“Stanza 223″, la recensione del nuovo album dei Titoli di Coda

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I Titoli di coda sono Marco D’Anna (cantautore, autore, chitarra), Irene Scarpato (voce, autrice) e Alberto Santaniello (autore, chitarra); un trio di artisti partenopei che, nel corso di quattro anni, hanno lavorato parallelamente in studio e all’interno dello scenario musicale nazionale,  affermandosi come una interessante realtà cantautorale in grado di proporre testi ricercati e melodie ispirate al mondo del cinema. “Stanza 223” rappresenta, dunque, il loro approdo all’universo discografico su etichetta Full Heads, con distribuzione a cura di Audioglobe. Il disco, composto da 11 tracce eterogenee e complesse, racchiude e mescola atmosfere e armonie della musica moderna passando con disinvoltura dal jazz alla fusion senza trascurare una certa dose di elettronica, avvalendosi del contributo di numerosi musicisti campani e non.

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Il fascino imprevedibile del fato permea il testo di “Hotel Roma”, la traccia d’apertura di “Stanza 223”, seguita da “Se poi cadesse il mondo”, un brano intimo e delicato, irradiato dalla leggerezza di un’atmosfera sonora tipica di un pomeriggio autunnale trascorso sulle rive della Senna. L’eleganza jazz de “L’equilibrio” emerge attraverso parole forti, che lasciano trasparire una profonda sensibilità: “Sono in equilibrio su un oceano di vita o poco più e galleggio stabile in attesa di cadere nel profondo blu” e poi, ancora, “In questo mondo liquido si ha ancora l’esigenza di cacciarsi in mezzo ai guai”, canta Irene Scarpato con la sua voce leggera e sottile. Suadente è il rimo del tango in “Via da me”, un brano appassionato incentrato sul tema dell’amore combattuto.

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La voce di Marco D’Anna anima le parole di “Mediterraneo”: intense note blues intarsiano “pochi metri di pensiero” mentre la versione jazz di “Non è Francesca” di Lucio Battisti precede la bellissima ballad intitolata “L’odore della pioggia”, un riuscito esercizio testuale, una originale texture di parole,perfetta per descrivere l’essenza di un legame sbagliato. Appassionata e significativa è la trama di “Veramente”, in assoluto il brano più interessante dell’album: “Provo a darmi un’occasione buona per vivere una vita tutta intera, qualcosa che non assomigli necessariamente al lamento costante che compiace la gente”, canta Irene, mentre archi e pianoforte danno vita al dolore amoroso di “Vernice fresca”. Luoghi, ricordi, parole e ostacoli affollano le note di “Se ci fosse l’amore” mentre il brio folk de “La felicità” chiude “Stanza 223” all’insegna della speranza e della positività.

Raffaella Sbrescia

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 Video: “Se poi cadesse il mondo”

The Kooks, la recensione di “Listen”

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 “Listen” è il quarto album dei The Kooks. Il gruppo britannico composto da Luke Pritchard (voce e chitarra), Hugh Harris (chitarra),  Pete Denton (basso) e Alexis Nunez (batteria) ha rivoluzionato il proprio suono attraverso una fusione di sonorità vicine al funk, al soul, al gospel. Il risultato è una miscela musicale curiosa ma convincente. Scritto e co-prodotto da Luke Pritchard e il giovane artista hip hop Inflo, “Listen” rappresenta un progetto decisamente innovativo per la band di Brighton. L’album si apre con “Around town”: batterie e percussioni s’innescano in un’atmosfera tipica da club in cerca di connessione tantrica con il genere umano, bella anche la linea di basso in perfetta sintonia con l’ oscuro utilizzo dell’elettronica in dissolvenza. Fresco ed accattivante il ritmo di “Forgive & Forget”, arricchito dal caldo fascino delle percussioni e dalla battuta di basso nel finale. “Westside” racconta una storia d’amore ai tempi del nuovo millennio, un connubio tra anime perse eppure desiderose di buttarsi a capofitto in una nuova avventura familiare. Sullo sfondo una serie di accordi e di sonorità legate al synth-pop anni ’70. Decisamente differente il registro di “See me now”, una tenera ed intensa ballad, piano e voce, in cui Luke Prichard si rivolge al padre prematuramente scomparso: “If you could see me now, if you could see my smile, see a little boy oh, would you be proud?”, canta l’ormai adulto Luke, mentre un coro gospel accresce e sviluppa la linea melodica del bel brano.

