Motel Connection in action!

Si è tenuto lo scorso 11 maggio lo straripante concerto dei Motel Connection presso l’Arenile Reload di Bagnoli a Napoli all’interno della ricchissima rassegna musicale targata Drop.
Galvanizzato dalla sensazionale performance, in apertura, di Andrea Bertolini, granitico dj producer dei Motel Connection, il pubblico si è mostrato fin da subito pronto ad esplodere anche sulle note degli inediti presenti in “Vivace”, l’ultimo cd pubblicato dal gruppo nato dall’incontro di Samuel Romano (voce dei Subsonica), Pisti, dance oriented Dj e produttore di forte presenza scenica e Pierfunk, primo bassista dei Subsonica dallo spirito funk.
Forti del fatto che avranno il prestigioso compito di aprire i concerti degli storici Depeche Mode, in occasione delle loro date italiane, i Motel Connection sono apparsi in grandissima forma e assolutamente in vena di sperimentazioni.
Per riassumere l’essenza di uno show assolutamente poco ordinario, ci serviremo di una manciata di aggettivi pronti ad evidenziare i momenti salienti dell’evento:
Delirante: è stato il pubblico che, sulla scia delle coinvolgenti note di successi ormai celeberrimi come Two e di una originale rivisitazione di Should I stay or Should I go dei Clash, ha quasi travolto la sicurezza allentando le fascette che tenevano assemblate le transenne.
Psichedelico: il gioco di effetti sonori creato ad hoc mediante una consolle centrale, gestita da Pisti e due laterali, pronte agli input creativi di Samuel e Pierfunk.
Spettacolari: le sovrapposizioni vocali di Samuel su Overload City
Vigorosa: la performance di Pisti
Vertiginoso: l’esplosivo trio di canzoni composto da Midnight Sun, Praise God e Less is more.
Inossidabile: lo smalto della voce calda e sinuosa di Samuel, protagonista, tra l’altro, di una effervescente improvvisazione in consolle.
Adrenalinica: l’esibizione al basso di Massimo “JRM” Jovine dei 99 Posse, special guest della serata.
Infernale: il boato del pubblico sulle note di Eyes from Hell, brano di chiusura di un concerto alla nitroglicerina.

Dimartino live @Lanificio 25

La rassegna musicale “La nostra primavera” , organizzata e promossa dall’Associazione Bulbartworks, si arricchisce di appuntamenti imperdibili. Ultimo, in ordine temporale, il live di Antonio Dimartino, un artista che non ama definirsi cantautore ma che ne possiede, innatamente, tutte le caratteristiche.
In questo specifico caso non ci tratterremo elogiando il suo evidente talento, in tanti ormai hanno infatti speso meritati fiumi di parole per evidenziare in tutti i modi la sua trasparente vena comunicativa.
Il live proposto da Dimartino, accompagnato dalla potenza strumentale di Angelo Trabace alle tastiere e dall’ imponente trasporto di Giusto Correnti alla batteria, è una ventata di fresca brezza marina che inebria il corpo e la mente proprio un attimo prima di soffocare, asfissiati, da una torrida calura.
Deciso: è il piglio con cui Dimartino descrive, racconta, coinvolge il pubblico attraverso una presa di coscienza mirata e diretta dello stato in cui versano le cose
Evocative: sono le immagini costruite partendo da una singola scena. Amore sociale, Maledetto Autunno sono solo un piccolo esempio dimostrativo della veridicità di quanto precedentemente detto.
Sperimentale: la cavalcata tra sonorità più delicatamente pop e potenti sfuriate prog rock.
Fervida: è la creatività strumentale e lessicale che caratterizza le creazioni di Dimartino, sempre pronto a sorprendere l’ascoltatore con intelligente originalità
Impossibile: è restare fermi sulle note di Piccoli peccati.
Favolistica: è a tratti la narrazione di testi come Ormai siamo troppo giovani e La penultima cena
Interstellare: la scena in cui il fanciullino di Dimartino viene fuori sulle note de Io non parlo mai
Esilarante: la teatrale performance di Ho sparato a Vinicio Capossela
Surreale: l’improvviso svenimento di una fan, avvenuto mentre Dimartino si accingeva a chiudere il concerto con una toccante versione esclusivamente vocale di Marzo ‘48

