“Elefanti in fuga” è il titolo del nuovo progetto discografico dei Laika Vendetta. Le dieci tracce della band Teramana racchiudono l’essenza di una generazione che, seppur travolta dalle mareggiate del mare in burrasca, riesce comunque a trovare un appiglio per gridare con tutto il fiato rimasto in gola. Registrato da Manuele Fusaroli e realizzato anche grazie ai supporters della band, attraverso la campagna di crowd-funding“Musicraiser”, il disco dei Laika Vendetta è sangue, è vita, è un “sorriso tenuto da parte per le occasioni speciali”. Emidio De Berardinis (voce), Marcos Cortelazzo e Marvin Angeloni (chitarre), Luca Di Filippo (basso) e Alessandro Di Salvatore (batteria) intagliano la corazza dell’ipocrisia generalizzata con profonde incisioni, a colpi di rock e hardcore. Un ritmo serrato, imponente, urlato, sputato in faccia ai “so tutto io” non lascia scampo a chi ha ancora la voglia e il “coraggio” di far spallucce di fronte all’imminente oblìo.
Il disco si apre con “L’Ineluttabile” mentre le notti ci divorano i sorrisi, “ogni giorno è un’altalena sul precipizio”, cantano i Laika Vendetta, mentre ci muoviamo come “migranti in cerca di futuri stabili” in “Milano Roma”. “Le bianche vesti corrotte” de “La sposa di Fango” ed il nichilismo generazionale di “Inverno Estate” ci frega, ci fotte mentre, giovani e confusi, trascorriamo notti in strada fino all’arrivo della dannata alba. “Lascivi in cerca di una nuova pelle senz’abito, attaccati al gelo nelle ossa, siamo la sostanza dei peccati”, sentenziano i Laika Vendetta, in “Labile” ma il violino del maestro Sokol Prekalori nella title track “Elefanti in fuga” regala nuova linfa alla corsa della vita. Nostalgia selvaggia e sentimenti primordiali scuriscono le atmosfere di “Samsara” mentre un “sé indulgente, alla ricerca del piacere” sfuma la sezione ritmica serrata di “Samba generazionale”. “La sensibilità è un danno a due lame e nel paese non ha mercato”, cantano lucidamente i Laika Vendetta in “Costruire sulle rotaie” e a noi, “maestri del vivere con l’acqua alla gola”, non rimane che affidarci a “Kali allo specchio”, “l’alibi ideato per dare un nome alla paura “.
Raffaella Sbrescia