Milano Rocks: concerto epico per gli Imagine Dragons all’ Ex Area Expo

Imagine Dragons - Milano Rocks ph Francesco Prandoni

Imagine Dragons – Milano Rocks ph Francesco Prandoni

Milano Rocks. Nel senso letterale del termine. A parlare sono i numeri, 60000 spettatori paganti, ma non solo. A parlare sono i volti di migliaia di persone incuranti di un violento acquazzone e un paio di chilometri da percorrere tutti a piedi per accorrere sotto il palco  dell’Area Experience di Expo per il concerto degli Imagine Dragons, rei di essersi donati anima e corpo in un concerto pieno, ricco e totalmente appagante. L’epicità dell’evento potrebbe essere racchiusa nella poetica immagine di Dan Reynolds in pantaloncini neri carico come non mai e incurante della pioggia scrosciante sul viso. A dispetto del loro percorso giovane, gli Imagine Dragons hanno trovato uno stile perfetto, l’eureka di una miscela pop-rock praticamente infallibile. Potenza, impatto, poetica e bellezza si fondono in un modo di intendere la musica assolutamente libero, vivo e pulsante. Ogni canzone in scaletta ha trovato una strada, scavando un solco netto, il coro del pubblico così caldo e potente da emozionare il frontman che, visibilmente colpito, confessa che questo concerto a ridosso della fine dell’Evolve tour resterà impresso nella loro mente. Sebbene il concerto abbia un piglio dalle sembianze leggere e divertenti, in realtà non è mai stato privo di importanti messaggi incentrati sul concetto di diversità e valorizzazione della propria personalità. Tra ritmi incalzanti, assoli di chitarra e percussioni irresistibili, Reynold infila strategicamente le parole giuste al posto giusto. Non si nasconde dietro l’hype del glamour, anzi, non perde occasione di riportare alla luce i demoni del passato, il bisogno di esternare la propria oscurità interiore incitando gli altri a fare esattamente lo stesso. Perchè “your life is always worth living”.

Raffaella Sbrescia

Video: Next to me @ Milano Rocks

Scaletta

Radioactive
It’s Time
Whatever It Takes
Yesterday
Natural
Walking the Wire
Next to Me
Shots
Every Breath You Take / I’ll Make It Up to You
Start Over
Rise Up
I Don’t Know Why
Mouth of the River
Demons
Thunder
On Top of the World
Believer

Alchemaya: lo spettacolo raffinato ed elitario di Max Gazzè a Caracalla

Gazzè - Caracalla - Roma

Suggestiva l’ambientazione ed ambizioso il progetto: la Bohemian Symphony Orchestra, diretta dal maestro Clemente Ferrari, 60 elementi perfettamente posizionati, le letture di Ricky Tognazzi, per narrare l’origine e l’evoluzione dell’uomo attraverso i manoscritti delle Tavole Smeraldine, la Bibbia, i testi di Qumran, le ricerche sugli Esseni, i saggi esoterici. Caracalla, con la sua tridimensionalità scenica, sicuramente si presta ad uno spettacolo di grande effetto, e luci e proiezioni immaginifiche a tinte forti, sicuramente dicono la loro in questa prima parte del concerto di Max Gazzé, che porta sul millenario proscenio, ambientazione quasi naturale, trattandosi comunque di genesi, una narrazione perfettamente equilibrata, che immediatamente fa pensare a Battiato. Ma, in alcuni tratti, ci troviamo anche l’ironica amarezza di Gaber, almeno in alcune flessioni di voce e di musica, che richiamano alla memoria un’altra “genesi”, quella del Signor “G”.

Gazzè - Caracalla - Roma

Gazzè – Caracalla – Roma

Alchemaya arriva a Caracalla già abbondantemente sperimentata, e con un ottimo riscontro tanto di pubblico quanto di critica, e, superando la logica tematica dell’uniformità, fa seguire, alla prima parte, di sicuro impegno acustico e tematico, un alleggerimento nella seconda, durante la quale scorrono, magnificamente riorchestrati, alcuni tra i brani più noti della produzione di Gazzé. Così “Una musica può” arricchirsi di timpani e violini, la “Leggenda Di Cristalda E Pizzomunno” si carica di pathos, “Cara Valentina” prende prima la forma di un leggero valzer, e poi si trasforma in una marcia enfatica, “Se soltanto” ti fa venire le lacrime agli occhi, con la sezione d’archi struggente, “La vita com’è” mantiene i suoi toni balcanici, ma arricchiti e arrotondati, fino ad arrivare ad un’uscita di scena molto teatrale, sottolineata dalla sezione fiati e timpani. Nella seconda parte sicuramente il timbro vocale di Gazzé si trova più a suo agio che non nella prima. Il risultato è uno spettacolo lungo, intenso, partecipato, divertente ed elegante. Qualcosa che si stacca dalla consuetudine pop del cantautore siciliano, e ne rende al pubblico una veste inedita, ma estremamente accattivante. Piccolo e prezioso gioiello, l’apporto della pianista coreana Sun Hee, che con grande delicatezza fisica dà vita ad un potente assolo per pianoforte, che manda il pubblico in estasi. Uno spettacolo che merita indiscutibilmente tutto il consenso sinora ricevuto.

