Lollipop 50s torna all’Estathé Market Sound in una domenica a tutto vintage per salutare quest’estate indimenticabile a suon di swing e rock and roll!
Sul palco del village ci sarà il travolgente Matthew Lee performer, pianista e cantante innamorato del rock’n'roll, che ha fatto propri gli insegnamenti dei grandi maestri del genere. Un vero talento, che, nonostante la giovane età, ha già sulle spalle circa 1000 concerti suonando in tutta Europa: Italia, Belgio, Inghilterra, Francia, Svizzera, Slovenia, Olanda, Germania, e si è inoltre esibito negli Stati Uniti ed in Africa. In quest’intervista Matthew Lee ci parla di “D’altri tempi” (Carosello Records). L’album, realizzato con l’intervento di autori e produttori sia italiani che internazionali come Luca Chiaravalli, Claudio Guidetti, Mousse T e Chris, racchiude 12 tracce (6 in italiano e 6 in inglese), tutte legate da un inconfondibile ritmo rock’n’roll rivisitato in chiave moderna.
Matthew, qual è il mood che attraversa l’album?
Questo è il mio primo “vero” lavoro discografico. Fin dal principio ho curato ogni canzone ed ogni dettaglio insieme ad alcuni dei più importanti produttori italiani ed internazionali. Il disco è stato registrato in tre paesi diversi (Italia, Inghilterra e Germania), ed è un lavoro in cui ho racchiuso tutti i lati della mia personalità: da quella rock’n’roll a quello più blues, fino al mio lato più romantico. Quello che mi ha dato maggiore soddisfazione è stato entrare in studi di registrazione veri e lavorare con eccezionali professionisti.
“E’ tempo d’altri tempi” è il tuo manifesto artistico?
Ho vissuto diversi anni suonando dal vivo il rock’n roll, il blues, lo swing, indie hop, boogie- woogie, tutti generi che son tornati in voga da poco tempo. Ho sempre guardato a questi ritmi con molto interesse per cui, quando mi hanno proposto di lavorare al disco, ho pensato di scrivere sulla base di quanto avevo fatto fino a quel momento. Tutto il disco è interamente pensato per il live, la cosa che mi interessa di più in assoluto.
Con più di 1000 concerti alle spalle, come affronti oggi il palco?
Con passione e spensieratezza. Nella mia vita ho girato davvero tanto. In tempi non sospetti caricavo video su Internet e sfruttavo la visibilità del mio canale su Youtube. Mi hanno contattato spesso dall’Inghilterra, poi mi hanno chiamato in Olanda, in , fino ad arrivare in America (New York, Ohio) e persino in Africa (Tunisia e Capo Verde). Le cose sono andate sempre meglio anche se le mie idee vengono sviluppate dal mio ottimo management che lavora alacremente.
Come hai concepito l’arrangiamento de “L’isola che non c’è”, così distante da quello originale di Bennato?
Questo brano mi è sempre piaciuto molto; credo sia uno dei capolavori della musica italiana in generale. La prima cosa che ho fatto quando ho iniziato a lavorare a questo album è stato proprio riarrangiare questo brano con il mio stile ed è stato un processo davvero molto naturale.
Quale versione preferisci tra quella in italiano e quella in inglese?
Le due versioni hanno due storie. Quella italiana è quella che ho inventato, l’altra è giunta poco prima della chiusura del disco perché Bennato, dopo aver ascoltato la registrazione della versione in italiano, mi ha chiesto di farne una in inglese con un testo fornito da lui stesso. L’ho realizzata subito, lui l’ha ascoltata, gli è piaciuta e l’abbiamo inserita. Visto che mi piacciono tutte e due, nei concerti ne faccio una ma la divido in due.
Cosa ci dici di “Così Celeste” di Zucchero?
In questo caso ci ho lavorato molto di più perché la canzone nasceva come un’autentica ballata. Ci ho dovuto ragionare molto ma per fortuna anche questa è piaciuta molto all’autore.
“Can I take a bit” è un pezzo molto energico.
In questo caso abbiamo fatto un lavorone. Siamo andati in Germania, ad Hannover, nello gigantesco studio di Mousse T, abbiamo ragionato pur senza avere un’idea ma alla fine è stata un’esperienza super.
Quanto c’è di te in “Place that I call home”?
Ho scritto questa canzone in Inghilterra durante una session prima delle registrazioni del disco. Di solito vivo con la valigia già pronta ma, per quanto mi piaccia stare in giro, la vita vera è un’altra cosa. Quando sei in tour sei sempre di corsa, dormi in orari strani ed è sempre bello tornare nella mia Pesaro.
Come affronti questa vita così frenetica?
Non saprei, è talmente divertente che a volte non mi soffermo a pensare. Mi appaga fare il musicista, si tratta di una passione che sono riuscito a trasformare miracolosamente in lavoro che non definirei neanche tale. Alla fine sono una persona abbastanza quadrata per cui cerco di bilanciare le cose.
Che aspettative hai per questo album?
Sono contentissimo. Mi piace portarlo in giro perché ci abbiamo messo il cuore e tutta la passione possibile. Non ho paura, c’è tanto di me qui dentro ed è una bella sensazione.
Come ti rapporti con chi ti segue da tempo?
Cerco di parlarci, di essere partecipe e di tenermi in contatto il più possibile. Mi piacerebbe organizzare un bel raduno- incontro con tutti loro.
Raffaella Sbrescia