Spirit: coerenza e innovazione nel nuovo album dei Depeche Mode

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Esce oggi “Spirit”, il nuovo atteso album dei Depeche Mode. Il quattordicesimo album in studio della band apre un nuovo importante capitolo all’interno della loro discografia. La prima ventata di novità la porta James Ford dei Simian Mobile Disco (Foals, Florence & The Machine, Arctic Monkeys) attraverso una speciale formula di assemblaggio dei suoni in grado di metterne in risalto sia la potenza che i dettagli. La seconda è insita nel contenuto quanto mai politico dei testi racchiusi nella tracklist: evoluzione, perdita di controllo, rivoluzione, spiritualità sono i grandi temi affrontati in un album che mira ai punti dei deboli dell’ascoltatore avvolgendolo con delle sonorità sintetiche dal potere catartico. “Spirit” rappresenta, di fatto, il modo per immergersi in un’impietosa autoanalisi dal gusto masochistico. Sadici ma non troppo, i Depeche Mode riescono a mitigare il colpo con qualche suadente ballad in grado di far riprendere il fiato dopo una lunga apnea. Per quanto riguarda gli elementi grafici, artwork e fotografie che accompagnano l’album sono state realizzate da Anton Corbijn, celebre film-maker e collaboratore storico della band. La versione standard (fisica e digitale) di Spirit contiene 12 brani, mentre la deluxe in doppio cd, comprende uno speciale booklet di 28 pagine di foto e artwork esclusivi e 5 remix realizzati da Depeche Mode, Matrixxman e Kurt Uenala, chiamati Jungle Spirit Mixes.

Entrando nello specifico dei brani, il disco si apre con “Going backwords”, un brano con un testo che non le manda di certo a dire: “Stiamo tornando indietro, armati di nuove tecnologie, torniamo indietro all’età della pietra”, canta Gahan, mettendo subito le cose in chiaro. A seguire l’ascoltatissimo singolo “Where’s the revolution?” in cui i Depeche Mode ci invitano a impegnarci seriamente, a sporcarci le mani, a scendere in piazza per fare in modo che qualcosa inizi davvero a cambiare. In “The worst crime” la band ci dichiara tutti colpevoli dello stato attuale delle cose. A rincarare la bellezza dell’ascolto sono i sensuali momenti elettronici di “Scum” e “You move”, così come le pulsazioni strumentali di “Cover me”. Se “Eternal”, cantata da Martin, risulta più debole, “Poison heart”, rialza la posta con un’irresistibile ritmica. “You can despise me, demonize me, but there is so much love in me”, dicono i Depeche Mode in “So much love” per ridare forza all’idea di speranza.  Algida l’intro di “Poor man” dedicata ad un ‘anima a cui resta ben poco da perdere. Un vorticoso crescendo di suono traghetta l’ascolto attraverso il limbo di “No More (This is the last time” fino alla conclusiva ed implacabile “Fail”. Pessimisti ma non catastrofisti, i Depeche Mode si guardano intorno per stimolare se stessi e chi li ascolta. Forti della loro potente riconoscibilità, Dave Gahan, Martin Lee Gore e Andrew Fletcher scelgono di dare più spazio alla loro urgenza espressiva servendosi di un sofferto lirismo e di un suono sublime dal fascino perturbante, a tratti ipnotico.

 Raffaella Sbrescia

Video: Where’s the Revolution

Spirit tracklist (STANDARD):

Going Backwards

Where’s the Revolution

The Worst Crime

Scum

You Move

Cover Me

Eternal

Poison Heart

So Much Love

Poorman

No More (This is the Last Time)

Fail

 

 

Pulviscolo: il primo album da solista di Colombre. La recensione

Pulviscolo - Colombre

Pulviscolo – Colombre

“Pulviscolo” è il primo album di Colombre, progetto che inaugura l’esperienza solista di Giovanni Imparato – già voce, chitarra e autore dei brani della band indie-pop Chewingum e co-produttore del disco “Sassi” di Maria Antonietta. Ispirato ad un racconto di Dino Buzzati (Il Colombre), il nome d’arte di questo artista rispecchia la sua voglia di affrontare le paure e di sfuggire all’immobilità. Registrato agli Artigiani Studio/Sala Tre di Formello (studio di Daniele Sinigallia), in presa diretta, senza cuffie né click, affinché “le canzoni oscillassero come le onde del mare”, prodotto da Giovanni stesso e da Fabio Grande (I Quartieri, Joe Victor, Mai stato altrove, Shalalalas) con l’ assistenza tecnica di Pietro Paroletti, l’album racchiude anche delle ottime collaborazioni: la voce e i cori di IOSONOUNCANE (featuring di Blatte), le percussioni di Francesco Aprili (batterista di Wrong on you, Giorgio Poi e Boxerin Club) e il basso di Nicolò Pagani (Mannarino) in Bugiardo.

