I Maestri del Colore: la tavolozza pittorica in musica dei Corde Oblique

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Occorrono voglia, pazienza, curiosità e sensibilità emotiva per entrare in connessione con le trame sonore de ”I maestri del colore”, l’ultimo full-lenght pubblicato dalla band Progressive Ethereal Folk italiana Corde Oblique per la label russa Infinite Fog. Una forte spregiudicatezza creativa attraversa le 13 tracce ispirate ai nomi, ai contesti e ai personaggi più disparati. Un solo ascolto non sarà sufficiente per carpire le sfumature e i contributi dati dai tanti artisti convocati dall’istrionico Riccardo Prencipe, mente e cuore pulsante del progetto in essere. Parliamo, nello specifico, dei musicisti provenienti dai progetti Synaulia (autori della colonna sonora del “Gladiatore” di Ridley Scott), i Micrologus (tra i primi a diffondere la musica medievale in Italia), e la cantante bulgara Denitza Seraphim degli Irfan. Il sesto album dei Corde Oblique è concepito come una tavolozza pittorica in musica in cui si cerca di dare risalto all’importanza cromatica, ritmica e tonale della musica. Ogni titolo allude a un diverso colore e la veste grafica è ispirata alla celebre ed omonima collana di storia dell’arte, uscita negli anni ’60 per Fabbri Editori.

Corde Oblique

Corde Oblique

La prima traccia, scelta non a caso come singolo apripista del progetto, s’intitola “Suono su Tela” ed è un brano strumentale di forte impatto emotivo. L’evoluzione del disco prosegue in maniera naturale sulle note de “I Sassi di Matera” in cui il canto si appoggia alla musica per disegnare in modo nitido i tratti di un luogo unico e speciale. Unica cover del disco è “Amara Terra Mia”, rifacimento a cappella della celebre canzone di Domenico Modugno. La ricerca storico-artistica e musicale continua con “Il cretto Nero”, una struggente ed enigmatica fiaba e “Giallo Dolmen”, un effluvio di strumenti a fiato, dedicato a Roberto De Simone. Perla preziosa del disco è “A Fondo Oro”, un canto medioevale spagnolo risalente al XIII secolo, ulteriormente arricchito dall’uso di strumenti cordofoni come il liuto e l’oud. Scritta durante il soundcheck di un concerto a Shangai, “Rosa d’Asia” è la dedica che Prencipe fa al pubblico cinese. Scritto per archi ed eseguito dal Quartetto Savinio, ensemble vincitore di numerosi premi, con all’attivo incisioni per la DECCA e “Amadeus”, “L’urlo Rosso” è un brano ispirato ad una poesia di Sergej Stratanovskij. Dolce e ovattata la ninna nanna “Blu regale”, suggestiva e quantomai utile “Blubosforo” ispirata ad Instanbul. L’ultima suggestione sonora  arriva con “L’occhio bianco”, brano di chiusura per un lavoro di ampio spessore culturale, cosparso di riferimenti ed intriso di citazioni che lo rendono fruibile solo a chi ha davvero voglia di ascoltare qualcosa che vada ben oltre la media.

Raffaella Sbrescia

La Tracklist:

1 – Suono su tela
2 – I Sassi di Matera
3 – Violet Nolde
4 – Il cretto nero
5 – Giallo dolmen
6 – Amara terra mia
7 – Papavero e memoria
8 – A fondo oro
9 – Rosa d’Asia
10 – L’urlo rosso
11 – Blu regale
12 – Blubosforo
13 – L’occhio bianco

vVideo: “Suono su tela”

I Suoni delle Dolomiti: il canto della lappone Mari Boine conquista all’alba.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Il Trentino è uno scrigno ricolmo di tesori e ogni anno, in estate, il forziere viene aperto per lasciare che appassionati di montagna, di natura e di musica possano ammirarne l’estasiante contenuto. Anche quest’anno l’incantesimo si è ripetuto grazie a “I suoni delle Dolomiti”, uno dei Festival più suggestivi d’Italia che riesce a racchiudere al proprio interno l’anima delle Dolomiti e alcuni dei più prestigiosi nomi del panorama musicale internazionale. Tra gli appuntamenti più originali c’è sicuramente il concerto all’Alba, un momento unico, prezioso ed irripetibile che richiede passione, preparazione e dedizione.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

