C’è tutto e il contrario di tutto in “Amore, lavoro e altri miti da sfatare”, il nuovo album di inediti del collettivo bolognese Lo Stato Sociale prodotto da Garrincha Dischi in licenza per Universal Music Italia. A due anni di distanza dal loro ultimo successo con “L’Italia peggiore” Albi, Bebo, Lodo, Carota e Checco racchiudono nel titolo del disco un nitido riassunto del contenuto delle dieci tracce che, nel toccare temi chiave, ormai miti dell’uomo contemporaneo, si rivelano attraverso una brillante dose di irona e lucidità analitica. Alternandosi al canto o agli strumenti i cinque membri del gruppo danno spazio alle loro molteplici influenze musicali in un convincente caleidoscopio di generi passando dal rock alla dance all’elecro pop.
L’album si apre con una canzone “Sessanta milioni di partiti” che, già da sola, ci dipinge in modo autentico come schiavi dei soldi, del tempo, della moda del momento mentre tutto il resto è inferno a fuoco lento. Questo paese ha bisogno di silenzio, canta Lo Stato Sociale, incarnando una necessità fisiologica dettata dal bisogno di resettare tutto e ricominciare daccapo. Naturalmente anche i rapporti di coppia ne escono completamente devastati proprio come avviene in “Amarsi male”: “Non ci sarà mai il tempo di fare quello che ci va/ tra qualche scaffale di scarpe col tacco e una giungla di tofu e seitan/ mandiamo tutta la nostra poesia a puttane”. Ed ecco dunque il verdetto: “Abbiamo finito la felicità in una vita al contrario e sogni a metà”. Profonde e scarnificanti le valutazioni che Lo Stato Sociale propone in uno dei migliori brani del disco quale è “Quasi liberi”: “Scoprire è meglio che capire, capire è meglio di spiegare. Meglio essere liberi che furbi, meglio essere sprovveduti che intelligenti, meglio essere vivi che vissuti, meglio essere sbagliati che incompiuti. Il resto sono solo scuse per sentirsi in compagnia nel rimanere soli con i propri alibi”. Nell’ascoltare queste verità viene subito da dire che Lo Stato Sociale ha raggiunto la maturità definitiva, ha sputato in faccia a tutti quanti noi la nostra essenza più intima, ci ha messo a nudo nella nostra fragilità e chissenefrega di quello che sarà. Non mancano episodi leggermente più leggeri come “Buona sfortuna”, che sbeffeggia lo stile di Cesare Cremonini e “Niente di speciale” in cui si ammette che “non è sognare che aiuta a vivere ma è vivere che deve aiutarti a sognare”. Veramente suggestivo il mantra “Bruciare sempre e spegnersi mai” contenuto in “Eri più bella come ipotesi”, un testo ispirato a uno scritto di Harold Pinter in cui si racconta la fine del sogno politico ’68/’77 come fosse la storia del rapporto tra due amanti che non funziona più. E poi c’è “Mai stati meglio”, il pezzo più dissacrante del disco, quello senza ritornello, quello in cui Lo Stato Sociale puntualizza, moralizza, polemizza divertendosi e divertendo. A seguire lo sberleffo di “Nasci Rockstar, muori giudice a un talent show”: sebbene il testo risalga ad un periodo antecedente alle gesta televisive di Manuel Agnelli a X Factor, l’accostamento alla sua figura è quasi automatico anche se, a dirla tutta, fossero tutti come Manuel Agnelli i giudici dei nostri talent show, ci sarebbero dei risultati molto più appaganti dal punto di vista culturale e artistico. Intensa la dedica d’amore incondizionato insita nel testo di “Per quanto saremo lontani”: Non ho niente perché voglio te, sei tutta la mia voglia di scappare, sei tu la mia paura, la paura di fallire, il mio tempo perso, la mia strada da sbagliare, sei tu la mia paura, la paura di star bene”. Infine la chiusura da bruciore allo stomaco e lucciconi agli occhi con “Vorrei essere una canzone”: quella che ti dice chi sei senza fartelo capire. E adesso tutti sottopalco a ridere di noi stessi insieme a quegli “adorabili mascalzoni” de Lo Stato Sociale.
Raffaella Sbrescia
Video: Buona Sfortuna
Video Intervista Lo Stato Sociale: