Il Rap di Fedez a Napoli.

Arriva direttamente da Milano l’astro nascente del rap italiano, Fedez, nome d’arte di Federico Lucia, che si è esibito ieri in concerto all’Arenile Reload di Napoli con un mirabolante show.
Decine di centinaia di giovanissimi fan sono accorsi, con tanto di genitori al seguito, alla corte del talento classe ’89.
Tanta elettronica nei suoi brani, leggeri e comprensibili anche a primo impatto ma pregni di contenuti. “ Un sacco di ragazzi scappano appena sentono odore di predica, spiega Federico, ecco perché il mio obiettivo è raggiungere loro, non quelli che già la pensano come me”. La sa lunga Fedez che, seppur giovanissimo, ha all’attivo numerose collaborazioni di prestigio ed ha già conquistato il disco di platino con il suo ultimo album “Sig. Brainwash- L’arte di accontentare”.
In un tripudio di telefonini super tecnologici, i-pad e tablet la serata si apre sulle note dell’abicì della musica rap e hip hop che conta mixata da un sorprendente dj Zak.
Poi, dall’irriverente scenografia, arriva sul palco Fedez, sorpreso e divertito dal calore del pubblico, accompagnato da Denny La Home, Sopreman e Fausto Cogliati, direttore artistico dell’ultimo album di Fedez nonché produttore artistico e autore di tutti i successi degli Articolo 31 e successivamente di J Ax.
Il concerto è un divertente concentrato di canzoni, riflessioni, balli e performances. Tra le hit più gettonate: Polaroid, Pensavo fosse amore e invece…, Faccio brutto. Tutti brani appartenenti al repertorio, ormai affermato, di questo giovane talento che non smette mai di coinvolgere il pubblico con simpatici siparietti che si tratti di  un cartonato di Gue Pequeno o una pistola che spara fumo. Parterre in delirio sulle note di Reality show sulla base di Rock Party Anthem degli LMFAO e su quelle di Tutto il contrario dove il pubblico è girato completamente di spalle.
Non solo show per Fedez: i suoi testi contengono una sottile ma efficace linea di denuncia sociale, ne sono un esempio i brani Si scrive schiavitù, si legge libertà e Milano bene, tanto per ribadire che ai giovani non basta respirare aria fritta.
Ampio spazio anche alla satira televisiva: sulle note della sigla del programma Uomini e donne, Fedez seleziona 4 ragazze dal pubblico e le fa salire sul palco per cantare insieme a lui lo spassoso brano Single a vita. Subito dopo è il turno del potenziale tormentone estivo intitolato Alfonso Signorini, in qui il protagonista è proprio il celebre giornalista in veste di “eroe” nazionale spazzaguai. Il momento topico del concerto arriva sulle note de Il cigno Nero, brano cantato da Fedez con Francesca Michielin, il quale ha ottenuto in pochissimo tempo più 14 milioni di visualizzazioni su Youtube.
Sa bene come va il mondo Fedez, ormai star mediatica, ecco perchè la sua voglia di esorcizzare i mali del mondo conduce il pubblico su e giù sulla sua personalissima giostra. Guai a scenderne però, la realtà è ben altra cosa. 

La micro music di Death of a red fish

Songs of loose morals” è il titolo del secondo Ep di Death of a Red Fish.
“Questo progetto sperimentale di micro-music fa della rapidità di pubblicazione e della bassa qualità il suo credo, in un connubio di melodie pop ed anni ‘90 , spiega l’anonimo artista campano, in qualità di musicista represso ho deciso di assemblare libere associazioni musicali per dare sfogo alla mia creatività”.
Ed è proprio così che si presenta il disco, un concentrato di synth shakerati con degli ipnotici loop di batteria. L‘ ossessività di Used to love the rain, la dimensione onirica, quasi stordita di Dummies ed il mood psichedelico di Spring Cleaningassorbono attenzioni ed energie.
Niente rischi per Leggins Don’t lie e Tattoos on their backsdall’essenza vacua e sfuggente.
Ricca di spunti è invece la sorprendente Ghost track che getta ottime basi per un nuovo lavoro più definito.

Tutto sul Pump Rock dei The Playmore!

I The Playmore sono una self made band campana composta da Pie(Piero Solinas, voce), Bro Joe (Ambrogio Letizia, batteria), Marfz (Mimmo Marfuggi, basso) e Gian (Gianluca Flagiello, chitarra).
 Il sound proposto da questi quattro rocker scalmanati viene definito “Pump Rock” , neologismo che titola anche il loro primo disco. L’adrenalinica ecletticità delle loro performances live ci ha incuriosito al punto da intervistarli per scoprire qualche curioso aneddoto sul loro conto ma soprattutto capire a fondo la loro musica.  
