L’arrivo

Sveglia alle 3.30, breve colazione al volo e poi via, tutti in auto fino al Passo di San Pellegrino. L’aria è pungente e gelida, il cielo è ancora scuro, la notte si appresa ad uscire di scena ma il sole è lontano. Sorprende scoprire centinaia di escursionisti camminare a passo svelto verso il piazzale della funivia del Col Margherita. Sciarpa, cappello e giacca a vento non bastano a scaldarsi eppure l’emozione e l’incanto smorzano il tremolìo delle mani  illuminando lo sguardo perso tra le cime delle Dolomiti. Si sale nel buio della notte fino ai 2500 metri del Col Margherita, il cielo comincia ad illuminarsi mostrandosi terso come non mai. Migliaia di persone si sistemano sui sassi, assiepandosi come pinguini in Antartide.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Migliaia di colori, di occhi e di anime riunite nello stesso posto per godere della stessa voce; quella della cantante lappone Mari Boine che, insieme a Paolo Vinaccia, Corrado Bungaro, Carlo La Manna, Roger Ludvigsen, Giordano Angeli ha letteralmente accompagnato il sorgere del sole con la sua voce vorticosa e potente. Le sue movenze sciamaniche, la tangibile sintonia creatasi con i musicisti e l’irresistibile bellezza evocativa del posto hanno contribuito a rendere l’evento ancora più magico di quello che ci si potesse aspettare.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Il concerto

Un canto limpido, profondo, liberatorio che, quasi come un richiamo ancestrale, ha chiamato a raccolta migliaia di persone pronte a lasciarsi ammaliare. Con i suoi canti ispirati alla tradizione del popolo Sami, Mari ha raccontato di domande poste al vento, di danze dedicate al dio Sole che in Lapponia sparisce per mesi. La sua lingua è incomprensibile ma, anche quando canta in inglese l’artista arricchisce il suo canto di suoni e gorgheggi che dicono più di mille parole, la sua voce è energia da cogliere a piene mani mentre tutt’intorno si stagliano le cime del Focobon, del Cimon della Pala, dell’Agner e poi ancora la Civetta,  il Pelmo e la Marmolada. Dopo un’ora di incanto, il sole è già alto, lo sguardo è attonito, l’anima trabocca di emozioni, il freddo è un lontano ricordo.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Il rito si è concluso ma rimane tutto il tempo di fermarsi a scoprire ogni centimetro di luoghi millenari dal fascino eterno. Rocce porfiriche e carbonatiche si alternano tra pozze ghiacciate e scorci di monti intrisi di storie di guerra e di fame.  Irrinunciabile una passeggiata distensiva lungo i sentieri di Passo San Pellegrino fino alle sponde del bellissimo laghetto adiacente. Piante selvatiche e profumati larici sono i bonus concessi dalla natura a fronte di un’avventura faticosa ma oltremodo appagante.

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Raffaella Sbrescia

 In agenda

 I Suoni delle Dolomiti continuano fino al 26 agosto. Il programma completo si trova su: www.isuonidelledolomiti.it

L'alba de "I Suoni delle Dolomiti" - Trentino

L’alba de “I Suoni delle Dolomiti” – Trentino

Presentimento: Solis String Quartet e Peppe Servillo rinnovano l’inossidabile e felicissimo connubio

Presentimento

Presentimento

Il connubio tra il Solis String Quartet e Peppe Servillo si dimostra sempre più solido e sempre più affascinante. Forti del grande successo riscontrato da “Spassiunatamente”, che li aveva visti per la prima volta insieme al cospetto dei capolavori della canzone classica napoletana, gli scugnizzi della musica da camera ed il fuoriclasse degli Avion Travel tornano con “Presentimento”, un nuovo progetto che continua a spaziare con grazia e spensieratezza all’interno di un panorama musicale di sconfinata bellezza. Da Gil a Viviani, da E.A. Mario a Cioffi/Pisano, da Scalinatella a Mmiez’o grano a M’aggia curà, la lista di autori e canzoni si inseguono, si incastrano, s’incontrano, si scontrano in maniera viva, spumeggiante, sorprendente. Il pathos interpretativo con cui Peppe Servillo accarezza le parole facendole proprie e la cura meticolosa con cui Vincenzo Di Donna, Luigi De Maio, Gerardo Morrone e Antonio Di Francia costruiscono arrangiamenti particolareggiati e preziosi rappresentano i fiori all’occhiello del disco. Dramma, furore, amore, poesia si muovono tra guizzi strumentali e fascinosi frame filmici dal fascino vintage. Divertente e teatrale “M’aggia curà”, intensa e melodrammatica “So’ le sorbe e le nespole amare”, sontuosa e travolgente “Mozartango”, impetuosa ed irresistibile “Tarantella del Vesuvio”; uno “zompettio tra i quartieri di Napoli che non potrete perdervi.

Raffaella Sbrescia

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La tracklist completa del disco: 1)”Tutta pe’ mme” 2)”M’aggia curà” 3)”Canzona appassiunata” 4)”Tarantella segreta” 5)”Presentimento” 6)”Tarantella del Vesuvio” 7)”Mmiez’o grano” 8)”Palomma” 9)”So’ le sorbe e le nespole amare” 10)”Mozartango” 11)”Scalinatella”.

