Duets: tutti possono entrare nel magico mondo di Cristina D’Avena. Intervista

Cristina D'Avena

Cristina D’Avena

L’oasi della leggerezza, il varco per tornare a sentirsi bambini almeno per lo spazio di una canzone, magari quella di un cartone animato che ha segnato i nostri momenti più felici. Un desiderio di molti, anche degli stessi cantanti che in “Duets”, il nuovo progetto discografico nato dalla collaborazione tra Crioma e Warner Music, cantano Cristina D’Avena con Cristina. Il punto forte di questo album è, in primis, la costruzione cronologica della tracklist, in secondo luogo la varietà degli artisti presenti nel disco e, least but not last, la cura degli arrangiamenti che regalano una nuova e godibilissima veste ai brani che noi tutti abbiamo imparato ad amare fin da bambini.

L’incanto, la gioia, la squisità bonta di Cristina si mettono al servizio del pop Made In Italy e il risultato convince e diverte. Tra i nostri brani preferiti: “Piccoli problemi di cuore” ft. Ermal Meta (specialista nella cura dei dettagli), l’iconica “Occhi di gatto” ft. l’indomabile Loredana Berte e “E’ quasi magia Johnny”, nuovo auspicabile singolo ft. La Rua.

Intervista

La tua carriera è costellata di grandi soddisfazioni. Cosa rappresenta questo progetto in questo tuo momento esistenziale?

 Vivo l’uscita di “Duets” in modo sereno e avvolgente. Sono stata me stessa dall’inizio alla fine, credo di aver dato ai miei colleghi la giusta positività e la giusta spinta per cantare queste canzoni togliendosi i panni della loro discografia. Mi sono divertita da matti, mi sono che adeguata allo spirito del pezzo, è stato bello condividere questi momenti di confronto. Per me questo disco vuole essere un mezzo di aggregazione che genera gioia così come lo è stato per tutti noi. Ognuno ha lasciato trasparire la propria personalità dando valore aggiunto ad un progetto davvero magico.

Come sei arrivata alla realizzazione di “Duets”?

Avevo questo sogno in testa già da un po’, mi balenava spesso l’idea di poter cantare o far cantare le mie sigle ai miei colleghi. Poi con la partecipazione a Sanremo c’è stata la svolta: tutti gli artisti che partecipavano al Festival cantavano le mie canzoni, ero stata invitata da Carlo Conti come super ospite, dietro le quinte accadeva di tutto, tutti cantavano le mie canzoni, c’era una sorta di toto sigla quindi quell’anno ho toccato con mano qualcosa che poteva diventare realtà. Successivamente tornammo a Bologna, parlammo un po’ del progetto, finchè un giorno abbiamo cominciato a buttar giù una tracklist, ho scelto e ho fatti i nomi di artisti che conosco e che ascolto principalmente. A me piace la musica in generale, ne ascolto tanta, non mi piace ascoltare un artista in particolare, ho messo già un po’ di nomi, a qualcuno sono arrivata a qualcun’altro no. Su tutti Jovanotti: non ce l’ho fatta ho avuto troppi muri, troppi ostacoli, vediamo se magari posso farcela nel volume due.

L’apertura è subito di grande effetto con “Pollon” e J-Ax

Il brano l’ha scelto direttamente lui, gli è sempre piaciuto, si è ricordato anche del programma Bim Bum Bam e mi ha preparato due barre con un arrangiamento ad hoc. Gli sono molto grata.

E l’incontro generazionale con Francesca Michielin?

Francesca è stata adorabile, all’inizio molto timida ed emozionata. Lei in realtà voleva cantare “Magica Doremì” però in questo primo volume la canzone in questione era troppo recente. Abbiamo preferito creare un bel nuovo vestitino per “Creamy”.

Poi c’è Loredana Bertè

Con “Occhi di gatto” Loredana è impazzita letteralmente di gioia. Mi ha raccontato che cantando questo pezzo si è liberata, ha sorriso, ha liberato il cuore. Questo è ciò che conta di più per me. L’ho adorata.

Molto particolare il duetto con Arisa.

L’incontro con Arisa è onirico. Anche in questo caso il brano l’ha scelto lei, quando ha cominciato a cantarla, mi sono incantata, mi ha trasportato in un mondo che non c’è. Mi sono emozionata con lei, una bella fusone di mondi e di voci.

A sentirti parlare con così tanto trasporto viene voglia di ascoltarvi tutti insieme dal vivo, magari in un bel concerto…

Un progetto live lo faremo, ci stiamo pensando!

Cristina D'Avena

Cristina D’Avena

Tornando ai duetti…c’è l’inconfondibile teatralità di Elio in “Siamo fatti così”.

Lui è veramente eccezionale, l’arrangiamento è raffinato e lui l’ha interpretato alla sua maniera. L’incontro con lui è stato particolare, Elio ha un cuore grandissimo, ci siamo conosciuti ad un mio concerto a cui era venuto con i suoi bimbi, non ci eravamo mai parlati più di tanto, mi ha fatto un bel regalo.

La scommessa del disco è anche quella più promettente. Mi riferisco al brano con i La Rua.

Sì, sono ragazzi abbastanza giovani ma proprio per questo li ho chiamati. Sono stati bravissimi, Johnny inizia in un modo e finisce in un altro. Hanno centrato l’arrangiamento perfetto, e pensare che quasi non ci credevano quando li ho invitati a cantare con me!

Una parentesi a parte per Ermal Meta specialista di incantesimi e magie.

Ermal ha cantato davvero a ruota libera. Gli ho soltanto detto: non ti preoccupare di nulla, canta, canta, canta…è stato semplicemente bravissimo, lui fa la differenza.

Se lo chiedono tutti, te lo chiedo anche io. Questo disco potrebbe essere da preludio ad un cambio di rotta nel tuo repertorio?

Non credo al cambiamento in questo senso. Vorrei fare un disco di cover, magari cantare “A te” di Jovanotti, visto che la canto sempre. Ecco, mi piacerebbe reinterpretare le canzoni che hanno scandito la mia vita. Per il resto non cambierò genere, amo talmente tanto il mio mondo, quello chè stato, quello che è, quello che sarà; questo disco rappresenta presente e futuro quindi mi basta.

