Continuano i prestigiosi appuntamenti musicali del Maggio della Musica. Lo scorso 8 maggio, nella splendida veranda Neoclassica di Villa Pignatelli a Napoli, si è tenuto il concerto in omaggio al compositore russo Petr Čajkovskij. Al pianoforte il direttore artistico della rassegna Michele Campanella, accompagnato dai fratelli Davide e Diego Romano, rispettivamente al violino e violoncello e fiori all’occhiello dell’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. I tre solisti hanno dedicato le proprie energie ai tortuosi pentagrammi del Trio in la minore op.50, il penultimo capolavoro che il celebre compositore russo scrisse mentre si trovava a Roma nel 1882, in memoria dell’amico fraterno suicida Nikolai Grigor’evič Rubinštejn. Davvero particolare la scelta di Čajkovskij di comporre un trio per pianoforte e archi, genere che l’autore aveva sempre detto di detestare, così come aveva fatto anche in una lettera destinata alla sua benefattrice Nadezca von Meck: «I miei organi uditivi sono fatti in modo tale da non poter assolutamente ammettere alcuna combinazione con un violino o un violoncello. Per me i diversi timbri di questi strumenti si combattono e la loro unione mi sembra una tortura». Nonostante questa forte ritrosia il maestro ci ripensò, si mise alla prova, sfido le sue stesse paure componendo questo ampio lavoro compositivo che, articolandosi, in due momenti, riveste anima e atmosfera di intesa malinconia. Tinte forti, quasi tragiche, attraversano una composizione che non dà tregua ai nervi e ai sentimenti.
Nell’introdurre il concerto, il maestro Campanella entra subito nel vivo del brano, spiegandone i punti chiave: «Per questo concerto, che celebra il compleanno di Čajkovskij, eseguiremo una sola composizione. Il brano è lungo ed esaustivo per noi e per voi, aggiungendo qualunque cosa avremmo appesantito il tutto. Come avrete modo di notare, in questo lavoro non c’è nulla di italiano, benché abbia visto la propria genesi nella città di Roma, continua Michele Campanella. Quello che manca è una visione serena, in questo brano la scrittura è oscura, depressa. La fase compositiva, della durata di un mese, non è stata immediata, Čajkovskij era contrario all’idea di un Trio, era convinto che questi tre elementi insieme non stessero bene ma alla fine diede vita a questa battaglia tra il pianoforte ed i due archi. La scrittura non è da Trio, racconta il Maestro, il pezzo è del tutto anomalo all’interno della musica da camera e presenta una forte bulimia di note. Mai, come in questa occasione, vita e arte si fondono in un unico percorso inscindibile, incentrato su un’intima e malinconica confessione autobiografica, a metà strada tra tormento e disperazione. Ad aprire il concerto un Pezzo Elegiaco, moderato assai. Allegro giusto, seguito da un Tema andante con moto e tutta una serie di variazioni declinate in undici diverse mutazioni, in grado di attraversare tanto il pentagramma quando gli aspetti dell’animo umano. Volti, gesti e righe di sudore si accompagnano alle note che avvolgono la sala in un’atmosfera plumbea e solenne al contempo. Il ritmo è nemico dell’esitazione, il tempo scorre implacabilmente veloce fino alla vibrante ed intensissima variazione finale e Coda con archi alternati in “piangendo” ed il pianoforte in pianissimo “poco a poco morendo” fino allo spegnimento conclusivo; sublime.
Nell’immancabile bis Campanella, David e Diego Romano offrono un molto più breve estratto dal Trio opera 100 di Schubert in cui l’ Andante con moto assume subito il significato di valore aggiunto. Una marcia sottotraccia al pianoforte accompagna e scandisce gli altisonanti picchi degli archi che, fino all’ultimo istante, sprigionano l’essenza della vita.
Raffaella Sbrescia