Chiara Grispo: tante cover e qualche buona idea in “Blind”

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“Blind” (Baraonda/ Artist First) è il titolo dell’album di esordio di Chiara Grispo, la  giovanissima cantautrice veneta in gara all’ultima edizione di Amici. L’album, prodotto da Diego Calvetti, contiene 10 tracce tra cui la hit “Come On”, primo singolo inedito che ha raggiunto già 2 milioni di visualizzazioni su Youtube, la titletrack “Blind” e “Spirito Fisico”, brano che Chiara ha inciso in duetto con Nek (suo coach durante il serale di Amici, insieme a J-Ax). Reduce dagli opening act dei concerti dei Modà allo Stadio San Siro e di quello di Gigi D’Alessio allo Stadio San Paolo, Chiara sta portando in giro per la penisola le sue canzoni e sono già in molti ad apprezzarne la voce limpida e cristallina.

Chiara Grispo

Chiara Grispo

Paga poco la scelta di inserire nel disco tantissime cover: tra le altre, le migliori sono “Wuthering heights” di Kate Bush, “Price tag” di Jessie J, “One” degli U2,  ”Next to me” di Emelie Sandé. Sebbene gli arrangiamenti siano piuttosto originali, in alcuni tratti cuciti su misura per Chiara, sarebbe stato più opportuno pubblicare più brani inediti e osare. L’insieme proposto funziona bene, Chiara Grispo non scimmiotta nessuno ed il lavoro di cesellamento sulle cover è evidente eppure avremmo apprezzato ancora di più una maggiore esposizione di quello che sembra essere un bel talento in erba.

 Raffaella Sbrescia

 Video: Come On

Tracklist:

1.    COME ON

2.    BLIND

3.    SPIRITO FISICO (con NEK)

4.    WUTHERING HEIGHTS

5.    LA MIA STORIA TRA LE DITA

6.    PRICE TAG

7.    ONE

8.    BELLA

9.    NEXT TO ME

10.  ALBACHIARA

 

“Nun tardare sole”: l’irresistibile richiamo ancestrale di Fiorenza Calogero

 iorenza Calorego - Nun Tardare Sole

Appassionata e viscerale da un lato, misurata e rispettosa dall’altro, Fiorenza Calogero è una cantante, interprete e attrice che, attraverso il suo percorso artistico, contribuisce in maniera incisiva e concreta alla ricerca e alla valorizzazione dell’immenso patrimonio costituito dai canti popolari del Sud Italia. A tangibile testimonianza di cotanto impegno, arriva “Nun tardare sole”, un album scritto, diretto e arrangiato dal Maestro Enzo Avitabile e prodotto da Andrea Aragosa per Black Tarantella. Composizioni cadenzate dalle ritmiche battenti proprie della tarante, elementi medievali e rinascimentali nonché richiami stilistici vicini alle ricostruzioni musicologiche riproposte della prima Compagnia di Canto Popolare diretta dal Maestro Roberto de Simone, con cui Fiorenza Calogero ha più volte collaborato caratterizzano questo album da interpretare come una sorta di preghiera laica.

Enzo Avitabile e Fiorenza Calogero

Tra una traccia e l’altra Fiorenza si muove con disinvoltura rivelando una voce al massimo della maturità e dell’espressività ridando vita ad inni rivolti a un sole che è dio, padre, marito, amante. Genti lontane nel tempo, spiriti dell’antica campagna, madri, donne e amanti rivivono attraverso le perfette partiture eseguite da talentuosi musicisti con strumenti tradizionali e poco usuali, come lo è la chitarra battente di Marcello Vitale, la viola da gamba di Rodney Prada, e poi la chitarra spagnola di Carlos Pinana in “Megaris”. Intensa la voce di supporto di Pino De Vittorio in ‘A Carità, e le voci di Cristina Branco in “Lu Cardillo”, brano di anonimo del ‘700, e di Urna in “Uocchie Che Arraggiunate”, omaggio ad Eduardo de Filippo. Vecchi miti, nuovi riti si destreggiano in una problematica contemporaneità in cui la voce di una artista devota ed irresistibile, quale è Fiorenza Calogero, si presenta come un suadente richiamo ancestrale.