25 minuti e 36 secondi sono il tempo che occorre per sentire l’urgenza e la veracità delle 8 tracce che compongono un disco composto e arrangiato in solitaria in un piccolo studio di Senigallia per affrontare temi privati come l’amore, l’amicizia, la malattia mentale, le illusioni e le disillusioni di un uomo contemporaneo attraverso un universo musicale davvero variegato. Muovendosi tra chitarre, omnichord e tastiere, Colombre gioca con gli strumenti tra pop e psichedelia. Il disco si apre con la title track “Pulviscolo”, brano senza ritornello scandito da una melodia su progressione di accordi suonati con l’organo. Bando alle scuse scelte, trovate, quasi inventate per tergiversare e perdere tempo. Uno spreco più simile ad un lusso quello raccontato in “Fuoritempo”. L’unico featuring del disco è presente in “Blatte”, un brano dal testo rude e scomodo che vede la partecipazione di Jacopo Incani aka IOSONOUNCANE. I suoi cori danno ampiezza e compattezza ad un pezzo che parla di un rapporto di amicizia finito dopo aver capito la vera natura dell’altra persona tra indifferenza, disgusto, falsità, rabbia. Il brano più difficile del disco è “Tso”: il protagonista è un caro amico di Colombre che, dopo un’adolescenza frenetica, è stato ricoverato all’improvviso in psichiatria. A lui l’artista augura di tornare ad essere spavaldo come una volta. L’immagine di incompletezza e solitudine dettata dalla mancanza del partner è quella più eclatante per descrivere l’essenza di “Dimmi tu”, la canzone d’amore che Colombre dedica alla compagna Letizia aka Maria Antonietta (che ha firmato l’art work dell’album). Fottetevi tutti, la gente fa schifo. Ecco la rivelazione di “Sveglia”, il pezzo ispirato al mondo musicale di Caetano Veloso, necessario per parlare a se stessi e darsi finalmente un benedetto scossone per destarsi dal torpore. Sapevo, tacevo, mentivo e ti confondevo: questa è l’ammissione di colpa contenuta in “Bugiardo”, una canzone che parla senza filtri di tradimenti. E poi c’è “Deserto”: e se hai pianto mille volte fino a solcarti il viso e hai sbagliato mille volte sentendoti fallito, sai che un nuovo oceano sta nascendo in Africa da un deserto. Prova a volerti bene senza aculei, te lo meriti tieniti stretta la tua diversità e non avere paura. La malinconia, il disincanto e quel pulviscolo di incertezze che ci attanagliano il cuore non saranno mai abbastanza forti da spegnere la speranza di un sorriso.

Raffaella Sbrescia

 Video: Blatte

TRACKLIST

1)    Pulviscolo

2)    Fuoritempo

3)    Blatte feat. IOSONOUNCANE

4)    TSO

5)    Dimmi tu

6)    Sveglia

7)    Bugiardo

8)    Deserto

 LE PRIME DATE DEL TOUR DI “PULVISCOLO”

18 marzo Roma, Le Mura

24 marzo Firenze, Tender Club

31 marzo Trento, Bookique

1 aprile Udine, Rock Bar 60

7 aprile Foligno (Pg), Supersonic

8 aprile Carpi (Mo), Mattatoio

14 aprile Lunano (Pu), Enoteca di Lunano

15 aprile Milano, Ohibò

21 aprile Bassano Romano (Vt), La casa di Emme

28 aprile Bologna, Covo Club

 

