Lavoro, musica e parole. Questi gli elementi centrali dello “Speciale TG1″, andato in onda su Rai1 domenica 27 aprile alle 23.20.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, cita l’Articolo 1 della Costituzione italiana, rimandando al concetto che il lavoro sia insito nella connotazione del nostro sistema statale. Nel bel mezzo di giorni difficili, nell’epoca degli “Sconfitti 2.0”, il lavoro non è più un diritto, è un sogno, una necessità, un punto di arrivo. Qui non si tratta di vivere per lavorare ma di lavorare per poter vivere. Lo speciale, davvero ben fatto, intraprende un percorso di approfondimento che parte dai primi anni ’50 fino ad arrivare ad oggi. Il canto acquisisce di volta in volta un significato diverso passando dall’espressione della fatica, all’incitamento della ribellione alla denuncia di una protesta.
Ogni fase storica è intervallata dalla magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino nel film “Pane e libertà”, in cui l’attore interpreta il celeberrimo sindacalista italiano Giuseppe Di Vittorio. Si tratta di stralci di discorsi intensi, reali, concreti, motivati da un profondo spirito solidale. Sebbene non sia questa la sede più adatta per approfondire il discorso, è inevitabile sottolineare che oggi sia sempre più raro individuare dei personaggi di spicco in grado di rivolgere un concreto aiuto a milioni di persone in continuo affanno. Ritornando a “Lavoro, musica e parole”, lo speciale propone i brani che hanno segnato l’epopea della musica legata al lavoro sottolineando come la musica popolare italiana si sia di volta in volta adeguata ai temi proposti dal cantautorato più impegnato sul fronte politico e sociale. Si va da “Contessa” dei Modena City Ramblers a “Proposta” dei Giganti, passando per “Io vado in banca” de I Gufi e “Ma che bella giornata” di Ugolino fino a “Chi non lavora non fa l’amore” di Adriano Celentano, contestato da Franco Trincale con il brano, autoprodotto, “Risposta a Celentano”, “La filanda” di Milva a “L’operaio della FIAT (la 1100)” di Rino Gaetano.
Scioperi, sindacati, ridimensionamenti sono al centro dell’epoca post-bellica, l’italiano medio ridiscute le proprie priorità, lascia la terra, emigra in un altrove che lo abbaglia e lo alletta. Luigi Tenco precorre i tempi con “Ciao amore ciao”: in tre minuti scarsi, il cantautore canta gioie e dolori di cuori legati con lo spago, lo stesso con cui hanno impacchettato la loro valigia di cartone. Rare immagini degli archivi Rai, note e parole attraversano il cuore e la mente come lame, l’Italia, come sempre, è in ritardo; il mondo corre veloce, la musica corre veloce, il rock, il punk, il grunge e noi? Fermi. E le donne? Invisibili.
Molto significativo è l’inserimento nello speciale di “Vincenzina e la fabbrica”, il bellissimo brano frutto dell’indimenticabile genio di Enzo Jannacci. E poi, ancora, “Andare, camminare, lavorare” di Piero Ciampi, “Il tic” di Giorgio Gaber, “Amara terra mia” di Domenico Modugno, “Maria nella bottega del falegname” di Fabrizio De Andrè.
Lontani dai folksinger americani, i cantautori italiani descrivono le emozioni e i tentativi di evoluzione di un popolo che, nel 2014, si ritrova a vivere una difficile situazione di stallo sociale, economico ed emotivo. Lo speciale si conclude con “Eroe (Storia di Luigi delle Bicocche)” un brano di Caparezza in cui ogni strofa è un doloroso pugno allo stomaco. Il testo meriterebbe una citazione completa ma una parte, nello specifico, può offrire una fedele idea di quello che racchiude la canzone:
“Stipendio dimezzato o vengo licenziato.A qualunque età io sono già fuori mercato, fossi un ex SS novantatreenne lavorerei nello studio del mio avvocato invece torno a casa distrutto la sera, bocca impastata come calcestruzzo in una betoniera.
Io sono al verde vado in bianco ed il mio conto è in rosso
quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
su, vai, a vedere nella galera, quanti precari, sono passati a malaffari
quando t’affami, ti fai, nemici vari, se non ti chiami Savoia, scorda i domiciliari,
finisci nelle mani di strozzini, ti cibi, di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini
..ne’ l’Uomo ragno ne’ Rocky, ne’ Rambo ne affini
farebbero ciò che faccio per i miei bambini, io sono un eroe”.
Lo speciale si conclude con le esilaranti battute tratte dal programma “Convenscion”, perchè
pur sopportando una condizione di precariato perenne alla fine “l’importante è ca nisciun ci fa fess”.
Raffaella Sbrescia
Video: “Eroe”