 Raffaella Sbrescia

Questa la track list:

1. Pollon, Pollon combinaguai (feat. J-Ax)

2. Nanà Supergirl (feat. Giusy Ferreri)

3. L’incantevole Creamy (feat. Francesca Michielin)

4. Occhi di gatto (feat. Loredana Bertè)

5. Kiss me Licia (feat. Baby K)

6. Magica, magica Emi (feat. Arisa)

7. Mila e Shiro due cuori nella pallavolo (feat. Annalisa)

8. Jem (feat. Emma)

9. I Puffi sanno (feat. Michele Bravi)

10. Siamo fatti così (feat. Elio)

11. E’ quasi magia, Johnny! (feat. La Rua)

12. Una spada per Lady Oscar (feat. Noemi)

13. Che campioni Holly e Benji (feat. Benji & Fede)

14. Sailor Moon (feat. Chiara)

15. Piccoli problemi di cuore (feat. Ermal Meta)

16. All’arrembaggio! (feat. Alessio Bernabei)

Le Furie raccontano che “Il futuro è nella testa”. Intervista

Le Furie - Il futuro è nella testa

Le Furie – Il futuro è nella testa

Trovare l’intenzione, la voglia, il modo e il tempo di esserci, per formarsi, per dire qualcosa in cui credere per primi. Questo è l’obiettivo de Le Furie e del loro album “Il futuro è nella testa”. Canzoni caratterizzate da concetti precisi, idee chiare e una concezione della vita all’insegna della semplicità e dell’eccezionalità, due parametri imprescindibili l’uno dall’altro. Il percorso artistico della band fiorentina de Le Furie ricomincia dunque da qui con la produzione di Davide Autelitano (cantante de I Ministri) e Taketo Gohara, un lavoro artigianale che sposa appieno l’energia del gruppo. A parlarcene nel dettaglio è EDO.

Intervista.

Passate da “Andrà tutto bene” a “Il futuro è nella testa”. C’è una linea di continuità dietro questi lavori

Sì, il messaggio di oggi riprende le nostre prime linee guida anche se in questo caso il nostro è un invito a scegliere il futuro, quello che più ci appartiene. Vogliamo dedicare attenzione a quello che scegliamo per noi stessi.

Quello che scrivete lascia trasparire una chiarezza di idee molto marcata.

Abbiamo aspettato quattro anni e mezzo per far uscire questo disco. Abbiamo aspettato che le canzoni non fossero più annebbiate, che fossero mature e pronte per far sì che potessero realmente rappresentare quello che avevamo intenzione di dire. Autocritica e autoironia sono le armi che usiamo nella nostra battaglia esistenziale.

Secondo te perché la gente ama prendersi tanto sul serio, questo è uno dei punti chiave che toccate nel disco, tra l’altro.

La cosa più divertente e avvilente allo stesso tempo è che ci prendiamo sul serio per cose banali e poi ci sono cose che necessitano davvero di attenzione ma non riusciamo a prenderle in considerazione. Nell’ambito musicale, la serietà sta nell’autocritica e nel saper capire quando è il momento di esporsi e quando, invece, è ancora il momento di lavorare. Il lavoro del musicista deve essere veramente artigianale, c’è bisogno di sperimentazione e di esercizio, sia tecnico che spirituale per raggiungere l’effetto sperato. Un buon artigiano, in ogni caso, non si prende mai sul serio, fa soltanto il suo lavoro e lo fa per bene. La scelta deve essere dettata dalla dedizione.

A proposito di esercizio quotidiano, come avete lavorato alla produzione di questo lavoro visto che siete abituati a collaborare con produttori top di gamma?

La fortuna aiuta gli audaci. Noi l’abbiamo avuta nel lavorare con Taketo Gohara, nostro padre guida. Questo disco è stato prodotto da Davide Autelitano, cantante de I Ministri, ovvero la persona giusta per portarci in studio in maniera armonica.

Diverte e avvilisce al contempo la definizione di “Artisti da fast food”.

Al giorno d’oggi gli idoli dei giovanissimi vengono spesso osannati e poi vomitati poco dopo il loro esordio artistico. La figura dell’artista deve essere totalizzante; si è persa la dedizione, la consapevolezza del dover soffrire, pochi lo fanno, serve la gavetta, il lavoro autentico, altrimenti si verrà fagocitati dal sistema un po’ come quando si va al Mc Donald’s o da Burger King.

Interessante il mea culpa generazionale di “Camerieri”.

Siamo gli artifici delle nostre miserabilità, la colpa è sempre nostra. Lo stesso vale anche sul piano artistico: se scegli di fare un disco di canzoni brutte, lo scegli tu e ne paghi le conseguenze. Anche io ho fatto il cameriere, proprio per produrre e stampare questo album, a volte è capitato che spendessi quei soldi per pagarmi da bere, a quel punto il rischio è scegliere un lavoro in grado di autoalimentare il proprio disagio e non ci si può più lamentare.

In che modo concepite i concetti di semplicità e di eccezionalità?

Le cose che contano sono come le lettere a e b, le altre sono tutte superflue. Stiamo perdendo la semplicità di vivere, apprezzare e condividere le cose in modo diretto ed essenziale. D’altro canto ognuno di noi dovrebbe cercare dentro se stesso la propria peculiarità. Sarebbe bello se ciascuno scegliesse di puntare sulla propria voce invece di mettersi in fila per far parte di una massa. L’essere umano deve essere rivalutato come individuo pensante. L’obiettivo quindi sarebbe quello di cercare di costruirsi un futuro con queste prerogative. Si tratta di concetti che trascendono dalle ideologie, sono scelte da fare innanzitutto per se stessi.

E poi c’è l’impatto emotivo di “Confido in te”.

Questo è un brano tecnicamente difficile. Un tempo in 5/4 che ha reso complesso l’inserimento delle parole per il testo e che ha richiesto molto lavoro. Il brano è incentrato sul tema dell’amore per un’altra persona, inteso come risorsa a cui fare riferimento in ogni momento. Aggrapparsi all’altro diventa quindi un modo salvifico per affrontare le difficoltà e le proprie miserabilità.

