Gli Elefanti, l’universo immaginifico di Calvino

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La delicata poetica di Calvino trova una naturale forma di espressione nei testi e negli arrangiamenti de “Gli Elefanti”, un album da ascoltare con attenzione e doverosa lentezza per apprezzare, condividere, immedesimarsi, immaginare muovendosi a cavallo tra passato e presente. Tra i protagonisti delle otto tracce che compongono l’album di Niccolò Lavelli la città di Milano ricopre un posto di grande rilievo. Un luogo-non luogo che assume una connotazione sempre diversa in base allo sguardo, ai ricordi, al punto di vista di chi la osserva. In questo specifico caso la purezza dei ricordi vividi di un bambino, mai veramente divenuto adulto, viene costantemente minacciata da un cinismo latente, mitigato soltanto dalle costanti incursioni del subconscio del cantautore. L’identità vocale e autorale di Calvino si sviluppa attraverso una timbrica intensa e retrò, una tracklist controversa ed un immaginario particolarmente prolifico di pensieri. “L’amaro in bocca” apre l’album con sonorità delicate, parole sincere e morbidi giri di basso mentre gli spensierati ricordi d’infanzia de “Gli astronauti” si alternano tra ritornelli strumentali, tanti problemi e poche soluzioni. L’orizzonte di rotaie di Milano Centrale irradia di malinconia la pensierosa ed immaginifica “Milano Est”. Al centro di questo susseguirsi di spensierati ricordi d’infanzia rivisti in chiave post-moderna, la title track “Gli elefanti” rappresenta senza dubbio il brano cardine. L’enigmatica fuga raccontata ne “La perdita del controllo” racconta a grandi linee le evoluzioni di un disagio esistenziale costellato di suoni dilatati e sonorità oniriche. Lo stesso mood strumentale avvolge le istantanee favolistiche di “Ginevra” mentre il crescendo strumentale di “Blacky” rappresenta un fresco elemento di sorpresa completato da “Nuovo mondo”, il brano più sperimentale dell’intero progetto, in cui Calvino inserisce una rinascita sonora e interiore, un “nuovo mondo fatto di luci e ombre facili da distinguere”, un arrangiamento ben strutturato costruito ad hoc per concludere un percorso solitario eppure pensato per individuare di volta in volta un interlocutore diverso.

Raffaella Sbrescia

Video:

L’ultima ovvietà, otto canzoni che descrivono l’altalena della vita per i Perimetro Cubo

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“La vita è come un aquilone, se non la tieni scapperebbe via e chiede vento come vele al sole, chiede aria, fino alla pazzia, perché la vita è anche uno sguardo in silenzio mentre intorno tutti fanno rumore”. Basterebbe anche solo questo stralcio di strofa di “Come un aquilone” per intuire immediatamente le intenzioni  espressive de Il Perimetro Cubo, il duo romano che pochi mesi fa ha pubblicato “L’ultima ovvietà”, un debut album che, in otto brani, riesce a raccontare l’animo umano tra sensazioni e stati d’animo altalenanti. Identità, storie e atmosfere eterogenee si muovono lungo i cardini dei più disparati generi. Si va dal rock, al country, al folk, al pop cantautorale. Partendo da un percorso di scoperta individuale, i Perimetro Cubo allargano la prospettiva di viaggio, racconto, condivisione virando verso altri lidi. Il viaggio, intenso come religione è il caleidoscopio attraverso cui conosciamo le vicende, i pensieri e i sentimenti che emergono dalle strofe dei  brani racchiusi nel disco.

Perimetro Cubo

Perimetro Cubo

“Si cambia come niente, inevitabilmente”, cantano i Perimetro Cubo nella title track, un pezzo rock dal sapore amaro, scandito da intermittenti riff di chitarra. La freschezza strumentale di “Bambole isteriche” veleggia tra poetiche richieste di carezze al vento. Incentrato sull’insensatezza della guerra “L’ora del tè” è un brano che offre flashback di forte impatto visivo mentre la leggerezza di “Dieci” stempera i toni attraverso un continuo e giocoso rincorrersi tra parole e violino. Curioso e brillante il “Puzzle” in cui uno stesso individuo è scisso in più parti che si incontrano, si scontrano, si incrociano, si conoscono. Litri di parole scorrono senza meta e senza sosta ne “Le Onde” mentre il desiderio di tenerezza si riaffaccia, prepotente, in “Sopravvissuti alla realtà”. Il disco si chiude tra i vizi e le virtù di “Come un aquilone”, la traccia più bella e più profonda del filotto proposto dai Perimetro Cubo in un questo primo progetto sicuramente degno di ascolto ed attenzione.