Quando e come nascono i The Playmore? 
“Il progetto per come si propone oggi al mondo risale a marzo del 2012. Le origini della band risalgono, però a più di dieci anni fa ad Aversa, vicino Napoli. Io (Pie) invece ho conosciuto Bro Joe, Gian e Marfz ad Ottobre 2010: ci siamo ritrovati tutti e quattro un ristorante chic nello stesso momento e nello stesso bagno a vomitare”.
Cosa racchiude la parola “Pumprock”? 
“Direi la possanza della nostra energia vitale e delle nostre emozioni espresse in musica: “pompate” ci dissero una sera dopo una breve session elettrica, e Marfz rispose “pump rock”.
La vostra musica mira a creare un sovraccarico d’energia creativa. Quali tracce del vostro album pensate che assolvano al meglio questo compito? 
“Sicuramente “Things” è una di queste, non a caso è il primo singolo, ma l’album è composto da 11 tracce e tutte, chi in una maniera, chi in un’altra, hanno l’obiettivo di suscitare e stimolare emozioni. “The lady doesn’t talk”, “Mislove” e “Slave” sono forse le più forti, toste”.
Tosti groove di basso, cassa e rullante si mischiano ad intense chitarre melodiche confluendo al vostro sound una connotazione rock dance. Quanto e come vi rispecchiate in questa definizione?
 “Nonostante il registro dialogico pomposo, ci sentiamo comunque ben rappresentati: diamo molta importanza agli intrecci melodici ed armonici, alla “scorrevolezza” ed alla spontaneità dei nostri brani, scritti sempre e comunque di pancia e mai a tavolino, e con in testa sempre lo stesso obiettivo: far saltare e scatenare le persone a suon di rock. Anzi, Pump Rock”.
Quali e quante sono le influenze esterne alla vostra musica? 
“Domanda facile e risposta difficile. Siamo quattro individui molto diversi, persone talvolta agli antipodi, e ognuno di noi ha portato in The Playmore le proprie esperienze musicali e le proprie infuenze. Ascoltiamo di tutto, senza distinzione di genere, età, stile, religione, sesso…ascoltiamo, assorbiamo, elaboriamo, e sputiamo fuori qualcosa di diverso, una nuova esperienza ci piace pensare. Tra le band che apprezziamo tutti all’unanimità ci sono certamente Editors, Franz Ferdinand, Bloc Party, Artic Monkeys e Foo Fighters”.
“Things” è il singolo in cui denunciate in maniera irriverente la corsa al materialismo. Qual è la vostra visione dello stato attuale della società? 
“Siamo già oltre il punto di non ritorno, ci tocca tamponare i danni fatti e provare ad invertire il processo di involuzione che è in atto: la società, che un tempo si fondava sulla cultura e sulla scienza (nel senso più ampio del termine), oggi si fonda sul consumo e sul dio danaro, sull’apparenza/presenza, su diagrammi di quantità e non di qualità: siamo numeri e non più individui, ci stanno depersonalizzando ed omologando con moderne strategie di comunicazione. Noi, come musicisti ed artisti, abbiamo deciso di rendere pan per focaccia al Sig. Mercato”.
Con quali aggettivi definireste la vostra musica? 
“Inarrestabile, ribollente, rigenerante, energica, possente, seriamente ironica, concentrica, orizzontale, totalizzante”.
  Quando salite sul palco cosa vi proponete di trasmettere al pubblico? 
“La voglia di ballare, divertirsi, scatenarsi, sorridere, saltare, ma soprattutto… la botta”.
 The Playmore stanno riscontrando numerosi riconoscimenti in tutta Italia. Raccontateci il vostro feedback e le vostre emozioni. 
“Nell’ultimo anno sono successe un sacco di cose, e negli ultimi mesi stiamo raccogliendo i primi consensi: “Things” è stato selezionato per la compilation “The Power of Independence” di Tunecore (50 band nuove ed indipendenti provenienti da tutto il mondo, pubblicata solo in USA e che lo scorso anno ha totalizzato circa 200.000 download), abbiamo suonato allo show finale della America’s Cup a Napoli, vinto il DiscoDays (Fiera della musica e del vinile), vinto il FRU (Festival delle Radio Universitarie Italiane), tanto per citare alcune cose. Le emozioni sono tante e diverse, le piccole vittorie sono un grande stimolo ad andare avanti, ma il vero motore è il pubblico, le persone che ci supportano e credono nel nostro progetto e nella nostra idea di fare musica partendo dalle nostre famiglie e dagli gli amici vecchi e nuovi, fino ad arrivare a persone sconosciute ma di alto profilo che non si sono trattenute dal farci i complimenti. Noi vogliamo semplicemente suonare e ridare al mondo ciò che il mondo ha dato a noi nei modi che solo la vita conosce”.
 Quali sono i prossimi impegni live? 
“Il 31 maggio saremo al Sun Rock Fest, un festival organizzato a Napoli, NANO Festival, un contest per band emergenti (termine orribile, da cancellare nell’ambito dei giovani musicisti). Il problema è stare “nel giro giusto” come dice Bugo: sei non sei amico di nessuno e non hai soldi, stai certo che nessuno ti farà suonare. Questo è un gravissimo problema per tutte le giovani band che hanno bisogno anzitutto di visibilità e spazi dove poter esibirsi e confrontarsi, luoghi dove farsi conoscere senza dover diventare portagente. Approfittiamo quindi dell’occasione: fieri di essere indipendenti ed autoprodotti, siamo comunque alla ricerca di managers, promoters, booking, label, distribuzione, produttori esecutivi, investitori esterni, sponsor, endorsement e di qualsiasi figura professionale o persona interessata a supportare ed implementare il nostro progetto”.
“Vi invitiamo inoltre a visualizzare il primo episodio di “The Playmore who?!” sul nostro canale YT http://youtu.be/R1HEXnHGUOI (e seguire le istruzioni del caso! ;)”
Pie, Bro Joe, Gian, Marfz






