concerto innovativo, ricco di spunti e contaminazioni al passo con le migliori realtà musicali internazionali e lo fa presentando i brani del suo nuovo album in anteprima. Un modo tutto speciale di raccontarsi e raccontare i nuovi passi della sua carriera in divenire. In effetti l’aspetto più sorprendente sta proprio nell’ aver saputo creare uno show audio-visivo compatto e solido, merito non solo dell’ormai conclamato talento di Annalisa ma anche della sua ottima band. Ecco perché abbiamo scelto di chiedere a Lapo Consortini, chitarrista e direttore musicale della band, di spiegarci tutti i passaggi che hanno portato a questa nuova vincente formula: «Il mio compito è stato quello di riuscire a tradurre dal vivo tutto quello che c’è in “Se avessi un cuore” senza stravolgere nulla. Il nuovo album di Annalisa non è un classico disco pop con basso, chitarra, batteria, pianoforte e archi: gli arrangiamenti sono molto contaminati, c’è tanta elettronica e, proprio per questo, meno strumenti acustici. Grazie ad un ascolto attento noterete tanti elementi evocativi come cori, brusii di voci, elementi ambient. La più grande sfida che abbiamo cercato di vincere è stata quella di suonare e riprodurre in tempo reale ogni singola sfumatura delle molteplici pulsazioni tipiche della musica elettronica. Tra uso misto di batteria acustica ed elettronica, uso di chitarra tradizionale e suoni super effettati, abbiamo cercato, in sintesi, di unire l’anima delle canzoni vecchie e nuove di Annalisa con l’obiettivo di creare un sound omogeneo». Un risultato che, a nostro dire, è stato ampiamente raggiunto.

 Intervista ad Annalisa

Come mai hai scelto di pubblicare questo album un po’ di tempo dopo il Festival di Sanremo e perché?

Si tratta di una scelta ragionata. L’idea è sempre stata quella di portare a termine un’operazione di passaggio. “Il diluvio universale” rappresenta il perno di collegamento tra il passato e “Se avessi un cuore”. Il brano sanremese ha sempre avuto un’accezione di opera unica perché ha il peso e l’importanza necessaria per esserlo. Per questa ragione considero “Se avessi un cuore”, il primo vero singolo del disco.

Cosa ti ha portato a sviluppare questo cambiamento di sonorità?

 In verità le ho sempre amate, fin dall’inizio ho spinto in questa direzione, ho fatto un percorso graduale con due punti di approdo: il primo è quello relativo alla scrittura e al mio ruolo di autrice, il secondo è relativo all’immersione in un mondo sonoro non facile, ho fatto un passo alla volta cercando di non fermarmi mai.

Quanto senti tuo questo lavoro?

Tutte le cose che ho fatto le sento mie ma è altrettanto vero che l’ultima cosa che fai è quella a cui vuoi più bene. Mi sono sempre sentita cantautrice, fin da quando mi sono avvicinata alla musica, l’ho sempre fatto seguendo l’idea di scrivere le mie canzoni. Ho provato tante strade e ho trovato la prima occasione di venir fuori attraverso un talent, da lì in poi ho imparato tante cose, ho preso coscienza di avere tanto lavoro da fare e di dover migliorare. Anche quando ho fatto l’interprete non sono mai riuscita a cantare cose che non fossero totalmente affini al mio modo di comunicare, ho sempre usato questo tipo di sensibilità. Sono molto orgogliosa di queste canzoni, ne vado fiera, mi rappresentano appieno e andrò sempre di più in questa direzione.

Tra le parole chiave del disco c’è “leggerezza”. Come declini questa parola all’interno della tua quotidianità personale e artistica?

In effetti la leggerezza è un punto chiave e arriva da un brano presente nel disco, intitolato “Leggerissima”. Il mio intento è cercare di dare valore alla leggerezza in quanto capacità di lasciarsi alle spalle qualcosa, mollare la presa senza smettere di lottare. La leggerezza pervade tutto il disco perché anche quando dico cose importanti e dal contenuto forte mi piace usare l’ironia.

Come sei cambiata in questo ultimo anno?