Raffaella Sbrescia

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La pelle racconta: il quarto album di Maurizio Pirovano è un’esperienza di ascolto intimo

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“La pelle racconta” è il nuovo lavoro discografico del cantautore Maurizio Pirovano. Intesa come testimone tangibile e reale di emozioni, ricordi, sensazioni, la pelle è il tramite tra la nostra anima ed il mondo circostante per cui, facendosi carico di questa verità, Pirovano dà vita ad un album intimo, diretto, sincero. Infiniti attimi, fotogrammi e flashback di vita vissuta fanno capolino nelle 10 tracce che compongono l’album a cui hanno preso parte anche Alessandro Sironi, Antonio Marinelli e Maurizio Cambianica. Aprendo le porte dell’anima, Pirovano utilizza le parole per mettersi in gioco con autenticità e coraggio uscendo da una realtà sempre più impersonale e assuefatta dal consumismo imperante. Aspettami, ascoltami, credimi: sono queste le prime necessità che emergono dal brano di apertura. Sgomento, rabbia e disillusione sono i sentimenti di cui è intriso il testo di “Cristo Santo”: “Non ho più risposte, non ho più domande resto qua in disparte mentre cado a pezzi”, canta Pirovano, mentre sullo sfondo forti riff di chitarra si librano nel rispetto della migliore tradizione rock italiana. E ancora: “Ti sei mai chiesto se un giorno avrai il coraggio di partire, buttare via i tuoi sbagli e non dover più tornare”, questi gli interrogativi di “Illumina”. Sangue che scorre, segni indelebili e sensazioni profonde irradiano il mood della title track “La pelle racconta”. Bellissima anche la trama di “Non ho più scuse”: “Non ho più scuse, non ho più storie nel tempo dei veleni”, un’intensa immagine che è fedele specchio di una realtà sempre più arida.  “Riparto da zero, riparto per sentirmi un po’ più vero,  che in fondo per qualcuno è ciò che sono, riparto da quello che mi hai dato, da quello che ho vissuto, da quello che ho lasciato e poi voluto”, questo il fulcro di uno dei brani più forti e più viscerali del disco quale è “Riparto da zero” che, insieme a “Una è la vita”, rappresenta la testimonianza più immediata delle intenzioni artistiche e personali di Maurizio Pirovano: aprirsi al mondo con un atteggiamento schietto eppure possibilista .

Raffaella Sbrescia

Attenta: il nuovo singolo dei Negramaro è nettare di ambrosia

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Parole che si cementano nella testa al primo ascolto e che si stampano irrimediabilmente nel cuore. Parole che emozionano, che scompongono i sentimenti, che sezionano i pensieri restituendo un caleidoscopio di immagini a metà strada tra sogno e ricordo. “Attenta”,  il nuovo singolo dei Negramaro è l’ennesima coppa di nettare di ambrosia che sgorga dalla penna di Giuliano Sangiorgi, un brano che rispecchia i momenti più esaltanti e quelli più controversi dell’amore proibito, quello clandestino, quello che attorciglia nervi, muscoli, sguardi, pensieri. La ballad precede l’uscita del nuovo album di inediti della band salentina, dal titolo “La rivoluzione sta arrivando”, che vedrà la luce il prossimo 25 settembre  e che rappresenta una sorta di sintesi di un percorso evolutivo fondato sulla credibilità e sulla qualità dei contenuti. “Stai attenta, ha avuto tutto inizio in questa stanza, fermati un momento a quel che sembra a volte è tutto quello che è abbastanza, non chiederti se qui qualcosa è persa tra quello che uno vede e che uno pensa stai attenta, stai attenta almeno a te”, canta Giuliano, accarezzando le pareti dell’anima lasciando riaffiorare nella mente le più recondite paure. “Un bacio non conosce l’innocenza e sei colpevole di questa notte lenta proprio come me non hai pazienza”, parole che restituiscono frame di momenti unici, destinati a ripetersi infinite volte nella mente e nei sussulti del cuore. “Ricordati degli angoli di bocca son l’ultimo regalo in cui ti ho persa stai attenta, stai attenta almeno a te non dar la colpa a me, la colpa a me se tutto è bellissimo se è come un miracolo, se anche il pavimento sembra sabbia contro un cielo che si innalza altissimo intorno a noi è bellissimo…”, Giuliano evoca e descrive la costruzione di un sentimento forte, irrefrenabile, incontenibile, inaspettato e travolgente mentre sullo sfondo un arrangiamento epico, dapprima classico poi ricco di synth e sfumature sonore, arricchisce e colora il tappeto strumentale di un brano che, anche solo letto, sa regalare intense vibrazioni.