Rosso Istanbul: la recensione della colonna sonora

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Tredici brani e una sola canzone canzone (In Dieser Stadt di Hildegard Knef, del 1965) per la colonna sonora di “Rosso Istanbul”, il nuovo film del regista Ferzan Ozpetez. Edita in digitale da per CAM del Gruppo Sugar, l’opera è frutto del lungo lavorìo di ricerca portato avanti da Giuliano Taviani (due David di Donatello nel 2015 come miglior musicista e per la migliore canzone originale per Anime Nere) e Carmelo Travia (nominato ai David di Donatello come migliore musicista per Cesare deve morire). Melodica, ficcante e fascinosa, la musica dei due compositori s’insinua nella mente creando un legame a doppio filo con i personaggi e le magiche atmosfere di Istanbul, di cui raccoglie anche i suoni. Un viaggio dentro il viaggio è il tema che attraversa la storia del protagonista Orhan Sahin che torna a Istanbul dopo 20 anni di esilio volontario. Giunto in città per collaborare in qualità di editor con il noto regista Deniz Soysal, Orhan rimane inviluppato in una serie di vicende che lo legano ai famigliari e agli amici di Deniz. Su tutti spicca Neval, la donna che con la sua grazia e il suo sguardo magnetico innesca in Ornah una serie di emozioni ormai sepolte sotto una spessa coltre. Malinconiche riflessioni, pochi discorsi e tanti sguardi si avvicendano mentre sullo sfondo le note disegnano i contorni dei profili di ciascuno dei protagonisti. Le diverse versioni del tema centrale “Red Istanbul” si adornano di elementi accessori in grado di fornire inedite sfaccettature di uno stesso luogo pronto a sorprendere il pubblico. Assolutamente magica “Memories of the Bosphorus” intrisa di mistero e pathos. Nervature jazz attraversano le trame di “Yali Pop” e “Falling down” anche se è “The Turkish Key” ad aggiudicarsi lo scettro di composizione regina: struggente nel suo classicismo europeo profumato di etnicità romantica.

Raffaella Sbrescia

Rosso Istanbul: tracklist
1. Istanbul Red 2:13
2. Orhan’s Theme 2:03
3. Yusuf 3:21
4. Istanbul Red (Version 2) 2:32
5. Neval 0:55
6. Rebirth 1:43
7. Memories of the Bosphorus 1:30
8. The Turkish Key 1:34
9. Deniz’s Ghosts 1:50
10. Istanbul Red (Version 3) 2:04
11. Yali Pop 2:36
12. Falling Down 1:33
13. Istanbul Red (Version 4) 2:36
14. In Dieser Stadt (Hildegard Knef) 3:05

 Il trailer:

“Pino Daniele. Il tempo resterà”, un film per un ritratto inedito e appassionante dell’artista

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Suonare per vivere, suonare per essere libero, suonare per dare voce ad un sentimento. Questo era ed è Pino Daniele. Questo è quanto traspare in «Pino Daniele. Il tempo resterà», il docufilm di Giorgio Verdelli che sarà presentato in anteprima l 19/03 al Teatro San Carlo di Napoli e che sarà nei cinema italiani per soli tre giorni i prossimi 20, 21 e 22 marzo. Lui che non voleva essere niente se non se stesso, lui che è riuscito a trovare il codice per entrare nel portale del tempo, lui che è riuscito a riunire le mille facce e le mille anime di Napoli, è il protagonista di un lavoro certosino di ricerca tra materiali di archivio dagli esordi fino all’ultimo tour, stralci di interviste registrate tra il 1978 ed il 2014 e filmati inediti. Tanti anche i contributi di artisti che hanno lavorato con lui a partire dalla super band di “Vai mo’”, composta da James Senese, Tullio De Piscopo, Joe Amuroso, Rino Zurzolo e Tony Esposito fin da quella prima telefonata che proprio Pino Daniele fece a Senese: «Gli piaceva la mia band, Napoli Centrale, si presentò da me che sembrava un indiano e questo già mi pareva promettente – spiega Senese nel docufilm. Gli dissi: “A noi manca un bassista”. E lui: “Ma io suono la chitarra”. Io: “Accattate ‘o basso e vieni a suonare con noi”». Belli anche i video delle esibizioni con Eric Clapton a Pat Metheny. Emozionante la dedica rap di Clementino dai tetti di Napoli, affettuosi i commenti di Renzo Arbore, Massimo Ranieri, Stefano Bollani, Ezio Bosso, Jovanotti, Giuliano Sangiorgi e Vasco Rossi e tanti altri artisti. Al centro della pellicola, la musica di Pino, quella musica che ha cambiato la canzone napoletana sdoganando l’uso del dialetto, rendendo il linguaggio popolare colto e raffinato, unendo melodia e ritmo, mandolini e blues, tracciando, infine, una linea immaginaria di collegamento fraterno tra il mediterraneo e l’America. Tra le rarità da non perdere c’è la scena in cui Pino Daniele che, a casa di Massimo Troisi, gli fa ascoltare per la prima volta un breve accenno di «Quando», la canzone che fu poi scelta per la colonna sonora del film “Pensavo fosse amore… invece era un calesse”. Lui che ci metteva il cuore nelle cose che scriveva, così lo ha consumato – dice Alessandro Siani nel docufilm. A noi piace invece pensare che Pino non fu, è. Ricordiamolo dunque con le bellissime parole del suo storico concerto del 19 settembre 1981 in piazza del Plebiscito: «Io esisto grazie a voi, ciao guagliù».