Non me rendo mai conto. Crescendo ti succedono delle cose che ti fanno cambiare, trovare nuovi modi di reagire, diventare più consapevole. Dal mio canto posso dire di essere più decisa e più focalizzata su quello che faccio. Dal punto di vista lavorativo sono in grande fermento, scrivo tantissimo e, dato che con questo album mi sono avvicinata molto a quello che intendo fare, sono galvanizzata.

Cosa ascolti di solito?

Ascolto parecchio e di tutto. Le cose che produco io non le ascolto mai da sola, in ogni caso il tentativo è quello di porre l’accento sui testi, ho cercato un universo sonoro moderno, vicino alla scena pop mainstream americana eppure ci sono tante sfaccettature da tenere in considerazione. La peculiarità di questo progetto è il contenuto.

Come ti vedi nelle vesti di autrice per altri colleghi?

Nel momento in cui scrivo lo faccio per una mia esigenza e in modo personale. Non è semplice fare in modo che la propria sensibilità incontri l’istinto di qualcuno altro. Bisogna trovare il momento e la concentrazione giusta.

Come sei riuscita a collaborare con Dua Lipa?

Ci siamo incontrate in Warner ed è nata subito una forte sintonia; ci siamo trovare e raccontate diverse cose. In un secondo momento lei mi ha mandato questa canzone, scritta insieme al suo team, me l’ha fatta ascoltare e da lì è partita la collaborazione. In seguito ho rivisto la produzione, ho scritto il testo in italiano, Dua Lipa nel frattempo seguiva da lontano tutte le fasi ed è stata felice del risultato che abbiamo ottenuto.

Cosa ci dici della copertina del disco e del relativo booklet?

Partiamo dal presupposto che a me piace tenere tutto sotto controllo. Mi piace che niente venga lasciato al caso. Questo progetto grafico è stato realizzato insieme a Laura Battista, in copertina guardo in basso perché osservo la zona intorno al cuore. Il percorso prevede che ogni canzone rappresenti un tassello per costruire una coscienza in grado di affrontare la diversità dagli altri.

E la partnership con Mace?

Lui è un autore Warner Chapell come me, organizziamo spesso delle writing sessions in cui ci ritroviamo, fin da quando l’ho incontrato avevo capito che poteva succedere qualcosa di interessante. Quando gli ho proposto il pezzo “Le coincidenze” ho voluto che lui vi imprimesse la propria impronta, si tratta di una sperimentazione che mi ha entusiasmato.

Annalisa

Annalisa

“Quello che non sai di me” è il tuo brano più intimo….

Questo pezzo è una sorta di confessione. Cerco di raccontare quei momenti in cui sono da sola e nessuno mi vede, mi sono resa conto che nessuno conosce quell’insieme di piccole cose che sono solo mie per cui deciso di provare a raccontarle in una canzone speciale.

Qual è la tua concezione di tour?

Ho scelto di proporre i brani del nuovo album in due anteprime (una a Roma e una a Milano) operando in controtendenza. Questa scelta è dovuta a una ragione precisa: credo nell’esperienza della musica, vorrei che la musica raccontasse una magia che è sempre difficile trasmettere, le prime due date sono decisamente singolari, le altre arriveranno tra l’estate e l’autunno e avranno come obiettivo quello di avvicinare le persone alla musica.

Come hai vissuto i giorni di allestimento del tour?

Sono stati giorni davvero molto intensi, seguo tutto, ci tengo che ogni cosa possa fare la differenza, sono molto soddisfatta dal lavoro svolto dal mio staff e non vedo l’ora che tutti possano apprezzarlo e condividerlo con noi.

Raffaella Sbrescia

Ecco la tracklist dell’album “SE AVESSI UN CUORE”: “Se avessi un cuore”, “Leggerissima”, “Noi siamo un’isola”, “Coltiverò l’amore”, “Uno”, “Potrei abituarmi”, “A cuore spento”, “Inatteso”, “Le coincidenze”, “Quello che non sai di me”, “Il diluvio universale”, “Used to you”.