 Video: Cambio Idea





Le (in)quiescenze dei Mathì

























(In)quiescenza: così s’intitola il disco dei partenopei Mathì.
 Nato da un’idea poetico-musicale il gruppo, formato da Francesco De Simone (voce e chitarre), Antonio  Marano (piano elettrico, glockenspiel, synth), Gennaro Raggio (chitarra elettrica), Raffaele Manzi (basso), Gennaro Coppola (batteria e percussioni), concentra le proprie suggestioni metafisiche immergendole in evocative poesie musicate con delicate sonorità eteree.
Volendo descrivere il disco, pubblicato dall’etichetta Controrecords, attraverso degli aggettivi lo definiremmo:
1)      Onirico: le molteplici ispirazioni filosofiche irradiano le visioni e le tempeste emotive narrate in La mano di Dio sulla mia schiena e L’Abisso
2)      Inebriante: come una ventata di illuminante verità in una dannata notte insonne
3)      Vorticoso: nel descrivere i virtuosismi di anima dilaniata da un sentimento di ansia somatizzata ne La serpe
4)      Inquiescente: ogni brano racconta una singolare tipologia di (in)quiescenza, penetrando nelle viscere dell’inconscio pronto a vomitare tutti i pensieri più reconditi
5)      Autentico: niente svirgolamenti ed arzigogoli, la voce di De Simone è quasi un anelito impercettibile, lesto ad insinuarsi nella mente dell’ascoltatore
6)      Filosofico: un lessico forbito ed elegante sintetizza e racchiude le nobili intenzioni di un animo in cerca del vero
7)      Visionario: le immagini surreali di A ritmo di pioggia stimolano l’immaginario verso inediti orizzonti
8)      Inquieto: è il percorso di ricerca che si conclude la destabilizzante immagine di un vuoto colmo di nulla

Il Sabato Sera di Dj Cerchietto

Bando alla sedentarietà di coppia! Il sabato sera è dedicato al groove da ballare alle falde della consolle del dance floor!
Questo è il leit motiv di “Sabato Sera”, il nuovissimo singolo di DJ Cerchietto, tra i più bizzarri ma anche più in voga della movida napoletana. Scritto a quattro mani con il musicista e produttore Luca de Gregorio, DJ Cerchietto lancia un appello di amore e libertà in pista da ballo con questo suo nuovo singolo, il terzo dopo Sett’e hot e ABC…Dance, che assieme contano ormai oltre 20.000 visualizzazioni su You Tube, piccoli tormentoni cult nel by night campano. 
 Speakerato in italiano, registrato presso gli ainoonstudios.com di Napoli e masterizzato da Chris Gehringer agli Sterling Sound Studios di New York, il brano si avvale nei cori della voce swingante di Valentina Brandi e di un video clip realizzato dall’agenzia di comunicazione Adversa.
 “Troppi amici, troppe amiche hanno smesso di ballare anzi tempo. Eppure avrebbero tanta voglia di continuare a farlo. In coppia, scoppiati o magari anche una notte da soli in mezzo ad altri sconosciuti, spiega Cerchietto. “Poche occasioni nella vita riescono ad essere così liberatorie come un sabato sera in discoteca e sono sempre di più le persone che riscoprono le gioie del ballo dopo i 60 anni. Possibile che non si possa tentare di ballare tutta la vita con la necessaria regolarità almeno il sabato sera?”
Questi le irriverenti parole con cui  DJ Cerchietto presenta il suo pezzo, arricchito da sonorità accentuatamente ritmate e un ampio utilizzo dei sintetizzatori.
La sua mission è, da sempre, quella di giocare con la musica, divertirsi e divertire con play list improbabili con uno stile musicale poco classificabile che egli stesso definisce “flash dance”. 
Il risultato è un riuscito connubio musicale pregno di humour e creatività.

L’Album biango degli Elio e le Storie Tese.

L’ ”Album biango” è il nono album pubblicato dagli Elio e le Storie Tese, uno dei gruppi più irriverenti della scena musicale italiana.
In questa sede proviamo a definire questo nuovo lavoro attraverso l’uso di 10 aggettivi:
1)      Biango: ovviamente
2)      Polemico: tutto l’album è attraversato da una sottile, ma evidente, vena polemica ed insofferente
3)      A- sociale: Lettere dal WWW e soprattutto Lamposono i due brani dedicati al mondo social. La sintesi perfetta del fastidio nei riguardi della nuova moda del condividere sé stessi e la propria vita sul web sta nella frase” Sai che mi hai davvero rotto il cazzo con le tue fotografie, gradirei che le mie facce rimanessero mie”
4)      Provocatore: le frecciatine, più o meno celate e le caricature farcite di pungente satira sono ormai un consolidato marchio di fabbrica per i contenuti degli Elii
5)      Scenografico: la teatralità che spesso contraddistingue le performance live del gruppo si rispecchia anche negli arrangiamenti degli inediti proposti in questo disco come avviene, ad esempio, in Amore amorissimo e l’ormai famoso Complesso del Primo Maggio
6)      Eterogeneo: tra le sonorità rock e i richiami balcanici, la varietà di generi musicali è sicuramente un tratto distintivo dell’album
7)      Menefreghista: gli Elii esprimono le loro idee in maniera efficacemente immediata, della serie pane pane, vino al vino
8)      Dannato: forever
9)      Analogico: qualità e tradizione sono i presupposti basilari per un ottimo impianto strumentale
10)  Saggio: scherzando e ridendo Elio e le Storie Tese dicono sempre la verità.