Luca Colombo, un professionista preparato e anche di più

Luca Colombo, Lei è chitarrista, compositore, arrangiatore ed insegnante affermato nel panorama della scena musicale italiana. Qual è la chiave del suo successo professionale?
“Più che una chiave esistono dei punti di riferimento che è bene mantenere. Cito, ad esempio, una domanda che spesso mi viene fatta durante i seminari che tengo che è “Come si fa questo lavoro?” Prima di tutto nel 2013 bisogna tenere presente che bisogna essere preparati, saper leggere la musica e conoscere tanti elementi del linguaggio musicale. Dico 2013 perché per tanti anni fa la figura del musicista era legata un po’ più all’istinto e c’era poca preparazione soprattutto nell’ambito pop, poi ci sono tanti elementi di contorno che sono legati alla professionalità come l’ essere affidabili e avere una strumentazione tale da consentire prestazioni eterogenee”.
Quando è nata e come si è sviluppata la sua passione per la chitarra?
“Intorno ai 10 anni ho cominciato a suonare per divertimento, inizialmente ascoltavo un po’ di tutto, bastava che ci fosse semplicemente della chitarra poi ho avuto varie fasi, più rock, più jazz, più blues per cui sono passato dalla fase Deep Purple, Led Zeppelin e Pink Floyd a quella più jazz con Wes Montogmery, Charlie Christian poi verso 16 anni mi ha preso una passione molto forte, ho cominciato a distaccarmi dai vari punti di riferimento e ho iniziato a studiare in maniera molto più costante fino a quando, avvicinandomi ai 20 anni, ho capito che la mia passione poteva diventare una professione e quindi c’è stato un periodo in cui studiavo anche tra le 8 e le 10 ore al giorno per cercare di migliorare il più possibile le mie qualità tecniche”.






















In una delle sue innumerevoli Masterclasses ha dichiarato che “ Il suono è il vestito di una persona”. Cosa intendeva dire?
“Il contenuto strumentale, le scale utilizzate, gli accordi  sono tutti elementi fondamentali ma una sonorità particolare, emozionante fa si che il suono arrivi molto di più. Anche una stessa nota può essere fatta con tanti suoni diversi e progressività dinamiche diverse per cui questa è una cosa assolutamente personalizzante. La medesima cosa suonata da vari artisti può assumere connotazioni estremamente diverse per cui se riesci ad avere una riconoscibilità del suono paragonabile a quella delle voci dei cantanti hai raggiunto il tuo massimo obiettivo”.
E ancora “Bisogna studiare molto a chitarra spenta se si vuole ottenere un buon suono di base e un buon tocco”. Quanto incide il tocco sulla resa del suono per un chitarrista?
“Incide, secondo me, almeno al 50% anzi anche di più perché è vero che la chitarra elettrica può regalare della dinamica in più, del volume, della distorsione e degli elementi un po’ più tecnici però è altrettanto vero che se non si ha un buon tocco si rischia di spersonalizzare il suono. Bisogna, perciò, partire da uno studio del suono della chitarra elettrica come se si trattasse di una chitarra acustica e colorarlo”.
“Vita da chitarristi” è il titolo del Manuale di tecnica, meccanica, armonia e consigli utili per il chitarrista moderno che Lei ha scritto.
Al suo interno fornisce fondamentali lezioni, divise per moduli, basi, esercizi di riscaldamento e da scrivere. Se potesse fornire tre aggettivi per definire il suo metodo di lavoro quali userebbe?
“Più che aggettivi userei dei sostantivi. In primis determinazione ed essere consapevoli di quando quanto bisogna studiare, poi anche la differenziazione è molto importante per affrontare differenti linguaggi musicali e poi l’ emozione è un elemento che non deve mai mancare ma deve convivere con il lato razionale di noi stessi”.
















