Tredici minuti di applausi e la certezza del riscatto Pucciniano al Teatro alla Scala di Milano. Questi sono i punti da cui partire per parlare della prima di “Madama Butterfly”, la tragedia giapponese fortemente voluta dal Maestro Chailly con la regia di Hermanis. Elegante e convincente la Cio-Cio-San di Maria José Siri, un po’ meno “perfetto” il Pinkerton di Bryan Hymel. Dimenticati i fischi del 1904, questa “Butterfly” ha colpito tutti per la sua insolita modernità. Interessante, cruda, diretta, dura, l’opera ci sbatte dritte in faccia diverse criticità socio-culturali che ancora imperversano nel mondo. Sebbene il primo atto sia risultato piuttosto oleografico e a tratti plastico, il secondo ha sicuramente bilanciato gli equilibri con una maggiore cura per i dettagli, in pieno stile pucciniano. Particolarmente suggestiva la scena finale con suicidio messo in scena come un vero e proprio rito. Il dramma si consuma senza interruzioni, serrato, efficace, terribile, definitivo. Nulla da eccepire sul piano musicale, la direzione di Chailly è stata assolutamente impeccabile su tutta la linea, a lui e alla sua orchestra il plauso di averci restituito un’opera che offre molto da riflettere a da cui prendere spunto anche in relazione alla scottante tematica del femminismo.