Raffaella Sbrescia

Audio ufficiale: “Attenta”

Amy: il documentario dedicato alla talentuosa artista sarà nelle sale italiane a settembre

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Dopo aver suscitato le più controverse reazioni da parte di critici e addetti ai lavori, “Amy” il documentario girato dal regista Asif Kapadia e dedicato alla vita di uno dei più grandi talenti vocali del nostro tempo, si appresta ad essere distribuito da Nexo Digital e Good Films anche nelle sale italiane i prossimi 15, 16 e 17 settembre. Due ore e sette minuti di racconto sono il frutto di un lungo ed estenuante lavoro di ricostruzione di una storia dolorosa e intrisa di momenti oscuri. La burrascosa conquista di fiducia e materiali utili da parte dei filmmaker ha senza dubbio rappresentato la parte più complessa del processo di realizzazione del film. Il risultato, in effetti, lascia trasparire in maniera tangibile lo sforzo attraverso filmati di repertorio, alcuni privati, altri privatissimi, che vanno dall’adolescenza di Amy fino al suo ultimo giorno di vita. Al centro della narrazione non ci sono gli eccessi, le depressioni, le delusioni, i disturbi alimentari e le dipendenze di Amy, bensì i personalissimi testi delle sue canzoni che, scorrendo sullo schermo durante l’intero film, rappresentano l’elemento cruciale per comprendere a fondo le dinamiche espressive dell’artista. Scrivere canzoni per Amy era una sorta di catarsi o di terapia attraverso cui riusciva ad elaborare emozioni  e momenti particolarmente difficili. La scrittura rappresenta il fulcro di tutto il documentario perché nei suoi testi sono racchiuse delle vere e proprie richieste d’aiuto attraverso versi diretti ed espliciti che lasciano ben poco all’immaginazione.

Amy Winehouse ph Alex Lake

Amy Winehouse ph Alex Lake

A svolgere un ruolo importante nella vita di Amy sono figure distruttive e parassitarie come quella del padre della Winehouse,  del suo manager e soprattutto quella del marito Blake Fielder-Civil. Kapadia dedica ampio spazio a questi personaggi lasciandoci intuire quanto abbiano influito nel corso delle vicende personali di Amy eppure, nel condannare loro e i paparazzi senza scrupoli, il regista commette un importante autogol proponendo al pubblico anche le foto più dolorose, i momenti più controversi senza risparmiare nemmeno le immagini del cadavere della cantante che, coperto dal sacco mortuario, viene caricato dall’ambulanza fuori dalla casa di Camden, dove l’artista ha perso la vita lo scorso 23 luglio 2011. A controbilanciare momenti così drammatici ci sono, però, le preziose esibizioni live di Amy Winehouse, dagli esordi al successo mondiale, l’intensa sessione di registrazione del singolo “Back To Black” in studio con il produttore Mark Ronson e l’indimenticabile espressione  con cui la cantante apprende la notizia della vittoria del Grammy come Record of the year con il brano “Rehab”. A tenere in piedi il lavoro è la tesi di fondo proposta dallo stesso Kapadia: “Questo è un film su Amy e sulla sua scrittura, è la storia di una persona che vuole essere amata, che ha bisogno di amore e non sempre lo riceve”. Un talento cristallino, un personaggio eccezionale capace di rompere schemi e convenzioni, una donna estremamente complicata, carismatica eppure ipersensibile, forse vittima di un mondo ormai abituato a mercificare il dolore e che sistematicamente disconosce la parola rispetto.

Raffaella Sbrescia

“Guelã”, il manifesto di libertà di Maria Gadù.