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Notevoli le aperture strumentali contenute in “It was London”: chitarre, basso e batterie si fondono in un vortice selvaggio e più incline alle atmosfere underground tipicamente britanniche. L’intro a cappella di “Bad Habit” si sviluppa lungo gli irresistibili giri di batteria e le chitarre distorte proposte nelle strofe successive del brano, dedicato alla ricerca di qualcuno da amare con una forza emotiva quasi perturbante. Straniante lo scivolone che The Kooks compiono in “Down”, il brano più banale presente nella track-list dell’album. Lontani echi beatlesiani riecheggiano in “Dreams”, caratterizzata da un più ampio uso dell’elettronica, ancora più presente in “Are we electric”, uno dei testi più significativi del disco: “Are we really moving, are we really here? Are we just electric or something enginereed? Are we a simulation, do we really feel?Are you searching for the answers?”, cantano Luke e compagni, ponendoci repentinamente di fronte ad una serie di interrogativi seri ed inquietanti. Inaspettati sono i ritmi latineggianti presenti in “Sunrise”, un mix sonoro inedito per The Kooks che, grazie alla travolgente carica delle percussioni, non dispiace affatto. La versione standard di “Listen” si conclude con “Sweet emotion”, una canzone appassionata, incentrata su una vera e propria fissa per una femme fatale, scandita da un suadente giro di batteria e da sensuali incursioni al pianoforte. Nella versione deluxe si aggiungono i brani, rispettivamente intitolati “Murderer”, “Icons”, “Keep Your Head Up”, “Backstabber” e il video ufficiale di “Down” a completamento di un progetto che avrà molto da offrire al pubblico, soprattutto dal vivo.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Around town”

“Schubert for two”: l’eleganza del duo Schiavo-Marchegiani tra note senza tempo

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“Schubert for two” è un nuovo progetto discografico che segna l’esordio in Decca di due eminenti pianisti come Marco Schiavo e Sergio Marchegiani, riconosciuti come fiore all’occhiello della nuova generazione made in Italy. L’album raccoglie il meglio del repertorio schubertiano per pianoforte a quattro mani e si impone all’interno del panorama cameristico italiano con grazia ed eleganza. Si va dalle prime acerbe composizioni dell’Allegro moderato e dell’Andante D 968, alle atmosfere conviviali, destinate alla danza, dei quattro Länder D 814, passando per il candore della Deutscher Tanz D 618 e la vivace energia delle Variazioni sopra un tema originale in si bemolle maggiore in cui riecheggiano suggestioni beethoveniane, evidenti nelle 8 Variazioni sopra un Lied francese, dedicate anch’esse al compositore tedesco. Chiude il disco la Fantasia in Fa minore op. 103, considerata dalla critica l’opera più riuscita mai concepita per pianoforte a quattro mani.

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In duo stabile dal 2006, Sergio Marchegiani e Marco Schiavo si sono perfezionati con grandi didatti del calibro di Ilonka Deckers Küszler, Alexander Lonquich, Bruno Canino, Franco Scala, Aldo Ciccolini e Sergei Dorenski. La grande amicizia che li unisce ha limato la naturale intesa che caratterizza il loro suono e i grandi successi, riscontrati nel corso delle loro ultime esibizioni, hanno trasformato questa sintonia in una valida esperienza professionale che li sta portando sui più importanti palchi di tutto il mondo. In “Schubert for Two” la loro interpretazione è viva e vibrante di energia. I brani scelti lasciano emergere la  profeticità emotiva e semantica dei contenuti strumentali ideati da Schubert che, ispirato dalla forte vitalità dell’epoca, mise a punto una serie di partiture particolarmente brillanti ed estrose. Piccole perle di cui oggi possiamo godere, seppur in modo completamente diverso, lasciandoci ispirare dalla purezza estetica di sensazioni senza tempo.

 Raffaella Sbrescia

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TOUR  2014 (date in aggiornamento)

26 OTTOBRE 2014

Tampa (USA)

Steinway Piano Series – Barness Recital Hall

 

23 NOVEMBRE 2014

Iglesias (CI)

Festival Internazionale di Musica da Camera

24 NOVEMBRE 2014

Brindisi

Brindisi Classica - Salone  di rappresentanza della Provincia

 

7 DICEMBRE 2014

Mendrisio (Svizzera)

Musica nel Mendrisiotto

 

30 DICEMBRE 2014

Praga (Repubblica Ceca)

Smetana Hall

 

 

 