Raffaella Sbrescia

Il trailer:

Verso le meraviglie: gli Stag ci portano per mano tra i simboli della mappa dell’anima.

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Dopo una lunga attesa gli STAG tornano in scena con “Verso le meraviglie” pubblicato per l’etichetta discografica indipendente INRI con la distribuzione Artist First.  MARCO GUAZZONE (voce, seconde voci, pianoforte, tastiere, programming), STEFANO COSTANTINI (tromba e flicorno, seconde voci, tastiere, chitarra acustica), GIOSUE’ MANURI (batteria, percussioni, drum machine) e EDOARDO CICCHINELLI (basso, tastiere, programming) si rimettono in gioco con un concept album pensato per insegnarci a trovare la nostra stanza delle meraviglie, quella che custodiamo, forse inconsciamente, forse gelosamente, nel nostro io più profondo. Avvalendosi della loro speciale formula musicale capace di racchiudere elettronica, synth, musica sinfonica, musica orchestrale, folk e rock, gli Stag ci portano per mano tra i simboli della mappa dell’anima.

Stag

Stag

Con un titolo che prende ispirazione dalla traccia apripista “To the Wonders”, nonché colonna sonora del film “Un bacio” di Ivan Cotroneo, la band ci traghetta tra flussi di coscienza e nuove consapevolezze. Uno dei brani più intensi è “Le mie ombre” dal testo cupo e introspettivamente doloroso: “Ma quanto pesa il buio che mi porto dal passato, mi bussa dal passato”, canta Guazzone, alternandosi come di consueto tra italiano e inglese. Lo stesso mood viene ripreso da “Down” in cui ricorrono gli interrogativi, i dubbi e le perplessità che precedono un cambiamento importante. La scrittura collettiva traspare in “Kairòs”: “Svegliati prima che sia troppo tardi”: un monito ma anche una richiesta forte, urgente, necessaria. “Lasciati andare, riparti da qui”, dicono gli Stag in “Mirabilia”, il brano che racchiude l’essenza dell’album: siamo stanze da scoprire e per compiere questa ricerca c’ è molto da fare; non importa quando, non importa dove, non importa perché, non importa come. Questo è quanto c’è scritto in “Slay tilling” che gli Stag portano in giro da svariati anni e che, dopo essersi insediata nei cuori dei fedelissimi, finalmente trova la meritata collocazione in un disco. Giocosi i delicati equilibri del duetto proposto in “Vienimi a cercare” con Matilda De Angelis, giovane promessa del cinema italiano nonché musicista. Una forte dichiarazione di malessere doloroso emerge in “Dimmi se adesso mi vedi” propagandosi anche in “Da te”: più ti controllerò, più mi distruggerai, più mi allontanerò, più mi verrai a cercare. Questa sensazione di smarrimento esistenziale giunge ad una svolta in “The Helm”: il brano più sperimentale dal punto di vista sonoro che intende mettere in atto un vero e proprio risveglio dopo un momento di perdizione. La sensazione è confermata dal mood completamente diverso del brano “Oh Issa!”, che vanta il contributo di Paolo Buonvino: “Siamo pronti a salpare”, cantano gli Stag, e così sia. La band prende il largo con “I’m free”: un brano onirico che si fregia della poetica di tutto il gruppo e che testimonia in modo tangibile il primo passo verso la luce della maturità artistica. “Verso le meraviglie” non è un disco facile, è un disco intimo, introspettivo, ricco di parole, ricordi, difficoltà superate e melodie costruite poco a poco e con amore. Mettetevi comodi e iniziate a cercare le meraviglie che ci sono dentro ciascuno di voi insieme agli Stag.

 Raffaella Sbrescia

Video: Vienimi a cercare

Instore tour:

10/03: MILANO, Ostello Bello, via Medici 4 – h. 18.00

16/03: PESCARA, La Feltrinelli, via Trento ang. Via Milano, h 18.30

18/03: SALERNO, Disclan, piazza Sedile di Portanova 23 – h 12.30

18/03: SALERNO, Modo Ristorante, viale A. Bandiera c/o The Space – h 22.00

20/03: TORINO, La Feltrinelli, piazza C.N.L. h 18.00

29/03: BOLOGNA, La Confraternita dell’Uva, via Cartoleria 20 b – h 18.30

31/03: LUGANO, Turba, via Cattedrale 11 – h 22.00

 

Amore, lavoro e altri miti da sfatare: il nuovo album de Lo Stato Sociale.