 Raffaella Sbrescia

Video: Tre fronne e tre ciure

“FunSlowRide”: GeGè Telesforo parla alle generazioni di domani

 “FunSlowRide” è l’espressione di una visione, uno zoom sulle responsabilità verso le generazioni future e sul mondo che verrà loro consegnato. Questo progetto collettivo, che sarà pubblicato anche in Canada, Australia, Sud America e Asia dal 24 giugno,  dall’ etichetta americana Ropeadope, nasce dal genio di GeGè Telesforo, cantante, strumentista, compositore, produttore. Seguendo l’obiettivo di aggregare artisti con radici comprese tra il pop, il soul e il soft jazz, Gegè ha lavorato per 3 anni a nove composizioni inedite con l’aggiunta di “I Shot The Sheriff” di Bob Marley. Nel bel mezzo della procedura di cesellamento degli arrangiamenti, Telesforo ha identificato le voci che avrebbero dato vita alle musiche e alle parole (scritte insieme a Greta Panettieri), si è dunque spostato in lungo e in largo fra la campagna di Roma Nord, Londra e gli Stati Uniti, Brooklyn e, con oltre 500 ore di registrazione in studio fra le mani, ha portato a termine il progetto che annovera al proprio interno la testimonianza artistica di Ben Sidran, in veste di ‘filosofo’, e di eccelsi musicisti quali Alan Hampton, Sachal Vasandani, Joanna Teters, Mosè Patrou, Joy Dragland, Ainè.

Video: Let the Children

L’album, anticipato dai singoli “I shot the sheriff” e “Let the children”, brano Unicef dedicato all’Infanzia, e da “Next”, di cui è stato realizzato un video artistico dal famoso storyteller Felice Limosani, parla di temi costantemente all’ordine del giorno. I ritmi sono leggeri, i vocalismi delicati e i registri medi, il tutto a favore di una comunicazione soffusa, sussurrata, mai urlata. I testi sono pregni di messaggi e di considerazioni più che di immagini, gli arrangiamenti sono finemente particolareggiati lasciando trasparire la mano di Gegè che, scegliendo di affrontare il lavoro più da compositore e produttore che da artista, riesce comunque a lasciare un inconfondibile segno di classe e maestria.

Raffaella Sbrescia

Folfiri o Folfox: gli Afterhours tornano con un disco prezioso. La recensione e l’intervista

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«…Io sono fortunato perché posso usare la musica per cercare di spiegare a me stesso come mi sento, reagire, buttare fuori le tossine, riconoscere l’energia e, soprattutto, non andare in panico. Parlandone agli altri ho scoperto che nel gruppo stavamo passando tutti attraverso lo stesso sconvolgimento. Ognuno a modo suo, naturalmente, perché sono cose molto private. Così eccolo qua un disco sulla morte e sulla vita, sulla malattia e sulla “cura”, sulle domande senza risposta, sull’egoismo che ci fa sopravvivere, sulla rabbia e sulla felicità, sulle chiusure di cerchi che ci permettono di aprirne altri». Con le parole estratte da uno stralcio del comunicato scritto dallo stesso Manuel Agnelli in persona, scegliamo di presentarvi “Folfiri o Folfox”, il nuovo album degli Afterhours destinato a diventare un’opera antologica per eccellenza. Giunto al pubblico dopo una lunga gestazione, questo disco racchiude una scalata esistenziale intima, privata, singola eppure ampiamente condivisibile. Il titolo del progetto prende il nome da due cicli chemioterapici ponendoci subito di fronte ad una realtà da cui non si può prescindere: il cancro. “Folfiri o folfox” nasce dalla penna di Agnelli subito dopo la scomparsa di suo padre, passa per altri lutti che hanno colpito i membri della band e diventa, traccia dopo traccia, un cammino verso la ricerca della felicità. L’intensità di questo disco è data sicuramente dai testi ma anche da arrangiamenti veramente carichi di suggestioni sperimentali. “Grande”, gridata, sofferta e squarciata è un significativo punto di partenza, l’effettiva base che permette all’album di crescere ed evolversi. Struggente “L’odore della giacca di mio padre”, dolorosa e consapevole “Lasciati ingannare (ancora una volta)”, esemplificativa, dissacrante ed imponente la title track “Folfiri o Folfox”.  Ricche e preziose le tracce strumentali, da evidenziare, in particolare, l’ipnotico contributo di Rodrigo D’Erasmo in “Ophyx” e le contorsioni di Cetuximab”. Lascive sono le distorsioni racchiuse in “Fa male solo la prima volta”, curiosa e perturbante la ballata rock “Né pani né pesci”. Originale ed impattante la litania di “San Miguel”, un riuscitissimo gioco a due tra Agnelli e Iriondo. “Se io fossi il giudice” chiude, infine, il disco in modo deflagrante, emozionale, poetico, totale.

