E’una serata inaspettatamente fresca e ventilata quella che fa da cornice al debutto della cinquantunesima edizione di Umbria Jazz, la kermesse musicale ospitata dalla bellissima città di Perugia. Una serata dal clima particolarmente gradevole e non solo per quanto riguarda l’aspetto meteorologico. L’arena Santa Giuliana fa registrare il sold out per due ospiti d’eccezione.
A introdurre gli artisti che per primi calcheranno uno dei palchi protagonisti di questa ricca edizione, come del resto lo sono tutte le edizioni di Umbria Jazz, Nick The Nightfly, dj che cura la diretta per Radio Montecarlo, tra gli sponsor della manifestazione.
Sorridente e visibilmente felice di dare il via alle danze, accompagnato da Adrien Moignard alla chitarra e Diego Imbert al contrabbasso, fa il suo ingresso sul grande palco un gigante della fisarmonica, l’italo francese Richard Galliano, virtuoso di fama internazionale, che con i suoi ricchi e personalissimi arrangiamenti ha di fatto rivoluzionato il panorama musicale di questo strumento, tracciando un solco netto tra un prima e un dopo.
Un’esibizione indimenticabile che ha dato modo al pubblico italiano, da cui è molto amato, di apprezzare il suo straordinario talento. Racconta in italiano, Galliano, scusandosi per una pronuncia non proprio perfetta ma assolutamente comprensibile, delle sue precedenti esperienze a Umbria Jazz, che risalgono oramai a una decina di anni fa, e del suo entusiasmo nel tornare nella suggestiva cornice del capoluogo umbro, che lo ha sempre accolto con calore ed affetto.
Il primo dono per il pubblico è nell’esecuzione sublime di “vuelvo al sur” di Astor Piazzolla, compositore con cui Galliano ha un’estrema confidenza e di cui ha praticamente reinterpretato l’intero repertorio.
Sono prevalentemente tanghi e valzer quelli proposti alla platea dell’arena, in una successione rapidissima, interrotta solo da poche parole descrittive: “les feuilles mortes” di Prévert e Kosma si animano sotto i polpastrelli magici del fisarmonicista italo francese, come pure le molte composizioni originali e i tanghi argentini di cui oramai è diventato il più originale e indiscusso ambasciatore.
L’arena si emoziona, avvolta in una nuvola di note magiche, mentre una leggera brezza rinfresca cuori e corpi, invitandoli ad un romantico abbandono.
Un’ora abbondante di intense emozioni, prima di lasciare il posto a un teatrale e gigionesco Vinicio Capossela, che sin da subito e senza indugi si spende in parole a favore della pace. Pace in Palestina, pace in Ucraina, e la musica come ambasciatrice di pace, questo l’incipit di un lungo monologo atto ad introdurre i brani di “Camera a Sud”, album del 1994, che compie trent’anni. Trent’anni egregiamente portati per il terzo album del cantautore nato in Germania, e che porta il nome di uno dei fisarmonicisti più importanti del mondo: quasi che un destino in note fosse per lui segnato dalla nascita.
Fu Francesco Guccini che scoprì il talento di Capossela, e lo propose al Tenco: un’altra delle cose belle che dobbiamo al Maestrone modenese, pietra miliare del nostro cantautorato più autorevole. Ritmi in odore di sudamerica, arrangiamentti di Antonio Marangolo, che Vinicio stesso ringrazia, dispiaciuto del fatto che non possa prendere parte al live, ma anche ritmi gitani, balcani e jazz, molto jazz, a confermare la magica atmosfera già creata da Galliano. Ed è proprio Galliano che Vinicio invita sul palco, per eseguire insieme Modì, brano che non fa parte dell’album, ma non per questo non penetra nell’anima dei circa 4mila spettatori della Santa Giuliana.
Trent’anni anche per il primo passaggio a Perugia di Capossela, grazie alla figura del compianto Sergio Piazzoli, cui nel pomeriggio è stata dedicata una panchina, con una cerimonia cui lo stesso Vinicio ha preso parte.
Sul palco con Capossela, Enrico Lazzarini al contrabbasso, , Zeno de Rossi alla batteria, Giancarlo Bianchetti alla chitarra, Michele Vignali al Sax, Luca Grazioli alla tromba, Humberto Amesquita al trombone, Raffaele Tiseo al violino, Daniela Savoldi al violoncello e, special guest, Piero Odorici.
Una ricca e generosa reinterpretazione di un album che ha detto la sua nel panorama musicale nostrano, e a ragione.
Indugia, si intrattiene oltre il previsto, e si concede un brindisi finale, Capossela, nell’accomiatarsi da un pubblico soddisfatto e festoso.
Se il buongiorno si vede dal mattino, beh, c’è da supporre che sarà una gran bella edizione di UJ, quella di quest’anno.
Roberta Gioberti