Olio di cacao: la nuova tappa del percorso interculturale dei Tamanduà

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Il progetto Tamanduà nasce dallo slancio creativo del chitarrista Pino Arborea, che attraverso la sua parsimoniosa dote di stimato arrangiatore, ha rielaborato alcuni tra i più significativi brani della grande cultura musicale brasiliana creando dei tagli ad hoc per le tre voci femminili di Anna Maria Giglitto, Elena Guarducci e Maria Palmerini, che completano l’ensemble. Quattro temperamenti diversi che, grazie ai singoli timbri vocali, hanno trovato particolare ispirazione nei ritmi e nei flussi espressivi della tradizione brasiliana. Gli elaborati arrangiamenti musicali dei Tamanduà seguono armonie e delle trame melodiche che, pur innestandosi su grandi classici, mantengono una freschezza sempre vivida. Dopo l’esordio con “Alquimia”, “Olio di cacao” (prodotto dalla Drycastle)  rappresenta il nuovo frutto dell’esperienza stilistica acquisita dai Tamanduà negli ultimi anni. Esaltando il legame tra Italia e Brasile, l’album unisce metaforicamente due elementi simbolici: l’ olio d’oliva e il cacao. Il bouquet di brani proposti in questo lavoro celebra il connubio tra due mondi attraverso le versioni italiane, edite e inedite, di famosi brani brasiliani e di canzoni italiane caratterizzate da una forte connotazione “verdeoro”. L’alternarsi di momenti melodici e ritmici, pensato e cadenzato per esaltare la tendenza sperimentale delle singole possibilità timbrichedelle voci femminili esalta, con merito,  i concetti di incontro, fusione ed interculturalità.

Raffaella Sbrescia

Tracklist:

La voglia la pazzia (Se ela quisesse)

La pioggia di marzo (Aguas de março)

Cançao de nosso amor

Roma nun fa’ la stupida stasera

Tem mais samba

Allegria (Upa neguinho)

Inutil paisagm/Fotografia

Metti una sera a cena (Conmigo)

Nascere di nuovo ( Começar de novo)

Bola com bola

Alice (due piccoli stupidi), un doppio autoritratto nell’ultimo romanzo di Roberto Bonfanti

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La vita è una successione di corsi e ricorsi, rimpianti e rimorsi, gli stessi che si intrecciano nelle vite di Alice e Francesco, due anime complementari, due amanti che si rincorrono nel tempo per le ragioni più disparate, per dirsi cose per cui da ragazzi, mancava il coraggio. A dare vita alle loro emozioni è lo scrittore lombardo Roberto Bonfanti che, “malinconico per indole, testardo per vocazione, sognatore per dna, disilluso per puro caso, incostante e incoerente per necessità”, nel suo ultimo romanzo “Alice (due piccoli stupidi)” (Edizioni del Faro),  ci prende per mano e ci conduce alla ricerca della serenità tra fumi di sigaretta, whisky e musica. Pagina dopo pagina, si alternano le più intime confessioni di Francesco, il cantautore protagonista maschile della storia che, dopo dodici anni vissuti con lo sguardo rivolto verso il cielo, confessa anche a se stesso di non essersi mai dimenticato di quella ragazza dagli occhi verdi sfuggenti ma fragili: Alice. Una ragazza dalla timidezza ossessiva che scappa di punto in bianco da un amore fatto di comprensione e abbracci rassicuranti. Sarà proprio in un abbraccio, lungo, inatteso, eppure involontariamente cercato, che l’Alice donna si abbandonerà con Francesco in un momento in cui la sua vita appare bloccata tra lavoro e preparativi del proprio matrimonio con un compagno amorevole, eppure distante. Tra reticenze, timori e disillusioni, Alice alla fine compirà la sua scelta in nome di una razionalità purificatrice. “Alice (due piccoli stupidi)” è, per concludere, un romanzo fragile e sincero, un doppio autoritratto in cui il quotidiano vivere poterà a rispondere anche ai quesiti più scomodi.