“Songs of Innocence”: la recensione del nuovo atteso album degli U2

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Gli U2 tornano, a sorpresa, con “Songs Of Innocence”, un album contenente 11 brani, presentato lo scorso 9 settembre in contemporanea con i nuovi iPhone ed iWatch. Grazie ad uno multimilionario accordo tra la stessa Apple e gli U2, il nuovo album della band è stato reso immediatamente disponibile nella libreria musicale di tutti gli utenti di iTunes Store Music e sarà a disposizione degli utenti in maniera completamente gratuita fino al 13 ottobre, giorno in cui il disco uscirà in edizione tradizionale su etichetta Island Records. Un’efficace e sbalorditiva operazione di marketing che ha significato un notevole ritorno di immagine per il gruppo anche se non sono mancate numerose critiche. A far luce sui dettagli dell’accordo è stato lo stesso Bono in una lettera scritta di suo pugno: «L’album è gratis per tutti gli iscritti di U2.com e per chiunque abbia iTunes, grazie ad Apple. Per celebrare il decimo anniversario dell’iPod brandizzato U2, hanno deciso di fare questo regalo a tutti i loro utenti. Gratis per voi, ma qualcuno ha pagato. Perché se nessuno pagasse nulla per questo lavoro, non saremmo sicuri che la musica “free” sarebbe realmente “free”. Normalmente l’arte ha un costo. È una questione che ha grosse implicazioni, non per gli U2, ma per i futuri musicisti e la loro musica… tutte le canzoni che devono essere scritte dai talenti del futuro… che hanno bisogno di una vita per poterle scrivere».

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“Songs of Innocence”, ad ogni modo, rappresenta il lavoro discografico più personale degli U2 sia per quanto riguarda le tematiche scelte, sia per gli evidenti riferimenti alle prime influenze musicali della band spaziando dal rock e punk-rock anni ’70 alla prima elettronica e musica ambient anni ’80. Registrato a Dublino, Londra, New York e Los Angeles con i produttori Danger Mouse, Paul Epworth, Ryan Tedder, Declan Gaffney e Flood, “Songs of Innocence” avrà anche una versione deluxe contenente una sessione acustica di brani selezionati dall’album più quattro canzoni inedite: “Lucifer’s Hands”, “The Crystal Ballroom”, “The Troubles” (Alternative version), “Sleep Like A Baby Tonight” (Alternative Perspective Mix by Tchad Blake).  Il disco appartiene, inoltre, ad un progetto musicale più ampio, intitolato “Songs of Experience”: «Stiamo lavorando con Apple su del buon materiale da sviluppare in un paio di anni, novità che trasformeranno il modo di ascoltare e di vedere la musica. Vi terremo aggiornati. Se Songs of Innocence vi piace restate con noi per Songs of Experience. Dovrebbe essere pronto abbastanza presto..», ha spiegato Bono.

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Entrando nello specifico di “Songs of Innocence” è importante sottolineare che ogni singola traccia si ispira ad un episodio importante per il percorso umano ed artistico degli U2. Il primo brano contenuto nell’album è The Miracle (of Joey Ramone), un testo che affonda le proprie radici nei lontani anni ’70, in cui la ricerca stilistica di Bono è scandita dalle potenti chitarre di Edge, al centro di una melodia energica e convincente. “Abbiamo un linguaggio per comunicare, la religione per amare e per odiare, la musica per ampliare le nostre pene e dare loro un nome”, canta Bono, definendoci pellegrini del nostro cammino e gettandoci al centro di un turbinìo di sentimenti senza età. “Every Breaking wave” è una ballad mistica che, attraverso un linguaggio figurato, riesce a rendere fedelmente l’idea di anime perse lungo un cammino difficile e tortuoso. Inaspettato è, invece, il tributo ai Beach Boys in “California (There is No End to Love), un brano che racchiude i ricordi e le impressioni relative al primo viaggio del gruppo in California nei primi anni ’80. Dolcissima, tenera ed intensa è “Song for Someone”, una romantica dedica di Bono a sua moglie Ali: “If there is a light you can’t always see and there is a world we can’t always be. If there is a dark that we shouldn’t doubt and there is a light don’t let it go out”, canta Bono, in un crescendo di suoni e di emozioni che, come dardi infuocati, colpiscono al centro del cuore. Sulla stessa linea d’onda è “Iris (Hold Me Close)”, un brano dedicato a Iris Hewson, madre di Bono, morta quando il cantante aveva soltanto 14 anni. Una perdita grave che l’artista rivive e racconta con gli occhi di un cinquantenne, che ha imparato a vivere nel ricordo di una figura indispensabile per qualunque uomo. Il cambio di ritmo e di registro avviene con “Volcano” e soprattutto con “Raised by Wolves”, la traccia più oscura del disco, ispirata ad un grave episodio di cronaca avvenuto a Dublino durante l’adolescenza di Bono. “The worst things in the world are justified by belief”, canta l’artista, decretando l’ennesima grande verità che si nasconde dietro ai peggiori atti di violenza e terrore al mondo.  I ricordi riaffiorano vividi anche in “Cedarwood Road”, un brano potente, irradiato dall’energia di una chitarra imperante e da infiniti giri di batteria. Sarcastico e pungente è, invece, il testo di “Sleep Like a Baby Tonight”, un brano contenente una serie di sottili e dolorose frecciatine indirizzate al politico di turno. Ispirato al concerto dei Clash del 1977, il testo di “This Is Where You Can Reach Me” racchiude la propria anima semantica in parole come “Complete surrender/The only weapon we know”. In attesa di conoscere le tracce che andranno a completare la versione deluxe di “Songs of innocence”, “The Troubles” è il brano che chiude il disco e vede in Lykke Li l’unica ospite dell’album. Con un messaggio incentrato sull’autostima e sulla capacità di far fronte ai propri problemi in maniera attiva e propositiva, “The Troubles” ci mette con le spalle al muro ponendoci di fronte alla nostra più intima essenza. In definitiva “Songs of innocence” è un album basato su suggestioni, impressioni, ricordi, emozioni che, pur rifacendosi a precisi episodi del passato, rilancia la band nel presente riportandola più vicino ai cuori dei comuni mortali che, in certe atmosfere cosparse di paure e di incertezze, hanno imparato a barcamenarsi in cerca di piccoli barlumi di serenità.