Video: La canzone mononota

I canti bellicosi de I cosi

Canti bellicosi” è il titolo del secondo cd de I Cosi, trio milanese formato da Marco Carusino(voce e chitarra), Antonio Mesisca(basso), Alessandro Deidda(batteria).
Un concentrato di contenuti problematici, arricchito da sonorità vintage che ripercorrono, in versione rimaneggiata, i momenti topici della musica d’autore italiana spaziando dal rock ‘n roll al country, dalla bossanova al pop più autentico, costituisce l’essenza di questo nuovo lavoro.
I Cosi trattano con elegante delicatezza la fenomenologia della vita quotidiana, la precarietà dei sentimenti e gli enigmi della vita senza tuttavia fornire le soluzioni.
La divertente ironia di Settimana enigmistica, i riff di chitarra d’altri tempi che irradiano di luce la title track Canti Bellicosi e la vertiginosa ricerca interiore di Cerco dentro me rappresentano i tratti caratteristici di tutto il disco.
 Si prosegue con Universo, brano deliziosamente pop e Romanticamore, una cavalcata western che ci traghetta sulle note de L’assedio.
Il vezzo country de Le ragioni degli altri precede la raffinata ballad Se non ma è la dolce ninna nanna di Fotografia a lasciare ampio spazio alla più pura nostalgia amarcord.
Il disco si chiude con il relativismo nichilista di Quello che so, intriso di richiami votati al più noto repertorio dei Pink Floyd e Pandora, il fiore all’occhiello testuale e compositivo di questo disco che si presenta come la naturale continuazione di un progetto musicale qualitativamente valido.

In viaggio tra le note con Roberto Angelini e Pier Cortese.

Può ancora succedere che un sabato sera diventi un porto incantato da cui salpare alla volta di un  surreale viaggio nel tempo. È successo lo scorso 4 maggio al Blue Night in via Torrione San Martino a Napoli, con Roberto Angelini e Pier Cortese che  hanno proposto, in versione live, il loro ultimo progetto “Discoverland” all’interno della ricca rassegna musicale sostenuta ed organizzata dall’associazione Bulbartworks.
Ad aprire il concerto i partenopei Beltrami, con cui Angelini ha collaborato al brano Prima o poi,
ed il  cantautore della scuola romana Leo Pari.
Un’ora di musica inedita prima di gustare, in tutta tranquillità, l’intreccio di colori, sfumature, affreschi che hanno caratterizzato le linee guida del progetto proposto da Cortese ed Angelini.
Discoverland è una sorta di gigantesca montagna russa in cui voci, chitarra, stillguitar, Iphone, Ipad ed elettronica si divertono a cambiare continuamente rotta creando qualcosa di nuovo, diverso, sperimentale. I due cantautori, amici da sempre, riscoprono, spesso reinventando, nuove vesti per canzoni storiche di importanti artisti sia italiani che stranieri: da Paolo Conte a Ivan Graziani, da Bruce Springsteen a Bob Marley a Rino Gaetano e Bjork.
La continua ricerca di nuove sonorità musicali operata da Angelini e Cortese si avvalsa dei più moderni apparati elettronici ma non è mancato il giusto spazio all’ improvvisazione e ai momenti acustici.
La creatività dello sperimentalismo contemporaneo ha portato allo stravolgimento totale delle canzoni che, attraverso la commistione dei generi e delle più disparate epoche storiche si sono inevitabilmente tramutate in altro.
Citazioni, incastri, richiami e due calde e coinvolgenti voci hanno dimostrato, ancora una volta la più completa trasversalità della musica: particolarmente coinvolgenti le versioni di I’m on fire, Joga, Get up, stand up, I feel good, Sfiorivano le viole.
L’appuntamento è rinnovato sulle rive delle nuove sponde a cui approderemo con i nuovi dischi a cui stanno attualmente lavorando questi due girovaghi cantastorie.

