“X Factor è un programma arrogante che non ha paura di provarci, di osare”. Alessandro Cattelan dixit. Alla luce della vittoria di Lorenzo Licitra, tenore ragusano, portato al traguardo dal giudice degli over Mara Maionchi, pare evidente che il pubblico abbia clamorosamente smentito queste parole. L’Italia è e resterà il paese del bel canto. Se l’obiettivo di X Factor è creare mercato discografico, stando alle parole di Nils Hartmann, allora c’è da dire che le aspettative sono tutt’altro che rosee. Malgrado il disco d’oro conquistato dai mancati vincitori Maneskin, l’inedito di Licitra, “In the name of Love” puzza di stantio. Roba vecchia, sentita e strasentita che non aggiunge e non toglie nulla a quanto ci sia in giro dal 2010 ad oggi. La cifra stilistica proposta dal tenore rientra nel calderone pop che la gente apprezza e dimentica con uno schiocco di dita.
Un altro aspetto importante da sottolineare è che il pubblico di X Factor, pretenzioso e spesso incompetente, non è un pubblico fidelizzato al programma. Ieri sera Licitra ha fatto del suo meglio, il suo medley ha fatto la differenza, la potenza della sua voce ha fatto la differenza ma se vogliamo guardare alla totalità del percorso non si possono ignorare le qualità dei giovanissimi Maneskin e la meritata rinascita di Enrico Nigiotti. Il pubblico però ha notato e premiato solo le esibizioni andate in scena sul palco del Mediolanum Forum di Milano e ha ignorato la fame di riscatto di Enrico e la fame di concedersi dei Maneskin.
Sarà vero che la grande macchina produttiva di Sky e il genio di Luca Tomassini hanno cercato di veicolare delle immagini ben definite di ciascun finalista ma è altrettanto vero che questo risultato mette in risalto la vocalità di un interprete e non valorizza l’essenza di un percorso artistico piu strutturato.
Se a questo aggiungiamo una giuria quanto mai scialba e debole, c’è da dire che i momenti di noia non sono assolutamente mancati.
Lo scintillio è d’obbligo, per imporsi all’attenzione del popolo italiano e non a quei 2-3 milioni di abbonati, questo talent deve ottimizzare le risorse, deve puntare sul nuovo, sul particolare, sull’originale, sul mai visto.
Bisognerebbe dare più spazio ai cantautori, a gente che si autoproduce e che conosce a fondo il mestiere.
Tutti dicono che X-Factor rappresenta un trampolino di lancio ma dopo 11 edizioni sappiamo bene che non è vero. Invece di buttare via tempo e soldi, ci vorrebbe proprio l’arroganza di dire: «Sapete che c’è? Adesso cambiamo le carte in tavola e vi facciamo conoscere qualcuno di interessante e di cui vi ricorderete il nome anche tra un anno».
Raffaella Sbrescia