Gli “Sloppy sounds” dei Gambardellas.

Innumerevoli contaminazioni ed originali spunti creativi hanno ispirato “Sloppy sounds” il prisma musicale che costituisce l’album di esordio dei Gambardellas, il progetto solista di Mauro Gambardella, un batterista che, dopo anni di esperienza a tutto tondo nel mondo della musica indie, ha raccolto conoscenze ed energie per dare voce alle sue canzoni e al suo estro creativo avvalendosi della collaborazione di Glenda e Grethel Frassi, Andrea Gobbi e Alessio Lonati.
L’arrangiamento delle 9 tracce che compongono il disco, edito da BigWave Records, spazia all’interno di un  range molto ampio di generi: rock indie, power pop, garage rock.
L’intento è quello di coinvolgere e divertire chi ascolta, i frastagliati suoni proposti da Gambardella scovano e scavano nuovi orizzonti; l’immediatezza del suono a tratti supera i testi stessi, dai ritornelli spesso ossessivi.
Il disco si apre con il vivace ritmo scanzonato di Flash e prosegue con la commistione di chitarre e incursioni elettroniche di Josh.
La viscerale americanità di Needs si contrappone alla durezza di Freeway in cui la matrice indie si estremizza fino ad arrivare ai limiti con la visione nichilista di Tito, brano intriso di un’irrefrenabile carica travolgente. Shine again è un’essenziale invito alla rinascita che, insieme a Smile, pare quasi sfigurare in un contesto così ricco.

Living the night ci trascina, invece, nel bel mezzo di estemporanei e controversi after party un attimo prima di scaraventarci in una Valley buia e misteriosa alla ricerca di noi stessi.

Video: Flash

I puntinismi di vita dei Nadàr Solo

Diversamente, come?” è il titolo del secondo album dei Nadàr Solo. Il gruppo torinese composto da Matteo De Simone, Federico Putilli e Andrea Sanfilippo tratteggia, punto per punto, un ritratto preciso di esseri smarriti, fermi come in uno stato di perenne apnea, proprio un pelo sotto la superficie delle cose, lì dove le correnti prendono forma un attimo prima di scatenare la tempesta.
Scalpitanti riff di chitarra e travolgenti giri di batteria conferiscono un affascinante carica rock a questo concept album che si presenta come un disperato inno alla fuga.
Gli scalpiti di vita di “Non conto gli anni” lottano, perdendo, contro un presente interrotto, la staticità de “Tra le piume” racconta un mondo afflitto ed inetto e, mentre “Il vento” non soffia più, i Nadàr Solo si interrogano sul futuro angoscioso senza, tuttavia, riuscire a trovare risposte.
“La ballata del giorno dopo” è uno sfogo in pieno stato confusionale frutto delle notti corte che divorano il giorno vuoto de “L’abbandono”.
“Cosa volete che sappia io che non sono capace ad amare” cantano i Nadàr Solo in “Le case senza porte”,  cercando l’amore tra le macerie di case in rovina che cadono a pezzi senza padrone.
I tiepidi fremiti che inebriano i testi di “Maggio, giugno, luglio”e  “Le ali” si spengono tra i malinconici pensieri spezzati e stravolti di “Perso” : “Non pensare che farà meno male se la smetti di scalciare” e, in una mattina in cui il sole buca le persiane, il dolce sogno ad occhi aperti de “I tuoi orecchini” si perde nel cinismo di una qualunque giornata in città.

La carica sanguigna dei Bufalo Kill

Be-Be Bleah! è il titolo del primo album dei Bufalo Kill, un trio tutto pepe composto da Gianni Vessellas (voce e chitarre), Alfred K Paolino (banjo e armonica), Tony Franzini (batteria).
Il  sound decisamente rock che caratterizza tutto il lavoro, si arricchisse di preziose venature di un elegante blues suonato alla vecchia maniera.
La carica di “Pedal Pumping” pompa, smuove, scortica mentre un classico e graffiante ritmo country marchia a fuoco le note di “Blues Hotel” .
La sfuriata rabbiosa di “Fang” s’insinua tra le chitarre sporchissime e  dannatamente sexy di “Lorna” .
L’immagine di un vecchio, malfamato e sgangherato saloon è dietro l’angolo, “qui si muore dalla noia” cantano i Bufalo Kill in “Gente” ma ci pensa la spietata “Back door man” a sparare note senza pietà. La title track “Be be bleah!” scivola via, quasi anonima, un attimo prima che il fascino suburbano di “Black devils” faccia strage delle monotone cavalcate country.
Suoni sbavati, luridi e grezzi colorano “Demoni cristiani” mentre “Non sono un figlio di papà” è la cantata yankee in solitaria. Il viaggio si chiude tra il fischettìo di “Timber” e le immagini polverose di “Bufalo kill” .