Intervista

Finalmente arriva “Folfiri o Folfox”

Abbiamo pubblicato questo disco dopo 4 anni cercando di raccontare non solo quello che è successo a me ma anche quello che è successo a molti di noi. Non facciamo un disco ogni anno, lo facciamo semplicemente quando abbiamo qualcosa da dire e questo, purtroppo, non succede ogni sei mesi. La funzione del nostro gruppo è quello di dire le cose con un linguaggio che gli altri faticano ad usare. Questo è un disco a tratti ostico, un disco che ha senso in questo momento. Abbiamo sfruttato il nostro studio, ci siamo andati tutti i giorni, ci siamo dati la libertà di sbagliare, eccedere, sperimentare. Con noi ha lavorato anche Tommaso Colliva, il top mondiale e ne siamo molto orgogliosi.

I due nuovi innesti nella band (Stefano Pilia, chitarrista dei Massimo Volume, e Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, ndr) hanno generato una grande energia. Come sono cambiate le sonorità, gli arrangiamenti e la scrittura dei testi?

Il cambio della line up ha influenzato non poco la musica, ha innescato un ricambio d’energia in una sorta di circolo virtuoso. Una direzione, quest’ultima, che avevamo già conquistato con “Padania” e che intendiamo mantenere salda. Nel frattempo lo stravolgimento della forma canzone vive un passo in avanti, sia in termini di suono che di scrittura.

A proposito di scrittura: com’è cambiato il tuo modo di scrivere in questo lavoro?

C’è un ritorno ad una comunicazione più scoperta, più aperta, una messa a nudo che ci ha coinvolto tutti. Ciò rende il disco più immediato e comunicativo proprio come sentivamo noi di dover essere. “Padania” era congelato così come lo era la sua estetica, questo disco è più caldo, ci tocca in modo più profondo e speriamo possa farlo anche con chi lo ascolterà.

C’è un’attenzione più viva e dettagliata ai testi…

Sì, i testi sono più centrali che in passato, parliamo di cose precise che non volevamo citare in modo oscuro, abbiamo condotto diverse ricerche per rapportarci con certi termini, c’è stato un bel lavoro di complicità e compartecipazione. Abbiamo composto prima le musiche, se avessi scritto prima i testi, ci sarebbero state solo ballate ed il disco sarebbe stato un’elaborazione del lutto e nessuno voleva questo. In questo album c’è voglia di reagire, parliamo di chiusure di cerchi…

Afterhours

Afterhours

Che rapporto c’è con Dio, nominato così spesso in questo disco?

C’è parecchia mancanza di Dio nel disco, lo cito perché c’è un continuo interrogarsi, quando ti manca una persona cara ti fai molte domande, Dio viene chiamato in causa perchè non lo si trova. Il disco parla di un passaggio di energia, la figura di Dio è la razionalizzazione di questo passaggio all’interno di una ricerca spirituale.

A 50 anni ti scopri vulnerabile nel bel mezzo di un’operazione di introspezione…

Mi sono ritrovato bambino abbandonato e, al contempo, definitivamente adulto una volta per tutte. Non pretendo che questa cosa venga condivisa da qualcun altro, ci sono voluti 4 anni per lasciar maturare questo disco, la musica rappresenta la possibilità di sublimare quello che è successo, una forma di autoanalisi utile per espellere le tossine, un modo per liberarsi dal dolore.

“Grande” è il brano più intenso del disco

Racchiude un grido di dolore ma anche un riscatto, una voce che va oltre, un pezzo che sarà difficile riproporre con la stessa intensità dal vivo. Finchè avrà un effetto terapeutico lo farò, poi smetterò, così come del resto avviene con gli altri brani.

Come è nato il brano “San Miguel”?

L’abbiamo improvvisato in sala prove, rappresenta il denominatore perfetto di chi non ha paura di fare tante cose diverse. Questo brano rompe gli schemi, definisce un’intenzione chiara con sonorità forti, una litania che non teme sfide nuove. Ci sono diversi modi di argomentare la superstizione: quella più volgare che detestiamo, una forma di violenza sociale mostruosa, poi c’è quella bianca che cerca energia oltre la scienza. Ecco, nel disco ci sono due o tre modi per affrontarla, “San Miguel” è uno di questi.

Afterhours ph. Magliocchetti

Afterhours ph. Magliocchetti

Da dove arriva l’idea della copertina?

Si tratta di un’idea di mia figlia. Recentemente ho curato una pianta che ha prodotto un nuovo getto di fori, le ho scattato una foto, leggermente mossa e mia figlia mi ha suggerito di usarla. Solo in un secondo momento abbiamo scoperto che l’orchidea si nutre di materiali in decomposizione, in quanto corrispondente botanico del cancro ci è sembrata perfetta.

Cinque anni fa eravate politicamente schierati… cosa è cambiato nel frattempo?

I politici non sono cambiati ed è per questo che molte cose non si sono realizzate, il cambiamento c’ è stato in ogni caso. Nel nostro piccolo abbiamo appoggiato i teatri occupati, continuiamo a portare avanti il nostro cammino senza fare cose per forza appariscenti, mi sono accorto che senza un certo tipo di visibilità si è limitati. La visibilità può essere di grande aiuto per portare avanti certe tematiche, mi sono impegnato per i diritti d’autore, la definizione professionale del musicista, voglio portare questi discorsi a buon fine.