Diversi magazine di settore hanno descritto le sue spiegazioni come funzionali, concrete e pragmatiche. Si può dar loro ragione o dietro il rigore e la disciplina c’è dell’altro?
“Sicuramente la definizione didattica è giusta però cerco sempre di fare in modo che al pubblico arrivi il mio lato emotivo. Spesso la difficoltà di chi fa il mio mestiere, anche in tv, è cercare di leggere la musica senza essere schematici o didascalici ma essere invece comunicativi. Spero quindi che questo sia un aspetto di me che arrivi”.
“Sunderland” è il suo ultimo album, pubblicato con la sua band (Lele Melotti, Paolo Costa, Giovanni Boscariol), il cosiddetto “dream team”. Cosa ha ispirato questo progetto e qual è la cifra stilistica che lo definisce?
“L’ispirazione è in realtà dettata più da un’esigenza. Ogni volta che ho fatto un disco è stato perché sentivo il bisogno di farlo magari perché nel corso degli anni avevo composto dei brani che volevo registrare. Per quanto riguarda lo stile non so caratterizzare la mia musica, in realtà non appartengo a un territorio rock, nè pop, nè jazz, però posso dire che c’è molta coerenza con ciò che faccio con gli artisti con cui lavoro. Di sicuro ci sono degli aspetti di me che di solito non posso mostrare come ad esempio un ‘impostazione molto più melodica degli assoli”.
In una recente intervista ha spiegato che questo album è un viaggio ispirato da luoghi, persone o dimensioni che hanno avuto modo di interfacciarsi con lei. In quali tracce pensa che tutto questo traspaia in maniera più evidente?
“In linea di massima direi un po’ in tutte però nello specifico ci sono tracce più sognanti, oniriche tipo Sunderland, la title track oppure Sottovento che, tra l’altro, è un brano che ho composto per una colonna sonora di un film, poi c’è Secretsche quando ascolto rievoca una sua storia, un suo racconto e questo è un po’ denominatore comune a tutte le tracce”.
Parlando dei suoi primi due dischi quali sono le caratteristiche che li differenziano da questo ultimo?
“Partiamo dal mio secondo disco che, essendo un tributo ai Beatles, aveva chiaramente un fattore compositivo per lo più assente anche se, nelle versioni strumentali, ho inserito delle parti che non erano presenti nei brani originali per cui una piccola parte compositiva esiste. Inoltre è registrato in acustico quindi rappresenta una veste di me in cui mi si vede meno spesso, di solito uso la chitarra elettrica per cui quello rimane un mio episodio acustico molto particolare. “Haze on the Water” è  invece, il mio primo disco e come tutti i primi dischi di un’artista è un po’ una raccolta di varie fasi della mia vita. Lì, a differenza di quest’ultimo album, non c’è un denominatore comune però costituisce un elemento importante della mia carriera compositiva e artistica”.























A proposito del premio “Miglior chitarrista dell’anno” ricevuto alla Fiera internazionale della Musica di Villanova d’Albenga lo scorso 25 maggio, ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Non sono un fanatico di classifiche o votazioni però sono felice di questo premio che, per quanto non abbia valore assoluto, certifica ed afferma il mio impegno nella carriera artistica e didattica, che quest’anno si sono espressi con la pubblicazione del mio terzo album solista e del primo volume del mio metodo, oltre a decine di concerti e seminari in giro per l’Italia”. Cosa si prova ad essere il miglior chitarrista dell’anno?
“Ecco, come ho specificato, a questo premio do un valore relativo e non assoluto perché non trovo competizioni con i miei colleghi italiani nel senso che abbiamo tanti bravi chitarristi ed ognuno ha la sua da dire però lo vivo come il riconoscimento dell’affermazione della musica strumentale chitarristica in Italia. Ci sono tanti colleghi bravissimi che magari non hanno progetti artistici su cui lavorano io invece ho cercato di portare la conoscenza della musica per chitarra sui grandi palchi o comunque situazioni con grandi numeri. Un esempio è l’edizione di “Scherzi a parte” dello scorso anno in cui io, oltre che chitarrista, ero direttore d’orchestra ed ho cercato di inserire dei momenti strumentali nello spettacolo per cercare di dare una fama alla musica strumentale per chitarra in Italia, quindi il premio lo vedo più come un’affermazione di questo tipo di ruolo”.
Per un professionista pluripremiato come Lei, quali sono i contesti più emozionanti?
“Direi che sono tutti emozionanti, a parte la prima di un tour dove cerchi di capire  se tutto il lavoro che hai fatto prima sarà corretto e se potrai suonare bene come hai fatto durante le prove, sento di più il ruolo di responsabilità nel tenere un mio concerto davanti a 300 persone piuttosto che davanti a 100000 persone come mi è successo ad un concerto di Eros Ramazzotti quando siamo andati in Sud America proprio perché c’è un ruolo differente da svolgere. Un momento davvero emozionante che ricordo risale a quando ho eseguito “Nessun dorma” all’Arena di Verona da solo di fronte a migliaia di persone, forse quello è stato il momento più emozionante della mia carriera. In ogni caso provo ad esorcizzare questi momenti cercando di immaginare come mi sentirò durante la performance preparandomi molto più di quello che serve. Per esempio se un brano dovrà essere eseguito a 100 Bpm di metronomo, lo studio a 150 così al momento della performance sarò sicuramente oltre il livello della preparazione necessaria. Questa è una cosa che cerco di fare sempre perché di solito c’è un abbassamento della capacità di rendimento di almeno il 30 %”.
Cosa si prova all’inizio di ogni nuovo tour e quali sono i sentimenti che l’accompagnano durante ogni volta tutto il percorso?
“Innanzitutto è molto importante tenere i piedi per terra perché si tratta di un tipo di vita molto diversa da quella che si conduce normalmente a casa. Il tour è una frazione di vita un po’ irreale, che ti porta a viaggiare in posti in cui magari non andresti con le tue forze e che ti fa incontrare persone che ti stimano e che ti chiedono foto e autografi però è solo un momento della tua vita per cui è fondamentale avere una famiglia, degli amici e degli affetti cui fare riferimento”.
























Cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse provare a diventare un musicista?
“Innanzitutto consiglio di suonare il più possibile dal vivo, adesso tanti tendono a postare i video su Youtube e a contare molto sul web per cercare consensi e magari qualche contatto però l’esperienza live è sempre quella che crea più vicinanza ed alleanza con altri musicisti e poi di vivere tutte le esperienze possibili: magari anche una serata in cui non si crede per niente può aprire nuovi orizzonti o comunque far conoscere nuove persone. Infine la costante preparazione costituisce sicuramente un valore aggiunto”.
Quali sono i suoi prossimi impegni?
“Attualmente sono in tour con Marco Mengoni. Oltre che chitarrista sono direttore musicale ed è un incarico che ho accettato molto volentieri perché ho avuto la possibilità di mettere voce sugli arrangiamenti del tour e  rivisitare i vecchi brani di Marco. Poi sono 7 anni che suono nell’orchestra del Festival di Sanremo e, anche se non si sa mai se si viene riconfermati, può sicuramente essere considerato un altro mio ipotetico impegno. Tra ottobre e novembre dovrebbe uscire il secondo volume del mio Metodo, che è quasi pronto, e poi ci sarebbero dei live con la mia band ma in questo momento siamo fermi perché Melotti e Costa sono impegnati con Renato Zero mentre Boscariol è con Cremonini e io sarò ovviamente impegnato con Marco fino ad ottobre.
Infine ci sarebbe un’idea molto bella che unirebbe didattica ed immagine Gibson ma è ancora tutto work in progress”.

Marco Mengoni in concerto a Napoli: quando la musica diventa una festa.

Questa è la storia di una festa, la festa della condivisione, il leit motiv che ha accompagnato le due ore del concerto che Marco Mengoni ha tenuto al Teatro Augusteo di Napoli per il suo Essenziale Tour 2013.

Ancor prima che inizi il concerto il colpo d’occhio è già notevole: un tripudio di colori e palloncini formano uno spettacolare tricolore pronto ad accogliere Marco già sulle note di Pronto a correre.
Il Teatro Augusteo è un catino infiammato, il sold out si fa sentire tutto e le urla dei fan in visibilio quasi superano tutto il resto.
Mengoni, elegantissimo in Ferragamo, è in gran forma, la voce, rodata dalle prime tappe del tour è calda, potente, arrivando a colorarsi di sfumature sempre nuove, introvabili altrove.
Evitiamoci e Bellissimo precedono il suo primo parlato, Marco è a suo agio, felice, emozionato, tra qualche sketch in dialetto ed una buffa mimica facciale, traspare il suo animo di giovane innamorato della vita in tutti i suoi aspetti. Nel parlare dei 9 led luminosi installati sul palco a fare da scenografia al suo spettacolo, Marco li presenta come antenne della condivisione, ripetendo questo termine più e più volte ed è qui che si racchiude il senso del suo percorso artistico.
Di lui, ognuno può chiaramente dire quello che vuole, tutto tranne il fatto che ogni tappa della sua carriera non sia stata segnata dal forte, viscerale, simbiotico sostegno dei suoi fan che lui ama chiamare “esercito”.
Tutto il concerto è scandito dai suoi grazie, detti a parole, con lo sguardo, con la voce, con tutto il suo corpo.
Le sue performances non sono solo vocali, sono fisiche e si vede.
L’intensità di Non passerai e il battito di un cuore latitante, sul punto di scoppiare, della intro di un’indimenticabile Equilibristas’insinuano tra le impotenti fibre dei muscoli degli spettatori.
I volti sorridono, gli occhi si bagnano, le braccia si rilassano e in un mondo che davvero cade a pezzi, è bello sentire di poter ancora trovare un’isola felice.
Proprio così Marco, per i suoi fan, è un’isola felice da vivere come meglio par loro.
Tanti dei presenti al teatro, sostengono Mengoni fin dalle sue primissime apparizioni ed avevano già assistito ad altre date di questo nuovissimo tour, viene quindi spontaneo chiedersi perché volerlo risentire, la risposta è facile da trovare: Marco, con la sua voce, riesce a dare ogni volta risposte diverse, sensazioni diverse, emozioni diverse. Questo surreale meccanismo, simile ad una vera e propria magia, è ciò che farà di lui un divo internazionale, checché se ne voglia dire.
Tornando al concerto è il caso di spendere due parole sulla nuova stravolta versione di Credimi Ancora,  inizialmente profumata di jazz, poi cosparsa di progressive rock, in una spiazzante piattaforma pop.
Subito dopo, l’infuocata triade composta da Avessi un altro modo, Dall’inferno e I got the fear innesca l’incontrollabile scintilla che travolge il pubblico, il teatro è una bolgia infernale, i peccatori moriranno dannati ma felici e soprattutto sudati. Non c’è tempo per riprendere fiato, o forse si, con il divertente siparietto mimato di Mengoni che racconta al suo pubblico la nascita della collaborazione con Ivano Fossati per Spari nel deserto.
L’atmosfera ritorna intima e confidenziale con Venti sigarette e la Vitanon ascolta ma c’è spazio anche per l’ironia di Come ti senti, a fare da intramezzo,  prima che lo spettro vocale di Marco si mostri in tutta la sua luminosità come un prisma di colori sulle note di Tonight prima e della suggestiva Valle dei re poi.
Il pubblico è al top del coinvolgimento a tal punto che su Tanto il resto cambia, la voce di Marco semplicemente fa da ricamo ad un coro cantato a squarciagola.
Ancora vocalizzi per Un’altra botta, Mengoni trasforma la sua vocalità a suo piacimento, personalizzandola e conferendole sonorità strumentali che lasciano gli spettatori affascinati e sorpresi al contempo.
Il momento topico del concerto arriva con una devastante versione di In un giorno qualunque: Marco pare quasi volersi fondere con i suoi fan: “ sempre di più, sempre di più, sempre più vicino” canta lui, senza avere più nulla da dire o da fare e in effetti con questa canzone ha davvero detto tutto.
Il teatro è in visibilio, in tutto e per tutto simile ad uno stadio, tant’è che parte, spontaneo, il coro, tutto napoletano, di O surdato nnammurato subito accompagnato dalla band e dallo stesso Mengoni, divertito e complice.
L’ultima trance del concerto parte con il rock di Non me ne accorgo e i doverosi ringraziamenti a Gianluca Ballarin (tastiere), Andrea Pollione (organo e synth), Giovanni Pallotti (basso), Davide Sollazzi (batteria), Peter Cornacchia (chitarra), Luca Colombo ( direttore musicale e chitarrista) ai fonici di palco e al fonico di sala Alberto Butturini.