Barranco – Ruvidi, vivi e macellati

“Diavolerie agrodolci, bastonate in testa e vento sottile…” queste le parole con cui i Barranco, gruppo folk originario della bassa padovana, introduce sé stesso sulla propria pagina facebook.
Ruvidi, vivi e macellati” è invece il suggestivo ed impattante titolo del disco d’esordio con cui Alessandro Magro (voce e concertina), Lorenzo Mazzilli ( voce, chitarre, ukulele, mandolino), Alberto Smanio (chitarra, ukulele, mandolino), Alessandro Quattrin (basso) ed Emanuele Ferrigato (batteria, percussioni), vissuti tra Merlara e Montagnara, hanno dato vita alla loro creatività avvalendosi del fascino di un ambiente salmastro, intriso di storia e richiami senza tempo.
Il folk cantautorale proposto dai Barranco ha più di una sfumatura antica: atmosfere ormai inesistenti, ma mai dimenticate, avvolgono la loro musica che, traccia dopo traccia segue una coerente linearità stilistica accompagnando l’ascoltatore in un viaggio a metà strada tra passato e presente.
Avvalendosi di una squisita terminologia, spesso desueta, i Barranco sembrano fuggire dalla folla in Astenia, mirando ad un pubblico raccolto e riflessivo. L’aulicità bucolica di Da questa parte e Milite lascia dietro di sé una macabra malinconia mentre il magistrale strumentalismo proposto in Effimera stende la carne, alza la voce e asciuga la fronte di chi prova a darsi una ragione per andare avanti.
La toccante immagine di un uomo che si lascia andare a fondo come una cartaccia de Il cielo non si apre è in combutta con Io parlo al vento in  cui un richiamo ancestrale fischia per cime estreme.
Nel vento la notte scintilla, cantano i Barranco in Camere oscure, e mentre scintilla, eccola percorrere tra Le Porte di Orlova, la nave fantasma, proprio quando un sinistro rumore d’acqua irrompe bagnando ogni fibra del proprio essere.
I ragazzi in cattività di Un inverno cercano il riscatto mentre il loro futuro invecchia ma Un giorno in più non farà male ci regala la sensazione di esserci appena svegliati da un sogno che è invenzione di un desiderio.

È tempo di primavera con gli Yast.

Yast” è l’ omonimo titolo del disco di una band originaria di Sandwiken, un polo siderurgico svedese. Proprio lì, lontano dalle calde atmosfere che avvolgono il loro album prodotto dalla Adrian Recordings, Carl Kolbaek Jensen, Tobias Widman, Marcus Norberg, Marcus Johanssson e Niklas Wennerstrand hanno dato luce, colore ed intensità alle 12 dodici tracce che compongono un lavoro durato circa due anni. Un cantato leggero, spesso usando un falsetto più che mai memore dell’alternative rock degli anni ’90 e delicate sonorità sognanti, sono i tratti che caratterizzano l’essenza di “Yast”.
Il disco si apre con il mood accattivante della title track, schizzi di power pop colorano con fluidità il romanticismo di cui è pervaso il testo.
La luce della California irradia lo sfondo onirico di Rock ‘n roll dreams mentre il fascino deliziosamente danzereccio di Stupidintroduce la coinvolgente piacevolezza dei synth contenuti in Robin. La voce si fa intensamente penetrante in Believesma è in Heart of Steel che il dream pop degli Yast incarna a meraviglia il concetto di freschezza.
Lo scenario oltreoceano fà da sfondo anche in I wanna be young  e Always on my mind: sonorità stilose e coinvolgenti traghettano l’immaginario collettivo oltre il pensabile mentre le lievi distorsioni proposte in Strangelife  e i suoni liquidi di Sick sono amabili anfratti di preziose insenature della mente.
Il delicato arrangiamento in chiave acustica di The person I once was è la perla nera del disco che si chiude con la spensierata evanescenza pop di Joy.

Eleven Fingers – To Remind you

To remind you” è il titolo del’eclettico disco degli Eleven Fingers prodotto dalla In the bottle records.
Dieci tracce assolutamente varie ed eterogenee compresse in un cassettone dal fondo perduto. Andrea Grazian (chitarra), Anna Cavazza(voce e piano), David Merighi (voce e piano), Daniele Merighi (voce e batteria), Stefano Bortoli (chitarra e synth) e Stefano Zerbini (basso) compongono la loro musica con piacere e per il piacere di farlo, le loro canzoni seguono solo parzialmente la scia dell’evoluzione del pop-rock di matrice indie americana, tutto il resto appartiene ad una sfera sperimentale, pregna di richiami, riferimenti, spunti, sviluppi.
L’approccio emozionale di Again ed il caldo giro di basso che attraversa To remind you si sposano con un delicato intreccio alle ovattate atmosfere jazz di White boots e Behind our best mentre il sound rockeggiante di Dear Tom si fa aggressivo sulle note della malinconica Everything is far away. Gli Eleven Fingers vivono con ampia libertà la loro carica espressiva e se in Growin’up kids si lasciano ammorbidire dalla sobrietà del pop è in One day che si fa largo una raffinatezza amabilmente amarcord.
L’ossessività dell’assolo strumentale che chiude Like a dog without bone è come un lamento sottile, infinito e finalizzato ad insediarsi nell’animo perennemente insoddisfatto di noi poveri diavoli che viviamo i mali dell’era postcontemporanea.

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