Come vive il vostro pubblico questo modo di pensare così controcorrente?

Ci interesserebbe sapere cosa pensano ma in realtà non dobbiamo neanche preoccuparcene troppo. D’altronde nemmeno io vorrei mai conoscere davvero i miei idoli musicali. Quello che ci auguriamo è di vivere la dimensione umana come facciamo adesso e di dare un senso sempre migliore a quella artistica. Del resto i più grandi artisti ci hanno insegnato che bisogna sempre considerare fino a un certo punto quello che viene richiesto, il senso dell’arte sta nel cercare di dire, comunicare ed emozionare attraverso le proprie emozioni. Questo è quello che vogliamo imparare a fare.

 Raffaella Sbrescia

Video: Artisti da Fast Food

Three Letters from Sarajevo: Goran Bregovic racconta la frontiera.

Goran Bregovic

Goran Bregovic

Il suono che unisce le frontiere, che intende coniugare gli animi esiste? Un mistero che non ha ancora una risposta ma che sopravvive, fiammante ed energico, nel cuore di Goran Bregovic. Emblema dello spirito gitano, il musicista giramondo rompe il silenzio discografico durato cinque anni con “Three Letters from Sarajevo”: un album simbolico con cui Bregovic rompe il tabù della guerra e mette in primo piano il tema della convivenza tra religioni diverse. Il suo intento è nobile, il modo per veicolare il messaggio è sublime. L’incedere voluttuoso degli arrangiamenti corposi, ricchi e maestosi si accompagna a testi che trasudano pathos e sofferenza, tentativi di conciliazione e altrettanti furiosi fallimenti. Quasi dieci anni di guerra nei Balcani, l’assedio di Sarajevo dal 1992 al 1996, gli accordi di Dayton, la fine delle ostilità, il lento ritorno alla normalità.

Un uomo di frontiera che la racconta come nessun altro e che attraverso la musica e la poesia si trasforma in un demiurgo di bellezza. Come? Ideando un concerto per tre violini solisti, orchestra sinfonica e la Goran Bregovic Wedding and Funeral Orchestra. L’idea delle tre lettere prende simbolicamente vita grazie a tre assoli di violino suonati rispettivamente da Mirjana Neskovic (Serbia), Zied Zouari (Tunisia), Gershon Leizerson (Israele).

La vera curiosità di questo disco è che in realtà esso rappresenta il primo capitolo di un doppio album, di cui la seconda parte vedrà la luce nel 2018: la connotazione pop di questo progetto sarà completata da quella propriamente orchestrale concepita per orchestra sinfonica.

Ad arricchire ulteriormente i contenuti di “Three Letters from Sarajevo” sono gli ospiti: l’israeliano Asaf Avidan, l’algerino Rachid Taha, la spagnola Bebe. Le storie da loro raccontate esulano dal tema centrale ma a loro modo completano la panoramica secondo cui dovremmo riuscire a mettere insieme gli elementi necessari per convivere pacificamente.

 Le contraddizioni, le imperfezioni, la volatilità dei sentimenti e dei pensieri, l’instabilità dell’equilibrio umano sono modellate da voci e suoni trascinanti. L’irresistibile fascino di una festa tragica rapisce l’inconscio, capace, a sua volta, di trarre forza dalle cose più infime e terribili.

Atmosfere scure, neoromantiche e sanguinarie cedono il passo alla richiesta urgente di vita, di cultura, di compartecipazione. Quasi un invito a buttarsi verso il futuro come degli scavezzacollo. Il marchio di fabbrica è sancito da “Made in Bosnia”: la vita gipsy è tutta qui; a noi le istruzioni per l’uso.

Raffaella Sbrescia

Video: Three Letters From Sarajevo

Colapesce sfida se stesso con “Infedele”. La recensione del disco

Colapesce - Infedele

Colapesce – Infedele

Un disco breve e quanto mai vario. “Infedele”, il nuovo album di Colapesce (etichetta 42 Records) è una digressione musicale di tipo alto, un progetto strutturato su più livelli in cui l’artista si mette in gioco lasciandosi avvincere dalla fascino stimolante della sfida. Proprio così, Colapesce mette sul piatto i suoi ascolti trasversali travasandoli in otto canzoni che profumano di moderno e antico al contempo. La sua vita prende forma attraverso metafore, sottili giochi di parole, strofe e ritornelli che, muovendosi a cavallo tra la Sicilia e Milano disegnano in maniera nitida i contorni di un’anima inquieta, curiosa, turbinosa quindi “infedele”.

Il disco si apre con “Pantalica”, un brano ispirato ad una necropoli vicina a Solarino, un luogo atavico che da secoli trasuda fascino. Il brano, venuto fuori di getto, riassume a grandi linee la vita di Colapesce e rapisce subito l’ascolto grazie ad una chiusura strumentale ossessiva e ancestrale sulle note free jazz del sax di Gaetano Santoro.  La tracklist prosegue con “Ti attraverso”, primo nato del disco, basato su una frase che ha fatto da input per tutto il resto: “Ho fatto come volevo, erano strade diroccate piene di Buttane e va bene così”. Acclamata come hit del disco “Totale”, scritta insieme ad Antonio di Martino, pone Colapesce sul piano del cantautore che sa scrivere un godibilissimo pop in grado di scardinare ogni certezza. I richiami ancestrali proseguono con “Vasco da Gama”: un suggestivo arpeggio introduce un racconto nostalgico, a tratti onirico: il protagonista fa da tramite con il mondo marino, da sempre fonte di sogni.

Video: Totale

Si prosegue con l’impianto classico di “Decadenza e panna”: anche in questo caso si tratta di un brano pluridimensionale che parte dalle risate di una comedy e si evolve seguendo le linee del folk. Esilarante il testo di “Maometto a Milano”: qui la narrazione del disagio è di grande impatto, stona con il resto, disturba quasi l’ascolto costringendoci a fare i conti con una risoluzione individuale tutt’altro che compiuta.