Raffaella Sbrescia

Ognuno qua, l’esordio cantautorale di Francesco Serra

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Francesco Serra  inizia la sua carriera ufficiale di cantautore Pop-Rock con “Ognuno qua”, l’album di inediti pubblicato lo scorso 3 luglio. Seguito dal produttore discografico Luca Venturi e dall’ etichetta On the Set, il progetto rappresenta l’esordio nazionale di Francesco, già attivo in ambito musicale nella veste di batterista turnista. Dotato di un buon timbro vocale,  Serra propone al pubblico brani semplici, dal testo immediatamente orecchiabile e con delle melodie ben strutturate nel rispetto della migliore tradizione musicale contemporanea.  Ad aprire la tracklist è il primo singolo estratto dall’album intitolato “Sei quella giusta”, un inno all’amore vero, autentico e definitivo, in netta controtendenza  rispetto all’attuale caducità dei rapporti interpersonali. Lavorando senza fretta, Serra si è dedicato alla scrittura dei testi lasciando ampio spazio al proprio istinto e allo stato d’animo del momento. Il risultato, principalmente incentrato sul tema dell’amore, racchiude una forte connotazione intimista di facile richiamo generalista.  Il brano che più degli altri si distanzia dalla tematica centrale è “Ognuno qua”, un’istantanea dei nostri disagi esistenziali raccontata con efficace essenzialità. Degna di menzione anche la versione gospel di “Questo pensiero d’amore”che, attraverso la pluralità delle voci del coro, si riveste di nuova enfasi semantica aprendo nuovi spiragli interpretativi rispetto al brano. A giudicare da questo discreto esordio cantautorale, ci auguriamo che Serra prosegua questo cammino con slancio ed una più incisiva carica sperimentale.

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Raffaella Sbrescia

 

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A Sud di nessun Nord: il disco “on the road” di Antonio Pignatiello

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Il viaggio e l’incontro fatto di terra e di mare. Questo è il fulcro di “A Sud di nessun Nord”, il nuovo album di Antonio Pignatiello registrato “on the road” in uno studio mobile lungo la penisola, che omaggia l’omonima opera di Henry Charles Bukowski. Traendo spunto e nutrimento dalla geografia, le dodici tracce che compongono l’album raccontano coincidenze ed emozioni, sentimenti e ricordi. Un anno di lavorazione per raccogliere parole, storie, canzoni e musiche fatte della stessa sostanza dei sogni ha legato Antonio Pignatiello al musicista Giuliano Valori (amico fraterno a cui il disco è dedicato). Realizzato grazie all’assistenza di Simone Fiaccavento, il lavoro è stato mixato da Taketo Gohara (produttore e ingegnere del suono di Vinicio Capossela) e vede la partecipazione di Marino Severini (Gang), Enza Pagliara, Giovanni Versari e di molti altri musicisti nazionali e internazionali. Un disco vivo, caldo, profondo e variegato che trova nella traccia d’apertura “Vecchi Conti” (dedicata a Paolo Conte)  un primo importante segnale di qualità e spessore. Attraverso un coinvolgente intrecciarsi di strumenti acustici e non, Pignatiello ci accompagna per mano nel suo intricato mondo fatto di influenze e riferimenti multipli tra latin, dell’alt-rock, del jazz, del folk. Il ritmo avvincente ed incalzante del “Canto del Rinchiuso” vive una controversa relazione con il testo attraverso  l’uso di chitarre elettriche e trombe mariachi che ritroviamo anche nel primo singolo estratto dall’album “Lontano da qui”.