JR

Joan Baez a Caracalla: una notte per tirare le fila della beat generation

Joan Baez - Caracalla - Roma ph JR

Joan Baez – Caracalla – Roma ph JR

Erano gli anni ’60 e qualcosa cambiava nel panorama musicale internazionale; voci diverse arrivavano dagli States.
Voci di rivolta, di protesta. Erano gli anni delle guerre. Beh, ogni epoca storica ha la sua guerra da ricordare. Ma quelli erano gli anni in cui, per la prima volta, il sistema mediatico entrava a far parte in diretta dei meccanismi di guerra. Erano gli anni delle guerre ideologiche (la guerra fredda), e di quelle fisiche. Una su tutte, il Vietnam. Erano gli anni in cui si ruppero gli schemi: Freedom and Peace, gioia e voglia di vivere, opposizione, scontro, rottura, rivoluzione culturale, rivoluzione sessuale.
Sono stati gli anni durante i quali gli Stati Uniti d’America hanno dato il meglio che potevano dare. E lo hanno dato attraverso la musica e le arti figurative.
Cominciò un certo Elvis, con un provocatorio movimento pelvico che mandava in delirio il pubblico, tanto maschile che femminile, e, dietro lui, ne vennero molti altri. Ma, a latere del Rock, e della trasgressione di carattere squisitamente culturale e musicale di cui si faceva portavoce, ci fu l’impegno politico.

Joan Baez - Caracalla - Roma ph JR

Joan Baez – Caracalla – Roma ph JR

Trovò la sua forma comunicativa questo impegno, quasi provocatoriamente, nell’ortodossia statunitense più radicata, quella del country, ed utilizzò il mezzo espressivo della ballata, o racconto, per denunciare i grandi temi di giustizia sociale, temi che una parte della Nazione Americana, in quel momento in cui partivano ragazzi sani e tornavano relitti, (quando tornavano), trasformò in una filosofia di vita.
Era la Beat Generation.
Ne divenne testimone un certo Robert Allen Zimmerman, in arte Bob, Dylan per gli amici. Fu lui a diventare l’emblema di quella generazione, fu lui il primo a proporsi come personaggio chiave del “movement”, e ad andare controcorrente e controcultura.
Vicino a lui, una ragazza. Bellissima, lunghi capelli neri, fisico filiforme, look disinvolto, sorriso incantevole, e doti canore ineguagliabili, oltre ad una marcata personalità espressiva che la rendeva inconfondibile: Joan Baez. 
Quello che la Baez ha rappresentato nel panorama musicale mondiale, e in quello della generazione beat e di quelle subito successive, oramai è storia. Soprattutto, ha rappresentato la possibilità di riuscire ad ascoltare quei bei testi e quelle belle ballate di Dylan, cantate bene. E non è poco.

Ai tempi era un’icona. Volevamo vestirci come lei, pettinarci come lei, suonare la chitarra come faceva lei, cantare le cose che cantava lei. E crederci, come ci ha creduto lei.
Portavoce della protesta, portavoce della ribellione, portavoce del riconoscimento di quei diritti alle donne troppo spesso negati, protagonista nei Sit In, nelle manifestazioni, nelle rivendicazioni di piazza, nei grandi raduni musicali, divenne il simbolo, al femminile, di un processo irreversibile, che trasformò radicalmente l’America, il suo modo di fare musica, cinema, letteratura, cultura. Milioni di persone iniziarono a dubitare del mito dell’americano buono, l’onesto difensore della legalità, degli ideali della libertà e della democrazia a prezzo della vita.
Fu una rivoluzione culturale, pacifica, che sfociò nella decisione, da parte del governo statunitense, di porre termine alla guerra in Vietnam, ma soprattutto segnò un cambiamento radicale nelle coscienze degli americani e nel loro rapporto con le istituzioni.
Musicalmente incolta, proveniente da un Midwest povero e sottosviluppato dal quale era uscita con grandi sacrifici, ha avuto il pregio di raccontare quelle giornate in musica come nessuno fino a quel momento era mai riuscito. Con note e parole che, come diceva Dylan, si «volavano nel vento».

Joan Baez - Caracalla - Roma ph JR

Joan Baez – Caracalla – Roma ph JR

Era il talking blues, il blues parlato. Queste canzoni di grande impatto emotivo, ascoltate e ripetute da una intera generazione di giovani, sono diventate non solo un simbolo, un manifesto, ma hanno fatto qualcosa di più. Ci hanno cresciuti.
Ieri metà di quel manifesto era sul palco di Caracalla, per una delle ultime tappe musicali della sua carriera.
77 anni, ancora bellissima, con la sua chitarra acustica, entra sobriamente e al buio sul palco, e subito riecheggiano, pulite, le note di “Don’t Think twice it’s alright”, e “Farewell Angelina”. E il pubblico si scalda.
Tre brani “unplugged”, pochi sorrisi ed un poco di tensione per i fotografi sottopalco, e dopo fanno il loro ingresso il polistrumentista Dirk Powell e il figlio della Baez, Gabriel Harris, alle percussioni.
Due virtuosi che l’accompagnano per un’ora e mezza, attraverso un percorso musicale che proietta la platea cinquant’anni indietro. I più fortunati, quelli che “c’erano” (e non sempre la vecchiaia è una brutta cosa), con le lacrime agli occhi, ricordano pantaloni a zampa di elefante, folte chiome color Henné, qualche “digressione” sulle droghe leggere, e l’idea che avevano di cambiare il mondo, e quanto ci hanno creduto, che questo mondo sarebbe cambiato in meglio.
La voce della Baez tiene benissimo, però, certo, non si può pretendere che abbia quelle incursioni sulle alte note che aveva cinquant’anni fa. E così, a darle sostegno, arriva Grace Stumberg, vocalist dotata di un timbro acuto e squillante.
“God Is God”, “Whistle Down the Wind”,” It’s All Over Now, Baby Blue”, “Another World”, l’omaggio a Janis Joplin con “Me and Bobby McGee”, e “Gracias a la vida”, in onore di Violeta Parra, già eseguita in passato in coppia con Mercedes Sosa, che della cantautrice cilena è la naturale erede, e ogni nota è una stilettata in pieno petto.
E questo è un dono che solo i grandi interpreti possiedono.
In scaletta ci sono anche “C’era un ragazzo”, e “Un mondo d’amore”, ma c’è una sorpresa.

