“Questa sera siamo davvero emozionatissimi, è la prima volta che suoniamo su un palco importante di Napoli… grazie, grazie di cuore a voi che, nonostante i tempi che corrono, avete scelto di pagare per essere qui con noi!” .
Queste, sono solo alcune delle parole con cui Giovanni Gulino, l’adrenalinico frontman dei Marta sui Tubi, ha salutato l’euforico pubblico del Teatro Trianon di Napoli.
La sua versatile voce, continuamente manipolata con distorsioni ed effetti ad hoc, si è amalgamata con le sperimentazioni musicali che, da anni ormai, fanno parte del dna del gruppo.
Le sonorità acustiche della chitarra di Carmelo Pipitone e del violoncello elettrico di Mattia Boschi, hanno creato quel tocco di morbidezza necessario per le incursioni rock della batteria di Ivan Paolini e della tastiera di Paolo Pischedda.
I Marta sui Tubi riescono, non solo a riprodurre fedelmente gli arrangiamenti contenuti nei loro album, ma anche ad arricchirli con inedite e coinvolgenti chiavi di lettura. La scaletta è di quelle che tengono il ritmo, lente ballate si alternano a brani potenti, il pubblico prova a resistere, docile, tra le poltroncine ma sul finale è naturale lasciarsi andare alla forte empatia che il gruppo instaura con gli spettatori.
L’immediatezza dei testi dei Marta sui tubi, trova facile riscontro soprattutto in una generazione che, seppur distratta dai vizi e lazzi, alla fine si concentra sulle cose che contano davvero.
Ecco perché La spesa, L’abbandono, Cristiana, Tre, Dispari, La polvere sui maiali, L’unica cosa,riescono ad insediarsi nelle pieghe dell’animo. La verve di Giovanni Gulino tocca l’apice nella sua teatrale interpretazione canora: i testi paiono quasi degli scioglilingua, i ritornelli sono sempre carichi di pathos e non è raro fermarsi ad ammirare, attoniti, la sua padronanza scenica.
Tra i picchi emotivi della serata, l’omaggio a Lucio Dalla con Cromatica e le deliziose note de La Ladra.
Non rimane, quindi, che fare un plauso ai Marta sui Tubi, particolarmente ispirati ed ispiranti; loro si che hanno capito come “trasformare i giorni che respiriamo in semi”.