Cantautore, musicista, e fondatore della “Nuova Compagnia di Canto Popolare”, Eugenio Bennato è considerato uno degli esponenti più importanti della musica popolare e, grazie al grande consenso conquistato sia in Italia che all’estero, la sua missione di dialogo interculturale continua a trovare nuovi sbocchi artistici e musicali.
La sua ricerca artistica e musicale si concentra, da ormai svariato tempo, sull’identità dello spirito meridionale. Come si è evoluto nel tempo questo processo creativo e quali sono i caposaldi imprescindibili della sua musica?
Da sempre seguo dei percorsi che mi portano a cercare le cose che mi piacciono. Sin da ragazzo, ritrovo nel Sud del mondo un messaggio musicale davvero affascinante e, anche quando fondai la Nuova Compagnia di Canto Popolare, per creare un’alternativa alla musica di quel tempo, andai nelle campagne del Sud per riscoprire una musica che si stava per dimenticare e per perdere. Dopo tanti anni, guardando tutto questo in prospettiva, mi viene da dire che avevo ragione perché oggi in Italia la musica etnica rappresenta un punto di forza straordinariamente rivoluzionario. A questo devo aggiungere che, sia per mio interesse personale, sia per questioni legate alle opportunità che la mia attività di cantautore mi ha dato, ho scoperto di avere delle grandi affinità anche coi popoli della sponda sud del Mediterraneo a cominciare dal Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto. In questo modo mi sono reso conto che le forme musicali, il modo di far musica, in particolare, con dei ritmi molto travolgenti, è qualcosa che appartiene, in realtà, a tutta l’area mediterranea.
Quali sono gli ideali, i valori e gli obiettivi del movimento “Taranta Power”?
Naturalmente il mio intento di partenza è sempre di natura artistica ma devo dire che oggi centinaia di migliaia di ragazzi partecipano a questo movimento, intendendolo come una vera e propria scelta. La musica etnica corrisponde ad un mezzo per opporsi alla globalizzazione musicale imposta dal business televisivo.
Sta lavorando a nuove canzoni? In che direzione intende muoversi?
Vivo sempre con l’incertezza di riuscire a fare cose di un certo livello. Il mio pubblico è molto esigente perché forse l’ho abituato a progetti che hanno sempre ricevuto un grande riscontro… Potrei citare, in particolare, “Che il Mediterraneo sia”, il brano che continua ad essere la colonna sonora di “Linea Blu”. Per questo ed altri motivi, tutte le cose che scrivo non possono essere buttate lì senza che ne sia convinto a fondo. Chiaramente adesso sto preparando delle cose nuove, a partire dal brano “Notte del Sud ribelle”, che ho scritto in occasione della Notte della Taranta, e che prende ispirazione dagli straordinari eventi in cui si radunano 150 mila persone per ballare sulle note di un tipo di musica che, solo fino a qualche anno fa, nessuno conosceva.
Beh, certamente si tratta un grande onore e di una grande soddisfazione dal risvolto, anche sociale, molto importante. Se si pensa alla dimensione che vivono gli extracomunitari in Italia, la mia musica mira ad aiutare tutti coloro che intendono integrarsi. Potrei definirlo una sorta di abbraccio artistico.
Cosa racconta nel libro “Ninco Nanco deve morire”?
Il libro muove i passi da un percorso parallelo: la scoperta dei tesori sommersi della musica popolare mi ha portato anche ad approfondire la conoscenza di personaggi dimenticati dalla storia. In particolare le vicende che hanno visto il Sud vittima di una vera e propria invasione, che ha portato sia ad un evento positivo, quale è stata l’Unità di Italia, sia ad processo di amalgamazione condotto in maniera irrispettosa nei confronti della nostra identità. Così come è stato appurato da numerosi studi, è fuori dubbio che nel 1860 l’esercito sia sceso al sud d’Italia ( a Napoli, in Calabria, in Sicilia) anche con l’intento di sradicare la cultura del posto. Di conseguenza il sud è andato incontro ad una decadenza che, a sua volta, ha causato altri fenomeni come l’emigrazione, il clientelismo ed il brigantaggio. Proprio la scoperta delle figure dei briganti, ed in particolare di Ninco Nanco, assume, dunque, un significato più profondo: significa acquisire la consapevolezza e i mezzi per la sopravvivenza della nostra cultura. Per queste ragioni i ragazzi di oggi, che ballano la pizzica o la tammurriata, vedono questi personaggi come eroi perché essi si sono battuti per la propria terra.
Come ha vissuto il suo ultimo tour in Sud America e cosa le ha lasciato quest’esperienza di scambio culturale così intensa?
Anche in questo caso c’è stato un grande riscontro da parte del pubblico con i teatri pieni a Buenos Aires, Santiago de Chile, San Paolo. Tra poco partiremo nuovamente proprio per il Sud America e ad aprile saremo in Uruguay e in Argentina. Naturalmente questa esperienza mi ha consentito di prendere atto del fatto che anche quel sud, apparentemente così lontano, è molto vicino al nostro.
Quali sono le sue aspettative artistiche e come pensa che i giovani di oggi possano raccogliere l’eredità lasciata dal suo repertorio musicale?
Sono molto fiero del fatto che ci siano molti ragazzi che riprendono i miei brani, su tutti “Brigante se more”. Sono molto attento a questo fenomeno perché io credo che esso possa sopravvivere solo grazie alle scintille dell’arte. Ai ragazzi che suonano e che fanno musica etnica auguro che possano avere intuizioni nuove che riescano a rispecchiare la realtà del presente. Quando io tengo un concerto, ad esempio, mi rifaccio alla musica del sud e alla storia del passato ma, allo stesso tempo, riesco a cogliere molti elementi legati al presente: primo tra tutti, il tema della coesistenza e dell’accoglienza degli extracomunitari in Italia, un problema sociale molto importante. Tanti giovani di altri sud del mondo necessitano di amore e di integrazione, le cose non si risolvono chiudendo le frontiere.
Se potesse descrivere il meridione del 2014 con una manciata di aggettivi quali userebbe?
Il meridione oggi rappresenta una valida contrapposizione all’appiattimento globalizzante ed è un luogo dove può succedere qualcosa di nuovo e di positivo. Questo pensiero nasce da quello che io vedo ogni qual volta in cui tengo un concerto e lo dico perchè parlo di gente viva.
Raffaella Sbrescia
Video: “Ritmo di Contrabbando”