Antonio Pignatiello

Antonio Pignatiello

Davvero suggestivo il “Cantico di Orfeo”, dal testo liberamente ispirato al mito di Orfeo, in cui è interessante individuare echi morriconiani e rimandi alla letteratura classica: “Maledirai il tuo canto pensando al suo passo, conoscerai la gioia e l’amore ma sceglierai la noia e l’orrore ma sceglierai la noia e il terrore”, canta Pignatiello, facendoci rivivere la tensione ed il pathos di una storia senza tempo. Con un testo tratto dagli stornelli della tradizione toscana, scoperti grazie al poeta e attore Carlo Monni, “Quando nascesti te”,  cantata in duetto con la brava Enza Pagliara, è uno dei brani più belli e più suggestivi del disco. Le due voci si sfiorano per poi intrecciarsi sulle note del ritornello: “L’amore è come l’edera dove s’attacca muore. Così questo mio cuore mi si è attaccato a te”. Decisamente diverso è il mood, sia testuale che strumentale, di “Giù al Belleville”, una canzone che funge anche da spartiacque all’interno del disco. Il cardine centrale del progetto è “Folle”, a metà strada tra canto e sussurro. “Bye Bye” è ispirato  alle magiche atmosfere anni ‘30 di New Orleans mentre “L’attesa”, dedicata ad Atahualpa, ci introduce ai richiami sudamericani di “Occhi Neri” con il suo piano latin. Un’altra pietra miliare del disco è il brano intitolato “Tra Giorno e Notte”, impreziosito da brevi e frequenti incursioni dialettali. Pignatiello chiude l’album con la melanconica e crepuscolare ballad “Non C’è Più”  ispirata al “Mestiere di vivere” e ai “Dialoghi con  Leuco” di Cesare Pavese. Con la sua impalcatura spessa e ben stratificata, “A Sud di nessun Nord” è un album colto, ricercato e stimolante da ascoltare più e più volte per comprenderne fino in fondo anche i significati e le sfaccettature più recondite.

Raffaella Sbrescia

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Travelogue: le immaginifiche peregrinazioni strumentali di Amazio e Di Maiolo

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Viaggi reali, viaggi figurati, viaggi di note. “Travelogue” è proprio questo: un continuo peregrinare tra sogni, visioni e suggestioni multiple. Frutto del genio compositivo di due musicisti molto attivi nel campo della ricerca musicale quali sono Enzo Amazio, chitarrista professionista in grado di spaziare e padroneggiare con disinvoltura tecnica ed espressività, e Rocco Di Maiolo, sassofonista dotato di una capacità di espressione melodica davvero notevole.  Tra omaggi ad icone del jazz mondiale, echi di matrice popolare e temi sperimentali, il disco racchiude sette brani inediti registrati al BluMegaride Studio di Napoli e vede la partecipazione di Francesco Nastro e Francesco Marziani al pianoforte, Aldo Vigorito e Corrado Cirillo al contrabbasso e Giuseppe La Pusata alla batteria. Il risultato è una sessione d’ascolto fortemente evocativa in cui la tecnica viene spesso messa al servizio dell’espressività conservando un buon equilibrio tra composizione scritta ed improvvisazione. Frutto dell’interiorizzazione delle esperienze di Amazio e Di Maio, questo viaggio musicale si apre con la vivace “To Work Marvels” mentre la title track “Travelogue” è una travolgente e sensuale ballad, arricchita da un’appassionante linea melodica  che rievoca emozioni lontane nel tempo. Grande protagonista di “Revive” è il pianoforte di Francesco Marziani anche se il pezzo forte è “Mediterranean River”, brano attraversato da una grande energia  con evidenti richiami alla musica mediterranea, soprattutto nella parte finale. Intimista e crepuscolare il tema di “Solitude”,  una ballad seducente ed evocativa impreziosita dalle indovinate incursioni al piano di Francesco Nastro. Mr.R.D. s’insinua saldamente nei solchi dell’anima grazie ad una fitta rete di intrecci e rimandi alla tradizione jazzistica. “Travelogue” si chiude con “Unfailing”, un riuscito omaggio al jazzista  Michael Brecker,  testimonianza tangibile di un fortunato connubio artistico durevole nel tempo quale è quello tra Amazio e Di Maiolo.