Con l’Essenziale, arriva la dedica personale ed il ringraziamento di Marco a tutto il suo pubblico, poi una fotografia dal passato con la strappalacrime Natale senza regali, infine lo sfogo liberatorio e volontariamente tamarro di Una parola per esorcizzare, con successo, il cinismo di una società che, in fondo, ha ancora voglia di sognare.

Foto di: Liz Argenteri

Patty Smith, Kings of Convenience e Tricky live per Città della Scienza

























Il Neapolis Festivale Giffoni Experience presentano tre grandi concerti a favore della Città della Scienza distrutta da un incendio doloso lo scorso 4 marzo.
Patti Smith, Kings of Convenience e Tricky saliranno sul palco dell’Arenile Reload di Bagnoli proprio a sostegno del polo di eccellenza scientifico e culturale, spostando così il Neapolis Festival a Napoli il quale continuerà comunque a collaborare con il Giffoni Film Festival attraverso una “finestra virtuale”.
Ad aprire la prestigiosa kermesse musicale sarà Patti Smith and Her Band, da sempre impegnata a favore della cultura, con una sorta di preview prevista per il prossimo 12 giugno.
Il 25 luglio, con un’ unica data italiana, salirà sul palco Tricky, il camaleontico artista di Bristol (che con i Massive Attack ha creato il genere trip-hop) mentre il  26 luglio sarà la volta dei Kings of Convenience con il loro attesissimo ritorno in Italia.
Queste le parole con cui Claudio Gubitosi, direttore artistico di Giffoni Experince ha annunciato gli eventi in programma: “Ho accolto con piacere l’invito che all’indomani del drammatico incendio di Città della Scienza lanciò l’assessore regionale alla cultura, Caterina Miraglia, alle associazioni culturali regionali, con Sigfrido Caccese, direttore del Neapolis Festival, rispondiamo con una serie di eventi musicali. Giffoni e Neapolis hanno deciso, quest’anno, di collaborare come una sola anima divisa in due e Bagnoli, con Neapolis, sarà l’altro palco di Giffoni. Questo è il segno di vicinanza di Neapolis e Giffoni al Polo scientifico di eccellenza per i ragazzi, al quale auguriamo immediata rinascita! Presto annunceremo anche gli artisti del Giffoni Music Concept che vedrà nell’arena dello stadio Troisi 10 giorni di proposte musicali d’eccezione”.
Entusiasta dell’iniziativa anche il Prof. Vittorio Silvestrini, Direttore Fondazione Idis-Città della Scienza: “Tra le tante azioni positive e di coinvolgimento di prestigiose realtà del mondo scientifico, imprenditoriale e culturale che si sono susseguite all’incendio del 4 marzo del nostro Science Centre, particolare significato riveste l’iniziativa messa in campo da altre tre eccellenze (questa volte tutte campane, ed una addirittura operante nella stessa area di Bagnoli)- a favore di Città della Scienza. Mi riferisco alla sinergia che si è stabilita tra il Giffoni Film Festival, il Neapolis Rock Festival e l’Arenile di Bagnoli, tesa a realizzare una “due giorni” – il 25 e 26 luglio prossimi – per puntare ancora una volta i riflettori sulla realtà di Bagnoli e di Città della Scienza in particolare. Sono fermamente convinto che queste iniziative si riveleranno utilissime affinchè l’attenzione sul nostro Science Centre resti sempre alta, e che si inizino a conoscere sempre più e sempre meglio le prospettive concrete di rinascita reale del martoriato territorio bagnolese”.
Sigfrido Caccese, Direttore del Neapolis Festival, sottolinea l’importanza di unire forze diverse: “Quello che è accaduto a Città della Scienza non può lasciare indifferenti chi in questa città ha investito in proposte culturali e artistiche. Il Neapolis Festival, legato da sempre all’area di Bagnoli e dell’Italsider, vuole dare il proprio contributo alla ricostruzione di un’istituzione simbolo dell’informazione e della formazione per i giovani partenopei e i turisti di tutto il mondo. La collaborazione iniziata lo scorso anno con il prestigioso Giffoni Film Festival conferma la volontà di mettere in rete le forze che operano nel settore culturale per testimoniare le potenzialità di Napoli e del suo patrimonio artistico e territoriale. Ed è sulla rivalutazione e lo sviluppo dell’area di Bagnoli che il Neapolis e Giffoni puntano per i tre appuntamenti di respiro internazionale scegliendo l’Arenile come location del Festival. La sinergia tra queste realtà imprenditoriali è l’esempio tangibile di come sia possibile sovvertire gli schemi che vedono i privati in costante competizione, anticipando le azioni che dovrebbero partire dalle Istituzioni di questa città”.
“Dalle scelte su Bagnoli, dipende gran parte del futuro di Napoli e della sua rinascita economica, lavorativa e sociale. Ha concluso Umberto Frenna, Direttore di Arenile Reload: “Le attività turistiche come l’Arenile, e culturali quali Città della Scienza, hanno dimostrato in questi anni di attività, l’enorme potenzialità di un’area della città, tra le più belle al mondo. Siamo felici di ospitare nella nostra struttura di Via Coroglio il Neapolis Festival e il Giffoni Experience. Insieme daremo un segnale forte per la ricostruzione della parte di Città della Scienza”