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Il talento della ventinovenne artista brasiliana MariGadù torna a farci sognare con il terzo album di inediti intitolato “Guelã”, disponibile dal 30 giugno 2015. Registrato e mixato da Rodrigo Vidal a Rio de Janeiro, coprodotto da Maria Gadù e dal musicista Federico Puppi, “Guelã” rappresenta un importante momento di svolta artistica per la cantautrice che dà voce alle sue canzoni, suona la chitarra e prende le distanze dalla invadente onda di popolarità che l’ha investita tra il 2009 ed il 2011, grazie al grande successo di brani come Shimbalaiê, Em Paz e Oração ao Tempo . L’autentica vocazione per la musica fa di lei un’artista a 360 gradi e la vena sperimentale che accompagna e scandisce le 10 tracce che compongono il suo nuovo lavoro discografico ne rappresenta una tangibile testimonianza.

Maria Gadù

Maria Gadù

Sonorità inedite e, in alcuni casi, sicuramente ibride, accompagnano testi intimisti ed intrisi di sentimentalismo. Frutto di pensieri e riflessioni profonde, “Guelã” racchiude uno scrigno di suoni da gustare con calma e doverosa attenzione. La struttura circolare che accompagna rispettivamente le tracce di apertura “Suspiro” e  chiusura “Aquária” lascia che l’ascolto possa librarsi senza etichette e limitazioni tra giochi di synth elettronici, gocce di desiderio e riff di chitarre antiche. La suadente vocalità di Maria Gadù penetra a fondo nelle fibre del cuore e la sua musica, a cavallo tra tradizione e sperimentalismo contemporeaneo, completa una miscela calda e potente, ispirata ed ispirante.

L’unica eccezione del disco è rappresentata da “Trovoa”, intenso brano di  Maurício Pereira, che Maria rilegge con altrettanta forza emotiva dando voce ad un amore che sconquassa l’anima. Decisamente originale l’arrangiamento realizzato per “Ela”, intriso di elettronica ed irresistibile scioglievolezza. Intrigante la scelta acoustic-ambient per “Sakédu”, senza tralasciare la sorprendente enigmaticità post-punk  contenuta da “Há”. Se al complesso costrutto strumentale di Maria Gadù associamo il suo intimismo colloquiale e la sua voce vermiglia, l’ascolto di “Guelã” è ciò che ci occorre per un’ esperienza in grado di deliziare anche gli ascoltatori più esigenti.

Raffaella Sbrescia

La Gadù tornerà in Europa il prossimo mese per partecipare il 17 al Montreux Jazz Festival e sarà in Italia, sempre a luglio, per tre concerti: il 23 a Ravello – Ravello Festival, il 24 a San Mauro Pascoli (FC) – Villa Torlonia ed il 26 a Treviso -  Suoni di Marca.

Tracklist
01.Suspiro
02.Obloco
03.Ela
04.Semi-voz
05.Trovoa
06.Sakédu
07.Tecnopapiro
08.Há
09.Vaga
10. Aquária

Tree of Life, l’opera omnia di Roberto Cacciapaglia

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“Tree of life” è il titolo del nuovo lavoro discografico del noto compositore milanese Roberto Cacciapaglia. Al suo interno non solo musica classica ma anche tanta sperimentazione per un Iavoro suggestivo ed emozionante. I sedici brani inseriti nella tracklist dell’album comprendono i primi sei brani dell’omonima suite, trasmessa tutte le sere a EXPO 2015, una serie di composizioni inedite e diversi temi riorchestrati appositamente per questo progetto. Cacciapaglia scava a piene mani sul fondo del suo forziere di note regalando al pubblico un buon motivo per mettersi comodi e sognare ascoltando. Pianoforte, orchestra  e sperimentazioni elettroniche danno vita ad un filo di continuità tra antico e moderno. L’opera omnia di Cacciapaglia rappresenta una sintesi di intuizioni e composizioni, sentimenti e suggestioni, idee e riferimenti in grado di fornire input trasversali. Grazie alla partecipazione della Royal Philharmonic Orchestra, la Dubai Philarmonic Orchestra e la Milano Classica, il progetto si avvale di un’acustica veramente notevole, in grado di portare alla luce anche gli armonici, suoni generalmente non distinguibili dall’orecchio umano.