Joan Baez - Caracalla - Roma ph JR

Joan Baez – Caracalla – Roma ph JR

Morandi, presente tra il pubblico, sale sul palco e le cantano insieme. Morandi nasconde dietro la sua disinvolta postura una grandissima emozione che esplode in un : “Voi non potete capire cosa voglia dire per me eseguirle dal vivo con Lei (che ai tempi le inserì nel suo repertorio), dopo 50 anni: Ho aspettato 50 anni e questa è l’ultima occasione.”
Noi, che con quelle canzoni siamo cresciuti, lo capiamo, ci commuoviamo e le cantiamo insieme a loro, e per un momento torniamo ai falò sulle spiagge della nostra gioventù, a quella voglia di stare insieme, di condividere valori positivi, di confrontarci, di dire NO.
Morandi invita il pubblico, che non se lo fa ripetere, ad intonare un “Roma nun fa la stupida stasera”, per Joan, sorridente ma triste allo stesso momento. E’ il suo tour di addio.
“Io vado via, ma la combattente resta”. E Dio sa di combattenti quanto ce ne sia bisogno al giorno d’oggi.
Dopo un’intensa interpretazione di “Imagine”, il pubblico canta, con lei che suona la chitarra, come se fossimo tutti sulla stessa spiaggia, o nella grande platea di Woodstock, “The boxer”. Un accompagnamento d’eccezione alle nostre voci, che riecheggia a lungo, nella commozione serrata in gola, in questo elegante, signorile ed intenso commiato; e nella frase del Maestro Zaccheo, chitarrista di spicco della scena musicale capitolina, accompagnatore, tra gli altri, di Giulia Anania nel progetto “Bella Gabriella”, che la serata non se l’è voluta perdere, e mi ha fatto l’onore della sua compagnia: “JR, …….te rendi conto che è tutto finito?”
Io me ne rendo conto, ma al momento prevale la commozione.
Molti giovani tra il pubblico: se chi è più grande di loro avrà la capacità di raccontare cosa ha rappresentato la Beat Generation nel mondo, forse è tutto finito: ma penso che non tutto sia perduto.
Joan, lasci le scene, ma sai che hai eretto un monumento più perenne del bronzo.

JR

Salvataggi della mansuetudine: SALVAGG’. Ecco il ritorno dello Sponz Fest

Sponz Fest 2018 - Press conference - ph JR

Sponz Fest 2018 – Press conference – ph JR

Questo il tema annuale dello Sponz Fest, il festival che si tiene da sei anni a Calitri, comune dell’Alta Irpinia, con il coinvolgimento dei limitrofi comuni di Cairano, Lacedonia, Morra de Sanctis, Sant’Angelo dei Lombardi, Villamaina. 
Presentata oggi la Sesta edizione dal Direttore Artistico, Vinicio Capossela, all’insegna del “Salvataggio”: nel senso di salvifico, ma, nel suo senso ancora più ancestrale di Selvaggio, o Selvatico. Perché, come diceva Leonardo, “Selvatico è colui che si salva”.

Estremamente attuale l’argomento, in un mondo in cui dissenso e ribellione sono considerati sicuramente valori “vintage”, dove le rivoluzioni vengono rappresentate oramai solo da post social sottotraccia, dove il salvarsi è diventato un problema collettivo, globalizzato, non più estraneo nemmeno a quella compagine che mai lo aveva preso direttamente in considerazione.
L’Irpinia è un territorio che bene si presta ad accogliere le tematiche di questo articolato festival “sui generis”, dove tutto sembra assecondare la logica del “miracolo”. Nulla di coercitivamente organizzato, predefinito, a partire dalle strutture di accoglienza, delegate agli abitanti del luogo, a finire ai vari eventi che il festival ospiterà (alcuni quest’anno soggetti al pagamento di un biglietto “popolare”, per questioni di praticabilità dei siti destinati ad accoglierli), nell’intento di promuovere un raduno di menti, di corpi, di sentimenti e sensazioni ancestrali, legate alla terra, alla suo tribalismo, al recupero dell’armonia di un vivere in essa contestualizzato.

