Lo scorso 14 aprile il giovane cantautore pugliese Renzo Rubino ha inaugurato il Secondo Rubino Tour con uno splendido concerto al Teatro Bellini di Napoli. Ad introdurre la serata il cantante salernitano, ex The Voice of Italy, Manuel Foresta che, nelle vesti di estroso chansonnier, si è esibito sulle note di brani di Edith Piaf ed Adriano Celentano, senza tralasciare due sue canzoni inedite come “Dejavù” e “The Essence of Silence”.
Una manciata di minuti più tardi il palco si trasforma in un romantico giardino di luci: piccole lampadine cadono sospese dall’alto, mentre un festoso sottobosco di lucine cinge gli strumenti dei musicisti. Al centro del palco un pianoforte, sorvegliato da una struttura luminosa simile ad un grande ragno fatto di zampe elettroniche. Renzo entra in scena tra lo stupore generale: nei panni di un mostro gentile, l’artista intona “La fine del mondo”, primo brano in scaletta, ad accompagnarlo Fabrizio Convertini (basso), Andrea Beninati (batteria e violoncello), Eugene (theremin e tastiere) e Andrea Libero Cito (Violino).
Subito dopo il cantautore si libera agevolmente dell’ingombrante costume e si scatena sulle note di “Ora”, senza riuscire a stare sul seggiolino nemmeno stavolta: «Questo teatro è un luogo incantato, non sono mai stato qui in veste di musicista e sono davvero felice di esserci– spiega Renzo – Napoli è una grande città del Sud Italia ed era giusto iniziare da qui».
L’artista ha voglia di dialogare con il pubblico, lo si evince dai suoi sguardi, dal suo continuo interagire con la platea ma anche, e soprattutto, dai suoi testi così immediati e diretti. «Lulù è un brano ispirato ad una storia realmente accaduta – racconta Rubino – mio nonno è malato di Alzheimer, una malattia tragicamente comica, spesso dimentica le cose ma Lulù, che è il nome di mia nonna, è l’unica parola che lo tiene saldamente legato alla terra». Ecco, Renzo è così: è capace di risultare dissacrante un attimo prima ed incredibilmente dolce un secondo dopo. La sua fantasia viaggia velocissima e stargli dietro è davvero difficile, la sua poliedricità non contraddistingue solo i testi ma anche gli arrangiamenti delle canzoni: si passa dall’intimismo di “Sete” all’energia dance di “Amico”.
“Con Barry White che aiuta, con lui non sbaglio mai”, canta Renzo nell’esilarante “Paghi al Kg”, per poi lasciare il pianoforte sull’intro di “Non arrossire”, il bellissimo brano di Giorgio Gaber con cui Rubino accoglie l’ospite della serata: si tratta di Simona Molinari. I due artisti avevano già conquistato pubblico e critica durante la serata Club Tenco al Festival di Sanremo e, sulla scia di quella magica alchimia, anche stavolta il risultato è davvero emozionante; bellissimi da vedere e da ascoltare! Subito dopo la bella Simona regala un interessante cambio di prospettiva a “Il postino (Amami uomo)”, altro grande successo sanremese di Renzo e si scatena sulle note della sua “La felicità”.
I ritmi sono serrati e Rubino si riappropria subito del palco con “Mio”: “Le canzoni nascono dai sogni” – spiega il cantautore – ed è così che è nata “L’ape, il toro e la vecchia”». Dopo il racconto della fuga da un sogno distorto, Renzo balla e scende in platea sulle note dello schizofrenico brano intitolato “Non mi sopporto”: la perfetta fusione tra teatralità e genialità.
Con i testi dei monologhi firmati dalla scrittrice Silvia Avallone, il giovane Renzo entra nel Dna delle sue canzoni riuscendo a fornire delicati ed efficaci input al pubblico come nel caso di “Monotono”. Subito dopo arriva la confessione: «A Sanremo preferivo l’altra, dice Renzo, riferendosi a “Per sempre e poi basta”, questa canzone da cantare è un’altra cosa», ed è proprio vero, questo brano è davvero ipnotico, la perla più rara di una collana preziosa.
La scaletta continua sulle note di “Bignè”, un breve pastiche strumentale introduce l’altra cover della serata, si tratta dell’irriverente “Che brutto affare”, il testo scritto da Franco Califano per Jo Chiariello. A seguire “Piccola”, la canzone dedicata all’amore per la musica.
«Ho già nostalgia di questo presente», dice malinconico Rubino, rimettendo il cappello al fantoccio usato in apertura di concerto prima di lasciare il palco con i suoi bravissimi e poliedrici musicisti. Una manciata di secondi più tardi arrivano gli ultimi brani della serata: il primo è l’amatissimo “Pop”, accompagnato da piccole palettine sventolanti, ideate da un gruppo di fan del cantautore, a seguire c’è l’intensa versione originale de “Il postino (Amami uomo)” in riferimento alla quale Renzo dice:«Portare questo brano a Sanremo è come portare Wagner in Israele».
Davvero suggestiva è l’immagine del pubblico danzante sulle note di un valzer collettivo ma il tempo dei saluti finali è vicino: “L’altalena blu” è il brano con cui il piccolo-grande Renzo conclude il concerto salutando il pubblico dalla sua finestra dei sogni: “Prova a prendermi prova a prendermi prova a prendermi prova a prendermi. Tanto non mi prendi”.
Raffaella Sbrescia