Copertina Album - Lo Stato Sociale

Copertina Album – Lo Stato Sociale

C’è tutto e il contrario di tutto in “Amore, lavoro e altri miti da sfatare”, il nuovo album di inediti del collettivo bolognese Lo Stato Sociale prodotto da Garrincha Dischi in licenza per Universal Music Italia. A due anni di distanza dal loro ultimo successo con “L’Italia peggiore” Albi, Bebo, Lodo, Carota e Checco racchiudono nel titolo del disco un nitido riassunto del contenuto delle dieci tracce che, nel toccare temi chiave, ormai miti dell’uomo contemporaneo, si rivelano attraverso una brillante dose di irona e lucidità analitica. Alternandosi al canto o agli strumenti i cinque membri del gruppo danno spazio alle loro molteplici influenze musicali in un convincente caleidoscopio di generi passando dal rock alla dance all’elecro pop.

Lo Stato Sociale

Lo Stato Sociale

L’album si apre con una canzone “Sessanta milioni di partiti” che, già da sola, ci dipinge in modo autentico come schiavi dei soldi, del tempo, della moda del momento mentre tutto il resto è inferno a fuoco lento. Questo paese ha bisogno di silenzio, canta Lo Stato Sociale, incarnando una necessità fisiologica dettata dal bisogno di resettare tutto e ricominciare daccapo. Naturalmente anche i rapporti di coppia ne escono completamente devastati proprio come avviene in “Amarsi male”: “Non ci sarà mai il tempo di fare quello che ci va/ tra qualche scaffale di scarpe col tacco e una giungla di tofu e seitan/ mandiamo tutta la nostra poesia a puttane”. Ed ecco dunque il verdetto: “Abbiamo finito la felicità in una vita al contrario e sogni a metà”. Profonde e scarnificanti le valutazioni che Lo Stato Sociale propone in uno dei migliori brani del disco quale è “Quasi liberi”: “Scoprire è meglio che capire, capire è meglio di spiegare. Meglio essere liberi che furbi, meglio essere sprovveduti che intelligenti, meglio essere vivi che vissuti, meglio essere sbagliati che incompiuti. Il resto sono solo scuse per sentirsi in compagnia nel rimanere soli con i propri alibi”. Nell’ascoltare queste verità viene subito da dire che Lo Stato Sociale ha raggiunto la maturità definitiva, ha sputato in faccia a tutti quanti noi la nostra essenza più intima, ci ha messo a nudo nella nostra fragilità e chissenefrega di quello che sarà. Non mancano episodi leggermente più leggeri come “Buona sfortuna”, che sbeffeggia lo stile di Cesare Cremonini e “Niente di speciale” in cui si ammette che “non è sognare che aiuta a vivere ma è vivere che deve aiutarti a sognare”. Veramente suggestivo il mantra “Bruciare sempre e spegnersi mai” contenuto in “Eri più bella come ipotesi”, un testo ispirato a uno scritto di Harold Pinter in cui si racconta la fine del sogno politico ’68/’77 come fosse la storia del rapporto tra due amanti che non funziona più. E poi c’è “Mai stati meglio”, il pezzo più dissacrante del disco, quello senza ritornello, quello in cui Lo Stato Sociale puntualizza, moralizza, polemizza divertendosi e divertendo. A seguire lo sberleffo di “Nasci Rockstar, muori giudice a un talent show”: sebbene il testo risalga ad un periodo antecedente alle gesta televisive di Manuel Agnelli a X Factor, l’accostamento alla sua figura è quasi automatico anche se, a dirla tutta, fossero tutti come Manuel Agnelli i giudici dei nostri talent show, ci sarebbero dei risultati molto più appaganti dal punto di vista culturale e artistico. Intensa la dedica d’amore incondizionato insita nel testo di “Per quanto saremo lontani”: Non ho niente perché voglio te, sei tutta la mia voglia di scappare, sei tu la mia paura, la paura di fallire, il mio tempo perso, la mia strada da sbagliare, sei tu la mia paura, la paura di star bene”. Infine la chiusura da bruciore allo stomaco e lucciconi agli occhi con “Vorrei essere una canzone”: quella che ti dice chi sei senza fartelo capire. E adesso tutti sottopalco a ridere di noi stessi insieme a quegli “adorabili mascalzoni” de Lo Stato Sociale.

