L’Associazione Culturale “Live Tones – Napoli Party rappresenta lo sbocco naturale dell’impegno e degli sforzi di due persone in particolare: Alberto Bruno, Direttore Artistico delle omonime rassegne targate Live Tones e grande conoscitore dello scenario jazz internazionale, e di Ornella Falco, direttrice organizzativa, storica dell’arte operante all’interno della Sovrintendenza Archeologica presso il Ministero dei Beni Culturali, da sempre attiva nell’organizzazione di mostre d’Arte Contemporanea e grande amante della musica jazz. Punto di riferimento nella promozione e nella divulgazione della cultura nella città di Napoli, Live Tones Napoli Party torna a proporsi come grande aggregatore sociale attraverso la terza edizione della rassegna estiva patrocinata dall’Assessorato Cultura e Turismo del Comune di Napoli. Abbiamo, dunque, incontrato Alberto Bruno ed Ornella Falco per conoscere quali saranno le sorprese in serbo per il pubblico e per capire a fondo quali siano le condizioni e le prospettive della musica jazz a Napoli.
Qual è la storia del Live Tones e quali sono state le fasi della crescita e dello sviluppo di questa realtà?
Alberto: La rassegna del Live Tones nasce dopo un’esperienza pregressa di direzioni artistiche in varie locations. Ho iniziato, circa 14 anni fa con la direzione artistica di un teatro sito nell’area 17 della Mostra d’Oltremare. In quell’occasione fui chiamato da un amico che, conoscendo la mia passione sfegatata per il jazz e sapendo che io ero molto ben inserito nel settore, perché seguivo già da tanto vari festival diventando amico di grandi musicisti, mi fece questa proposta. Per me fu una gioia, i primi a suonare furono Javier Girotto con gli Aires tango poi ci furono Danilo Rea e Roberto Gatto in duo e poi, ancora, venne Sergio Cammeriere con Fabrizio Bosso e così via….Questa rassegna si teneva il martedì in una struttura affittata dai circensi; il fatto singolare era il palco a forma di pedana circolare, un contesto in cui i musicisti erano contenti di trovarsi. Da lì continuai con altre direzioni artistiche, l’avventura successiva si tenne al Marabù, dove, per 4 anni, ho portato i più grandi jazzisti italiani ed internazionali.
Nel frattempo ci sono state anche altre collaborazioni, ero direttore organizzativo di altri spazi, anche di una certa importanza: ho organizzato concerti al Teatro Augusteo, al Madre, al San Carlo, fino ad arrivare al momento cruciale della scelta di prendere il Live Tones, un locale che rispecchiasse la mia idea di jazz vissuto nel Club, memore delle serate passate anni prima all’Otto Jazz Club, il Club storico di Napoli… Ho, quindi, rilevato questo locale, aiutato dalla valida Ornella Falco per creare un punto di riferimento del jazz a Napoli e vivere questa musica dal vivo con un’atmosfera magica. Purtroppo ci sono riuscito solo in parte perché dopo due anni e mezzo ho dovuto chiudere il locale però ho comunque mantenuto in vita l’Associazione Culturale per poter continuare a portare avanti il mio discorso, ovvero accomunare i grandi nomi con i musicisti emergenti. Una delle cose che ho sempre sostenuto è che, per fare il grande jazz non c’è bisogno del grande nome, ci sono tantissimi artisti che sono bravi tanto quanto i grandi nomi e che portano avanti il jazz in modo egregio. Per questo motivo, una volta chiuso il locale, abbiamo continuato le rassegne…Una di queste è stata quella che si è svolta all’Auditorium Salvo d’Acquisto e adesso continuiamo con quella di Summer Live Tones, un’iniziativa che portiamo avanti già da tre anni e che rappresenta la versione estiva del Live Tones Club.
Questa è la terza edizione estiva della rassegna jazz… artisti di calibro internazionale si alterneranno a nuove leve del jazz che segnano il futuro, per qualità progettuale e tecnica, di questo genere musicale.
