Tiziano Russo è un regista e videomaker salentino. Nonostante la sua giovane età, Tiziano è riuscito ad individuare una propria originalissima cifra stilistica fin dagli inizi del suo percorso artistico e, forte, di un innato istinto creativo, si è lanciato, con successo, nel mondo musicale e cinematografico. In molti lo conoscono soprattutto per i videoclip che ha realizzato per i Negramaro ma Tiziano Russo vanta un curriculum ancora più ricco di quanto si immagini: Mina, il cantautore Marco Sbarbati e Le Strisce si aggiungono, infatti, ai grandi nomi con cui il regista ha collaborato. In occasione della presentazione di “Habemus Mister”, l’opera prima realizzata da Tiziano Russo, insieme alla sceneggiatrice Ilaria Macchia, abbiamo intervistato il regista per conoscere ed approfondire il suo mondo fatto di immagini.
Come ti sei avvicinato all’attività di regista e video maker e quali sono, secondo te, i requisiti imprescindibili per capire come interfacciarsi con questo tipo di professione?
Ho studiato cinema a Roma 10 anni fa, realizzando un approfondimento teorico di quello all’epoca stavo realizzando. A quei tempi non avevo materiali o strumenti per cominciare a realizzare le mie piccole cose e quindi mi sono affidato alla webcam. Diciamo che il mio inizio è stato interattivo o comunque virtuale, mi sono subito interfacciato con youtube e i vari social network cercando di diffondere, attraverso quel mondo, le mie piccole idee che, essendo realizzate con webcam, erano di una qualità piuttosto bassa. In seguito ho iniziato a girare direttamente dei videoclip, cosa che in quel periodo era forse un po’ più facile da realizzare. Col tempo la passione si è trasformata in un lavoro. Mi veniva talmente facile realizzare un videoclip, anche in mezza giornata, che riuscivo a farlo costantemente e poi da lì sono arrivati i vari contatti nel mondo della musica riuscendo ad arrivare anche ai più grandi.
Per quanto riguarda il discorso legato alla professione, io credo che questo mestiere con la telecamera a volte abbia molto a che fare e a volte praticamente per niente. Si tratta di una cosa assolutamente soggettiva, che dipende dal regista. Io sono di quelli che a volte ama stare in macchina, altre volte invece seguo il monitor, giusto per capire come vanno le cose. Quello che è imprescindibile, secondo me, è l’istinto del gusto, qualcosa di inspiegabile. Ci sono dei momenti, quando scegli quello che ti piace, in cui si capisce subito se sei parte di questo mondo oppure no. L’istinto è qualcosa di cui non ti rendi neanche conto, non stai lì a pensare cosa è giusto e cosa non lo è.
“Habemus mister” è la tua opera prima che ha visto anche la collaborazione della sceneggiatrice Ilaria Macchia. Com’è nato questo docufilm e la relativa sceneggiatura?
Nel giorno stesso delle dimissioni del Papa Benedetto XVI ho avuto l’idea di riprendere tutto quello che accadeva in piazza. Durante le interviste che realizzavo la domanda era sempre la stessa: “Cosa sta succedendo?”. Se gli interlocutori erano al corrente degli eventi, si lasciavano andare anche in monologhi di 20 minuti. Andavo tutti i giorni a riprendere, pensavo fosse bello documentare le dimissioni del Papa e le reazioni della piazza, poi pian piano mi sono accorto che non avevo a che fare semplicemente con dei fedeli bensì mi trovavo di fronte a dei veri e propri tifosi del papa. Quindi sono andato da Ilaria, la sceneggiatrice, e le ho detto di non essere interessato alla realizzazione di un documentario sul Papa. Alla luce della mia deduzione, anche lei, riguardando il materiale raccolto, ha avuto la mia stessa sensazione e abbiamo pensato di legare la storia del papa ad una vicenda che rappresentasse il mondo sportivo. Da lì è nato tutto, abbiamo trovato il mister, con cui mi allenavo in una piccola squadra di calcetto, l’unico contatto sportivo che avevo. Quest’allenatore non vedeva l’ora di mollare la squadra, quindi ho subito trovato una situazione che in qualche modo potesse riallacciarsi a quella del Papa ed è venuto fuori il documentario. Questo lavoro sta ricevendo degli ottimi riscontri, l’abbiamo presentato in anteprima nazionale al Bif&st, Bari International film festival, tra i più importanti d’Italia, ed è stata una bella soddisfazione. Naturalmente parteciperemo anche ad altri Festival con altre proiezioni, ci stiamo muovendo per ottenere i migliori risultati possibili.
Nonostante la tua giovane età, hai tante collaborazioni importanti all’attivo… Tra i tuoi lavori più noti, ci sono i videoclip che hai realizzato per i Negramaro. Qual è stato il video con cui li hai conquistati all’inizio del vostro percorso insieme?