Sponz Fest 2018 - Press conference - ph JR

Sponz Fest 2018 – Press conference – ph JR

L’uomo è animale, con un limite ben definito, quello antropologico, che se da un lato lo pone a distanza dagli altri animali, dall’altro lo separa dall’istinto animale che porta in sé, creando spesso un effetto di scollamento con le sue esigenze primarie, una specie di “horror vacui”, che paradossalmente lo isola in una dimensione individualista, proprio mentre aumenta la ricerca del contatto con l’altro: ed i social con le loro dinamiche ne sono la dimostrazione più lampante.
E’ nell’individualismo contrapposto al comune sentire che risiede la vera problematica dell’uomo del ventunesimo secolo. E, sempre nell’individualismo trova riscontro il ritorno alle ancestrali paure, quelle dell’uomo solitario, che solo il riunirsi in comunità creative è stato in grado, nel corso dei secoli, di arginare e sconfiggere, evitando il regresso allo stato “bestiale”. Quello primitivo, nella sua più negativa accezione.

Sponz Fest 2018 - Press conference - ph JR

Sponz Fest 2018 – Press conference – ph JR

Questi i presupposti antropologico-filosofici di questa anomala manifestazione, che vedrà ospiti importanti alternarsi ad altri meno celebri ma altrettanto coinvolti in uno spirito di rapporto intimo, vicinanza, scambio reciproco con il pubblico.
Da evidenziare la presenza dei rappresentanti del popolo Mapuche, che apriranno il festival con un rito di danze e canti propiziatori.
Questa popolazione che risiede nel Cile meridionale è la sola ad aver mantenuto una sovranità popolare universalmente riconosciuta, anche dai conquistadores, proprio perché selvaggi, inconquistabili.
E per questo sopravvissuti fino ad oggi. Saranno presenti per tutta la durata della manifestazione, e una loro esibizione precederà il tributo ad Antonio Infantino, che il festival ricorda con amore, proprio per il suo modo ribelle di trattare la musica, andando a ricercarla nelle sue più profonde radici, con la proiezione di un film documentario curato da Luigi Cinque. Presenti anche Petra Magoni e Daniele Sepe, già ospite con il progetto del “Capitone” nella precedente edizione.
Da citare ancora la presenza di Massimo Zamboni, e dell’Artista del Popolo Danilo Fatur.
E ancora il concerto di Angelo Branduardi nell’Arena Cupa, oltre l’esibizione finale del direttore Artistico Vinicio Capossela.
Dal 21 al 26 Agosto sarà un momento clou per i territori dell’alta Irpinia, ed un’occasione per farli conoscere a tutti quanti vorranno prendere parte a questa ricca e particolare manifestazione. Un gioiello d’Italia ancora nascosto, e che speriamo che la massificazione turistica risparmi, a favore della conservazione della sua anima selvatica e salvifica.

Sponz Fest 2018 - Press conference - ph JR

Sponz Fest 2018 – Press conference – ph JR

Gli eventi sono davvero tanti e tutti interessanti. Si tratta di una settimana da vivere per intero ad averne la possibilità, proprio per cogliere lo spirito del festival.

Di seguito alleghiamo il link del programma, per quanti volessero fare questa particolare ed intensa esperienza.

https://www.sponzfest.it/2018/programma/

JR

 

“Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018”: l’iniziativa diventa itinerante

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 - conferenza stampa - JR

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 – conferenza stampa – JR

Si è tenuto Venerdì 27 luglio, a Roma, presso la Sede del Mibac, in via del Collegio Romano, nella prestigiosa Sala Spadolini, l’incontro di presentazione dell’evento “Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018”, cui hanno preso parte i più importanti nomi del settore organizzativo di concerti Jazz, produttori, musicisti, Sindaci, fotografi, giornalisti: insomma una nutrita rappresentanza di tutti quei comparti che gravitano intorno a questo evento, che prende vita da un’iniziativa solidale “capitanata” da Paolo Fresu, e cominciata nel 2015.
Nel 2015, infatti, in una città ancora “fantasma”, che era L’Aquila, dove la vita stentava a ripartire, nonostante fossero passati sei anni da quella notte d’Aprile che la volle dolorosamente straziata da uno dei più impietosi terremoti degli ultimi 30 anni, venne organizzato un evento di portata culturale estremamente rilevante. Ben 600 musicisti, e tutto quello che può ruotare intorno ad un raduno tanto consistente, hanno reso la città, (allora solo due strade percorribili), un immenso palcoscenico, con varie location, (18 palchi), alcune di difficile allestimento, su cui per un giorno e mezzo si sono esibiti gratuitamente.