Edoardo Bennato festeggia 40 anni di rock ‘n’ roll.

Una Pasqua che non ti aspetti quella vissuta al Teatro Trianon con Edoardo Bennato che, in occasione dei 40 anni di carriera, ha proposto i più grandi successi della sua discografia in due appuntamenti live, il 30 ed il 31 marzo, intitolandoli: Trian-Rock.Il rock al teatro del popolo.
Lo scugnizzo bagnolese ha conquistato ancora una volta il pubblico con la sua carismatica ed esuberante ecletticità da one man show.
Partendo dall’album del debutto, “Non farti cadere le braccia” pubblicato nel marzo 1973, Bennato ha ripercorso il suo cammino artistico rimaneggiandolo con cura e per farlo si è lasciato accompagnare dalla grinta artistica ed emozionale del Quartetto Flegreo composto da Simona Sorrentino e Fabiana Sirigu al violino, Luigi Tufano alla viola e Marco Pescosolido al violoncello.
Il concerto si apre con una triade intrisa di passione, spirito critico, acutezza e prontezza di spirito: “Dotti, medici e sapienti”, “Detto tra noi”, “In fila per tre”.
“Bravi ragazzi” e  “Arrivano i buoni” i brani scelti per omaggiare gli amici Jannacci e Califano, appena scomparsi;  “Sono solo canzonette” e “Il gatto e la volpe” gli evergreen più amati.
Con l’attualissima “Tu grillo parlante” il rock di Bennato picchia duro: entra in scena la fantastica band formata da Raffaele Lopez alle tastiere, Giuseppe Scarpato e Gennaro Porcelli alle chitarre, Roberto Perrone alla batteria, Lorenzo Duenas Perez al basso e alle percussioni. Musicisti di altissimo livello in grado esaltare le parole dei testi al vetriolo che Bennato  ha continuato a scrivere nel corso degli anni.
“Il paese dei Balocchi”, “Asia”, “Mangiafuoco” si susseguono come pepite incandescenti, il rocker napoletano non ha peli sulla lingua e  una versione molto teatrale di “Vendo Bagnoli” introduce il messaggio di “Rinnegato”: “Guardare avanti, sì, ma a una condizione, che tieni sempre conto della tradizione!”.
La chicca della serata è l’intervento di Eugenio Bennato che sulle note de “Il mondo corre” regala “consigli giusti, nei momenti giusti” non solo ad Edoardo ma anche al pubblico, attonito ed affascinato.
Un delicatissimo arrangiamento di “Un giorno credi” ci riporta nel vivo del concerto, seguono “A lei” e “La mia città” .
“Il rock di Capitano Uncino” coinvolge e diverte mentre un doveroso occhio di riguardo all’amata Bagnoli, converge occhi e spiriti verso una questione più mai scottante e dolorosa come quella del recente incendio di Città della Scienza.
Sulle note de “In prigione” Edoardo Bennato saluta il pubblico a suo modo, con un messaggio a metà strada tra il serio ed il faceto: “ Andatelo a dire in giro che m’annà arrestà!” .
E chi lo fermerà?

“Il colore dei pensieri” degli Abulico.

Nel cuore di una Napoli svilita, affannata, impaurita Lanificio 25 è una piccola, ma pulsante arteria musicale.
Sul palco, per raccontare il “Colore dei pensieri”, gli Abulico veicolano il pathos dei loro suoni luminosi con scale cromatiche piuttosto ampie e sfumate.
Per ogni brano una venatura sempre diversa, ora calda e coinvolgente, ora delicata ed eterea come un sogno ad ogni aperti.
“Un comodino pieno di parole” è quello da cui gli Abulico pescano a piene mani testi ricchi di spunti per riflettere  ma soprattutto agire. Il pop gioioso del gruppo partenopeo si tinge di intense pulsioni rock che “ fanno a pezzi i clichè” servendosi di chitarre sovrapposte e travolgenti giri di batterie insistenti, battenti, galoppanti .
 “Ci sono delle volte in cui non so fermarmi a leggere un mondo così fragile” cantano gli Abulico in “Fragile” canzone emblema della nostra precaria contemporaneità.
La versatilità della voce limpida di Alessandro Panzeri racconta il desiderio di libertà, condanna le ipocrisie, vive i margini ed esalta l’immediatezza delle scelte repentine fatte in una notte buia, inquieta ed insolita.
“Incerto” e prezioso è il nostro domani, questo è il messaggio de “Il volo”  e, mentre un cielo nero soffoca ogni pensiero di mediocrità, “La purezza del silenzio” ci ricorda che siamo soli.