Affascinante anche il contrasto sonoro di “Compleanno”: la fanfara va a braccetto con la musica da club, il passato pare ormai alle spalle ma ecco piombarci addosso la frammentazione spirituale di “Sospesi”: autoscatto cantautorale così indefinito e preciso al contempo da lasciarci praticamente senza fiato.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Mario Riso: il mio “Passaporto” racconta il mio sconfinato amore per la musica

Mario Riso

Mario Riso

Mario Riso è il creatore e direttore del progetto musicale Rezophonic, l’iniziativa a sfondo sociale in cui ha riunito il meglio del rock italiano per aiutare la realizzazione di pozzi d’acqua potabile in Kenya, ma è anche e soprattutto un batterista rock che all’alba del suo 50esimo compleanno ha voluto raccontare la sua storia musicale in “Passaporto”. All’interno dell’album comprensivo di 18 tracce, Mario Riso ha racchiuso le tappe principali della sua carriera iniziata poco più di 30 anni fa. Insieme a lui hanno cantato Danti, Rise, Cristina Scabbia, Tullio De Piscopo, Giuliano Sangiorgi, Movida, Caparezza. L’abbiamo incontrato per lasciarci conquistare dal suo sconfinato amore per la musica e il suo strumento.

Intervista

Ciao Mario, questo nuovo progetto si presenta come una opera omnia…

In realtà si tratta di un vero e proprio passaporto, un documento d’identità in cui si parla, grazie ai timbri, dei viaggi che ho percorso durante la mia vita. Visto che in qualità di batterista divido il tempo in quarti e frazioni di quarti, ho voluto realizzare un passaporto temporale con l’indicazione dei timbri degli anni in cui le canzoni sono state realizzate. Ecco perché si parte dal 1983, l’anno in cui facevo parte in cui facevo parte di una band che si chiamava Mad Runner e sognavo di poter fare della mia passione un lavoro, fino ad arrivare al 2017, anno in cui per la prima volta ho provato a cantare e a utilizzare la mia voce come strumento.

Cosa hai provato nel mettere la tua voce in gioco su supporto discografico? Come ti è venuta questa voglia?

Devo ringraziare Danti, autore incredibile che si è messo in gioco a sua volta insieme a me per aiutarmi a rendere questa canzone così speciale. Cantare per me è ancora oggi qualcosa di strano, mi approccio sempre all’arte con rispetto. Ho cantato con il cuore più che con la gola, ho raccontato una storia per me importante che parla dell’amore nei confronti della musica e della batteria, un’esperienza unica per me, volevo vivermela così a 50 anni e l’ho fatto andando anche contro l’istinto che mi faceva sentire inadeguato al canto.

Uno degli aspetti da evidenziare è il grande rispetto che hai per la musica e chi la fa. Come intendi difendere questo tipo di approccio?

Non saprei comportarmi in un altro modo. Sono grato alla musica, ai musicisti, al mio strumento. Quando ero piccolo sognavo di fare un certo tipo di percorso, oggi che sono arrivato a 50 anni posso dire a voce alta che la mia vita attuale è molto più bella di quella che sognavo. Dico sempre che chi ha avuto tanto dalla vita, deve anche restituire e io sto provando a farlo nel miglior modo che conosco.

Molto interessante il confronto generazionale insieme a Tullio de Piscopo e Rise.

L’idea è nata da una considerazione: grazie all’innovazione tecnologica si riescono a fare delle cose che una volta non si conoscevano neppure. I giovani possono permettersi dei lussi che gli consentono degli sconti, riescono spesso ad ottenere risultati senza meritarseli, parlo in questo caso di chi usa autotune e pro tools. Prima se volevi suonare dovevi essere pronto, se volevi cantare dovevi realmente saperlo fare. Oggi tutti cantano, tuti suonano perché la tecnologia lo consente e gli permettere di essere qualcosa che in realtà non sono. Ragionando in questi termini nel mondo batteristico ho quindi voluto mettere a confronto tre generazioni: Tullio ha fatto innamorare tanti ragazzi dello strumento, la mia è una generazione intermedia e poi c’è Rise che con la bocca fa cose che io non saprei mai riprodurre con la batteria; far convivere queste tre realtà era una scommessa e l’abbiamo vinta.

Video: Un temporale

Come te la sei cavata con Rock tv, considerando le tante difficoltà e soprattutto l’allontanamento “forzato” dalla musica suonata?

L’uomo nasce nudo, passa la vita a cercare di coprirsi e poi ad un certo punto vuole tornare nudo. Questo è metaforicamente il mio caso: ho sempre voluto suonare la batteria poi ad un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento di fare tanto altro perché sono innamorato della vita e son curioso quindi ho deciso di improvvisarmi in un ambito che non conoscevo e questo mi ha portato ad allontanarmi per certi versi dallo strumento e dalla possibilità di migliorarmi, fin quando ho capito che sono semplicemente un batterista e ho ricominciato da dove avevo lasciato. Ho conosciuto tanti artisti stupendi in 12 anni, anche questo fa parte del mio bagaglio di vita e delle mie conoscenze. Ho avuto tutto dalla musica, le sono grato e ne ho troppo rispetto, suonare la batteria tutti i giorni per me è una magia, conciliare la propria passione con la possibilità di lavorarci è il massimo; lo auguro a tutti.

Mario Riso

Mario Riso

“Leggendo” questo tuo Passaporto, viene da approfondire anche la tua passione per la musica latina…

Sono cresciuto in una famiglia contaminata dal mondo latino-americano e argentino. Mio padre ha origini argentine, da sempre ho vissuto il crossover culturale ma non l’ho mai esteriorizzato più di tanto. Il senso di appartenenza a questo tipo di mondo è venuto fuori sempre più negli anni. In questo disco ho colto l’opportunità di fare qualcosa di particolare, ho chiamato dei musicisti incredibili che vengono da Cuba, Costarica, Colombia e abbiamo realizzato una registrazione in presa diretta, proprio come se fossimo in una cantina anni 50. Ho riproposto un mondo che non c’è più ma che fa parte delle mie radici.