Raffaella Sbrescia

Video: Buona Sfortuna

Video Intervista Lo Stato Sociale:

“Terra”: il nuovo album de Le Luci della Centrale Elettrica. La recensione

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“Terra” è il nuovo lavoro di Vasco Brondi aka Le Luci della Centrale Elettrica. Un album intimo e collettivo al contempo, completo perché contemporaneo e ricco di influssi e sfumature sonore. Incarnando nel linguaggio, nelle tematiche, negli arrangiamenti il linguaggio e gli interrogativi del nostro tempo, Vasco Brondi pesca a piene mani tra ritmi tribali e musica elettronica. Si lascia emozionare, travolgere, ispirare dall’incontro e dalla diversità degli uomini cantando l’annichilimento del possibilismo, quello che tutto prende e tutto offre a noi che siamo “schiavi dei piani futuri”. Partendo dalla provincia italiana (Ferrara), Brondi allarga il proprio raggio letterario agli angoli più remoti del mondo passando dalla solitudine alla moltitudine attraversando un mare di interrogativi. A tutto questo, il cantautore e il co-produttore Federico Dragona (Ministri) hanno sapientemente unito suoni ed echi dal mondo per delineare un fedele affresco della nostra etnia in evoluzione “dove stanno insieme la musica balcanica e i tamburi africani, le melodie arabe e quelle popolari italiane” attraverso i suoni di tabla e violoncello, le percussioni di Daniel Plentz dei Selton e il violino di Rodrigo D’Erasmo. In copertina troviamo, invece le “Seven Magic Mountains”, pietre ammassate, enormi e fosforescenti, nel deserto del Nevada. “Metafora, racconta lo stesso Brondi, di Las Vegas, a mezz’ora di distanza, del niente luccicante. O della nostra terra, lo splendido deserto italiano visto con gli occhi di chi cerca di sbarcarci.”

Vasco Brondi PH Ilaria Magliocchetti Lombi

Vasco Brondi PH Ilaria Magliocchetti Lombi

Accompagnato dal libro/diario di lavorazione “La gloriosa autostrada dei ripensamenti”, in cui il cantautore ha incluso tutto quello che è esondato dalle canzoni, il cumulo di immagini si apre con “A forma di fulmine”: possiamo correre o restare immobili, prenderci o perderci, vivere senza avere niente da perdere e tutto da vincere o magari navigare semplicemente a vista senza mai perdere di vista il valore delle cicatrici che il nostro vissuto ci ha lasciato sulla pelle. In “Qui” è il futuro a scardinare regole e sentimenti, l’unica difesa è il “super potere di essere vulnerabili”. La pelle sottile di noi, sempre assaliti dai pensieri è fedelmente ritratta in “Coprifuoco”, il brano che racchiude tutti i fili del discorso portato avanti da Brondi nonchè tutte le sue influenze De Gregoriane. A seguire, la vicenda di una “sconfitta e contenta” che, dopo aver vissuto un periodo di destabilizzante precariato a Milano, torna dai suoi genitori “Nel profondo Veneto”. La distanza del cammino tra le proprie origini e il proprio destino fa capolino ne “Il Waltz degli scafisti”, un brano che esorcizza il male servendosi di uno struggente giro di violino in chiusura. “Vanno sempre bene i progessi, ma tu come ti senti?”, chiede Brondi in “Iperconnessi”: cantami o Diva l’ira della rete imprevedibile come le onde, cantami la fame d’attenzione in un mondo in cui l’ironia sta diventando una piaga sociale. Cantami, soprattutto, del diritto alla segretezza e alla timidezza, dei posti dove il wifi non arriverà mai e poi mai, canta l’artista, ponendosi e ponendoci domande che pesano macigni. L’ascolto continua con “Chakra, un brano intimo e serenamente disperato nella sua consapevole tragicità. Sonorità intense e conturbanti animano il testo di “Stelle marine” in cui l’acqua si impara dalla sete, la pace dai racconti di battaglia. Altro brano intriso di frammentazioni è “Moscerini”, affresco estmporaneo del nostro morire tracciabili nei desideri e nei movimenti facendo finta di niente. Il meraviglioso disco si chiude con “Viaggi disorganizzati” in cui l’impossibile diventa possibile, su tutto il riuscire a sopravvivere “allegri e disperati nei secoli dei secoli”.