La freschezza stilish dei Newglads

“Here There Anywhere Like You” è il titolo del nuovo album dei Newglads, 4 ragazzi di Bologna British pop addicted.
Una leggera e frizzante brezza attraversa il loro sound, riconoscibile, ma mai stantio.
Melodie fresche ed accattivanti cesellano la forma dei testi essenziali ma senza dubbio funzionali.

Sette tracce scritte quasi di getto, sulla scia di un impeto giovane e spensierato che non si preoccupa dei fronzoli. Matteo Fallica (voce e chitarra), Marco Fabbri (basso), Filippo Paderini (chitarra), Gael Califano (batteria) intingono sé stessi in una tavolozza di colori pop e spennellano tutto il disco conferendogli venature rock. I toni tenui di “All in a row” impattano con il pessimismo realista di “Morning lies”.  La strada tortuosa di “ Winding Road” incarna lo smarrimento ed il disagio umano di fronte alla realtà perennemente mutevole. Il monito di “Stand till you fall” si insinua negli strati della mente con sonorità graffianti e stradaiole. “Little dreams” è il naturale prosieguo di un viaggio, costellato di insidie mentre “Unpredictable” lascia scivolare via il tormento. La chicca deldisco è “ Whenever it rains”: “no one is to blame when you’re all alone, alone on the rope. When you ain’t’ got not reason to go on and on and on and on and on…..” L’immagine di un uomo sofferente e dannato, in cerca di risposte esistenziali, è assolutamente catchy.



“La vita inquieta” di Liprando

“La vita inquieta” è l’ album con cui Liprando, al secolo Francesco Lo Presti, cantautore campano e chitarrista dei Bradipos IV, viviseziona le incertezze del vivere.
Tredici tracce pervase di morbosa inquietudine dove una tormentata ricerca nei meandri più oscuri del proprio io, fa da sfondo ad un sound a tratti frenetico e pulsante, a tratti onirico e sinistro.
Il pop cantautoriale di Liprando si colora di elementi metallici, dati da originali sperimentazioni elettroniche.
L’enigmaticità mistica de “La notte nera che apre” diventa oppressione asfittica con l’immagine di un insetto cristallizzato descritta nel testo de “Nell’ambra” .
“L’aria promette nostalgie dimenticate e poi ci prende e ci abbandona in altre vite” canta Liprando in “Cosa rimane” sottolineando l’illusorietà della ricerca dell’amore.
Un linguaggio intenso e struggente dipinge il disincanto e la disillusione con cui le parole filtrano l’ascolto di un suono pop rock elettroacustico.
Il processo di vivisezione dei sentimenti continua con “Le persone innamorate” mentre i “giorni sospesi a metà” de “La vita inquieta”  ci proiettano verso le zone d’ombra di “Una semplice mattina” .
L’ipnotica intro dub di “Ogni volta che sei qua”  introduce il monito universale,” non c’è una vita, una verità che lascia la possibilità di stare in società con la brava gente che non cambierà”, che diventa leit motiv imperante del brano “Qualcosa da nascondere”. Il nichilismo assolutista di “Niente pulsazioni” conquista gli ingranaggi della mente mentre “La notte nera che chiude” cala il sipario un attimo prima che la paura ci divori.

“Kilometri” di note per gli Amari

Quindici anni hanno scandito la storia degli Amari, giunti al nono album intitolandolo “Kilometri”.
Cero, Dariella e Pasta riscoprono il pop  percuotendo il proprio sound con un forte scossone stilistico. Questo nuovo lavoro condensa in 9 tracce le intuizioni e le storie raccolte osservando una generazione incerta e malinconica.
Il tempo che trasforma le cose e le persone è il concept di un album in cui la musica esalta le strofe e ritornelli che racchiudono parole e ragionamenti.
Chitarre e batterie dialogano, senza troppa invadenza, dando un suono orecchiabile, cortese e sinuoso alle parole, ora dolci e ovattate, ora crude e dirette.
Ogni traccia, offre molteplici chiavi di lettura come un quadro di pittura astratta pienissimo di pennellate tutte da decifrare.
“Aspettare, aspetterò” con le sue sonorità vintage andanti, apre uno scenario di aspettative mentre “Ti ci voleva la guerra” suggerisce che “la soluzione è negli angoli” e che “ per rompere la bolla non basta una canzone”. In “Africa” si prova a spiegare la provincia ma, comunque la si gira” è inutile anche dirlo si stava meglio prima”.
“Il tempo più importante” è il gioiello di questo disco che racconta “il logorio dei giorni che non abbiamo passato insieme” e che si chiede “com’è che siamo qui a parlare del tempo, non è che ne abbiamo così tanto”.
Malinconia e romanticismo s’impossessano della scena con “Il cuore oltre la siepe”mentre  un sound elettronico e pimpante da vità al cinismo spensierato de “ La ballata del bicchiere mezzo vuoto”.
La montagna di pensieri da scalare della title-track “Kilometri” si erge, infine, prepotente oltre sentieri di tempo sprecato, perso, “Rubato”.