Raffaella Sbrescia

Scarica “Songs of Innocence” su iTunes

“Siamo chi siamo”: un Ligabue camaleontico nel video del nuovo singolo

Ligabue (frame tratto dal videoclip di "Siamo chi siamo")

Ligabue (frame tratto dal videoclip di “Siamo chi siamo”)

“Siamo chi siamo”, in rotazione radiofonica dallo scorso 29 agosto, è l’ultimo singolo estratto dal fortunato e premiatissimo album di Luciano Ligabue, intitolato “Mondovisione”. Prima di addentrarci nel merito di questo brano particolarmente significativo, è il caso di soffermarci sul videoclip, realizzato da Riccardo Guernieri, in cui abbiamo avuto l’occasione di scoprire un Ligabue inedito. Seduto dietro una scrivania, il rocker di Correggio offre al pubblico una serie di frame che lo ritraggono in diverse vesti: Luciano passa con disinvoltura da un basco alla Celentano a un boa alla Renato Zero, da una tuta alla Fabri Fibra a una pelliccia alla Lucio Dalla, dalla giacca bianca, simile a quella indossata nel video di “Viva”, al  gilet di qualche anno fa, mentre una serie di espressioni non verbali, tra gestualità e mimica facciale, ci trasmettono l’idea di un artista maturo che può permettersi di fare un bilancio ed invitarci a fare un ragionamento simile anche nei confronti di noi stessi.

Ligabue (frame tratto dal videoclip di "Siamo chi siamo")

Ligabue (frame tratto dal videoclip di “Siamo chi siamo”)

Sullo sfondo, intanto, scorrono le foto di alcune delle più significative frasi trovate sui muri d’Italia, perle di vita vissuta che Luciano ha proposto al pubblico anche nel corso del suo seguitissimo Mondovisione tour 2014: “Diffida dai libri, leggi sui muri”, “Non accettate sogni dagli sconosciuti”, “Attenti, sono ancora vivo”, “Non prendere la vita troppo sul serio tanto non  ne uscirai vivo”, “Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice”, “Voi ridete perché io sono diverso, io rido perché siete tutti uguali” sono solo alcune delle frasi più significative proposte nel videoclip. Su tutte svetta “Il sistema non sistema”: un riferimento diretto e immediato alla politica, una critica ma anche uno stimolo a reagire e a smuovere la nostra esistenza, un incentivo alla partecipazione attiva all’interno della società. “Di tutte quelle strade averne presa una, per tutti quegli incroci nessuna indicazione…Di tutte quelle strade trovarsi a farne una, qualcuno ci avrà messi lì…siamo chi siamo”, canta Ligabue, e poi, ancora, “di tutte quelle strade, saperne solo una. Nessuno l’ha già fatta, non la farà nessuno. Per tutti quegli incroci, tirare a testa o croce…qualcuno ci avrà messi lì…”: in queste parole Ligabue è riuscito a rendere, nero su bianco, un profondo senso di smarrimento, l’incertezza, la confusione, l’ignoranza, la paura di mettersi in gioco e rischiare.

Ligabue (frame tratto dal videoclip di "Siamo chi siamo")

Ligabue (frame tratto dal videoclip di “Siamo chi siamo”)

Nonostante tutto, non manca, tuttavia, nel finale della canzone, un messaggio rassicurante: serio e composto, Luciano chiude il brano con una valutazione personale dalla valenza universale: “conosco le certezze dello specchio e il fatto che da quelle non si scappa e ogni giorno mi è più chiaro che quelle rughe sono solo i tentativi che non ho mai fatto”: parole intrise di saggezza che, senza cadere nella saccenza, consentono a Luciano Ligabue di interpretare il pensiero comune facendolo proprio e mettendoci la faccia. Siamo chi siamo e non c’è miglior presupposto per prendere in mano le redini della nostra vita.

Raffaella Sbrescia

Ligabue, intanto, sarà ancora in giro con il Mondovisione Tour – Stadi 2014 in Italia con le date di sabato 6 settembre allo Stadio Nereo Rocco di Trieste, martedì 9 allo Stadio Olimpico di Torino, sabato 13 al Dall’Ara di Bologna e sabato 20 all’Arena Della Vittoria di Bari per poi volare per la prima volta in carriera in America con ben 5 tappe negli Stati Uniti e in Canada.