Come si convive con la paura della felicità?

Ho sempre voluto essere felce ma forse ho sbagliato strada. Nel nostro ambiente ci sono tanti che fanno i maledetti al centro di un sistema di cose che non ci riguarda in ogni caso. Noi facciamo musica in modo libero, non dobbiamo rendere conto alle tavole della legge, facciamo le cose istintivamente perché ci piacciono, perché ci sembra il modo migliore per raccontarci al meglio. Abbiamo lasciato fuori dal disco, il più grande singolo della nostra storia perché non c’entrava nulla, siamo coerenti, siamo liberi di fare cose che non rientrano nell’immaginario, non vogliamo essere prevedibili, la prevedibilità è la morte di un gruppo rock, abbiamo più attenzione per il discorso estetico che per l’efficacia dei risultati; in ogni caso facciamo sempre quello che vogliamo, poco ma sicuro.

Afterhours ph. Magliocchetti

Afterhours ph. Magliocchetti

La musica è una trasposizione della società che rappresenta?

Negli anni ’60 e ’70 c’era una società in fermento, c’era gente che viveva nelle comuni, personaggi che non avevano paura di sperimentare, con l’arrivo delle tecnologie la gente ha cominciato ad impigrirsi e a viziarsi. Ci sono molti musicisti bravi ma troppo precisi, non ci sono più i freaks, quelli che non riesci a catalogare, ci sono piccoli circuiti, ognuno con la propria divisa, ogni più piccola realtà vuole avere il controllo sulla cultura ma non per difendere la gente. Pasolini andava tra la gente, tra gli operai, trai ragazzi di strada, portava la cultura tra la gente sporcandosi le mani. Oggi invece viviamo una situazione veramente pallosa. Il ruolo di chi fa rock non può essere fare la cultura per sé. La nostra missione è quella di portare la nostra visione della vita a quanta più gente possibile, la difficoltà sta nel portarla con un linguaggio molto preciso che non venga distorto senno facciamo avanguardia e sperimentazione.

Ad X Factor queste cose le dirai?

Mi hanno chiamato per questo, il motivo per cui sono lì è portarvi la mia visione della musica. Hanno avuto le palle di chiamarmi, io sono un’incognita, un rischio…

Cosa pensi delle polemiche che ci sono state?

Fa parte del gioco, in parte è anche strategia. In tante situazioni la polemica ha portato attenzione, non mi spaventa la contestazione, anzi, tuttavia non vi sono indifferente. Con la paura del rischio non avremmo fatto un cazzo negli ultimi anni, non me ne frega se sarò una scimmietta in gabbia, alla fine l’importante è far passare un messaggio preciso: “Le mani vanno sporcate, bisogna fare gesti piccoli ma farli tutti, non si possono fare le cose solo per il risultato, bisogna farle e basta”.

Il ricambio nella line up ha portato un cambio di energia nel gruppo?

Ci troviamo in un momento particolarmente felice, questi due innesti non sono né casuali né transitori. Questo ricambio ha avuto un impatto emotivo molto forte, con Giorgio andavo in giro per il mondo da 25 anni, ci guardavamo in modo sclerotico, non avevamo un dialogo modificabile. Dopo lo strappo non sapevamo se gli Afterhours sarebbero andati avanti, abbiamo funzionato ma navighiamo a vista, ecco perché in ogni disco ci mettiamo tutto il sangue possibile, pensiamo sempre che possa essere l’ultimo.

Cosa cambierà nel live?

Mentre “Padania” aveva delle sovrapproduzioni necessarie per riprodurre quell’urgenza, questi nuovi brani questa carica ce l’hanno da sé, la scaletta estiva proporrà un 50/50, sarà un live molto energico.

 Raffaella Sbrescia

Il tour:

 8.07 - Genova, Goa Boa Festival - NUOVA DATA
10.07 - Avezzano (Aq), Kimera Rock Festival
14.07 - Milano, Market Sound
15.07 - Torino, Flower Fest
19.07 -Roma, Rock In Roma
06.08 -Treviso, Suoni Di Marca
8.08 - Lignano Sabbiadoro (UD), Beach Arena - NUOVA DATA
13.08 -Lamezia Terme (Cz), Colorfest
27.08 -Empoli (Fi), Beat Festival

I biglietti sono in vendita su www.ticketone.it

 