Il sound funky ed avvolgente degli April Fools.

April Fools è l’ omonimo album d’esordio con cui 3 tre giovani campani di talento hanno coronato un sogno iniziato nel 2004.
Gabriele Aprile, interprete ed autore della band, fonde carisma, estensione vocale e creatività con le striature del suo animo black mentreAlessandro Stellano al basso e Vincenzo Girolamo, alla chitarra, danno vita ad un groove eterogeneo ed accattivante.
L’approccio pop-funk delle 9 tracce di cui si compone il lavoro degli April Fools, trova uno sfogo naturale nelle contaminazioni cantautoriali che invadono i testi mentre l’espressività della lingua italiana cerca e trova, con successo, un canale di collegamento con l’emotività che caratterizza la black music.
Si passa dagli arrangiamenti pop di “Semplicemente (taggato)”, una semplice canzone che racconta l’amore ai tempi di facebook, alla carica adrenalinica di “Movimento” dove la versatilità della voce di Aprile è quanto mai evidente. La precarietà sviscerata dalle parole di “Stand by” è scandita da un rock che scova e che scava negli angoli più concavi del cuore mentre il blues ovattato di “Dicembre” ci trascina tra le liriche de “Nella mia città” dove “Luna pensa al suo domani, camminando a pugni chiusi e dalle ombre delle strade si difenderà”.
“Sul ghiaccio” è una parentesi leggera e movimentata che introduce l’ascoltatore nel racconto di “Cronaca di un volo”: una drammatica ballad di denuncia sociale che tocca il cuore e che lascia interdetti. Le parole di “ Respiro” si sprecano, rinfacciano, tradiscono, lasciano tracce, illudono, convincono, confortano mentre i rimpianti si nutrono dei “Se” del brano con cui si chiude un cd, che, nonostante tutto, lascia spazio a pensieri e prospettive.

I Maieutica e l’arte del rock pensante.

Logos è l’album con cui i Maieutica puntano a far emergere il pensiero attraverso suggestioni ed impulsi di idee.
Prodotto da Defox Records/Heart of Steel Records con la prestigiosa collaborazione di Alex De Rosso,  il lavoro discografico di questi 5 giovani di Padova apre un varco diretto all’intimità dell’ascoltatore senza moralismi.
Thomas Sturaro (vocals), Matteo Brigo (lead guitar, rhythm guitar), Roberto Guarino (rhythm guitar), Luca Serasin (bass) e Mirco Zilio (drums) amano definire il proprio sound “ rock pensante” perché nasce dal pensiero e vuole generarne.
Logos è quindi il suono del pensiero: a tratti morbido e avvolgente, a tratti claustrofobico e assillante, poi elettrico e potente.
Un tuffo negli abissi più reconditi della propria coscienza per smuovere gli ingranaggi della mente anestetizzata dal manicomio della realtà circostante, questo è il senso di questo disco che, cantato rigorosamente in italiano,  compie inaspettate piroette tra assoli più classicamente rock ed effluvi metallici tra brevi passi prog e il pathos della dark wave.
Le visioni psichedeliche di un apparato musicale, quanto mai complesso, trovano nei testi molteplici spunti di riflessione e di introspezione: l’apertura strumentale de “Il suono del pensiero” è come una prima scarica elettrica di purificazione. “Non ci sono angeli e demoni, solo situazioni” cantano i Maieutica in “Sinestetica apparenza” tra strofe melodiche ed incalzanti mentre le chitarre ansiogene e distorte de “In preda alla fuga” rendono vivida l’immagine di un uomo in fuga da sé stesso e dal mondo che lo circonda. A.D.I.D.M. (Armi di indifferenza di massa)  riassume tutto il suo senso nel titolo anche se i versi “ Non c’è coscienza, coscienza critica, tutto può succeder qui, finchè non tocca a te” rappresentano l’essenza perfetta del disagio socio-culturale che viviamo.
Riff nervosi ed inquieti pervadono i suoni de “L’oracolo” e mentre i Maieutica ci accompagnano verso la ricerca della verità, l’atmosfera onirica de “La scelta” ci catapulta tra le arie mistiche di “Tre”.
“Scomodo pensiero” lascia affiorare alla mente i pensieri che ci divorano, che ci sgretolano e poi ci liberano mentre “Natale di s’Odio” e “Primaneve” chiudono, infine, le porte del subconscio lasciando che la vittima tenda la mano al carnefice condannando il pregiudizio che offusca gli occhi ed esaltando la ricchezza della diversità.

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