Annalisa incontrerà poi i fan negli store delle principali città italiane. Ecco le date:

20 maggio ROMA – Feltrinelli Via Appia, 427 – ore 17.30

21 maggio  MILANO – Mondadori Duomo – ore 17.00

22  maggio BOLOGNA – Mondadori Via D’Azeglio – ore 17.00

23 maggio MARGHERA – Mondadori c. c. Nave de Vero – ore 17.00

24  maggio FIRENZE – Galleria Del Disco – ore 17.30

25 maggio CURNO (BG) – Mediaworld – ore 18.00

26  maggio GENOVA – Mondadori Via XX Settembre- ore 17.30

27 maggio TORINO – Lingotto Mediaworld – ore 17.30

28  maggio NAPOLI - Mondadori – Piazza Vanvitelli ore 17.30

29  maggio BRINDISI - Feltrinelli ore 18.00 – LECCE Feltinelli ore 20.00

30  maggio – RIMINI – Mediaworld Shopping Center Romagna – ore 17.30

31 maggio – VILLESSE – cc Tiare Shopping – Mediaworld – ore 17.30

1 giugno-  BASSANO DEL GRAPPA – Mediaworld – Shopping center Il Grifone– ore 17.30

Dopo le due anteprime di Milano e Roma del SE AVESSI UN CUORE TOUR, Annalisa partirà con un tour durante l’estate che toccherà tutta Italia. Queste le prime date confermate: 11 giugno al Festival Amore di Stabio (Svizzera), l’ 8 luglio alla Sala Roof Casino di Sanremo(Imperia), il 31 luglio a Cava di Roselle (Grosseto), il 7 agosto in Piazza Kennedy a Pagliare del Tronto (Ascoli Piceno), l’ 11 agosto alla Beach Arena di Lignano Sabbiadoro (Udine), il 16 agosto in Piazza Ara dei Santi di Collelongo (L’Aquila).

I biglietti sono disponibili su Ticketone, punti vendita e prevendite abituali (info: www.fepgroup.it).

 

Marco Carta: in “Come il mondo” ci sono tutte le mie sfaccettature

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“Come il mondo” è il nuovo album di inediti di Marco Carta in uscita il 27 maggio anticipato dal singolo “Non so più amare” subito ai vertici delle classifiche di vendita. Ritratti Di Note ha intervistato il cantante in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Non so più amare”, pubblicato lo scorso 22 Aprile.

Marco, parliamo subito di questo nuovo singolo “Non so più amare”. E’ on line anche il video della canzone, girato da Claudio Zagarini. Non basta una vita per imparare ad amare, ma uno dei compiti dell’amore, come tu dici nella canzone, è quello di accendere ed equilibrare, così come riaccendere e riequilibrare…

Sì certo, l’amore non ha solo il compito di accendere ed equilibrare, ma dopo un periodo di tempo, anche quello di riaccendere e riequilibrare. Il pezzo poi inneggia proprio alla carica e alla positività.

Il 27 Maggio sarà pubblicato il tuo nuovo album “Come il mondo”. So che all’interno c’è anche un pezzo dedicato al tuo pubblico e ai tuoi fans che ti seguono da sempre con grandissimo affetto e che ad ogni tua intervista affollano i Social.

Sì, la canzone è “Anche Quando”. E’ un pezzo al quale sono molto legato perché racconta la storia d’amore tra me e i miei fans, una storia che dura ormai da otto anni, una storia direi molto solida. Amo molto anche “Non so più amare” e l’ho voluta fortemente come primo singolo dell’album. L’ho amata immediatamente, al primo ascolto. Poi c’è  “Lasciami adesso”, forse la canzone più bella dell’album. Mi piacerebbe tanto che fosse il secondo singolo ma so che dovrò discuterne parecchio con la mia casa discografica. Alcuni miei ascoltatori mi hanno chiesto quale canzone dell’album si adatterebbe bene ad un film, ecco, “Lasciami Adesso” sarebbe perfetta per un film d’amore alla Muccino tipo “L’ultimo bacio”. In questo momento sto sognando…

Marco cosa ci dobbiamo aspettare musicalmente da “Come il mondo”?