Roberto Cacciapaglia

Roberto Cacciapaglia

 Si parte dalle misteriose sonorità di “Sonanze”, molto vicine a quelle del didgeridoo, si continua con l’intreccio sonoro di “Fiamme”, archi veloci e fluttuanti forgiano la vita in un travolgente vortice di note. Il ritmo crescente di “Oceano” detona energia sul finale imponente mentre la metallosa intro di “I feel alright” entra in contrapposizione con il titolo stesso della composizione innescando un meccanismo di perturbante bellezza; il mood è quello tipico di un film apocalittico. A stemperare i toni è la potente voce del soprano Nuria Rial nella bellissima e magica “Figlia del cielo”. Nemesi di un mitologico passato, la figura che Cacciapaglia ci propone è ispirata all’idea di fertilità e condivisione. Maestosa e potente è la traccia di “Wild Side”, la composizione che infonde linfa vitale all’albero della vita e che rimpingua i vuoti di una vita che scorre sempre più velocemente. Mielosa e fluttuante “Waterland III”, scelta per dare voce ai suoni degli abissi.

L’arcobaleno di emozioni continua attraverso l’incontro tra elettronica ed acustica in “The future” e “The prelude”. Assonanze e dissonanze di significati e significanti prendono vita lungo l’intreccio di mille diramazioni sonore. Ecco sopraggiungere, una dopo l’altra, “Sonanze V”, “Floating”, Strings of Light”, “Sonanze III” fino all’enigmatica “Six Notes” con l’Ensemble Garbarino e l’inquietante fagocitare di “Expansion”. A ristabilire l’equilibrio degli elementi e delle emozioni ispirate da Cacciapaglia è la fresca limpidezza di “Transparence”; il cerchio della vita si chiude all’insegna della pace e della fratellanza.

Raffaella Sbrescia

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Tracklist

1 – I. Sonanze
2 – II. Fiamme
3 – III. Oceano
4 – IV. I feel alright
5 – V. Figlia del cielo
6 – VI. Wild side
7 – Waterland III
8 – The future
9 – Prelude
10 – Sonanze V
11 – Floating
12 – Six notes
13 – Strings of light
14 – Sonanze III
15 – Expansion
16 – Transparence

Drones, i Muse picchiano duro in un’ opera rock oscura ed affascinante

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“Drones”, il nuovo album dei Muse segna l’atteso ritorno della rock band a tre anni dal sovrastrutturato “The 2nd Law”. L’album è un lavoro diretto , molto più suonato ed incentrato su un concept di grande attualità e fascino. Presentato come un ritorno a suoni più grezzi e rock dagli stessi Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard e prodotto da Robert Mutt Lange,  “Drones” parla dei contrasti tra libertà e oppressione, consapevolezza e alienazione, uomo e macchina.  Nella tensione tra estremi opposti si compie, dunque, la narrazione di un’ opera  intrisa di oscurità. La ‘progressiva disumanizzazione’ del mondo, simbolicamente rappresentata dall’invasione dei droni, è terreno fertile per la poetica dei Muse.

Il frontman Matt Bellamy ha descritto “Drones”  come un album che esplora il viaggio di un essere umano, dal suo abbandono e perdita di speranza, all’indottrinamento del sistema per renderlo un Drone Umano, fino alla finale liberazione dagli oppressori: “Ho iniziato ad interessarmi ai droni – ha raccontato Matt alla stampa – leggendo un libro sul massiccio impiego di queste macchine nelle operazioni di guerra, soprattutto in Afghanistan (Predators -The CIA’s Drone War on al Qaeda Dartmouth del professor Brian Glyn Williams,ndr). Ho appreso che intelligenza artificiale e droni saranno sempre più integrati, così che la decisione di uccidere qualcuno potrà essere presa da un robot e non da un altro essere umano. Mi è sembrata un’interessante metafora del futuro, attorno alla quale far ruotare l’intero concept del disco”. A questo discorso si collegano le caratteristiche strumentali dell’album: un approccio diretto al noise rock, un forte pathos ritmico, schitarrate bollenti e batteria imponente.

“E’ esattamente questo il disco che volevamo fare: non ci interessava mettere insieme un “collage di canzoni” –  ha spiegato Dominic Howard, il 37enne batterista – E’ nato tutto già all’epoca dell’ultimo tour  quando abbiamo realizzato di aver bisogno di tornare a qualcosa di più concettuale e rockeggiante. Questa volta siamo partiti dalla musica, da noi tre in una stanza a suonare e il sound è venuto naturalmente più heavy. ‘Drones’ ci ha riportato alla musica “suonata”. Per questo abbiamo voluto un produttore esterno, volevamo essere concentrati sulla musica, riprenderci i nostri strumenti e tirare fuori da quelli il suono del disco. Oltretutto visto che il tema del disco è una lotta tra umanità e tecnologia, con quest’ultima vista come ‘il male’, aveva ancora più senso realizzare l’album in un modo più ‘umano”. 

