Spirituale, pensato, lavorato, sapientemente ritmato, “9”, il nuovo album dei Negrita, rimette in gioco il gruppo aretino che, lungi dall’appollaiarsi sui successi del passato, si getta nella mischia con sapiente consapevolezza e con il gusto dell’incognita raggiungendo un risultato veramente godibile. Forgiati dalla lunga ed estenuante esperienza live con il musical “Jesus Christ Superstar”, Pau e compagni hanno affrontato lo scossone dell’’abbandono dello storico bassista Franco Li Causi immergendosi nella scrittura senza distrazioni al Grouse Lodge di Rosemount (Irlanda).
In “9”, in effetti, traspaiono in bella vista tutte le caratteristiche che un album dei Negrita dovrebbe avere, su tutte spicca una verve fortemente rockettara nel sound e nell’animo, senza trascurare una varietà di stili che completa ed arricchisce il disco limando anche gli angoli più spigolosi. Di acqua ne è passata da quel lontano marzo del 1994 ma Pau Drigo e Mac rappresentano ancora il nucleo centrale di un fertile connubio di suoni e anime. In questa nuova fase artistica, oseremmo dire la più matura, il gruppo dimostra di possedere la necessaria esperienza per potersi muovere con tutta scioltezza in territori musicali differenti senza perdere né carica né credibilità.
L’album si apre con la fortissima radiofonicità de “Il gioc”o: ci si muove tra strade di cera, tra amarezza ed allegria, sulle vie della vita, descritta come “un’autostrada in fiamme con curve di miele”. In qualità io cannibali travestiti da vegani, ci lasciamo facilmente conquistare dal riff catchy di “Poser”, un brano irriverente, scherzosamente critico, ispirato da una scuola vecchia più del pop e del rap. Il terzo colpo in canna è “Mondo politico”, iniettato con spruzzi di elettronica e che presenta una foce direttamente annessa ad un rock denso e avvolgente. Briosa e frizzante la disinvoltura di “Que será, será”, in stretta connessione con le influenze latine tanto care ai Negrita attorno alla metà degli anni 2000. “Se sei l’amore” rappresenta, invece, un caso unico, un serbatoio da cui attingere sentimentalismo e delicatezza. “Giorni di velluto e poesie, disastri ed utopie” animano i flashback amarcord di “1989” mentre il fascino ancestrale di “Ritmo Urbano” riempie i vuoti del cuore alternando pop, rock e ritmi latini.
Libera, travolgente, estemporanea è la sensuale linfa vitale de “Il nostro tempo è adesso”. “Baby I’m in love” ci rigetta, senza preavviso e senza pietà, al centro di un violento riff rockettaro che riaccende i cuori e gonfia il cuore con una massiccia dose di adrenalina. Un rock più soffuso e stemperato accarezza le nervature di “Niente è per caso” mentre “L’eutanasia del fine settimana” critica con lucida oggettività quell’insulsa italianità fatta di presenzialismo e inutile apparenza. Subito dopo c’è “Vola via con me”, in cui i Negrita definiscono l’amore un tango che si balla sempre in due e la vita come una suadente milonga con un gran guitar solo nel finale. Chiude l’album “Non è colpa tua”: un brano atipico e cuorioso, dedicato a Shel Shapiro: “Da Woodstock a White, dai Beatles a Jim, da Hendrix a Dylan, da Yung agli Stones, uno è il messaggio: ricorre una frase, portiamo l’amore che trionferà. Milioni di cuori col sole negli occhi vanno sicuri incontro al futuro che promette tutto ma poi toglierà, la storia andò così”, cantano con lucida consapevolezza e noi, ultimi arrivati, ne paghiamo ancora le spese.
Raffaella Sbrescia
Video: Poser