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 - conferenza stampa - JR

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 – conferenza stampa – JR

Noi di Ritratti di Note eravamo presenti, già dalla prima sera quando, dopo una partita di calcio intensamente vissuta, (protagonista la Nazionale Jazzisti ai tempi capitanata dal generoso Costantino Costa, ed oggi pilotata dall’amico Fabrizio Salvatore, titolare di Alfa Music), sul palco allestito nella piazza principale dell’Aquila si esibirono, con grande coinvolgimento, tutti i jazzisti che sportivamente avevano animato il pomeriggio. Documentammo fotograficamente la serata: eravamo i soli.
Forse anche per questo, per questo nostro intimo sentirci parte della manifestazione che, nel corso di tre anni, ha contribuito a restituire vita a L’Aquila, ieri abbiamo particolarmente apprezzato l’invito e l’accoglienza.
L’Aquila, oggi, è molto diversa. E molto, grazie alla volontà , all’impegno, e all’ottima gestione economica dell’attuale amministrazione, è stato restituito al patrimonio comune.
E ancora molto è in corso di restauro.
Al termine di un intenso documentario, che racconta la storia de “Il Jazz Italiano Per L’Aquila”, oggi diventato “Il Jazz Italiano per le terre del Sisma”, prendono la parola, a turno, i promotori della presentazione. Primo tra tutti Paolo Fresu, che questa iniziativa ha sostenuto, organizzato, supportato sotto ogni suo aspetto, con la competenza e la professionalità che gli appartengono, riuscendo a coinvolgere, in tre anni, la quasi totalità del mondo jazzistico italiano.
Il Jazz è una musica “diversa”. Come tutta la musica, nasce per “accomunare”, ma, a differenza di altri generi musicali, entra a contatto diretto con il proprio pubblico, avvolge e si lascia avvolgere.
Il Jazz è solidale, disponibile, accogliente, “popolare” per “costituzione”. Ed in quest’ottica di solidarietà e condivisione, si è unito, prima al capoluogo abruzzese, poi alle altre terre devastate dal sisma, in un un ampio abbraccio di conforto e sostegno, portando la musica nelle strade, tra i vicoli pericolanti, nelle più belle aree artistiche che pian piano venivano restituite, nel loro splendore, al piccolo e ricco insediamento urbano, e creando un movimento ed un’attenzione che sicuramente non sono passati inosservati.
Oggi, l’iniziativa (fortemente voluta dal MiBAC, dalle amministrazioni locali, dal direttore artistico), ha preso un carattere itinerante, e sarà articolata su quattro giornate : il 30 agosto a Camerino, il 31 a Scheggino, il 1° settembre ad Amatrice ed il 2 settembre a L’Aquila. Non mancherà la partita di calcio, come tutti gli anni, e sicuramente quest’anno L’Aquila offrirà un ambiente ancora più accogliente. Diversa è la situazione per le altre terre colpite dal Sisma. Ieri, a Camerino, hanno consegnato dei moduli abitativi.

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 - conferenza stampa - JR

Il Jazz Italiano per le terre del Sisma 2018 – conferenza stampa – JR

C’è ancora tanto da fare, in quei territori che, incolpevoli, hanno subito un tale disastro.
Tuttavia, la musica, quel momento che deroga alla necessità materiale, per nutrire la necessità dell’anima di ritrovare un poco di bellezza e leggerezza, in questo, ha dimostrato di poter essere di fondamentale aiuto e sostegno.
Anche quest’anno, quindi, ci uniremo, come testata, alla manifestazione, felici di esserne stati parte coinvolta sin dall’inizio. Un piccolo contributo in quel mare magnum di solidarietà che per quattro giorni attraverserà queste zone rosse dell’Italia centrale, e che, grazie al Jazz ed ai suoi comparti attivi, è stato possibile realizzare.

JR

Tomorrowland 2018: a Monza la celebrazione della musica e della fratellanza

Unite with Tomorrowland - Monza - 2018

Unite with Tomorrowland – Monza – 2018

La grande allure che si era creata intorno alla prima edizione di “Unite with” Tomorroland, organizzata nel parco di Monza, sì quello dell’Autodromo, non è stata disattesa. Circa 15000 persone si sono date appuntamento nel polmone verde brianzolo per una giornata unica nel suo genere. Il Tomorroland è un Festival di musica elettronica che si tiene ogni anno in Belgio e che riunisce i più famosi dj del mondo alla stessa console. Vietato ai minori di 18 anni, questo piccolo universo felice ha richiamato il pubblico più vario: dai freschi ventenni, ai disinvolti over 30, fino a degli inaspettati gruppi di quarantenni più che in forma. Un evento che non conosce differenziazioni di genere e di età dunque, d’altronde la posta in gioco stavolta era piuttosto alta: il messaggio da veicolare era impattante e fondamentale in un’epoca di focolai fascisti.

Uguaglianza, unione, fratellanza. Questi i concetti chiave che hanno fatto da cardine ad una line up di tutto rispetto. Tomorrowland è, letteralmente, la terra di domani, quella che ognuno di noi sogna per sè e per gli altri. Una dimensione felice, gioiosa, dove ciascuno fa ciò che ama, dove ognuno celebra la propria libertà e la condivide in maniera pacifica.

Unite with Tomorrowland - Monza - 2018

Unite with Tomorrowland – Monza – 2018

Un’organizzazione perfetta, orchestrata da da 5 Guys Company, ha offerto al pubblico 14 ore di show da mezzogiorno fino alle 2 di notte. Una scenografia impattante, un palco di 350mq e tanti effetti speciali hanno fatto da cornice a Klingande e Malaa e Martin Solveig (che ha cantato dal vivo il suo nuovo singolo “My Love” . Tante le hits ballate e cantate a squarciagola tra pizze, panini e focacce gourmet. Alle 21.00 il momento più emozionante: il collegamento in live streaming via satellite con il main stage in Belgio, in contemporanea con altre sei nazioni: Abu Dhabi, Libano, Malta, Messico, Spagna e Taiwan. Sul palco i deejay headliner del festival, tra tutte spiccano le performances di Afrojack e Armin van Buuren. Il senso di coinvolgimento e condivisione si è costruito in un crescendo emotivo, fortemente suggestionato dalla sincerità dei messaggi dei dj coinvolti.

