E’ qualcosa che affascina noi vintage, la location un poco “retro’”. Anche se di vintage, oltre alla location ed al repertorio, l’altra sera c’era veramente poco, durante l’esibizione di Lavinia Mancusi al Como’ Bistrot. Accompagnata dalla chitarra del maestro Zaccheo, le cui dita hanno disegnato note perfette per il timbro e l’interpretazione della giovane cantante romana. Lavinia ci ha regalato momenti magici nel riproporre una venticinquina tra i brani più belli della canzone popolare romanesca. Una tradizione musicale, quella della Capitale, scritta in punta di coltello. Sì, perché a differenza della canzone Napoletana, aulica e poetica, romantica e passionale, ridondante e barocca, quella romanesca è melodrammatica e malandrina. “Moreno tutti”, dice il maestro Zaccheo. E se non muoiono, si fanno sempre molto male. Male di cuore, male di sgarro, male di galera. Tuttavia si tratta di un repertorio che, ogni volta che è stato riproposto (e tante sono state le voci importanti che lo hanno interpretato, a partire da quella di Claudio Villa, passando attraverso Gabriella Ferri, Nino Manfredi, Gigi Proietti, Anna Magnani, per arrivare ai recenti ed originali arrangiamenti degli Ardecore, ed alle vibranti ed intense corde di Tosca, senza dimenticare di citare l’immenso Ettore Petrolini, ed il suo naturale erede Fiorenzo Fiorentini), ha trovato sempre una calda accoglienza ed un ottimo riscontro da parte del pubblico. Non ha fatto eccezione la proposta di Lavinia, che ha aperto con uno dei brani sicuramente più poetici ,”l’eco der core”, (uscito dalla felice penna di un esordiente Romolo Balzani, nel 1926), ed in un crescendo di entusiasmo ci ha accompagnati attraverso un viaggio sonoro e visivo, raccontandoci la Roma delle galere (Le mantellate), degli stornelli, delle serenate (nina si voi dormite), degli amori disperati (er barcarolo), degli adulterii (te la ricordi lella), dei carrettieri, degli osti, delle gite fuori porta, delle nannarelle, dei cospiratori, de li papi re e de li popoli sovrani.
Il pubblico ascolta, incantato dalla delicatezza degli arpeggi di Felice Zaccheo, dall’intensità della voce, dalla capacità interpretativa, in molti tratti oserei dire teatrale della Mancusi, cui sembra proprio che il repertorio glielo abbiano cucito su misura in un grande atelier di sartoria.
Due ore di spettacolo, numerosi bis, e due spettatori d’eccezione come Alessandro Mannarino e Andrea Rivera, che non hanno lesinato, a fine concerto, dal prendere la chitarra e concludere la serata su accordi improvvisati e sulle note d’autore di Stefano Rosso. Una serata che ha ricordato per molti aspetti i momenti storici di “Vito” a Bologna, quando ad incontrarsi per improvvisare, tra un pubblico “avventore” della piccola trattoria bolognese, erano Dalla, Guccini, Vecchioni, e quelli del vecchio folk Studio, dove tanti tanti anni fa abbiamo avuto la fortuna di inciampare in artisti come De Gregori, Venditti, Lolli, Gaetano, ancora digiuni dei grandi palchi, ma con tanto tanto potenziale da esprimere e tanta freschezza da portare alla musica d’autore italiana.
Auguriamo a Lavinia altrettanto successo, ed aspettiamo che la raccolta di canzoni romanesche diventi un cd, attualmente in fase di realizzazione. Consapevoli che abbiamo avuto la fortuna di vivere un momento unico, in cui la musica si è svestita degli abiti del prodotto, per restare a nudo delle emozioni: uno di quelli di cui tra qualche tempo potremo menar vanto nell’aprire lo scatolone dei ricordi.
Roberta Gioberti