Questa è la storia di una festa, la festa della condivisione, il leit motiv che ha accompagnato le due ore del concerto che Marco Mengoni ha tenuto al Teatro Augusteo di Napoli per il suo Essenziale Tour 2013.
Ancor prima che inizi il concerto il colpo d’occhio è già notevole: un tripudio di colori e palloncini formano uno spettacolare tricolore pronto ad accogliere Marco già sulle note di Pronto a correre.
Il Teatro Augusteo è un catino infiammato, il sold out si fa sentire tutto e le urla dei fan in visibilio quasi superano tutto il resto.
Mengoni, elegantissimo in Ferragamo, è in gran forma, la voce, rodata dalle prime tappe del tour è calda, potente, arrivando a colorarsi di sfumature sempre nuove, introvabili altrove.
Evitiamoci e Bellissimo precedono il suo primo parlato, Marco è a suo agio, felice, emozionato, tra qualche sketch in dialetto ed una buffa mimica facciale, traspare il suo animo di giovane innamorato della vita in tutti i suoi aspetti. Nel parlare dei 9 led luminosi installati sul palco a fare da scenografia al suo spettacolo, Marco li presenta come antenne della condivisione, ripetendo questo termine più e più volte ed è qui che si racchiude il senso del suo percorso artistico.
Di lui, ognuno può chiaramente dire quello che vuole, tutto tranne il fatto che ogni tappa della sua carriera non sia stata segnata dal forte, viscerale, simbiotico sostegno dei suoi fan che lui ama chiamare “esercito”.
Tutto il concerto è scandito dai suoi grazie, detti a parole, con lo sguardo, con la voce, con tutto il suo corpo.
Le sue performances non sono solo vocali, sono fisiche e si vede.
L’intensità di Non passerai e il battito di un cuore latitante, sul punto di scoppiare, della intro di un’indimenticabile Equilibristas’insinuano tra le impotenti fibre dei muscoli degli spettatori.
I volti sorridono, gli occhi si bagnano, le braccia si rilassano e in un mondo che davvero cade a pezzi, è bello sentire di poter ancora trovare un’isola felice.
Proprio così Marco, per i suoi fan, è un’isola felice da vivere come meglio par loro.
Tanti dei presenti al teatro, sostengono Mengoni fin dalle sue primissime apparizioni ed avevano già assistito ad altre date di questo nuovissimo tour, viene quindi spontaneo chiedersi perché volerlo risentire, la risposta è facile da trovare: Marco, con la sua voce, riesce a dare ogni volta risposte diverse, sensazioni diverse, emozioni diverse. Questo surreale meccanismo, simile ad una vera e propria magia, è ciò che farà di lui un divo internazionale, checché se ne voglia dire.
Tornando al concerto è il caso di spendere due parole sulla nuova stravolta versione di Credimi Ancora, inizialmente profumata di jazz, poi cosparsa di progressive rock, in una spiazzante piattaforma pop.
Subito dopo, l’infuocata triade composta da Avessi un altro modo, Dall’inferno e I got the fear innesca l’incontrollabile scintilla che travolge il pubblico, il teatro è una bolgia infernale, i peccatori moriranno dannati ma felici e soprattutto sudati. Non c’è tempo per riprendere fiato, o forse si, con il divertente siparietto mimato di Mengoni che racconta al suo pubblico la nascita della collaborazione con Ivano Fossati per Spari nel deserto.
L’atmosfera ritorna intima e confidenziale con Venti sigarette e la Vitanon ascolta ma c’è spazio anche per l’ironia di Come ti senti, a fare da intramezzo, prima che lo spettro vocale di Marco si mostri in tutta la sua luminosità come un prisma di colori sulle note di Tonight prima e della suggestiva Valle dei re poi.
Il pubblico è al top del coinvolgimento a tal punto che su Tanto il resto cambia, la voce di Marco semplicemente fa da ricamo ad un coro cantato a squarciagola.
Ancora vocalizzi per Un’altra botta, Mengoni trasforma la sua vocalità a suo piacimento, personalizzandola e conferendole sonorità strumentali che lasciano gli spettatori affascinati e sorpresi al contempo.
Il momento topico del concerto arriva con una devastante versione di In un giorno qualunque: Marco pare quasi volersi fondere con i suoi fan: “ sempre di più, sempre di più, sempre più vicino” canta lui, senza avere più nulla da dire o da fare e in effetti con questa canzone ha davvero detto tutto.
Il teatro è in visibilio, in tutto e per tutto simile ad uno stadio, tant’è che parte, spontaneo, il coro, tutto napoletano, di O surdato nnammurato subito accompagnato dalla band e dallo stesso Mengoni, divertito e complice.
L’ultima trance del concerto parte con il rock di Non me ne accorgo e i doverosi ringraziamenti a Gianluca Ballarin (tastiere), Andrea Pollione (organo e synth), Giovanni Pallotti (basso), Davide Sollazzi (batteria), Peter Cornacchia (chitarra), Luca Colombo ( direttore musicale e chitarrista) ai fonici di palco e al fonico di sala Alberto Butturini.
Con l’Essenziale, arriva la dedica personale ed il ringraziamento di Marco a tutto il suo pubblico, poi una fotografia dal passato con la strappalacrime Natale senza regali, infine lo sfogo liberatorio e volontariamente tamarro di Una parola per esorcizzare, con successo, il cinismo di una società che, in fondo, ha ancora voglia di sognare.
Foto di: Liz Argenteri