“Save me”: Joan Thiele è la bella sorpresa musicale di questa estate 2016

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Joan Thiele è giovane, è talentuosa, ha una voce peculiare e ama sperimentare.  Nata nel 1991 in Italia da madre italiana e papà svizzero-colombiano, Joan conduce una vita che la porta a viaggiare molto spesso, questo le ha consentito di sviluppare un gusto musicale internazionale e variegato, incentrato sul connubio creativo tra sfumature stilistiche diverse. Cantautrice fin dalla prima adolescenza, Joan ha pubblicato il suo primo Ep “Save Me”, lo scorso 10 giugno per Universal Music. Il disco, anticipato dai singoli “Save Me” e “Taxi Driver”, contiene sei brani inediti scritti da Joan (“Save me”, “Cup of coffee”, “Heartbeat”, “Rainbow”, “Taxi Driver”, “You & I”) e una cover di Lauryn Hills  “Lost Ones” in una nuova veste. I brani del disco sono stati registrati fra Milano, Amburgo, New York e Los Angeles e sono stati prodotti da Andre Lindal e Anthony Preston, Farhot, Fabrizio Ferraguzzo e gli Etna. Nate in epoche diverse, le canzoni di “Save me” parlano di storie quotidiane, di momenti di rottura, di scelte coraggiose. A metà strada da acustica ed elettronica, Joan si muove con carisma tra momenti eterei ed altri più ritmici. Title track a parte, il brano più importante del disco è “Rainbow”, una canzone che Joan ha scritto per sua madre; un arcobaleno che vorrebbe raccontare le sfumature di una donna e che, in senso più ampio, racchiude la natura di un progetto affascinante perchè intriso di spunti e contaminazioni assolutamente eterogenei.

Joan sarà in tour, in viaggio sul Red Bull Tourbus, da giugno a settembre 2016 nei più importanti festival estivi italiani  accompagnata dagli Etna: 10 giugno – Milano Market Sound; 21 giugno Roma Rockinroma; 9 luglio – Monza I Days; 16 luglio – Genova Goa Boa; 23 luglio – Vasto Siren Fest; 16 agosto – La Villa Val Badia Jazz; 3 settembre – Treviso Home Fest; 30 settembre – Trieste

Raffaella Sbrescia

Acquista su Itunes

Video: Save Me

La grinta di Giungla in “Camo”. La recensione dell’Ep

Giungla ph Giulia Mazza

Giungla ph Giulia Mazza

Giungla è Emanuela Drei, voce e chitarra negli Heike Has The Giggles e bassista con His Clancyness. Il suo primo Ep da solista s’intitola “Camo” ed è stato prodotto, registrato e mixato da Federico Dragogna (Ministri). Negli undici minuti di cui si compone questo lavoro, la voce di Giungla è un faro accentratore: passionalità, audacia, grinta e sperimentazione si fondono in una irresistibile miscela electropop. Quattro brani tanto inafferrabili quanto gustabili si muovono tra picchi punk rock e qualche inaspettato tratto morbido.  “Camo” si apre con “Cold”, un tiratissimo punk ‘n roll in cui la drum machine detta i tempi mentre la voce flirta con l’elettronica. A seguire “Forest”: suggestioni filmiche riempiono le bolle sonore create da intense sezioni ritmiche; una contrapposizione, quest’ultima, di forte impatto sia semantico che sonoro. Tutt’altro discorso da fare per “Sand”, una dolce ballad che si distanzia da schemi e preconfezionamenti, un modo per abbracciare la disillusione e trasformarla in un punto di forza. Chiude l’ep “Wrong”, un brano ostico, a tratti psichedelico, incentrato su ombreggiature in contrasto così come è la nostra vita quotidiana.

Raffaella Sbrescia

Video: Cold

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa: Daniele Sepe chiama a raccolta la Napoli underground per un progetto che unisce musica, cultura, società e politica.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Poteva stupirci con effetti speciali. E lo ha fatto. Lo ha fatto con 62 musicisti, un disco che è un racconto, divertente, ironico, romantico e a tratti irriverente. Lo ha fatto chiamando intorno a sé soprattutto giovani. Ragazzi napoletani che fanno musica, la fanno bene, divertendosi e facendo divertire.
Lo ha detto Dario Sansone, abbracciandolo commosso alla fine del concerto che si è tenuto sabato scorso al Nabilah, e che ha visto protagonisti Capitan Capitone (Daniele Sepe), e i fratelli della costa al completo. “Ringrazio Daniele Sepe, perché è stato il solo, tra i “vecchi”, a illustrarci un percorso, a farlo spontaneamente, a darci fiducia, a cercare con noi un incontro”. Ed è proprio questo il grande merito di Daniele: saper parlare ai giovani, saperli coinvolgere e farlo con l’autorevolezza del talento, dell’esperienza, dell’ironia, alle volte anche della “cazzimma”. Ma non smettere mai di farlo. Perché sono una risorsa che va coltivata. La sola che abbiamo.