Acquista “Mondovisione” su iTunes

Video: “Siamo chi siamo”

“Chronos”: le emozioni strumentali di Andrea Carri

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“Time flies, time flies away… But what is time? Time flies… But something can make us eternal… after a harvest, another one comes”, queste le parole che il pianista e compositore italiano, classe 1990, Andrea Carri ha scelto per introdurre il suo quarto lavoro discografico intitolato “Chronos”, che vedrà la luce il prossimo 15 settembre su etichetta Psychonavigation Records. Il progetto, finanziato con una campagna di raccolta fondi su Music Raiser, riesce ad essere subito di forte impatto grazie alla bellissima ed immaginifica cover realizzata da Anna Maria Pia Pettolino: clessidre sospese nel tempo si alternano ad una grossa sveglia,  da cui i numeri sfuggono perdendosi in uno spazio sospeso. Spazio in cui uomini in penombra assistono rapiti al magico fenomeno mentre altri ancora s’incamminano lungo un sentiero fatto di tasti di pianoforte, al cui traguardo troveranno Andrea, pronto a condurli per mano nel suo mondo fatto di note, fin da quando aveva soltanto 6 anni.

Andrea Carri

Andrea Carri

Ben 11 sono i germogli di vita generati da “Chronos”, un album strumentale adatto ad una mistica contemplazione del nostro vivere e ad una disinvolta apertura rivolta al futuro. L’album è scandito da tre fasi: passato, presente e futuro; in ogni intervallo temporale Andrea Carri inserisce brani intimisti e personali, caratterizzati da una maggiore apertura strumentale e da un moderato utilizzo dell’elettronica. Ad inaugurare “Chronos”  è “Past”: piccoli rintocchi e synth in sequenza aprono uno scenario tipico da colonna sonora di un film. “Oggetti dimenticati” è la traccia immediatamente successiva: nel brano le note si rincorrono delicatamente tra loro, scavando e scovando affetti, pensieri assopiti, desideri archiviati dalla routine. Leggiadra e lieve è “La via delle 7 torri”, una composizione enigmatica e ricca di sfumature, perfetta per introdurre gli infiniti spazi proposti da “Present”, il brano composto e arrangiato da Andrea Carri insieme a Frank Perry (lap steel, soundscapes, visions). Synths metallici e sinistri disegnano ineludibili confini di un paesaggio grigio e perturbante. Decisamente diverso il sound de “Le parole che non ti ho mai detto”, uno dei brani più sperimentali di Andrea Carri. L’apertura sentimentale dell’album continua anche in “Points of view”, una composizione attraversata da un mood malinconico e contraddittorio, quasi a voler rispecchiare le bizze di un animo tormentato.  I synth ed il pad di Francesco Mantovani arricchiscono le note di “Future” con un ticchettìo metallico. Il tempo scorre e, man mano che ci si avvicina al finale del disco, il sound si fa sempre più mieloso e rassicurante, come avviene in “Foglio Bianco” ed in “Music is eternity”, in cui è il violoncello di Emanuele Milani a sancire una prolifica fusione di intenti. Un ritmo ciclicamente ossessivo attraversa il nucleo centrale di “Dopo un raccolto ne viene un altro”, il brano conclusivo di “Chronos”, in cui Carri, Milani Carla Chiussi e Roberto Porpora lasciano confluire la summa dei suoni proposti fino ad un attimo prima. La funzione della composizione è quella di sigillare con cura uno scrigno di emozioni che, seppur contrastanti, riescono a rendere in maniera incisiva ed efficace la più intima essenza del nostro fragile animo.

Raffaella Sbrescia

“Di Domenica”: il nuovo singolo dei Subsonica. La recensione

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Avevamo lasciato i Subsonica sulle energetiche e dinamiche note di “Lazzaro”, il primo singolo estratto dal nuovo album di inediti del gruppo torinese, intitolato “Una nave in una foresta”. Li ritroviamo oggi, 5 settembre, con “Di Domenica”, un brano apparentemente distante dai contenuti solitamente proposti dai Subsonica e con un testo destrutturato, essenziale, quasi minimalista eppure incredibilmente efficace. Prima di addentrarci nello specifico di questo nuovo singolo, per capirne l’ampia valenza immaginifica è importante parlare del bellissimo lyric video realizzato dal visionario Donato “miklyeyes” Sansone: piccoli tratti di matite e carboncini creano impercettibili intrecci visivi e metaforici. L’artista compie, infatti, un percorso a ritroso partendo da un’immagine definita per scoprirne l’intima essenza. Piccole figure geometriche si rilevano portatrici di vita, di speranza, di sogni creando una piccola magia in stop motion.