Raffaella Sbrescia

“Out to hunt”, l’ep sperimentale di The Hunting dogs

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The Hunting Dogs, in italiano “cani da caccia”, sono un duo italo-croato attivo dal 2013, frutto dell’unione artistica tra Marco Germini, specializzato nel campo della musica elettronica e l’eterea  ed elegante voce di Alba Nacinovich. Il nome del gruppo nasce mutuando il titolo di uno dei primi brani composti insieme ed il risultato è una formula musicale definita “electro-shocked pop”, un frizzante mix tra elettronica, soundtrack, jazz e cantautorato, che si avvale dell’utilizzo di strumentazione acustica ed elettronica (come il sintetizzatore modulare, la drum machine, le percussioni, l’harmonizer). La prima prova concreta di questa nuova realtà è l’ep “Out to Hunt”, pubblicato lo scorso 23 giugno e composto da quattro tracce, tre inediti ed un remix,che incuriosiscono e suggestionano quanto basta per volerne sapere ed ascoltare qualcosa in più. La traccia d’apertura è “Petrha”, introdotta da un portante riff di chitarra folk-blues su cui s’innesta un tappeto di ipnotiche distorsioni elettriche. Il pezzo più originale è “From Where We Are”, avviluppato in una insolita spirale pianistica su cui si stratificano gli onirici vocalizzi della Nacinovich. Le scariche electro di “The Grapes pt. 2” incalzano intrecciandosi in un mood crepuscolare e perturbante. A chiudere “Out to hunt” è il remix della prima traccia “Petrha”  (Qwill Rmx)di cui avremmo fatto volentieri a meno a favore di un ulteriore assaggio delle promettenti capacità sperimentali del duo.

Raffaella Sbrescia

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Maledetto, un album senza peli sulla lingua per Maxi B

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“Maledetto” è il nuovo album di Massimiliano Bonifazzi, in arte Maxi-B, uscito lo scorso giugno per Latlantide. Diretto, immediato, sfrontato, sfacciato, “Maledetto” contiene ben 17 tracce e rappresenta il manifesto del Maxi B pensiero. Il rap hardcore dell’artista respinge e condanna in-stores, talent show e le dinamiche da rap commerciale decise a tavolino per vendere a tutti i costi. Ogni concetto viene espresso fuori dai denti, senza peli sulla lingua con rime che arrivano dritte allo stomaco: “Ho scritto questo disco guardandomi allo specchio, dovevo tirare fuori tutte le sensazioni amare che ho provato negli ultimi due anni, a volte allontanarsi serve per non perdersi, ora vedo tutto con più lucidità, soprattutto la delusione verso il mondo Rap, troppo superficiale e legato a stereotipi lontani dalla mia realtà”, dice lo stesso Maxi B che, in questo disco, si fa accompagnare da Ghemon, Amir Issaa, Michel, Daniele Vit, Big Joe, Dj Double S, Dj C.I, Jacques Moretti e Kay. I due anni e mezzo di silenzio sono quindi serviti a raccogliere le idee e capire come muoversi. A dimostrazione del fatto che le tendenze non gli interessano, Maxi B inserisce anche una serie di skit all’interno dell’album, la sua parte ludica, quella che ogni giorno sfoggia nella radio dove lavora (Radio3i).