Unite with Tomorrowland - Monza - 2018

Unite with Tomorrowland – Monza – 2018

Ballare tutti insieme, sapendo che ci sono altre centinaia di migliaia di persone che stanno ballando insieme a te, proprio come te, con lo stesso sorriso e la stessa voglia di vivere fa veramente effetto. Una sensazione così galvanizzante, così pura e priva di sovrastrutture, fa pensare che forse nella mente di chi ha messo in piedi questo evento c’era proprio questa precisa immagine.

Raffaella Sbrescia

Pavia baluardo di interculturalità: Goran Bregovic chiude l’Iride Music Festival ed è festa grande

Goran Bregovic - Castello Visconteo - Pavia - Iride Festival

Goran Bregovic – Castello Visconteo – Pavia – Iride Festival

Si chiude all’insegna della celebrazione dell’interculturalità la rassegna “Iride Fraschini Music Festival” ambientata nel Castello Visconteo di Pavia. La cornice è di quelle prestigiose, l’appuntamento di quelli da vivere almeno una volta nella vita. Sul palco il celebre compositore Goran Bregovic con la sua fidata “Wedding and Funeral Orchestra”, composta da cinque fiati, due coriste e un percussionista cantante. L’idea dell’iconico artista è portare al pubblico la versione live del suo ultimo album «Three Letters from Sarajevo», un album simbolico con cui Bregovic rompe il tabù della guerra e mette in primo piano il tema della convivenza tra religioni diverse. Il suo intento è nobile, il modo per veicolare il messaggio è infallibile. L’incedere voluttuoso degli arrangiamenti corposi e ricchi si accompagna a testi che trasudano pathos e sofferenza ma anche tentativi di conciliazione e altrettanti furiosi fallimenti.

Video:

Una commistione tra sacro e profano decisamente congeniale al musicista serbo-croato, maestro nel mescolare suoni, ritmi e linguaggi. La grande varietà di stili e tecniche mette in risalto falle e imperfezioni, diversità e incongruenze. Il ritmo è crescente, contagioso, fluttuante. Lasciarsi coinvolgere dall’impeto dei fiati e dei ritmi percussionistici è teraupeutico e galvanizzante. L’immaginario si fa fitto di suggestioni, pensieri, ricordi vicini e lontani. ll gettito di pulsioni istintive è l’acme dell’impianto emotivo su cui fondano le melodie composte da Goran Bregovic che, con il suo ottimo italiano, instaura un vivace interscambio con il pubblico, pronto a rompere le file e vivo fino all’ultima nota. In scaletta atmosfere scure, neoromantiche e sanguinarie cedono il passo alla richiesta urgente di vita e di festa: War, Vino Tinto, , Made in Bosnia, Mazel Tov, Pero, la bellissima Duj Duj, Gas Gas, Erdelezi, Mesečina, In the Death Car. Trai bis: Hopa Cupa, Bugarke, Jeremija, Bella Ciao e l’immancabile Kalasjnikov i brani che desideriamo mettere in risalto per rendere l’idea di ciò che ha rappresentato questo irrinunciabile appuntamento con la cultura.

Raffaella Sbrescia

Video:

Calcutta in concerto a Latina: autentico, disincantato e naif

Calcutta - Latina - ph Valentina Pascarella

Calcutta – Latina – ph Valentina Pascarella

La performance di Calcutta allo Stadio Francioni di Latina è stata in linea con la sua persona: autentica, disincantata e al contempo naif. Una carrellata delle sue canzoni più note intervallata da brevissimi commenti velati da imbarazzo misto a incredulità per un pubblico enorme e caldo, pronto a farsi sentire forte e chiaro. In scaletta immancabili le hits: Paracetamolo, Cosa mi manchi a fre, Gaetano, Orgasmo, Frosinone, Pesto e una Oroscopo cantata con un improbabile Tommaso Paradiso: il senso di questa apparizione non è stato del tutto chiaro e si è rivelata l’unica scelta poco convincente. L’atmosfera ritorna intima per Saliva, Le barche, Hubner, Albero. Calcutta disegna e costruisce un contesto familiare con l’augurio reiterato che le sue canzoni possano essere gradite, si spende in saluti alla nonna che abita lì vicino, snocciola dediche intime ad amici di vecchia data. Uno spettacolo coinvolgente sì ma assolutamente genuino e naturale quello del cantautore di Latina che , senza grandi pretese, sta dettando legge nel tanto amato e odiato panorama mainstream. A proposito, dal prossimo autunno Calcutta sarà in tour nei Palazzetti italiani.