Di seguito i Prezzi dei biglietti e Orario concerti: 
Mercoledi 12 Giugno 2013
presso Arenile Reload, via Coroglio – Bagnoli – Napoli
PATTI SMITH and Her band
dalle ore 19.00 – ingresso euro 17,50 + 2,50 d.p. – prevendite Go2.it
Giovedi 25 Luglio 2013
presso Arenile Reload, via Coroglio – Bagnoli – Napoli 
TRICKY
+ Fainting by Numbers Alexis Taylor (Hot Chip) & Justus Köhncke (Whirlpool Productions) live – show
+ band da annunciare
dalle ore 19.00 – ingresso euro 22,00 + 3,00 d.p. – prevendite 
Go2.it
Venerdi 26 Luglio 2013
presso Arenile Reload, via Coroglio – Bagnoli – Napoli
KINGS OF CONVENIENCE
+ band da annunciare
dalle ore 19.00 – ingresso euro 22,00 + 3,00 d.p. – prevendite Go2.it
ABBONAMENTO
per il 25  e 26 Luglio
40€ comprensivo di d.p.

Cesare Cremonini presenta: “Una Notte al piano”.

Dopo i tre grandi concerti previsti al Centrale Live del Foro Italico di Roma (18 luglio), all’Arena Regina di Cattolica (20 luglio) e all’Arena di Verona (22 luglio), concluso il fortunato tour nei palazzetti, Cesare Cremoniniregalerà al pubblico un altro spettacolo, una serata unica, in uno dei più suggestivi contesti storici d’Italia: il Teatro Antico di Taormina.
In programma il prossimo 29 luglio, questo evento, le cui prevendite apriranno a partire da domani,  si presenta come qualcosa di esclusivo pensato proprio lasciandosi trascinare dal fascino senza tempo del Teatro Antico di Taormina in cui Cesare andrà in scena accompagnato soltanto dal pianoforte. Un concerto magico dove gesto e voce, segno e parole, musica e atmosfera saranno la trama di un’esibizione di grande suggestione.
Queste le parole con cui l’artista bolognese ha presentato il concerto sulla sua pagina Facebook:
“Ho scelto un modo speciale per suonare (e tornare a suonare) nella meravigliosa Sicilia. Una terra che brucia di mille cose, enigmatica e bellissima. Lo avete chiesto in tanti in questi mesi ed eccoci arrivati dove volevamo.
Piano e voce. Io e voi. Sarà un concerto unico in cui potremo vivere 16 anni di canzoni e musica senza filtri. Guardandoci negli occhi. Perchè è vero che le canzoni si scrivono ad occhi chiusi, ma al Teatro antico vanno tenuti bene aperti e sarà magico circondarsi dall’atmosfera di un posto unico al mondo. Grazie a tutti!”
Foto di: Fabrizio Cestari

La musica dei KLOGR a difesa del pianeta.

I KLOGR (pronuncia Kay – log – are), progetto italiano che si colloca tra alternative rock e metal, composto da una line up italo-americana con Gabriele “Rusty” Rustichelli (voce e chitarra), Nicola Briganti (chitarrista), Todd Allen (bassista) e Filippo De Pietri (batteria), lanciano un nuovo modo per raccogliere fondi sostenendo, grazie alla loro musica, l’organizzazione internazionale Sea Shepherd Conservation Society. Il gruppo ha organizzato, infatti, una campagna visite su Youtube per il nuovo video “Guinea Pigs” (mixato da Logan Mader), che verrà proiettato in anteprima al Rock’n'Roll di RHO oggi giovedì 23 maggio: ogni singola visualizzazione del video varrà 0,05 cent ed il totale raccolto sarà interamente devoluto alla Sea Shepherd, organizzazione internazionale fondata nel 1977 da Paul Watson, già sostenuta da numerose star internazionali della musica e dello spettacolo, la cui missione é quella di fermare la distruzione dell’habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani del mondo, per salvaguardare la delicata biodiversità degli ecosistemi oceanici e garantirne la sopravvivenza. Sea Shepherd utilizza l’azione diretta per investigare, documentare e agire, per mostrare al mondo cosa sta succedendo nei mari che ci circondano e impedire le attività illegali in alto mare quindi è importante che iniziative simili continuino ad essere sostenute senza sosta.
Informazioni e contatti: contatto@seashepherd.it – info@seashepherd.org
Ufficio Stampa: AstarteAgency

