Chiunque ne ha già scritto qualunque cosa. Quindi qual è il senso di aggiungere un pensiero in più in merito al concerto di Vasco Rossi a Modena? Il motivo è semplice: siamo sempre i soliti, quelli che devono dire per forza qualcosa. In questo caso c’è da dire che siamo quelli che lo stesso Vasco definirebbe quelli che non hanno rispetto per niente, nemmeno per la mente. Noi, generazione di sconvolti senza santi e senza eroi abbiamo in realtà un estremo bisogno di radunarci e di reimparare a condividere le nostre emozioni. Lo sa bene Vasco Rossi che in 40 anni di carriera di cose ne ha capite e ne ha scritte per dirci di sé certo, ma per parlare a ciascuno di noi. Parole che colpiscono la faccia, che toccano la pancia, che bagnano gli occhi, che si sedimentano nella testa. Pare facile, eh. Quattro sono state le ore di concerto al Modena Park con una scaletta pensata per lasciare fuori meno cose possibili per ridare coraggio, per vincere la paura, per riaccendere la miccia della vita, per capire fino in fondo cosa significa cantare la libertà e possederla davvero. Una sospensione temporale, una trepidazione collettiva, un corpo unico per sognare, per non lasciarsi sfuggire una buona occasione per sganciarsi dal proprio Facebook e dai propri guai. Vasco Rossi racchiude un po’ tutto questo ed è bello sapere che c’è chi riesce a mettere nero su bianco i nostri limiti, i nostri pensieri, i nostri sentimenti. Belli, ancora di più i volti genuini, sinceri, appassionati di tutti coloro che hanno voluto partecipare a questo rito pagano, c’è da sorriderne e da goderne. Siamo ancora vivi e a Vasco non dobbiamo dirgli nient’altro, tanto tornerà.