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Se il brano più duro e diretto è la title track “Maledetto”, quello che invece evidenzia meglio i veri valori di chi vuole ergersi a difensore della cultura rap è proprio “L’arte del rap”: “L’arte del rap è dare voce a chi voce non ha”, canta Maxi B; un compito non facile e spesso ingrato eppure sempre più fondamentale. Nel parlarci della propria visione della vita, vissuta a cavallo tra le case popolari di Varese e la Svizzera, Bonifazzi regala forza e convinzione a chi ha paura di sognare in un mondo sempre più abituato a calpestarci. “Le medaglie più importanti non le metti sulla giacca ma sull’anima”, canta in “Parlo Chiaro” mentre un altro brano che sta riscontrando molto successo è “Da Solo”, cantato con Ghemon. Attraversata da una sorta di dolcezza innata, la canzone ha la forza di essere fruibile da tutti senza perdere l’autenticità del contenuto: “ Dove la mente mette i limiti, il cuore li spezza”, scrive Maxi B. Ambizioso e forse pretenzioso è “Le 10 Regole Del Rapper”, con Dj Double S e Big Joe, un pezzo che invita a seguire una serie di regole per “crescere” ed affermare la propria credibilità artistica. Tra i temi più quotati c’è ovviamente l’amore che fa capolino in “Senza Di Me” con Amir Issaa e Michel e “L’amore Inutile” insieme a Daniele Vit. In conclusione “Maledetto” è un progetto energico, carico di esperienza e di prospettive, intenso e pregno di contenuti, un album tagliente dedicato a chi non vuole abbassare la testa, agli ultimi della fila, a chi ha ancora voglia di mettersi in gioco.

Raffaella Sbrescia

We Are Waves, il secondo album è “Promises”

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Con “Promises” i torinesi We Are Waves (Fabio Viassone, Cesare Corso, Fabio Menegatti, Francesco Pezzali) sfornano undici brani attraversati dalle fragilità, le malinconie, i dubbi e le speranze del dannato vivere negli anni ’10. Muovendosi a cavallo tra il sogno synthpop di matrice anglosassone degli anni ’80 ed un disilluso presente, i We Are Waves  propongono melodie e suoni intensi, energici ed evocativi. Linee vocali espressive ed efficaci s’intrecciano con ritmiche sostenute e arrangiamenti impattanti come quelli del brano d’apertura “1982” o di “Wasted” o della crepuscolare “Midnight ride”. Il fascino ipnotico della strumentale “Monochrome” introduce i più pacati ritmi della bella “Lovers Loners Losers” e della raffinata “Silent Lullaby”. Nuove increspature sintetiche avvolgono la struttura di “Wreckage” mentre il synth rock decadente riemerge prepotentemente in “Children Lake” e nell’introversa  “What Happened Today Is Useless”, brano con cui i We Are Waves chiudono un disco che, pur rimarcando a grandi linee ritmi e tecniche degli anni che furono, va comunque ascoltato per l’attualità delle tematiche proposte.

Raffaella Sbrescia

Luca Sapio & The Dark Shadows presentano “Everyday is gonna be the day”, un disco potente e sensuale

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Ammetto subito la colpa di aver involontariamente trascurato l’uscita di un bellissimo album; sto parlando di “Everyday Is Gonna Be The Day”, il secondo disco dell’eccellente soul man italiano Luca Sapio. Pubblicato lo scorso 18 novembre, questo lavoro di pregevole fattura è stato registrato tutto dal vivo ed in analogico insieme a The Dark Shadows (Mecco Guidi: Organ,  Keys Christian Capiozzo: Drums,  Larry Guaraldi : Guitars,  Matteo Pezzolet : Bass,  Marianne Leoni: vocals,  Alex Tomei : Tenor,  Flute,  Antonio Padovano : Trumpet,  Claudio Giusti : Bari)  tra gli studi della Daptone e della Diamond Mine di New York e masterizzato dal Grammy Winner Brian Lucey nel Magic Garden Mastering di Los Angeles. Prodotto e arrangiato, come il precedente “Who knows”, dal guru della soul music Thomas “TNT” Brenneck.