Patty Pravo omaggia Napoli con “Meravigliosamente Patty”

L’eterna ragazza del Piper, Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, torna sulle scene con “Meravigliosamente Patty” un concerto, costruito ed organizzato su misura per lei, dal Teatro Trianon di Napoli.
Ad accompagnarla sul palco una formazione ridotta per l’anteprima del tour che la vedrà protagonista nelle principali città d’Italia a partire dal prossimo mese di giugno.
 In apertura le note, trasmesse in filodiffusione, di  ‘Na canzone, l’ inedito brano cantato in dialetto napoletano da Patty e scritto da Paolo Morelli degli Alunni del Sole: «Mi piace cantare in altre lingue – aveva spiegato Patty durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento – mi era già capitato di incidere delle canzoni in portoghese, cinese, inglese, francese, spagnolo, arabo, tedesco, giapponese, ma non in napoletano. Per me il vostro dialetto è una lingua, lingua della canzone per eccellenza, e mi piace frequentarlo quando posso, ma non c’è tempo per mettere in piedi lo splendido pezzo di Paolo Morelli».
 Chi si accontenta, gode e noi lo facciamo, orecchie all’erta, lasciandoci deliziare.
Subito dopo, inizia la proiezione di un lungo filmato dedicato alla carriera della cantante ripercorrendo le tappe salienti di un viaggio artistico lungo ben 40 anni.
 Poi arriva finalmente lei, di nero vestita, con una lunga e sfavillante giacca tempestata di lustrini e paillettes. Patty Pravo, visibilmente emozionata, è subito accolta da uno scroscio di applausi sulle note de Il paradiso e l’indimenticabile E dimmi che non vuoi morire.
La charmante gestualità della Pravo ed il fascino crepuscolare de La luna, scritta per lei da Vasco Rossi, introducono il pubblico alla ritmica più movimentata di Les Estrangers e Io ti venderei.
Patty Pravo, seleziona le sue hit conducendo il pubblico attraverso i generi da lei toccati durante gli anni, dal beat, al pop, alla chansonne francesce, al rock, senza mai perdere l’allure da diva che da sempre la contraddistingue.
Il mood del concerto si fa più intimo con le versioni acustiche di Se perdo te e Pazza idea ma è con le sfumature jazz di Qui e là che la verve di Patty si fa simpaticamente irriverente. La prima parte del concerto si conclude con una spagnoleggiante rivisitazione de La bambola e la nostalgica bellezza di Pensiero stupendo.
La seconda parte della serata si apre, invece, con la voce, registrata alla radio, di Vasco Rossi che tesse le lodi di Patty, omaggiate sul palco, tra l’altro, dai Virtuosi di San Martino, dagli Osanna con Lino Vairetti e dall’argentino Diego Moreno.
In chiusura, un simpatico talk show, ideato da Giorgio Verdelli, direttore del Teatro Trianon, ha visto Patty Pravo protagonista di un botta e risposta con delle domande poste direttamente dal pubblico presente in platea. Tra le tante curiosità, emerse durante il dibattito, è spiccata la sua genuina spontaneità, il senso dello humour  ed un’immediata prontezza di spirito: “ Mi sto bene così come sono, spiega Patty, la mia vita è stata sempre scandita dalle mie scelte, ho fatto tante cose e ho provato a fare tanti generi musicali, spero di essere riuscita a farli sempre bene pur restando me stessa”.
























Gli Adailysong presentano “Una canzone giornaliera”.

Una canzone giornaliera” è il titolo dell’opera prima degli Adailysong nonchè la trasposizione in italiano del nome della band partenopea nata nel 2010 dall’incontro di Andrea De Rosa e Bruno Bavota, con l’intento di fondere diversi stili, dal new – folk al cantautorato, dalla musica classica a quella minimale, in una continua evoluzione di forma e sostanza.
Scopo ultimo di questo ambizioso progetto, prodotto dalla neonata etichetta indipendente Apogeo Records, è quello di  adoperare la musica come veicolo di trasmissione della quotidianità dei sentimenti umani senza orpelli e forme linguistiche troppo ricercate.
Le dieci tracce che compongono il disco si muovono lungo un fragile filo, in bilico tra
 amori impossibili e  le storie di personaggi ai margini della società, offrendo un valido spaccato della decadenza in cui l’uomo contemporaneo prova a sopravvivere.
Ciò che rende qualitativamente elevato il target di questo disco sono gli arrangiamenti finemente curati che trovano nelle melodie del violoncello di Fabrizia Nicolosi e del violino, scritto da Alessia Viti e suonato da Caterina Bianco (Sulaventrebianco), il tratto distintivo di tutto il lavoro.
I temi strazianti di tracce come Polvere, Memoria e In caduta libera sono addolciti dalle chitarre oniriche di Antonio Cece e dal calore del pianoforte di Bruno Bavota. Le parole di Andrea De Rosa si susseguono come macigni e l’incalzante sessione ritmica di Ivan Pennino (batteria e
percussioni), Giuseppe Arena (basso) e Gianfranco Coppola(contrabbasso) s’insinua nella mente
creando un forte impatto emotivo come avviene con Il ciclo delle stagioni, Immacolata virtù e La sigla che chiude un disco figlio di un quartiere difficile, ma intriso di vita, quale è il Rione Sanità di Napoli.

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