Ad accompagnare il testo della canzone è, invece, un arrangiamento soffice, vellutatamente delicato, una carezza per l’anima in cui ogni strumento svolge un ruolo preciso anche se le piccole e periodiche distorsioni di chitarra regalano un’aura peculiare ad un sound fortemente caratterizzato dall’uso dell’elettronica, come tra l’altro, è tipico dei Subsonica. Il brano, come è facile intuire, già a partire dal titolo, sceglie la domenica come giorno speciale, un momento unico, forse irripetibile, propizio per esorcizzare la paura, l’incertezza, la confusione, la sensazione di rimorso, la frustrazione del peccato. “Nel vuoto del letto dolce di una domenica, sono cambiamenti solo se spaventano, sono sentimenti. Anche se domani sarò un rimorso forse puoi abbandonarti di domenica. Sono cambiamenti solo se spaventano, sono sentimenti tutti i giuramenti oggi che è domenica sono adolescenti”, canta Samuel, con voce calda, sensuale e dolce al contempo. Un mood quasi melenso che forse molti fan dei Subsonica non ameranno ma che, col tempo, impareranno ad apprezzare come già è accaduto con altri brani pubblicati in passato. Un manto ritmico ovattato e coinvolgente, da ascoltare e riascoltare, lecca le ferite, rassicura il cuore incerto, ammorbidisce gli spigoli dei pensieri e delle costanti preoccupazioni che ci attanagliano l’anima.

Molto efficace il messaggio lanciato dal monito scandito a poco più di metà canzone: “Capovolgi il tuo destino, sarò sempre qua, sarò sempre qua/capovolgi il tuo cuscino, di domenica, di domenica”: una dichiarazione d’affetto incondizionato, una spinta a tuffarsi nel futuro, un incoraggiamento a credere in se stessi e nelle proprie capacità. I Subsonica ci regalano ancora una volta un brano ottimista e fiducioso che ci catapulta, più curiosi che mai, verso il full lenght “Una nave in una foresta” in uscita il prossimo 23 settembre, in pre-order da oggi su iTunes e nei principali stores digitali. Disponibili anche altri due brani, sempre tratti dall’imminente album: si tratta della title track “Una nave in una foresta” e de “I cerchi degli alberi”.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Di Domenica”

In attesa di scoprire le altre tappe di questo nuovo percorso, ecco le date del tour autunnale dei Subsonica:

31-ott-14 – JESOLO – PALA ARREX
01-nov-14 – PESARO – ADRIATIC ARENA
07-nov-14 – NAPOLI – PALAPARTENOPE

08-nov-14 – BARI – PALAFLORIO
13-nov-14 – TORINO – PALAOLIMPICO
15-nov-14 – VERONA – PALAOLIMPICO
21-nov-14 – ROMA – PALALOTTOMATICA
27-nov-14 – BOLOGNA – UNIPOL ARENA

28-nov-14 – FIRENZE – MANDELA FORUM
29-nov-14 – GENOVA – 105 STADIUM
01-dic-14 – MILANO – MEDIOLANUM FORUM

“Sayonara”: i Club Dogo fanno sul serio con “Non siamo più quelli di Mi Fist”

Club Dogo Feat. Lele Spedicato (frame tratto dal videoclip di "Sayonara"

Club Dogo Feat. Lele Spedicato (frame tratto dal videoclip di “Sayonara”

I Club Dogo presentano “Sayonara”, il terzo singolo estratto da “Non siamo più quelli di Mi Fist”, il nuovo album di inediti che vedrà la luce il prossimo 9 settembre. Dopo “Weekend” e “Fragili” feat. Arisa, il trio non molla la presa e scaglia un brano decisamente più diretto ed aggressivo, che si avvale di un’altra prestigiosa collaborazione. Sono infatti le chitarre di Lele Spedicato dei Negramaro a marchiare il flow del singolo che, accompagnato dal videoclip in pieno Japan –style, girato da Niccolò Celaia Antonio Usbergo, presenta i Club Dogo e lo stesso Lele nella veste di cattivi e spietati criminali. “Sayonara” è la prima delle 14 tracce della scaletta che compone il nuovo lavoro in studio del gruppo. I Club Dogo intendono presentarsi sotto una nuova veste musicale, fortemente influenzata dal contributo di Don Joe e caratterizzata dalla co-presenza di generi musicali diversi. I due singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album, “Weekend” e “Fragili” hanno raggiunto entrambi, ed in breve tempo, la vetta della classifica digitale dei singoli Fimi-Gfk e, dati i presupposti, c’è da pensare che, nonostante un vistoso cambiamento di rotta, i Club Dogo godono ancora di un forte riscontro da parte del pubblico.