E poi c’è il nuovo capitolo Rezophonic dietro l’angolo…

Ho già preparato anche Rezo4, sto trovando un accordo discografico per pubblicarlo, ci saranno sorprese incredibili. Ho voluto fare un solo featuring di caratura internazionale che ci farà il giro del mondo e che ci farà raccontare la nostra storia un po’ ovunque, c’è già anche il video.  Presto saprete di chi si tratta! Nel frattempo non vedo l’ora di andare in giro e suonare le canzoni del mio disco, ci sono tante cose da fare, vi aspetto tutti!

 Raffaella Sbrescia

Intervista a Thomas: “I miei sogni stanno diventando realtà”

Thomas - Cover album

Thomas – Cover album

Thomas fa il suo ingresso ufficiale nel mondo discografico italiano con il suo primo omonimo album. In questi ultimi mesi avete avuto modo di conoscerlo ascoltandolo in radio e ai festival musicali in giro per la penisola italiana. Da oggi ascolterete il nuovo lavoro full-lenght di questo ragazzo che dimostra di avere tanta voglia di fare. Sincero, appassionato ed entusiasta come solo un diciassettenne può essere, Thomas raccoglie quanto seminato fino ad oggi con un occhio rivolto all’energia del funk e all’istrionismo di Bruno Mars. Sotto la guida di Warner Music Italy e con il coordinamento di Alex Tricarichi, le dieci tracce (più la versione in inglese di E’ un attimo) riempiono i primi tasselli di un percorso promettente.

Intervista

Ciao Thomas, eccoti raggiante. Come hai vissuto la vita in studio durante la preparazione di questo lavoro e quali sono le sensazioni che ti hanno accompagnato?

La realizzazione del disco è stata intensa e divertente. Abbiamo lavorato tanto con l’instore tour e Festival estivi, mi sono divertito un sacco e sono riuscito a trovare la concentrazione necessaria per fare tutto al meglio. Questo nuovo album si chiama Thomas perché parla di me, raccoglie i miei colori, i miei sogni e le sfumature della mia personalità.

Come si è rapportato il tuo modo di essere sia all’interno dell’interpretazione che della scrittura? Hai partecipato in prima persona a tutte le fasi di questo lavoro?

Sì, ho cercato di essere il più presente possibile nella realizzazione del mio album, mi piace dare il massimo in tutto quello che faccio.

Quali sono, invece, le differenze, a livello tecnico tra il tuo primo Ep e questo disco?

Senz’altro c’è stato un cambiamento di metodo di lavoro: prima uscivo da un percorso diverso, abbiamo registrato tutto in due sere, non ho avuto modo di collaborare, se ne sono occupati direttamente gli arrangiatori. Adesso, invece, ho imparato tantissime cose, ho lavorato fianco a fianco con dei professionisti, è stato bellissimo lavorare con Alex Trecarichi che ha interpretato al meglio le mie idee e le ha sviluppate.

Ritmi incalzanti, sonorità hip hop e R’n’B, ma anche alcune ballad intime e delicate. Come sono state fatte queste scelte sonore?

Il risultato è un mix di quello che ascolto, mi fido tanto di Alex. Ci siamo ispirati a Bruno Mars e The Weekend in particolare.

La tua cultura musicale è molto vasta e va anche indietro nel tempo nonostante la tua giovane età… Raccontaci i passaggi che hanno scandito questa formazione.

 Ho iniziato a crescere con la musica dei Pooh di cui mia madre era appassionata. All’età di 8-9 anni sono stato folgorato da Michael Jackson poco prima della sua dipartita. Michael mi ha portato la passione per la danza e per il canto ma in realtà mi ha aperto molti fronti musicali: grazie a lui ho scoperto il soul, il funk, l’r’n’b. Poi mi sono dedicato alla musica leggera e al pop italiano e alla musica elettronica. Per un periodo mi sono interessato al mondo dell’hard rock anni ’70 poi sono ritornato sui miei passi e mi sono orientato su artisti più moderni come Bruno Mars concentrandomi sul mondo black di Lionel Richie, Jamiroquai, Craig David.

Nel frattempo hai portato avanti il discorso del ballo? Lo porterai anche nei tuoi prossimi concerti?

Assolutamente sì, la danza non mi hai abbandonato, ho continuato a studiare in parallelo.

Per quanto riguarda i testi, approfondiamo il significato de “Il sole alla finestra”…

Parto dal presupposto che la musica mi porta oltre la realtà contingente. Le canzoni che canto parlano di storie che non sempre mi appartengono eppure mi consentono di viaggiare ed emozionarmi. Ciò detto, il brano in particolare parla di ricordi che si ostinano a farci male, ci esorta ad andare contro le nostre paure e a trasformarle in luce D’altronde se non ci fosse il nero non ci potrebbe essere la luce.

Come vivi queste fasi di eluzione e crescita professionale e umana e come ti contestualizzi all’interno dell’attuale panorama musicale?

Queste emozioni che vivo sono sogni che si avverano. Ci credevo fin da piccolo, vivo tutto con positività. Musicalmente mi piacerebbe portare un mood internazionale in Italia e in italiano. Ovviamente sogno di espandermi ma mi concentro sulla mia lingua per ora.

Ti senti più autore o più interprete?

Mi piace tanto scrivere i miei pezzi e interpretarli, vorrei migliorare nella scrittura e approfondire la parte dei testi. In genere mi occupo della parte armonica e melodica dei miei brani, in ogni caso entrambe le cose sono fondamentali: se scrivi, ci metti più anima però ricevere consigli è comunque importante

Cosa senti di aver imparato e cosa vorresti approfondire più avanti?

Le tecniche di registrazione, il modo di lavorare in studio e di concepire le possibilità di arrangiamento dei brani. Questo è un mondo davvero affascinante!