Francesca De Rosa

Le date del tour invernale:

sabato 19 gennaio 2019
Padova
Kioene Arena

lunedì 21 gennaio 2019
Milano
Mediolanum Forum

mercoledì 23 gennaio 2019
Bologna
Unipol Arena

venerdì 25 gennaio 2019
Bari
PalaFlorio

sabato 26 gennaio 2019
Napoli
Palapartenope Casadellamusica

mercoledì 6 febbraio 2019
Roma
PalaLottomatica

☘️sabato 9 febbraio 2019
Acireale (CT)
Palasport

“Let them dance if they want to dance”: con il concerto di David Byrne, l’Umbria Jazz raggiunge il suo acme

David Byrne - Umbria Jazz 2018- ph JR

David Byrne – Umbria Jazz 2018- ph JR

L’Evento più significativo ad oggi di questo Umbria Jazz è sicuramente stato il concerto di David Byrne. 
Grande occasione, ha rievocato le atmosfere e le suggestioni dei concerti “storici” di 20 anni fa.
David Byrne rappresenta un fatto a sé stante, nel panorama musicale mondiale. E rappresenta, insieme a Peter Gabriel, l’ultimo baluardo di un certo modo di fare ed intendere la musica. Un modo che appartiene ad una generazione oramai malinconica, perché di musica si è nutrita con avidità, con curiosità, con sacrificio.
Sì, perché era un sacrificio, mettere insieme i soldi (allora tanti), per comperarsi un vinile. Lo facevi da ragazzino, con i tuoi pochi risparmi. La prima cosa che facevi, non era procurarti un drink ed uno sballo, ma correre alle Laziali, o da Ricordi, o da Disfunzioni Musicali, e comperarti quel vinile che avevi sentito a casa di Tizio, e non eri più stato in grado di dimenticare.
Giravi, come un cretino, con “Crack” sotto il braccio, quasi a dire “Ragazzi, io ascolto gli Area, datevi una regolata…..”. E con questo avevi già detto molto, anzi, quasi tutto di te.
Racconta Peter Gabriel nella sua biografia, che l’Italia era la manna per gli artisti. Perché quando “buttava male, tu venivi qui, facevi un concerto, e stavi sicuro che il pubblico non ti avrebbe tradito”.
Forse anche per questo, ieri, a Perugia, il Genio per antonomasia, si è presentato con la schiettezza e la semplicità di un adolescente. Ha visitato la città, si è fatto il suo giro in bicicletta, ha trattato il posto e le persone con una confidenza ed una naturalezza tali da lasciare esterrefatti.
Sì, perché in barba a tutto e a tutti, si è mosso con naturalezza e libertà. Come un giocatore di calcio in possesso del proprio cartellino: un Capitano.
Il sold out è garantito. Parecchia gente si è mossa all’ultimo momento, proprio perché l’evento è imperdibile, al punto da rimuovere qualsiasi indecisione.
E non delude.

David Byrne - Umbria Jazz 2018- ph JR

David Byrne – Umbria Jazz 2018- ph JR

Byrne è annoverato tra i “geni musicali” contemporanei.
Insieme a Gabriel, a Eno e a Bowie, è stato padrone della propria musica, della propria immagine, della propria determinazione artistica.
Ed è stato uno dei primi, negli anni ’80, ad approcciare alle contaminazioni mediterranee e sudamericane: la “world music”, insomma.
Emblematico l’album “Rei Momo”, dove, allontanatosi dal progetto Talking Heads, si tuffa, in questo primo lavoro da solista, nelle sonorità brasiliane, e lo fa con estro, ironia, rivisitando un sound e rendendolo unico ed originale.
Artista eclettico, che spazia tra il cinema (indimenticabile “True Stories”), la visual art, la scrittura, oltre ad aver tracciato un solco con la sperimentazione avviata negli anni ’70 con i Talking Heads, continua ad esprimersi con un’intelligenza particolarmente vivace e spiccata, ed il concerto di ieri sera ne è la prova vivente. Coreografie da “musical”, perfetto studio di ogni minimo dettaglio, una band numerosissima, un sound basato prevalentemente sulla ritmica (irrinunciabile il ruolo del basso, e una nutrita schiera di percussioni “bandistiche”), strumentazioni etniche, e tanta britannica eleganza.
Così, con un’ incantevole scenografia, ripropone buona parte della produzione classica, da Born under punches, a Bullet, da The Great Curve a Dancing Together, scatenando da subito il delirio della gente sul parterre.
La musica è libertà espressiva, corporea, e Byrne ne è l’incarnazione.
Per questo, quando blocca “Once in a Lifetime”, e la Security, che tentava di arginare il ballo di alcune ragazze sotto palco, con un imperioso “”SECURITY let them dance if they want to dance or stop the show”, è l’estasi.
Il pubblico non se lo fa dire due volte, la Security si rassegna, ed il lavoro diventa sicuramente più difficile, però la soddisfazione è piena. Gente commossa, un Carlo Massarini visibilmente soddisfatto, con la sua maglietta “Talking Heads” indosso, un sapore retrò, molta gente che dice “non immaginavo una cosa simile”.
Per noi, che Byrne lo abbiamo praticato dal vivo per anni, anche quando le date te le dovevi andare a cercare, perché non le pubblicizzava, era immaginabile.
Fantasticamente immaginabile.
Quello che non immaginavamo è che, nel Back Stage, sarebbe stato tanto cordiale, sorridente e disponibile, dopo due ore a ritmo serrato, come è proprio del personaggio, durante le quali non si è risparmiato né fisicamente, né psicologicamente, rispondendo in maniera “britannica” anche al lancio, veramente poco elegante, dei cuscinetti sponsorizzati, che il pubblico ha fatto per chiedere il bis. Di bis ne sono arrivati ben due. Profondi inchini e massimo rispetto per un pubblico che esce soddisfatto ed appagato.
Come quando, dopo i concerti, a notte fonda, andavi a cercarti il cornetto ed il cappuccino, e rifiutavi il sonno, per poter prolungare quella scarica adrenalinica.
La cosa più bella in assoluto di questo UJ, e tra le più belle del festival, da sempre.

