Continuano i mirabolanti appuntamenti musicali ai Giardini della Triennale di Milano. TRI-P music fest rappresenta, infatti, il punto di riferimento per chi ha voglia di ascoltare musica ricercata. Non a caso l’esempio che portiamo oggi è il racconto che testimonia il grande ritorno in Italia di Arto Lindsay, il performer, chitarrista, cantante e produttore discografico statunitense che, all’alba dei sessantaquattro anni, ha voluto lasciare ancora una volta un segno ben tangibile all’interno dello scenario musicale contemporaneo.
Come poter descrivere l’essenza del suo noise intriso di suggestioni, riferimenti storici, antropologici? La trama intessuta tra folk brasiliano, rock, punk jazz, bossa nova moderna e funk in salsa carioca è fusa all’interno di formula strumentale unica seppur difficilmente fruibile.
Non è facile capire e godere della musica di Arto, ad un primo ascolto la sua chitarra assume una funzione disturbante, incomprensibile ai più. La sua vera funziona è, invece, scardinatrice, dirompente.
Il free jazz di Arto Lindsay si muove a braccetto col tropicalismo creando un universo semantico inedito, un contesto intellettuale dove ciascuno può individuare una chiave di lettura propria.
Beato chi c’era negli anni ’70 quando tutto ebbe inizio, quando la musica d’avanguardia era percepita come qualcosa di grandioso ed epocale. Oggi è diverso, si rimane attoniti e guardinghi e spiazzati di fronte a qualcosa che non ci suona familiare. Quello che addolcisce lo stile rumorista di Arto Lindsay è la capacità di non allontanarsi mai dalla classe e dall’eleganza della canzone d’autore, quella che in un attimo rimette insieme tutti i pezzi sghembi di un’anima viva e in continua evoluzione. “Cuidado madame”, s’intitola l’ultimo album di Arto, un titolo profetico per un artista pronto a sorprendersi e a sorprendere senza mai prendersi sul serio ma con i piedi ben saldi nella nostra fluida contemporaneità.
Raffaella Sbrescia