 Raffaella Sbrescia

Video: E’ un attimo

 

Dal 13 ottobre incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Questi i prossimi appuntamenti:

Venerdì 13 Roma Discoteca Laziale Via Giovanni Giolitti, 263 h. 15.00

Sabato 14 Milano Mondadori Piazza Duomo h. 15.00

Domenica 15 Bassano del Grappa cc Il Grifone h. 16.30

Lunedì 16 Bari Feltrinelli Via Melo 119 h. 15.00

Martedì 17 Torino Media World cc Lingotto Via Nizza 262 h. 18.30

Mercoledì 18 Stezzano (BG) Media World cc Le Due Torri h. 17.00

Giovedì 19 Palermo Feltrinelli Via Cavour 133 ore 15.00

Venerdì 20 Nola cc. Vulcano Buono h.17.30

Sabato 21 Catania Feltrinelli Via Etnea 285 ore 15.00

Domenica 22 Bologna Mondadori Via Massimo D’Azeglio, 34/A h. 15.00

Lunedì 23 Genova Mondadori Via XX Settembre, 27/R h. 15.00

Martedì 24 Marghera Mondadori cc Nave de Vero Via Pietro Arduino 20 h. 15.00

Mercoledì 25 Firenze Galleria Del Disco h. 15.00

Giovedì 26 Brescia Feltrinelli Corso Zanardelli 3 h. 15.00

A novembre sarà protagonista di due appuntamenti live: l’11 novembre a Roma (Atlantico) e il 12 novembre a Milano (Fabrique). L’inizio è fissato per le ore 18.00.

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Shadows: ecco il pianismo ritmico di Andrea Carri

Andrea Carri - Shadows

Andrea Carri – Shadows

Il pianismo italiano è in grande fermento. Sono numerosi infatti i giovani pianisti che decidono di affacciarsi a questo mondo da sempre legato ai grandi nomi della musica classica per poter dire la loro in forma inedita. Uno di questi è Andrea Carri, che avevamo incontrato in occasione della recensione dell’album “Chronos” e che ritroviamo per parlare di “Shadows”. Il progetto, a partire dal titolo, cammina in punta di piedi con garbo ed eleganza. D’altronde lo stile di Carri è sempre stato delicato e mai invadente. La novità più impattante di questo nuovo album è il contributo di Francesco Camminati alla batteria. Un ritmo percussivo che cesella, disegna e definisce lo spessore e i confini dei brani presenti in tracklist. Un modo per intendere, concepire e assimilare le melodie seguendo una linea guida insolita ma credibile. L’ascolto inizia con “Universal gravitation” un brano descrittivo e preparatorio ad un percorso conoscitivo completo. Si prosegue con “Whisper”, “Love”, “Flying Away”: fotogrammi di vita tradotti in note coerenti e strutturate, concepite per costruire immagini e riflessioni mentali. “This is not the Strawberry Season”, titola andrea Carri in uno dei brani centrali del disco, e in effetti quella punta di penombra che attraversa l’effluvio di note regala all’ascolto un tocco fascinosamente malinconico. La degna conclusione dell’ascolto arriva con “The Dark Tower – Part I: The Gunslinger”: l’ipnotismo catartico del piano fuso al lirismo romantico degli archi e alla pacatezza soffusa delle ritmiche percussive conclude il viaggio all’insegna della serenità d’animo.

Raffaella Sbrescia

Video: Universal Gravitation

Remo Anzovino: ecco “Nocturne” la celebrazione della caducità umana

Remo Anzovino

Remo Anzovino

Nel corso della sua carriera Remo Anzovino ci ha abituati alla sua narrazione emozionale al pianoforte. Ora, a distanza di 5 anni dal precedente disco in studio, esce per Sony Music, su etichetta Sony Classical, “Nocturne”, un album di composizioni inedite nate sulla lunga scia di suggestioni Chopiniane. Registrato tra Tokyo, Londra, Parigi e New York, l’album è stato registrato e mixato da Taketo Gohara, con gli arrangiamenti orchestrali di Stefano Nanni che ha anche diretto la London Session Orchestra. Tra i musicisti internazionali che hanno prestato la loro sensibilità al progetto, ci sono, tra gli altri, al violino cinese Masatsugu Shinozaki, primo violino dell’Orchestra Sinfonica di Tokyo, l’armeno Vardan Grygorian al duduk, la francese Nadia Ratsimandresy, tra le maggiori virtuose al mondo di ondes martenot e Gianfranco Grisi, inventore del suo cristallarmonio e famoso per l’arte di suonare il vetro. Anzovino, compositore, pianista e avvocato penalista, torna quindi in scena con un effluvio di composizioni pensate per mettere sul campo delle superbe visioni della solitudine umana in un momento preciso del giorno: la notte. La dimensione notturna è quella più intima e più spaventosa per l’uomo che, trovandosi faccia a faccia con se stesso, si ritrova costretto a fare conti, bilanci, pensieri e riflessioni globali. Anzovino ci fornisce gli strumenti per farlo in modo rilassato, placido, elegante. L’ascolto si apre con “Nocturne in Tokyo”: un motivo ricorrente che scorre, fluttuante e voluttuoso e che accompagna lo scandire dei pensieri e degli andirivieni emotivi di ciascuno di noi. La malinconia diventa quindi una risorsa, ci mette in connessione con il nostro io più profondo, ci fa capire cose che per lungo tempo ci sono sfuggite e che non abbiamo mai voluto veramente prendere in considerazione. La tracklist continua con “Galilei”: un titolo che rimanda alla conoscenza, alla sfida quotidiana di mettersi alla prova e di alzare l’asticella sempre più in su. Una melodia volutamente elementare intesa come metafora dello sguardo acuto, penetrante, essenziale di Galilei. Particolarmente suggestivo il momento in cui al pianoforte, strumento così “ontologicamente” occidentale, si unisce il duduk armeno in grado di raccontare mondi così differenti e lontani dal nostro. Remo Anzovino esplora la propria interiorità proiettandola in modo cinematografico, il risultato è un saliscendi emotivo vorticoso dall’impatto liberatorio. La musica del disco è nata come un flusso spontaneo di bellezza, anche se tutte le composizioni, da quelle più drammatiche come “Storm” a quelle più rasserenanti come “Empty House” si rifanno ad una tecnica compositiva al servizio di un obiettivo semplice: la creazione di una musica quasi terapeutica ma non consolatoria. Visto che Anzovino concepisce, in questo caso, la musica come uno strumento per avvicinarci all’ineffabile bellezza dell’imperfezione che è di fatto la vita, tra i brani più efficaci  segnaliamo “Miss you”, “Still raining”, “Manhattan 5 am” e “Hallelujah”, una preghiera laica per condividere la gioia di sentirsi umani.