Raffaella Sbrescia

Tracklist

A forma di fulmine
Qui
Coprifuoco
Nel profondo Veneto
Waltz degli scafisti
Iperconnessi
Chakra
Stelle marine
Moscerini
Viaggi disorganizzati

Le date del tour:

 

 

 

La La Land: la recensione della colonna sonora

La La Land

La La Land

Sei premi Oscar e una colonna sonora da incanto. Signore e signori questo è “La La Land”, scritto e diretto dal regista Damien Chazelle. I protagonisti sono Mia (Emma Stone), un’aspirante attrice che, tra un provino e l’altro, serve cappuccini alle star del cinema e Sebastian (Ryan Gosling), un musicista jazz che cerca di sbarcare il lunario suonando nei piano bar. La loro travolgente storia d’amore si sviluppa all’insegna del fatalismo romantico e li metterà continuamente in discussione con loro stessi. La vicenda si contestualizza in modo anacronistico nella nostra contemporaneità eppure lo fa in modo sorprendente. Incanto, magia ed evasione romantica dettano gli schemi di un nuovo modo di ragionare. Le tracce che compongono la colonna sonora sono state scritte da Justin Hurwitz, Benj Pasek e Justin Paul, e prodotte da Justin Hurwitz, Marius de Vries e Steven Gizicki e cesellano i dettagli più intensi del musical moderno più popolare del momento.  Al centro della narrazione, improntata all’elogio dell’incanto e della magia d’altri tempi, c’è il pianoforte: elemento catalizzatore e nevralgico. Leggerezza, ritmo e buon gusto la fanno da padrone anche negli strumentali jazz di Hurwitz. Il tema ricorrente nel film è “City of stars”, brano in cui dubbio e speranza si incrociano in modo vertiginoso. Particolarmente toccante la conclusiva “Audition”, il brano  motivazionale di Mia, pensato per motivare, emozionare ed elogiare i folli sognatori. Un modo per travolgere lo spettatore con parole forti, autentiche, impattanti con garbo, leggerezza e buon gusto. Al bando il disincanto, viva il sogno, viva la speranza e soprattutto viva il jazz.

 Raffaella Sbrescia

 

Questa la TRACKLIST  completa del disco:

1. “Another Day Of Sun” (La La Land Cast)

2. Someone In The Crowd” (Emma Stone, Callie Hernandez, Sonoya Mizuno, Jessica Rothe)

3. “Mia & Sebastian’s Theme” (Justin Hurwitz)

4. “A Lovely Night” (Ryan Gosling, Emma Stone)

5. “Herman’s Habit” (Justin Hurwitz)

6. “City of Stars” (Ryan Gosling)

7. “Planetarium” (Justin Hurwitz)

8. “Summer Montage / Madeline” (Justin Hurwitz)

9. “City of Stars” (Ryan Gosling, Emma Stone)

10. “Start A Fire” (John Legend)

11. “Engagement Party” (Justin Hurwitz)

12. “Audition (The Fools Who Dream)” (Emma Stone)

13. “Epilogue” (Justin Hurwitz)

14. “The End” (Justin Hurtwitz)

15. “City of Stars (Humming)”  (Justin Hurwitz featuring Emma Stone)

 

Un mondo raro: Chavela Vargas rivive con Dimartino e Cammarata.

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Non solo un accurato omaggio alla grande cantante Chavela Vargas ma anche un’operazione di recupero culturale. Ecco cosa rappresenta il nuovo progetto di Antonio Dimartino e Fabrizio Cammarata intitolato “Un mondo raro”. L’album, prodotto da Picicca e distribuito da Believe è accompagnato anche da un romanzo biografico pubblicato da La Nave di Teseo, intitolato “Vita e incanto di Chavela Vargas”, che intende racchiudere il resoconto documentato della vita della cantante. Ripercorrendo la straordinaria vicenda della leggendaria artista sudamericana, i due cantautori la omaggiano in modo onesto, sincero ed emozionante unendo a doppio filo la Sicilia e il Messico al contempo. La chiave del successo di questa rischiosa operazione sta nella cura e nell’attenzione con cui i due hanno cesellato con reverenziale rispetto ogni parola della selezione di brani scelti traducendoli dal testo originale, con l’accompagnamento delle chitarre dei Los Macorinos, Juan Carlos Allende e Miguel Pena, fidati musicisti della Vargas. Preziosi arpeggi delicati sono lo sfondo di racconti di lacrime e patimento, di sofferenza e struggimento. Si va dalla chiusura ermetica delle porte del cuore di “Non tornerò” alla carnale sensualità di “Macorina”: odore di donna, di carne, di paglia, di polvere si fanno vividi tra corde di chitarre e calde vocalità. La veracità dei sentimenti puri e semplici è il bene sconosciuto da importare dal passato e da innestare in un mondo sempre più privo di speranza e di magia. Un mondo raro è quello recuperato da Dimartino e Cammarata che traggono spunto dall’epopea individuale della Vargas per insegnarci cosa vuol dire vivere all’insegna del romantico fatalismo. Da non perdere.