Alberto: Quest’anno continuiamo con il preciso intento di portare avanti l’idea di alternare grandi nomi e giovani emergenti. Ci sarà il gruppo di Luigi Masciari con Enrico Zanisi (fender rhodes), Cristiano Arcelli (sax), Daniele Mencarelli (basso), Alessandro Paternesi (batteria) dei giovani ormai più che promettenti. Poi ci sarà la M.A.D Orchestra, dei ragazzi che ci hanno sempre sponsorizzato, venendo a farci da supporto e che questa volta ho voluto fortemente sul palco. Ho, inoltre, la fortuna di conoscere ed essere amico di tanti musicisti e quindi, trascendendo dal discorso puramente artistico, mi fa piacere chiamare gli amici. Il primo in assoluto è Danilo Rea, cosiddetto fratellone, che già due anni fa, ha tenuto un concerto in trio proponendo un progetto sui Beatles. Quest’anno, invece, ho voluto Danilo in un piano solo, la dimensione espressiva ideale per un musicista. La magia del jazz sta nel fatto che ogni sera c’è una musica diversa, ogni sera ci sono delle note in grado di rispecchiare uno stato d’animo. Ho ascoltato decine e decine di concerti di Danilo Rea e mi sono sempre emozionato, con due note Danilo ti arriva direttamente al cuore. Altro amico fraterno è Roberto Gatto che, questa volta, si propone con il progetto del Perfect Trio con Alfonso Santimone (piano e Fender Rhodes) e Pierpaolo Ranieri (basso elettrico), due giovani e validissimi musicisti carichi di energia. A chiudere la rassegna, il 30 luglio, sarà Fabrizio Bosso con un progetto che ho ascoltato durante l’edizione di Umbria Jazz Winter e che vedrà Alberto Marsico all’ Organo Hammond e Alessandro Minetto alla batteria. Sono rimasto molto colpito da questo progetto, nonché dalla bravura di Fabrizio Bosso che, coadiuvato da questi due bravi musicisti, riesce sempre a sbalordire. Abbiamo, poi, voluto inserire qualcosa che potesse rispecchiare qualche altra sfumatura della musica jazz, stiamo parlando di Riccardo Arrighini che, dopo aver rivisitato Puccini, Chopin, Vivaldi, verrà in trio con Mirco Capecchi (contrabbasso) e Vladimiro Carboni (batteria) proponendo un progetto molto interessante, intitolato “Beethoven in Blu”. Colgo l’occasione per specificare anche che le scelte della nostra produzione artistica si concretizzano attraverso dei concerti che si basano sulla scelta di progetti e non sono jam sessions.
Non solo musica ma anche, e soprattutto, arte. Quali saranno le location scelte per questa edizione e con quali presupposti presentate questa rassegna al pubblico?
Ornella: La musica è una di quelle forme artistiche che ognuno di noi vive forse con più frequenza rispetto a una scultura o ad un dipinto. Anche quando avevamo il locale, durante le nostre rassegne invernali, ai concerti abbinavamo una mostra d’arte, mostre fotografiche, presentazioni di libri. In effetti Live Tones Napoli Party è un’Associazione Culturale, il cui scopo primario è la conoscenza, la divulgazione e la promozione della musica e del genere jazzistico in particolare, senza escludere, tuttavia, la dimensione artistica. In questo specifico caso, si è creata una fortunata casualità: il Comune di Napoli portava alcune location sulla piazza, seppur con molta sofferenza, per farle conoscere ancora di più agli indigeni. Molto spesso sono, infatti, proprio i napoletani stessi ad essere esclusi dalla conoscenza del proprio territorio, quindi ci è sembrato un buon connubio unire la conoscenza musicale con quella delle strutture che caratterizzano la nostra città. Se l’anno scorso, ad esempio, abbiamo usufruito del Maschio Angioino (di cui disporremo anche quest’anno) e della struttura del Pan che, pur non essendo un edificio monumentale, rappresenta un palazzo artistico di particolare rilevanza nel contesto partenopeo, quest’anno, per delle scelte non volute, siamo stati fortunati nel poter scegliere come seconda sede il convento di San Domenico Maggiore e, più precisamente, lo spazio che viene gestito dall’Associazione Pietrasanta. Il connubio è, dunque, voluto: se da un lato c’è una direzione artistica musicale, dall’altro c’è una direzione artistica interessata all’arte pura che, in qualsiasi modo, cerca di non escludere le arti materiali e strutturali.