Raffaella Sbrescia

Video: Galilei

Track list di Remo Anzovino – Nocturne
1) Nocturne in Tokyo
2) Galilei
3) Hallelujah
4) Estasi
5) Empty house
6) Storm
7) Miss you
8) Still raining
9) Universi
10) Istambul
11) In your name
12) Manhattan 5am
13) The stars
14) Valse pour une femme

“La mia generazione”: intervista a Mauro Ermanno Giovanardi

La mia generazione -Giovanardi

La mia generazione -Giovanardi

Tre anni per portare a termine un lavoro intriso di rispetto e amore. Tre anni per farsi carico del recupero e della valorizzazione di una parte importante del nostro patrimonio musicale. Tre anni per arrivare a “La mia generazione”, il nuovo album di Mauro Ermanno Giovanardi, in uscita oggi per Warner Music Italy.

Questo disco racchiude una nobile intenzione, quella di omaggiare un decennio ricco di nuovi stimoli, di fluttuanti idee musicali, artistiche e culturali. Un’ epoca in cui tanti gruppi italiani si sono sdoganati dalla lingua inglese per avvicinarsi al pubblico raccontandogli delle storie da condividere.

In questo disco Giovanardi ripercorre, evitando qualunque accenno nostalgico a quei tempi e con l’aiuto di ottimi musicisti (tra cui Davide Rossi), alcuni brani storici di Afterhours, Marlene Kunz, Subsonica, Neffa, Casinò Royale e tanti altri, accompagnandosi anche ad alcuni protagonisti di quella stagione: Manuel Agnelli, Rachele Bastreghi, Emidio Clementi e Cristiano Godano e Samuel. Ognuno chiamato a interpretare un pezzo iconico della scena di quegli anni, in un gioco di specchi in cui nessun artista canta il proprio brano.

Intervista

Da dove nasce il desiderio di portare avanti questo tipo di operazione di stampo antropologico-culturale?

Fin dall’inizio avevo messo dei paletti ben precisi a questo progetto, uno di questi era scansare a tutti i costi ogni retorica del revival e della nostalgia. Ho scelto deliberatamente di invitare pochi ospiti perché non volevo che fosse un circo. Ho cercato di fare un’operazione onesta e soprattutto umile e rispettosa. Come un attore con il copione mi sono messo a disposizione delle canzoni, volevo fare un omaggio serio ad un momento importantissimo della musica. Mi sono accorto che questo è il disco più difficile e pericoloso che abbia mai fatto.

Forse la genialità di questo progetto sta negli incroci e nella rivisitazione del tutto personale di ciascun brano

Sempre perseguendo l’obiettivo di non scivolare nel mood nostalgia, ho voluto far sì che ogni pezzo fosse riscritto per mano mia, era fondamentale farne delle versioni non delle cover. Se avessi voluto fare un disco di cover, ci avrei messo una settimana, ho voluto trovare il giusto equilibrio tra il rispetto nei confronti dello spirito originale dei brani e farne una versione mia che fosse credibile. Per essere più chiaro: rappare e cantare, cantare e salmodiare, cantare e declamare sono mestieri diversi. Per questa ragione mi sono dovuto inventare un modo altro di cantare.

Parliamo dello scambio umano che c’è stato in questo lavoro non solo con i tuoi musicisti ma anche con gli artisti che hanno preso parte al compimento di questo percorso.

Samuel, Manuel, Cristiano ed Emi li ho voluti perchè sono testimoni diretti di quella stagione, Rachele Bastreghi c’è perché volevamo fare un pezzo insieme da “Amen” e poi perché i Baustelle sono i figli diretti di questa scena musicale. L’idea di far cantare agli ospiti non il proprio pezzo bensì quello di altri, sta proprio a sottolineare l’umiltà che caratterizzava quel periodo musicale. Io Manuel, Samuel, Cristiano siamo passati tutti dalla grande famiglia Mescal per cui è stato facile coinvolgerli. Ho lasciato fuori un sacco di ospiti: da Raiz a Cristina Donà, Edda, Simone dei Virginiana Miller. La verità è che quando fai un disco così o fai un’enciclopedia della musica o fai delle scelte mirate. Di cuore avrei voluto invitare più amici ma questo avrebbe sminuito il disco e gli avrebbe dato un aria nostalgica che volevo evitare.

Il singolo attualmente in rotazione è “Baby Dull” in cui canti con Rachele. Con lei c’è grande chimica da sempre…

Assolutamente sì. A questo proposito vi racconto un aneddoto: nel ‘96 suonammo con i La Crus in un clubbino vicino Perugia. quella sera rilasciai un’intervista per una fanzine. Rachele in quell’occasione venne con una macchina fotografica subacquea che non funzionava spacciandosi per la fotografa della fanzine perché mi voleva conoscere a tutti i costi. Una cosa dolcissima che può rendervi l’idea della nostra amicizia.

Cosa significa cantare rock in italiano?

Ho ben presente lo sforzo del passaggio del cantare dall’inglese all’ italiano. Negli anni ’90 capimmo che era importante confrontarsi con la nostra lingua e farsi capire dal pubblico. Con la maturità ti rendi conto che in una canzone riuscita le tue esperienze diventano anche quelle di chi riesce ad immedesimarvisi. Fino a quel momento in Italia, a parte i Litfiba o alcuni gruppi degli anni ’80, sottobosco per appassionati molto elitario, tutto sembrava fermo. Poi di botto, è arrivata quella che io amo definire età dell’oro: ci sono state delle congiunzioni astrali pazzesche, le major che si sono accorte di questo fenomeno in 6-8 mesi, abbiamo avuto la possibilità di aver più esposizione con concerti che da 100 persone ne facevano 1000. Abbiamo quindi cominciato a raccontare le nostre storie cercando una via altra alla canzonetta, c’era voglia e necessità da parte del pubblico di cantare le cose nella propria lingua ma con un suono diverso.

