Gli Inti Illimani hanno dismesso il look uniforme, l’aspetto serioso, la disposizione statica , hanno aggiunto fiati, sax agli strumenti tradizionali, elementi di colore, sonorità e ritmi. Ma vederli ritornare sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, produzione Ventidieci, in quella che è stata la loro Patria di adozione, e in quella che è stata la Città che li ha ospitati durante l’esilio è sicuramente sempre un’emozione grande.
Insieme a Giulio Wilson, e in collaborazione con Amnesty International, il “Vale La Pena” Tour si è svolto in cinque tappe nei teatri italiani, e si concluderà oggi a Salsomaggiore Terme.
Il nome del tour degli Inti Illimani trae origine dal brano composto insieme a Wilson, durante le manifestazioni di protesta tenutasi in Cile nel 2019 contro il carovita e la corruzione, di cui tutti ricordiamo la portata e la risonanza a livello internazionale, e fa parte dell’album “Storie vere tra alberi e gatti”, ultimo lavoro del cantautore/enologo toscano.
La prima parte del concerto è dedicata alla presentazione di una selezione della produzione di Wilson, quella cantautoriale, ovviamente: brani lievi, lirici, critici, composti con uno stile che unisce ricercatezza e poesia. Storie di uomini, animali, storie commoventi, che accarezzano i sentimenti senza cadere nel banale o nel melenso.
Storie sospese tra presente e passato, storie tramandate di voce in voce, di bicchiere in bicchiere, di nota in nota, storie da léggere, come in un libro, passando dai gatti di Magritte, a Fido, a una rivisitazione di Bella Ciao davvero degna di menzione:
“Una mattina mi son svegliato mia “Bella Ciao” e questo mondo era impazzito, una mattina mi son trovato mia “Bella Ciao”, con i miei sogni appesi al muro, come una foto in bianco e nero.”
Pochi minuti di parole, parole per la pace, parole che invitano alla riflessione, parole necessarie per cambiare scena, ed ecco che compaiono sul palco, nella formazione che vede in Jorge Coulon Larrañaga quello che potremmo definire leader, ma preferiamo inquadrare nella sua dimensione reale e umana di coordinatore, coloro che sono stati un assoluto punto di riferimento per un paio di generazioni, qui in Italia, tanto da esserci sentiti privati di una parte anatomica, quando fecero ritorno in patria, pur essendo felici per loro.
Ma la musica non conosce confini, almeno quella, e qui sono rimaste le loro note, tra tradizione andina, canti di protesta, brani d’autore e il mercato Testaccio, che ancora ci suona nel cuore.
In una Sinopoli gremita, come non accadeva oramai da un paio di anni, per i motivi che tutti sappiamo, il canto intona America Novia Mia, e un fremito percorre la sala: una canzone d’amore dedicata a tutto il sud America, che acquista ancora maggiore significato alla luce dei recenti risultati elettorali in Cile, dove si comincia davvero a respirare quell’aria di libertà e giustizia sociale e quella speranza di indipendenza, che un giovane Jorge Coulon aveva visto dolorosamente e spietatamente interrompersi l’11 settembre del 1973.
La scelta dei brani da eseguire non è facile, lo dice lo stesso Jorge, perché molti appartengono alla nostra memoria e vissuto collettivo, altri invece sono frutto di ricerche e composizioni più recenti che non hanno raggiunto tutti coloro che, ai tempi, non potevano ignorare la musica e il messaggio degli Inti Illimani. “El surco”, “A la casa de Nandù”, “Rondome”, si alternano a “Lo que mas quiero”, “El rin del Angelito”, “Senora Chichera”.
Due brani dedicati interamente a colui che nella storia ha significativamente dimostrato quanto la musica possa incidere nella vita delle persone, possa accompagnare le rivendicazioni, le lotte, ma anche l’amore, e il cammino verso la pace.
E’ stato talmente un simbolo da essere massacrato e ucciso. El Arado, El Aparecido, e, con una sala in delirio, El Pueblo Unido, di Sergio Ortega, in ossequio a Victor Jara, artista che il martirio ha reso eterno.
Un piccolo dono, affiancati da Giulio Wilson, alla canzone d’autore italiana, con la delicata “Buonanotte Fiorellino”, di De Gregori, e poi Vale la Pena, la composizione che dà il titolo al Tour, come detto all’inizio.
Con Samba Landò il concerto sembrerebbe doversi chiudere, e invece esplode la Fiesta de San Benito e con lei tutta la Sinopoli danzante, Un Jorge visibilmente emozionato, un effluvio di applausi, e un fitto corridoio di persone commosse che abbandonano la sala, portando nel cuore un carico di fiducia e di speranza, in un momento in cui, davvero, ce n’è bisogno come dell’aria che respiriamo.
Molti giovani, all’uscita.
Mi fermo a prendere l’acqua alla fonte Acea, e ad alcuni di loro, nemmeno ventenni, chiedo se li conoscessero già, quei brani. “Signo’, a casa nostra non hanno mai smesso di essere ascoltati”.
Un tour breve, intimo e intenso per una musica che rimarrà perennemente messaggio di un popolo che ha sofferto, ha lottato, ha visto orrore e morte, distruzione e sangue, ma alla fine ha vinto. Unito.
Vorremmo fosse un auspicio: la pace la costruisci, la pace è possibile, se veramente la desideri, se davvero la desideriamo tutti, con ostinazione.
Roberta Gioberti