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Nello specifico di “Sayonara” è interessante sottolineare una scrittura assolutamente cruda, critica, cinica, maschia. Le rime, in qualche caso troppo forzate, riescono, tuttavia, a rendere in maniera incisiva ed efficace la voglia di sparare a zero un po’ su tutto e tutti. Il filone arrivista ed egoistico del super rapper mangiasoldi lascia, dunque, spazio ad un più sottile riferimento alla struttura socio-culturale contemporanea: “Sarò fuori di qua prima che fuori dall’euro, so che te non capisci questa roba ma si sa frate la gente è scema non credeva a Socrate tutta sta gente che è babba del resto in passato a Gesù han preferito Barabba, bravi bravi, dormi, mangi, preghi lavori e caghi, nuovi schiavi”, cantano e scrivono i Club Dogo, senza filtri alcuni. Spazio anche all’autocelebrazione con una strofa che non lascia spazio ad interpretazioni di sorta: “Ho il flow che raddrizza le svastiche, ti rompe, ti spezza, ti apre, astice, check, super sex sulla panca flow crystal meth, Breaking Bad, Salamanca Guè Samarcanda e la cosa più bella è non piacerti adios, au revoir, arrivederci, sayonara. Vita amara i miei fratelli con più polvere che nel Sahara la vita è cara voglio portarmi i soldi nella bara e mandare questi figli di puttana in para e fargli Sayonara” e poi, ancora “Sono troppo boss, troppo grosso, prendo tutto il lusso che posso, scopo con tutte le collane addosso, non perdo un euro di tempo per un infame ci penserà il karma a fargli fare la fame”.

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Gagliardi e spacconi i Club Dogo si muovono con disinvoltura tra sonorità ibride e metropolitane riuscendo a beneficiare a pieno delle cariche metalliche della chitarra di Lele Spedicato, perfettamente calato nella parte del cattivo. A giudicare dal timbro marcato di “Sayonara” c’è da pensare che nel nuovo album ci sarà molta carne a cuocere  e per i più fedeli al sound dei Club Dogo l’appuntamento da non perdere è l’evento ad ingresso gratuito previsto per il 19 settembre al Fabrique di Milano (via Fantoli, 9 dalle 21:30). Lo speciale evento live, organizzato da Beck’s, li vedrà anticipare sul palco alcuni brani tratti dal nuovo album, insieme ad altre canzoni del loro repertorio.

Raffaella Sbrescia

Il tour ufficiale comincerà il 5 dicembre a Napoli. Queste le altre date confermate:

06/12 ROMA Orion

12/12 TREPUZZI (LE) Livello 11/8

13/12 MODUGNO (BA) Demodì

27/12 SAN BIAGIO DI CALLALTA (TV) Supersonic Music Arena

09/01 FIRENZE Obihall

10/01 NONANTOLA (MO) Vox Club

16/01 VENARIA REALE (TO) Teatro Concordia

28/01 MILANO Alcatraz

Per acquistare i biglietti su Ticketone clicca sul banner in alto a destra.

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Video: “Sayonara”

The Shak & Speares presentano “Dramedy”. La recensione del disco

THE-SHAK & SPEARES - DRAMEDY (2) - [500]

The Shak & Speares arrivano da Pompei ed il 30 settembre pubblicheranno il loro secondo lavoro discografico intitolato “Dramedy”, su etichetta FreakHouse records con distribuzione fisica e digitale The Orchard/Audioglobe. Più di un anno fa la band “punk-agreste” pubblicava “Gagster”, un album d’esordio che ha portato questi giovani scatenati ad esibirsi in Italia e all’estero. Una lunga tournée, conclusasi a Londra in compagnia di Vic Godard & Paul Cook (Sex Pistols), che li ha ispirati e li ha condotti alla creazione di nuovi contenuti musicali racchiusi in un disco che, già a partire dal titolo, intende rappresentare un prodotto originale. Pur rimanendo concentrati sui temi più strettamente legati all’immediata contemporaneità, the Shak & Speares hanno inteso ammorbidire il tutto con sonorità vive, energiche e travolgenti. “Dramedy” unisce le parole drama e comedy, rendendo per iscritto la fusione di elementi uguali e contrari, vicini nella loro diversità. Composto da nove tracce, l’album si avvale anche della presenza di special guest d’eccezione, stiamo parlando di Vic Godard, il leggendario punk-pioneer inglese. Ad aprire l’energico “Dramedy” è “Subway in Love”: un irresistibile rullante scandisce la vivace marcetta che accompagna un testo orecchiabile. Sornione e scherzoso è il mood di “Sailor’s Promises”, l’inconfondibile la la la sound, easy e contagioso, fa capolino tra scariche di cantato urlato. Sulla stessa linea d’onda è “Dreamland”, anch’esso attraversato da sonorità punk-agresti spiaccicate sulla faccia e nelle orecchie degli ascoltatori. Inevitabile il pogo selvaggio sulle note di “Stuck in a bottle” mentre  il ritmo solare e positivo di “Courtney is dead” si contrappone ad un testo incentrato su una figura piuttosto controversa. Più teso è il clima sonoro proposto in “Criminal Prayer”, subito stemperato dalla anima folk di “Castro street”. Chiude l’album “No Prey, No pay”, un brano caratterizzato da un arrangiamento tiratissimo che lascia l’ascoltatore letteralmente senza fiato. Cinico e spavaldo il testo che finisce col dare spazio ad un bel finale strumentale. “Dramedy” è, pertanto, un album tutto da ballare scatenandosi fino all’ultima goccia di sudore.