Dai dieci brani inediti che compongono la tracklist emerge un suono caldo, avvolgente e ben rifinito. Richiami vintage provenienti dal soul blues degli anni sessanta s’intrecciano con messaggi di importante impatto emotivo e sociale, a fare il resto ci pensa la  potente ed inconfondibile voce di  Luca Sapio.  “Everyday Is Gonna Be The Day”, s’intitola il disco: Ogni giorno può essere il giorno giusto,  il giorno che tutti stiamo aspettando, quello del cambiamento. Il titolo dell’album racchiude l’essenza di uno stile di vita ma anche del modo in cui Luca Sapio concepisce la musica: niente effetti speciali, solo canzoni che arrivano dritte al cuore dell’ascoltatore rendendolo partecipe di un portentoso vortice di note e di emozioni.

Luca Sapio

Luca Sapio

Brani come “Dark Shadows”,  l’irresistibile “All round me” entrano subito sotto l’epidermide, il groove di “I’m So Tired” e la bellezza di “Telling Like It Is” ci regalano la certezza di essere di fronte ad  vera e propria rarità nel panorama italiano. “”We don’t want to grow into the darkness, we don’t want to fall to emptiness and blue step outside back to the shadows of the past”, canta Luca Sapio in “Nobody Knows”, sorprendendo, conquistando e coinvolgendo l’ascoltatore con la forza della sua voce ma anche con la personalità e lo stile con cui fa vibrare ogni singola parola. Riconosciuto come uno degli interpreti più apprezzati dalla critica e dal pubblico d’ oltreoceano, Luca Sapio è un cantautore che risplende di luce propria e prima o poi anche la madrepatria gli renderà i dovuti riconoscimenti che gli spetterebbero.

Raffaella Sbrescia

Video: Telling like it is

Così vicini così lontani, l’elegante e ricercata riflessione estetica dei Telestar

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I toscani Telestar (Edoardo Bocini, Marco Tesi, Francesco Baiera, Remo Morchi) tornano sulla scena musicale italiana a tre anni di distanza dal precedente lavoro discografico con “Così Vicini Così Lontani, un album intimo, morbido, profondo, godibile che testimonia un notevole impegno compositivo.  I dieci brani a metà strada  fra pop, indie rock e cantautorato si scoprono poco a poco, insinuandosi nei solchi più caldi e più reconditi  dell’anima. Suono, identità, contenuto ed estetica vanno a braccetto in un percorso che, pur avvicinandosi al folk, rimane saldamente legato al contesto cantautorale ampliandone il raggio d’ascolto con ricercata raffinatezza. Le premesse sono subito chiare con la bellissima traccia d’apertura “Mi Lascio Vivere”, una dichiarazione d’intenti impreziosita da chitarre e fiati: “In ogni promessa infranta mi lascio vivere, in ogni nuova scoperta, in ogni errore passato che non va più via mi lascio vivere”, cantano i Telestar, alleggerendo il tutto con l’elegante fragranza country di “Katy”.  Gli irrisolti quesiti di  ”Ancora Noi” lasciano affiorare domande, ricordi, dubbi in un susseguirsi di immagini prese dal calderone del passato che ritorna. Leggiadra e coinvolgente è la trama melodica di “Via Dal Tempo” mentre i due volti di “Idra” scandiscono il passaggio dal passato al presente, sancito da “Diversi”, un brano in cui decisi colpi di batteria s’intrecciano con gli archi mentre le parole ci scavano dentro.

Telestar

Telestar

“Insegnami a vedere un mondo diverso”, scrivono e cantano i Telestar in “Sulla Mia Pelle”, una canzone intensa, poetica, immaginifica da ascoltare e riascoltare più e più volte. Le derive folk introspettive e malinconiche di “Lontano” affrontano con decisione le fantasie che si trasformano in polvere mentre “Il Grano Nei Campi” è il monito con cui i Telestar ci invitano a resistere mantenendo ben saldo il nostro focus mentale.  A chiudere l’album è “Un Padre”, un brano che lascia trasparire tutta la consistenza della sincera riflessione estetica sul nostro “io” più profondo, ulteriormente arricchito da melodie oniriche e sottili velature folk.

Raffaella Sbrescia

Video: Idra

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