“Vino Dentro”, Paolo Fresu firma la colonna sonora del film di Orgnani. La recensione dell’album

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Un viaggio sonoro scandito da colorate sfumature, un sontuoso percorso di note, scelte, pensate, sognate, arrangiate con cura e parsimonia. Questo è “Vino Dentro”, l’album che il celebre trombettista Paolo Fresu ha pubblicato lo scorso 7 gennaio 2014 per Tuk Music, branca della Tuk Movie, dedicata alle colonne sonore di film e documentari. “Vino Dentro” s’inserisce all’interno di una fitta collaborazione tra Paolo Fresu e il regista Ferdinando Vicentini Orgnani, iniziata nel 2002 con “Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni”. Ispirato dal romanzo “Vino Dentro” di Fabio Marcotto, il film mette insieme il mito del Faust e la passione per il vino e, sebbene esista un fortissimo legame tra la colonna sonora e la trama della pellicola, i 16 brani scelti da Fresu riescono a valicare confini e limitazioni di ogni genere suscitando suggestioni ora fruttate, ora intense e robuste, ora leggere e frizzantine, proprio così come pregiati ed irresistibili sorsi di vino raro ed introvabile.

Ad accompagnare la tromba ed il flicorno del musicista e compositore sono il bandoneon e il pianoforte di Daniele Di Bonaventura, le percussioni e i samplers di Michele Rabbia e gli archi dell’orchestra de I Virtuosi Italiani. Maestose ed imponenti le due composizioni di Mozart inserite nella tracklist: “Fin ch’an dal vino” e “Madamina, il catalogo è questo”. L’approccio naïf e romantico di Fresu traspare nella trame eleganti, ricercate e avvincenti di “Val des sauers belle et sages”, nella travolgente “Fuga”, nell’allure onirica ed introversa di “Dolomiti Sky”, nell’inquieto mistero di “Calmo”.  Se “Fermo”, il brano cofirmato da Fresu con Daniele Di Bonaventura, ci mostra in maniera cristallina il legame con la trama noir del film è “Martango”, proposta in ben tre takes, a fornirci un mare sconfinato di spunti e di suggestioni contrapposte. Il pathos dell’incontro tra i Virtuosi Italiani agli archi e Di Bonaventura, lascia il passo ad un mood più cameristico per poi concludersi in un monologo solitario e malinconico.

Le vicissitudini del vine-writer, protagonista del libro e del film, lasciano, via via, sempre più spazio alle note ed al loro fascino ineludibile: si va dalla volteggiante melodia di “Classico” al monumentalismo epico di “Mediterraneo” per poi approdare al misterioso sound de “La visione del Bipede”. Il dramma e la magia imposti dagli evidenti echi Mozartiani non sminuiscono la carica emotiva evocata da Fresu e compagni che, con abilità ed autentica personalità creativa, coniugano passato e presente cesellando con cura ogni minimo dettaglio.

Raffaella Sbrescia

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