Quali difficoltà affrontate, giorno dopo giorno, per portare musica di qualità a Napoli? Questo spazio intende fare luce sugli innumerevoli sforzi quotidiani che organizzatori, promoters locali e addetti ai lavori fanno per portare luce e lustro sulle realtà musicali che ci circondano…
Alberto: Le difficoltà per chi, come noi, opera con le proprie forze sono notevoli. Purtroppo c’è una discriminazione per quanto riguarda i vari sovvenzionamenti che vengono dati in giro. Basterebbe darne un po’ a tutti per fare in modo che le cose funzionassero meglio. Purtroppo siamo, invece, costretti a patire e a fare riferimento soltanto alle nostre potenzialità, nonostante un discorso culturale di una certa importanza qui a Napoli. Tutto quello che realizziamo è il frutto di grandi sforzi e, quasi sempre, non riusciamo neanche a coprire le spese. Andiamo avanti per lo spirito della passione perché veramente crediamo in queste iniziative e nella bellezza della musica jazz, per cui cerchiamo di portare avanti questi progetti con tutte le nostre forze. Ad ogni modo, lo ribadisco, basterebbe una piccolissima parte dei fondi che vengono stanziati per poterci far andare avanti con tranquillità e fare delle cose ancora più interessanti. A volte ci aspetteremmo un aiuto in più, anche da qualche sponsor privato, ma, anche in quel caso, è come se non ci fosse un interesse a voler divulgare cultura. Per una città che, per secoli, è stata la culla della cultura, il disinteresse generale riflette la generale tendenza nel preferire un’attesa di ore per mangiare una pizza piuttosto che andare a sentire un concerto jazz.
Come sono le prospettive per la musica dal vivo e quella jazz in particolar modo?
Alberto: Non sono assolutamente rosee, è facile per chi ha i fondi fare i grandi Festival e chiamare i grandi nomi mentre per noi, che operiamo con le nostre forze, diventa veramente difficoltoso e, come noi, ci sono tante associazioni culturali che cercano di portare avanti certi discorsi e che faticano tanto.
Ornella: Questo avviene anche perché non c’è risposta da parte di un pubblico, troppo spesso disattento e non educato all’ascolto. Che sia musica di spessore o di livello mediocre, il pubblico non ha interesse ad assistere ad un concerto in un Club dove il silenzio per un concerto jazz è primario mentre, invece, è abituato ad andare nelle enoteche dove si fa anche musica ma, in quel contesto, non si ascolta musica, si tratta di bere, mangiare con intrattenimento musicale; una grandissima offesa per chi è sul palco, per i musicisti che sudano e per tutti gli anni di studio durante i quali essi hanno combattuto sia economicamente, per portare avanti i propri studi, sia moralmente, per far conoscere la propria musica. Allo stesso tempo il pubblico non è abituato nemmeno ad osservare e ancora più spesso, siamo costretti a fare i grandi nomi, sia in ambito musicale che artistico, perché il pubblico è abituato a frequentare certi posti soltanto per poter dire: “Io, c’ero”. Se dobbiamo vendere le arti attraverso il nome, questa città andrà sempre più verso la mancanza di cultura ed il presenzialismo.
Raffaella Sbrescia