Ha senso cantare rock in italiano oggi?

Ai ragazzi che dopo un concerto mi passano una loro demo, dico sempre che finchè si canta in inglese questa passione resterà sempre un hobby perché è fondamentale cantare nella propria lingua. Con l’esperienza ho scoperto che in Inghilterra interessa di più un gruppo italiano che canta in italiano invece di un gruppo italiano che canta in un inglese un po’ maccheronico; naturalmente ci sono sempre le eccezioni però a parte Elisa non mi viene in mente nessuno. Cantare in inglese è un po’ una scorciatoia, benchè uno possa avere una certa cultura, non avrà mai la capacità di cogliere le varie sfumature dei significati delle parole. A questo aggiungo che guardare negli occhi una persona che sta in prima fila e raccontargli una storia in italiano crea un’energia che va ben oltre la musica.

Mi piace pensare che tu voglia portare dal vivo questo progetto. Lo farai?

Assolutamente sì, anzi! Nel live metterò certamente qualche pezzo che non sono riuscito ad inserire nel disco. Poi stando in giro avrò anche la possibilità di invitare altri ospiti che hanno fatto parte di questa epoca. Venite a trovarci!

Raffaella Sbrescia

Mauro Ermanno Giovanardi incontrerà i fan in due appuntamenti:

22 settembre a  ROMA, Feltrinelli Via Appia h.18.00

25 settembre MILANO, Feltrinelli Piazza Piemonte h. 18.30

 Ascolta qui l’album:

 

 

Fred De Palma: “Hanglover è un flusso di coscienza in cui ho racchiuso tutto quello che mi piace”

cover_hanglover_freddepalma

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Due anni per mettersi alla prova, per sperimentare, per sorprendersi e per sorprendere. Fred De Palma torna in scena con “Hanglover”, un quarto album di inediti (Warner Music) per mettere a fuoco ricordi, nuove impressioni e altrettante influenze musicali. Una tracklist simile ad una compilation fluttuante tra generi musicali e tematiche disparate senza mai tralasciare l’attenzione al divertimento nella sua accezione più immediata. Per questo nuovo lavoro, Fred De Palma ha lavorato con Mace e Davide Ferrario (che hanno curato anche il suo album precedente “BoyFred”), Frenetik & Orang3, Zef, Mamakass, Takagi&Ketra e Freeso. Tra le collaborazioni presenti nell’album anche quelle con Madh, Low Low e Livio Cori, Achille Lauro, Cicco Sanchez, Samuel Heron e Giulia Jean. Un parterre di colleghi piuttosto variegato, a coronamento di un periodo di intensa ispirazione: «Questo album è il frutto di una ricerca di stampo personale. La tracklist racchiude una compilation di quello che più mi piace, anche all’interno del panorama musicale internazionale – racconta Fred De Palma». Si tratta di un lavoro caratterizzato da una forte componente di spontaneità, quasi il risultato di una sorta di flusso di coscienza: «Ho realizzato queste canzoni in modo nuovo per me. Ho sempre scritto i miei brani su carta, stavolta invece sono partito dai beats, mi sono divertito a viaggiare sulla traccia, sia a livello melodico che testuale, e mi sono ritrovato a registrare i brani direttamente a memoria. Credo proprio che adotterò questo sistema ancora per un po’» – ha raccontato Fred – aggiungendo: «Ho sempre amato improvvisare, penso che questo tipo di approccio alla musica, adottato da molti altri artisti nel mondo, possa diventare qualcosa di più articolato perché si sposa molto bene con le mie canzoni».

Video “Ora che”

Un ultimo doveroso focus va fatto proprio sui brani: slanci sentimentali creano un discontinuità tematica in grado di indurre l’ascoltatore ad incuriosirsi e a cercare di individuare connessioni ed eventuali riferimenti. Il tutto senza mai rinunciare ad esercizi di stile a regola d’arte: «Un po’ tutto l’album vuole essere una sorpresa, sia nel bene che nel male – spiega Fred De Palma – l’insieme della tracklist intende raffigurare una sorta di risveglio dopo una lunga festa. Ho cercato di ricordare quello che mi è successo e, tra le varie tematiche, ho scelto di dedicare spazio al mio “periodo rosa” anche se “Il mio game” è il rap ed è sempre quello che mi appassiona di più».

 Raffaella Sbrescia

Questa la track list: 1.Hanglover; 2.Love King; 3. Un’altra notte feat Giulia Jean; 4. Adiòs; 5. Goodnite feat. LowLow & Livio Cori; 6. Alabama; 7. Io no; 8. Il Cielo guarda te; 9. 5.30 feat Achille Lauro; 10. Niente da dire; 11. Ora che; 12. Almeno tu feat. Cicco Sanchez; 13.Non Tornare a casa; 14. Tu dimmi; 15. Il Mio Game feat. Samuel Heron; 16. Dyo; 17. Vuoi Ballare con me feat. Madh; 18. Voilà.

Dal giorno dell’uscita dell’album, Fred De Palma incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Di seguito gli appuntamenti:

15/9 Torino FELTRINELLI h.15.00 – Genova MONDADORI h.18.30
16/9 Varese MONDADORI h. 15.00 - Milano MONDADORI Duomo h. 18.00
17/9 Brescia MONDADORI h. 15.00 – Verona FELTRINELLI h. 18.30
18/9 Firenze GALLERIA DEL DISCO h.15.00 - Lucca SKY STONE h. 18.30
19/9 Bologna MONDADORI h. 15.00 – Padova MONDADORI h. 18.30
20/9 Latina FELTRINELLI h.15.00 - Roma DISCOTECA LAZIALE h.18.00
21/9 Salerno FELTRINELLI h. 15.00 - Napoli FELTRINELLI h. 18.30
22/9 Bari FELTRINELLI h. 15.00 - Lecce FELTRINELLI h.18.30

23/9 MEDIA WORLD – cc Fiordaliso – Rozzano (MI)

Ascolta qui l’album:

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