L’album, composto da dieci canzoni, ha delle tracce “rock” come “No so più amare” e “L’ultima cosa vera”. Ho voluto inserire nel disco anche “Ho scelto di no” e “Splendida Ostinazione”, canzoni già conosciute al pubblico. Accanto a pezzi più veloci non mancheranno le ballad, nello stile che mi ha reso famoso. In quest’album c’è Marco in toto, la vena rock e la vena pop. Secondo me sarà interessante ascoltarlo…

Dopo l’uscita dell’album inizierà il tour di instore…

Sì, tra l’altro si stanno aggiungendo date che poi saranno pubblicate sui miei social. Molti fans mi scrivono perché magari non vedono ancora pubblicata la propria città. Cercherò di fare il possibile per accontentare tutti…

Dopo l’estate ci sono progetti di Live?

Il live richiede un lungo lavoro quindi preferisco dedicarmi adesso agli instore e alle radio e poi in autunno partire con i concerti in teatro.

Giuliana Galasso

Video:

“Come il mondo” Tracklist

1. Anche quando

2. Come il mondo

3. L’unica cosa vera

4. Lasciami adesso

5. Splendida ostinazione

6. Non so più amare

7. Ho scelto di no

8. Una semplice notizia

9. Guarda la felicità

10. Stelle

 Dal 27 maggio Marco Carta incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Queste le prime date confermate a cui si aggiungeranno presto altri appuntamenti: il 28 maggio  all’Entertainement center 45° Nord a  Moncalieri (TO); il 30 maggio al Mediaworld  (Shopping Center Shopville) a Casalecchio di Reno (BO); il 31 maggio allo Shooping Center le Due Torri a  Stezzano, l’1   giugno  al   Mediaworld  (Shopping Center Predda Niedda) a  Sassari,  il 2 giugno al  Centro Commerciale  Pratosardo a Nuoro e il 10 giugno al  Centro  Commerciale  Parco Leonardo a Fiumicino (RM).

Il mese del rosario: le nuove storie ammalianti di Flo

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Ispirata, appassionata, dirompente, irruente ma anche delicata e commovente, Floriana Cangiano, in arte Flo, ritorna sulla scena musicale con un nuovo meraviglioso lavoro intitolato “Il mese del rosario” pubblicato dalla Agualoca e distribuito dalla Warner Music. Coadiuvata dall’ inconfondibile animo multiculturale di Ernesto Nobili, presente sia in qualità di produttore artistico che di coautore, Flo rimarca il suo approccio cosmopolita, già unanimemente apprezzato in “D’amore e di altre cose irreversibili, attraverso nove brani che spaziano, accarezzano, mordono, scrutano, ricordano storie, emozioni, tradizioni, credenze, evoluzioni socio-culturali complesse e stratificate. Le radici affondano nel Mediterraneo ma la voce e lo sguardo di Flo si aprono al mondo, le sue storie sono collettive, le paure, le gioie, i sogni e i dolori di cui canta sono quelle che irretiscono ciascuno di noi.

“Il mese del rosario” celebra maggio, il momento in cui si recita il rosario con passione ardente, si cercano le grazie e si mette da parte la consapevolezza dell’aver peccato. Questo lavoro fonde sogno e realtà, passione e disincanto irradiando pathos ed emozione interpretativa. La prima traccia è “Vulìo”: il canto della paloma che non vola contrasta con frizzanti corde latine mentre “Bellissima presenza” ironizza in modo tagliente in merito alle dinamiche che avviliscono il mondo del lavoro. La gogna pubblica e l’autoassoluzione riempiono le note del bellissimo brano “Malemaritate”. Intimo, struggente, scomodo e doloroso il testo di “Ad ogni femmina un marito”: non c’è tempo per i sogni e per la libertà, canta Flo, svelando il segreto che si cela dietro tante sfortunate esistenze. L’artista si destreggia con padronanza tra suoni e culture, gioca con le lingue, compreso il suo amato napoletano, così come avviene in “Freva e criscenza”. Il brano più sperimentale del disco è “Controra arancione” con il suo mood indefinito tra case di mare e ombre sul muro.  Tragicamente attuale la trama di “Quale amore”, incentrato sulla violenza sulle donne e cantato magistralmente in prima persona. Alla fine Flo chiude il disco un incredibile doppio omaggio a Rosa Balistreri: “Buttana di to ma” e “Terra ca nun senti” sono le perle che l’artista sceglie di fare sue catapultandosi anima e corpo in una dimensione spazio temporale dal fascino eterno; ammaliante.

Raffaella Sbrescia

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