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Con una copertina che rimanda a The Wall richiamando alla mente facili riferimenti orwelliani, il racconto di “Drones” inizia con la selvaggia “Dead Inside” proseguendo fino ad “Aftermath” tra sprofondamento psicologico, manipolazioni e rinascita individuale racchiusa tra le parole di “The Handler”: “I don’t want to be used by others. I don’t want to be controlled. I don’t want to be a cold, non-feeling person. I want to actually feel something”. Un discorso alla stampa di JFK (1961) centrato sull’indipendenza e sulla libertà di pensiero porta all’epilogo, dove il senso di inquietudine pare lasciare spazio alla fiducia nell’umanità e nell’amore. A chiudere l’album, e quindi la narrazione, è proprio la titletrack: “My mother, my father, my sister and my brother, my son and my daughter killed by drones”, recitano le liriche del brano che si chiude con una Missa Papae Marcelli, composta da Pierluigi da Palestrina nel 1562 e ‘rivisitata’ dallo stesso Bellamy.

 I tre di Teignmouth porteranno “Drones” in tour già a partire da settembre: “Saremo prima in Asia e Sud America – ha anticipato Bellamy – e verso la fine dall’anno in Nord America. In Italia torneremo (dopo la data del 18 luglio al Rock in Roma festival) all’inizio del 2016 ma niente stadi: questa volta faremo più serate ma in spazi più piccoli, così da avere un maggior controllo sugli effetti speciali e sulle tecnologie – droni compresi – che vogliamo utilizzare”.

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Tracklist:

1. Dead Inside

2. [Drill Sergeant]

3. Psycho

4. Mercy

5. Reapers

6. The Handler

7. [JFK]

8. Defector

9. Revolt

10. Aftermath

11. The Globalist

12. Drones.

How Big, How Blue, how Beautiful: la consacrazione di Florence + The Machine

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Accordi di piano potenti, melodie accattivanti, un’orchestra di 36 elementi nella title track all’album e una sezione fiati arrangiata da Will Gregory (Goldfrapp) donano alle canzoni di “How big, how blue, how beautiful” , il terzo disco di Florence Welch un carattere vigoroso, potente, travolgente, perfetto per  fare da giusto contrappeso ai testi intrisi di tormentate riflessioni legate ad un forte sentimento d’amore. Pop star a 21 anni, con 2 album internazionali alle sue spalle ed un lunghissimo tour, Florence si riconcilia con la vita normale imparando a prendersi cura di sè con undici canzoni intense e vibranti , drammatiche e  violente e un album potente, selvaggio, libero, virulento.

Prodotto da Markus Dravs (Björk, Arcade Fire, Coldplay) con il contributo di Paul Epworth, Kid Harpoon (vecchio amico e collaboratore di Florence) e John Hill, il terzo disco di Florence + The Machine è contraddistinto da melodie ricche e ben strutturate, grandi canzoni e cavalcate inarrestabili. Il plus ultra dell’intero progetto è un’ imponente sezione fiati : “How Big, How Blue, How Beautiful è stata la prima canzone che ho scritto per questo disco subito dopo la fine del tour – spiega Florence – è iniziato un anno incredibilmente caotico e tutto è finito dentro il disco ma alla fine il feeling di How Big How Blue è quello che stavo cercando. Le trombe alla fine di quella canzone  sono quello che è per me l’amore, un’infinita sessione di fiati che va verso lo spazio e ti porta via con sé, così in alto. Questo è quello che la musica è per me. Vorresti solo che proseguisse per sempre ed è l’emozione più bella”.