 Raffaella Sbrescia

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Tracklist

Non Tornerò

Macorina

Un Mondo Raro

Le Cose Semplici

Non Son Di Qui, Non Son Di Là

Croce Di Addio

Verde Luna

Le Ombre

Andiamo Via

Pensami

CREDITS

Prodotto da Fabrizio Cammarata e Antonio Di Martino

Registrato a Città del Messico negli AT Studios da Francesco Vitaliti e a Palermo negli Indigo Studios da Francesco Vitaliti e Fabio Rizzo.

Missato a Palermo negli Indigo Studios da Fabio Rizzo e Francesco Vitaliti

Masterizzato da Daniele Salodini al Woodpecker Mastering di Brescia

Antonio Di Martino: voce e chitarra classica

Fabrizio Cammarata: voce e trés cubano

Juan Carlos Allende e Miguel Peña (“Los Macorinos”): chitarre classiche

Settimo Serradifalco: contrabbasso

Salvo Compagno: percussioni

Angelo Trabace: piano

Alessandro Presti: tromba

Angelo Di Mino: violoncello

Francesco Incandela: violino

Serena Ganci e Angelo Sicurella: cori

℗ e © Picicca Dischi 2017

Distribuzione fisica e digitale Believe Digital Srl

L’Arcipelago: la recensione del nuovo album di Giorgio Barbarotta

Giorgio Barbarotta- L'Arcipelago

Giorgio Barbarotta- L’Arcipelago

“L’arcipelago” è il nuovo album di inediti del cantautore trevigiano Giorgio Barbarotta. Facendosi largo tra 12 canzoni, l’artista traccia una mappa esistenziale con diverse rotte da seguire. Avvalendosi della partecipazione di Angelo Michieletto alle chitarre e tastiere, co-produttore, Stefano Andreatta al basso e flauto traverso, Nicola Accio Ghedin alla batteria e Andrea De Marchi del Virtual Studio come ingegnere del suono al mixer e post produzione, Barbarotta spazia dal pop, al folk, al rock senza mai perdere la bussola dell’emotività. Il disco si apre con ‘In un mondo migliore’: nel brano l’immagine più evocativa è quella del farsi largo a spallate tenendosi saldi al timone per continuare a credere in un mondo migliore. L’entusiasmo, figlio di un nuovo amore, zampilla dal testo de “Nelle tue mani”: ”Tutto scorre, si sa/ e i giorni fuggono via come meteore impazzite. Resta pure, ti va? Senza un prima né un dopo goditi questo gioco tra le lenzuola e il cielo”. L’ascolto prosegue con un fotogramma quantomai fedele al nostro vivere quotidiano: “Navigare a vista tra la chiglia ed il fondale profondo quanto basta da potersi accontentare di un’oncia di felicità”.

Video: Nelle tue mani

“Scava la tua piccola trincea ma non dimenticare il delirio che sta fuori”, canta Barbarotta ne “I Capricci del destino” mentre “L’ultima notte dell’anno” si destreggia tra linee e bilanci senza mai distogliere lo sguardo dai rimorsi e dai rimpianti. L’ode alla “chimica del corpo” è una pimpante marcetta pop mentre il testo de “Le anime restano in bilico” riportano l’immaginario in un mood più intimista e malinconico. “Il mio mecenate” è il brano più debole del disco, fuori rotta e fuori contesto. Molto meglio “In mezzo ci sei tu”, ispirato ai mali e alle paure che ci attanagliano. Vividi e incendiari gli aggettivi usati per “Quaranta gradi celsius”: La fronte cola sulla gola, la testa bolle trai pensieri, la suola ustiona sotto i piedi”. La traccia migliore del disco è “Quei piccolissimi gesti”: “E intanto tu tieni attaccati i tuoi pezzi mentre la vita si prende gioco di noi. Quante maschere da buttare, quanti dubbi da affrontare di cui non abbiam tenuto conto mai”; Giorgio Barbarotta costruisce il suo arcipelago di poesie mantenendo sempre vivo il focus su un tipo di emotività mai scontata. A conferma di quanto appena scritto c’è l’ultimo brano che chiude il disco, intitolato “Cinica è la sera”: “Si possa meditare su ciò che siamo stati e adesso diventati che cosa chi lo sa”; un punto interrogativo scomodo ma fondamentale in un disco che dimostra di avere qualcosa di utile da dire.

Raffaella Sbrescia

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