Io e Giuliano siamo dello stesso paese, con Andrea eravamo addirittura vicini di casa solo che tra di noi c’è una differenza di età di circa 7-8 anni e all’epoca non ci conoscevamo. Quando iniziai a fare le mie prime cose con la webcam, realizzai un video, ancora disponibile su Youtube, intitolato “Indice tenace”. Quando ho fatto questo video, ci ho messo sopra “Notturno”, un brano tratto dal primo album dei Negramaro. Qui ritorna il discorso legato all’istinto: in quel brano c’era l’atmosfera perfetta per quello che intendevo comunicare. Non so esattamente come sia arrivato nelle mani di Giuliano e di tutti i ragazzi, comunque l’hanno visto e quando poi ci siamo incontrati, per caso, in un pub a Covertino, Giuliano mi ha visto e mi ha chiesto se ero io il tipo che aveva realizzato quel video pazzo in stop motion con il brano “Notturno” e da lì è iniziato tutto. Da un giorno all’altro mi hanno chiesto di seguirli con loro in tour per documentare tutto quello che accadeva, ho lasciato il set di un film a cui stavo lavorando da due mesi e sono partito con loro. Da lì è nata un’amicizia fortissima, siamo praticamente fratelli.
In una recente intervista hai raccontato che, tra i video che hai girato per la band salentina, sei più legato a “Sei”. Ci racconti perché e quali sono le suggestioni interpretative che intendevate trasmettere attraverso il video?
Ogni video ha una sua gestazione, è frutto di un pensiero che può durare anche mesi e con i Negramaro succede spesso di parlare tantissimo prima di arrivare alla fase di realizzazione del video. Per quanto riguarda “Sei”, loro volevano moltiplicarsi, cioè volevano che questo sei diventasse un multiplo di sei, un numero che fosse in grado di rappresentarli sempre, per cui ho pensato che la cosa più giusta fosse ricreare una stanza di specchi. Quello che si evince dal video è il fatto che sono sempre loro sei ma si ritrovano, si rivedono, si rispecchiano, tutto si moltiplica. Quando poi ho scritto l’idea e l’ho proposta alla produzione, per curare tutto l’esecutivo, avevamo la necessità di ambientare il video in una location del tutto fiabesca, un po’ fuori dalla realtà, qualcosa di non facile da trovare e che potesse ospitare grandi strutture, l’abbiamo trovata nei pressi di Otranto a Le Orte. Tengo molto a quel video perché dietro c’è un lavoro impressionante.
Cosa significa per te realizzare un “ritratto di note”, ovvero fissare i suoni in immagini?
Nei videoclip, ma anche nei film, c’è sempre un suono; ci sono dialoghi che hanno un suono e poi ci sono dei silenzi. Quando giro un video spesso agiamo in assenza di musica, come è accaduto, ad esempio, nel caso di “Se” di Marco Sbarbati. Ho lasciato a tutti molta libertà di fare, gesticolare, e mentre riprendevo, mi accorgevo delle sonorità dei gesti. Quello era il tipo di musica che doveva accompagnare quelle immagini. In sintesi, durante le riprese quello che è importante non è la musicalità ma il suono, ogni tipo di azione mi dà un suono e, quel tipo di suono, può essere legato a determinate musiche.
Alla luce di quanto ci hai spiegato, qual è la cifra stilistica che hai seguito per la realizzazione del videoclip di “Se”?
Si tratta di un video molto intimo. Il brano è molto delicato, parla di attimi, di momenti, di cose che possono essere cambiate dal nulla e volevo focalizzarmi su attimi che possono verificarsi anche nei più piccoli movimenti che non ricordiamo e non sappiamo nemmeno di compiere. Altri elementi di cui non riesco a fare a meno sono le mani. Nel video ci sono, infatti, molte mani, siamo un popolo che vive di gesti, io sono un po’ ossessionato dalle mani e dalla nudità dei corpi e quello è un video che fa attenzione al gesto.
Puoi anticiparci qualche collaborazione di cui vedremo a breve i frutti?
Sì, ho girato un video per Le Strisce che uscirà in questo mese. Davide Petrella, tra l’altro, ha scritto delle cose molto belle anche per “Logico”, il nuovo album di Cesare Cremonini.
Hai dei progetti paralleli in corso?
Ci sono ovviamente anche delle altre cose che usciranno durante la seconda metà di quest’anno che sto ancora pensando e scrivendo. Adesso sono in una fase di scrittura documentaristica. Per i videoclip si tratta, invece, di cose che cambiano di giorno in giorno.
Quali sono, secondo te, le prospettive future del settore audiovisivo?
Questo è un settore in continua evoluzione. Anche se si parla di crisi, in particolar modo nel mondo del cinema, ci sono tantissime sit com, serie tv, reality che, in ogni caso, stanno determinando un cambiamento del linguaggio in uso. Io faccio parte della categoria degli ottimisti, penso che questo sia un periodo di passaggio, di transito, c’è molto fermento e voglia di fare, non solo da parte dei giovani. Per quanto riguarda il pubblico, invece, la direzione è un po’ negativa, perché il cinema non è più quello di una volta, relativamente ai numeri, Internet ha cambiato il modo di vedere le cose, l’audiovisivo dovrà adeguarsi a questi cambiamenti. Forse in futuro non avremo più film da 600 sale ma film da 100 sale. A me dispiace dirlo perché trovo che il cinema sia completamente un’altra cosa; quando ho visto il mio documentario in sala, durante l’anteprima, mi veniva da piangere per l’emozione però l’uomo ormai tende a stare più a casa che in giro. Forse dobbiamo accettare o abituarci all’idea di un cinema a portata di clic.
Raffaella Sbrescia
Si ringrazia Tiziano Russo per la disponibilità