Florence Welch

Florence Welch

“How big, how blue, how beautiful” è, dunque, l’album di una donna che fa i conti con le proprie paure per imparare a superarle. Colori forti, metafore e riferimenti mitologici celano una profonda vulnerabilità nei confronti di un uomo perennemente indeciso “What kind of man”, di fronte alla natura che materializza i più reconditi tormenti  “Various storms & saints”. Potrebbe essere il delirio conseguente ad una disillusione d’amore, invece l’album vive di un’inaspettata speranza: “È un disco su come imparare a vivere e ad amare senza fuggire”, ha detto Florence spiegando ciò che distingue queste 11 canzoni (16 nella versione deluxe) dalle storie di evasione dalla realtà contenute in “Ceremonials” . Il brano più bello del disco è “Mother” che parte da un immaginifico tappeto blues per poi evolversi  con una sublime deflagrazione finale; una chiusura esplosiva per un album che ci lascia pienamente  soddisfatti e pronti a ricominciare un viaggio di gaudente redenzione.

Raffaella Sbrescia

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TRACKLIST

Ship to wreck
What kind of man
How big, how blue, how beautiful
Queen of peace
Various storms & saints
Delilah
Long & lost
Caught
Third eye
St Jude
Mother

Video:

 

Mario Biondi, il nuovo album Beyond va “oltre” la tradizione

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Con il nuovo album “Beyond”,  Mario Biondi va davvero “Oltre”, attraverso un sound che supera le ballads jazz per rendere protagonisti funky e soul  in un progetto che si avvale della presenza di nomi eccellenti tra i quali i Dap-Kings, gruppo musicale funk/soul di Brooklyn e band di Sharon Jones, che ha collaborato con Amy Winehouse ed altri artisti. Tra gli autori dei brani troviamo, invece,Bernard Butler (ex chitarrista degli Suede), D.D.Bridgewater , Max Greco e David Florio. A distanza di due anni da “Sun”, questo lavoro apre un nuovo capitolo all’interno della discografia di Biondi che, ispirandosi liberamente alle sonorità dei Coldplay, ha scelto di sperimentare la sua voce  realizzando, così, un variegato prisma sonoro. Le  tredici tracce che compongono il disco sono il frutto di grandi amicizie che l’artista ha portato avanti negli anni ed il risultato, fresco e moderno, conserva l’eleganza e la ricercatezza che da sempre contraddistinguono la progettualità discografica di Biondi.

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

La tracklist si apre con “Open Up your eyes”, “All my life”, “Love is a temple”: una triade incentrata sui sentimenti, espressi in maniera prima concettuale poi più esplicita in “All I want is you” e “I choose you”. “You Can’t Stop This Love Between Us viene dalla collaborazione con due DJs degli anni novanta come Bini & Martini e racchiude tutto il gusto per  la miscela soul/funk tanto cara all’artista siciliano. Eletto a  manifesto di rinnovamento e cambiamento dallo stesso Biondi, “Come down”  è l’altro brano da segnalare, insieme a “Where does the money go”, un brano insolitamente vicino al raggae, che chiude il disco lasciando una sensazione di sorpresa e stupore nell’ascoltatore.

Raffaella Sbrescia

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

 

Queste le date in corso del tour “Mario Biondi Live 2015” (prodotto e organizzato da F&P Group):

Il 22 maggio a Bari (Teatro Team)
Il 24 maggio a Palermo (Teatro Politeama)
Il 25 maggio a Catania (Teatro Metropolitan)

I biglietti sono acquistabili su http://www.ticketone.it e nei punti vendita e nelle prevendite abituali (per informazioni http://www.fepgroup.it).

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Dopo i concerti in Italia, l’ormai consolidato successo internazionale di Mario Biondi porterà l’artista in tour anche in Europa e in Asia. Queste le prime date confermate: il 27 maggio a Londra (Regno Unito), il 28 maggio a Vienna (Austria), il 30 maggio ad Amburgo (Germania), il 31 maggio a Zurigo (Svizzera), il 2 giugno ad Amsterdam (Olanda), il 6 giugno a Baku (Azerbaigian), l’8 giugno a Mosca (Russia), il 10 giugno a Bruxelles (Belgio) e l’11 giugno a Parigi (Francia).

“On stage” con Mario Biondi: Alessandro Lugli alla batteria, Federico Malaman al basso, Massimo Greco alle tastiere e programmazione, David Florio alle chitarre, Marco Scipione al sax, Fabio Buonarota alla tromba e Romina e Miriam Lunari, cori, danze e coreografie.

Photogallery a cura di: Roberta Gioberti. Foto realizzate durante il concerto tenutosi lo scorso 20 maggio 2015, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

 

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

 

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

 

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

Mario Biondi live @ Auditorium Parco della Musica ph Roberta Gioberti

 

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