Raffaella Sbrescia

 

“In Cile Veritas”, la recensione del nuovo album de Il Cile

IL CILE_cover IN CILE VERITAS

Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile, presenta “In Cile Veritas” (Universal Music), un nuovo album di inediti, giunto dopo il notevole successo ottenuto dall’album d’esordio intitolato “Siamo Morti a Vent’anni”. In questo lavoro il cantautore ha scelto di lasciarsi andare nei meandri di un percorso testuale ed artistico piuttosto distante da quello precedente: «Si dice che il rilassamento dei freni inibitori favorisca l’essere umano a rivelare cose nascoste, pensieri rimasti incastrati in qualche scomparto dell’anima, parole soffocate dalla lucidità della ragione -queste le parole con cui Il Cile, ha introdotto il significato del suo album- Ho scelto il titolo “In Cile Veritas” perché nel mio caso è sempre stata la musica a permettermi di tirare fuori quelle sensazioni, quelle melodie e quelle liriche che per natura tengo chiuse nel mio profondo, troppo spesso attraversato da tempeste e nubi minacciose». Composto da 10 tracce, l’album si apre con “Sapevi di me”, la storia di un amore difficile ed osteggiato. La parte centrale del brano è urlata e sparata in faccia all’ascoltatore, al centro del testo ci sono le emozioni più intime di un giovane uomo, accarezzate dal rumore dei suoi silenzi. Anche “Ascoltando i tuoi passi” racconta le vicende di un giovane che sceglie di camminare sulla strada sterrata, che canta canzoni che non ricorda nessuno e che, sostenuto da una donna forte e combattiva, riesce ad interpretare il rapporto a due come una possibilità di risoluzione dei propri conflitti interiori: “mi hai tenuto per mano anche dentro il mio inferno con il coraggio di una venere che si veste di amianto…”, canta Il Cile, mentre “Liberi di vivere” racchiude la più autentica espressione del disagio di una generazione costretta ad aggrapparsi a sogni ammaccati ed ingombranti. La voce graffiata di Lorenzo Cilembrini accompagna il suono della chitarra raccontando il peso del quotidiano, la fatica del dover maneggiare la speranza, l’abitudine di finire sotto anestesia durante il fine settimana per sentirsi liberi di illudersi . “Liberi di vivere” è, sicuramente, il brano più bello e più profondo di questo album, le parole sono pesanti, vere, autentiche, drammatiche, ineludibili e Il Cile realizza un nitido ritratto di un “presente precario eppure affamato”.

IL CILE Ph Jacopo Lorenzini

IL CILE Ph Jacopo Lorenzini

Decisamente sottotono la trama de “L’amore è un suicidio”, l’arrangiamento rock ed il massiccio utilizzo delle chitarre elettriche non riesce a dare vivacità ad un brano piuttosto banale. Le quotazioni risalgono, impennandosi, in “Parlano di te”: una bellissima ballad che racconta i pensieri sconnessi di un giovane uomo alle prese con un amore viscerale da cui non riesce a sfuggire. La bravura di Lorenzo sta proprio nella scelta oculata, accurata, studiata delle parole che, l’una dopo l’altra, costruiscono montagne di pensieri vivi, veraci, implacabili. Frasi come “il mal di testa mi ricorda che sono vivo” ci raccontano, come un frame cinematografico, l’immagine di un’anima anestetizzata dal dolore e dalla malinconia, da brivido.

IL CILE ph Jacopo Lorenzini

IL CILE ph Jacopo Lorenzini

Diverso è, invece, il discorso legato a “Baron Samedi”, un brano enigmatico, attraversato da frasi apparentemente slegate tra loro e che, ancora una volta, lasciano aperto il filone del mistero. “Sole, cuore, alta gradazione” è il titolo del singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. Un arrangiamento solare ed un’ambientazione dinamica celano i mali e i vizi di una tribù che traballa . Il “diavolo del lessico” si perde nella banalità delle rime di “Maryjane” per poi risollevarsi in “Vorrei chiederti”: un labirinto di 30 mq è il giaciglio da cui sgorgano pensieri, sogni, desideri, riflessioni. A chiudere l’album è “Un’altra aurora”: un burattino di carne senza difese si abbandona ad un estremo bisogno d’amore concludendo così l’affannosa ricerca di un porto sicuro da cui attingere energia e certezza in un mondo che non ne offre.

Raffaella Sbrescia

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