Daniele, lo conosco da tempo, lo fotografo con piacere da anni durante i live, perché mi diverte, è un artista caratterialmente introverso, che vive nel sociale e per il sociale. Una forma di contraddizione? Può darsi. Ma quando fa una cosa, la fa spendendoci tutto se stesso, con una sensibilità e una passione “senza esclusione di colpi”.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Così è stato anche per questo progetto, nato da un incontro, un appello rivolto agli artisti napoletani il 7 luglio dello scorso anno, a partecipare gratuitamente ad un concerto a sostegno della lotta dei cassintegrati e licenziati della Fiat di Pomigliano d’Arco.

Mi fa piacere fare un cenno approfondito sulla cosa, perché alla Fiat di Pomigliano esiste un reparto di confino. Un reparto “fantasma” dove vengono relegati i disobbedienti. Un reparto che “non c’è”, che non è mai entrato in funzione. Un reparto dove ogni tanto accade che qualcuno si suicidi.

E per aver rivendicato il diritto ad una condizione lavorativa non alienante, e soprattutto per essersi ribellati esponendo un manichino raffigurante Marchionne appeso ad una corda, a seguito dell’ennesimo suicidio da alienazione, cinque operai sono stati licenziati seduta stante.

Non si sono arresi, hanno continuato a lottare. Ed hanno incontrato la sensibilità di Daniele, che ha chiamato a raccolta una trentina di artisti, chiedendo loro di esibirsi a sostegno della loro lotta. Veramente gli artisti che avrebbero desiderato partecipare erano molti di più. Ed è incredibile quanti provino il piacere di suonare insieme a questo ruvido, spassoso e intrigante saxofonista, dal carattere imprevedibile e dal cuore a 24 carati.

Da quella serata è nato un progetto. Una lunga narrazione per l’estate, la cui stesura è durata un intero inverno.

Un inverno di collaborazioni, confabulazioni, registrazioni, ammonizioni, esaltazioni.

Un inverno che ha partorito un lavoro di incredibile bellezza.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Si parte col prologo, “La Tempesta”. E subito una citazione irrinunciabile, un richiamo alla Tarantella del Gargano. Dopo di che, ampio spazio alla fantasia degli artisti. Da Dario Sansone dei Foja, autore di “Penelope”, e, nelle vesti di “pittore”, del bell’acquarello copertina del cd, alla divertente storia del Rangio Fellone di Tartaglia, da Gino Fastidio, a “La Maschera”, passando attraverso Mario Insenga, ‘o Rom, The collettivo, Nero Nelson e la sua “jazzata” Bambolina, fino ad arrivare a quel piccolo capolavoro di essenzialità, che è “L’ammore o vero”, partorito dall’animo sensibile di Alessio Sollo e Claudio Gnut, costruito su un giro armonico elementare e dolce, che accarezza le emozioni con la semplicità delle cose genuine. Vere come l’amore dovrebbe essere, e come lo è il sax di Daniele. Pulito, schietto, permanente.

Lo spettacolo che ne consegue è colorato, divertente, intenso, coinvolgente, entusiasmante: teatrale. Costumi di scena sgargiantissimi, tanta energia, tante note, commozione, pubblico in delirio, un feedback ininterrotto, un’energia che resta addosso anche dopo, ancora a lungo.

Daniele conduce senza condurre, sempre fisicamente un passo in dietro al gruppo, lo coordina, lo prende per mano, impercettibilmente, ma con determinazione. Nel frattempo tiene d’occhio tutto. Dal pubblico, ai tecnici, ai musicisti, ai fotografi…..è incredibile la capacità di coordinamento del Capitano.

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Capitan Capitone e i Fratelli della Costa ph Roberta Gioberti

Un Capitano che non rischia ammutinamento, troppo amato dalla sua ciurma.
Un Pirata ed un Signore, come la tradizione romanzesca vuole.

Il cd, prodotto in autofinanziamento, è sicuramente tra le novità più appetibili dell’estate. Un’estate da trascorrere su note ballerine e saltellanti, senza perdere di vista i contenuti. Che sono, tanto testuali, quanto musicali, di primissima scelta. Ma alla qualità nei lavori di Sepe siamo abituati. E’ che fino ad oggi non lo avevamo ancora visto confrontarsi con la realtà cantautoriale, se non in qualche rara occasione in ambito folk. Sepe non insegue le mode: però ama confrontarsi con tutto, e ci rende tutto sotto una forma interpretativa non solo ineccepibile, ma anche emotivamente coinvolgente.

Se passa per le vostre piazze o per i vostri teatri, non perdetevi Il Capitano e la sua ciurma.

Non ve ne pentirete.

Parola di pappagallo.

Roberta Gioberti

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