Antonello Salis e Simone Zanchini Umbria Jazz Festival ph JR

Antonello Salis e Simone Zanchini Umbria Jazz Festival ph JR

Anche se l’effetto Byrne è stato galvanizzante ed elettrizzante, nonché totalizzante, non ci dimentichiamo di un’altra performance di notevole pregio: quella, alla Galleria Nazionale dell’Umbria, di Antonello Salis e Simone Zanchini. 
Salis, un autodidatta virtuoso ed originale, dalla lunga ed importante carriera, e Zanchini, diplomato al conservatorio di Pesaro, intessono con le loro fisarmoniche, e con la fisarmonica di Zanchini ed il pianoforte di Salis, un dialogo serrato, scambiandosi suggerimenti ed emozioni, , senza limiti o classificazoni. E così spaziano dal folk al classico, dalla musica d’autore a quella popolare, in un totale flusso di libertà espressiva.
Alla fine Zanchini dice “se un giorno assisterete nuovamente a questo concerto, sappiate che non sarà lo stesso concerto”. Improvvisazione e tecnica, si materializzano in un risultato commovente. Da Beethoven a Ravel a La Cucaracha, a Morricone, a Keith Emerson senza soluzione di continuità, per un pubblico sempre più attento e coinvolto. E, nel canonico stile un poco snobbato oggi dagli artisti, escono di scena ed entrano per il bis. Perché un bis, senza suspense……non è un bis.

Un’ultima cosa, a conclusione di questa esperienza Perugina.

Dietro ogni evento c’è lo sforzo di una miriade di persone che lo rende possibile.

Quest’anno qui ad UJ ne è mancata una. Tony Soddu.

Sarebbe stato sicuramente sul palco di Byrne a fare da coordinatore.

Un pensiero, in assenza di altri, glielo rivolgiamo noi. E’ poca cosa, ma doverosa, nei confronti di un uomo che è stato dietro, per ben 30 anni, a tutta la più bella musica live che abbiamo ascoltato.

Tony, se ci hai guardati, ieri sera, ti sei divertito tantissimo da lassù……questo ci piace pensare.

JR

Pat Metheny scalda la sera di Perugia, Cammariere la infiamma fino a notte fonda

Pat Metheny - Umbria Jazz 2018 - ph JR

Pat Metheny – Umbria Jazz 2018 – ph JR

Torna Pat Metheny, oramai di casa a UJ, e reduce dal recente concerto generosamente tenuto ad Assisi per raccogliere fondi per le popolazioni terremotate del Lazio dell’Umbria e delle Marche. Come già anni fa fece Mehldau, nella sala Podiani, dopo il terremoto che mise in ginocchio l’Umbria. Uomo generoso, artista talentuoso, lo conosciamo da anni oramai, forte anche della collaborazione con il mai abbastanza rimpianto Pino Daniele, che gli valse la popolarità, almeno in Italia.
E’ quindi naturale che il pubblico accorra numeroso a riempire il parterre e le gradinate della Santa Giuliana. Da Metheny ti aspetti comunque uno spettacolo di grande qualità, e l’aspettativa non è andata delusa nemmeno questa volta.
La formazione di quest’anno prevede la collaborazione di Antonio Sanchez alla batteria, Linda May Han Oh al contrabbasso, e Gwilym Simcock alle tastiere, e, con loro, Metheny ripropone una vecchia produzione, già più volte ascoltata, e in più versioni, ma mai così puristicamente intesa: in più, un repertorio di cose che teneva nel cassetto, scritte e mai proposte, e confezionate per l’occasione. Confezionate, è il caso di dirlo. E molto ben confezionate, al pari dei contenuti. L’incipit, con la sua Pikasso a 42 corde, rievoca sonorità orientaleggianti. Da ascoltare in religioso silenzio, e col fiato sospeso: ci duole doverlo spiegare ad almeno 4 spettatori, che, nel frattempo, discutono di amenità come la cucina ed il tempo.
Poi parte il concerto. Il pubblico viene invitato a non registrare, i fotografi a non fotografare (di fatto un brano laterale a 30 metri, vuol dire “lascio perdere”), e il concerto si dipana su un’ora e mezza di dialoghi tra la Coral Sitar e il dinamismo ritmico del batterista messicano, del tastierista britannico, e della musicalmente robusta quanto fisicamente esile bassista malese.
Il risultato è perfetto. Il pubblico, però, troppo “vociferante”. Qualcuno anche assopito. C’è da dire che questa veste molto ortodossa del chitarrista statunitense, risulta un poco algida, per chi è abituato alle contaminazioni con strumentazioni e ritmi della più svariata origine e provenienza, proprie del Metheny che, trent’anni fa, a Caracalla, lasciò il pubblico come sotto l’effetto dell’ LSD, a fine concerto. Quello fu un evento indimenticabile, e forse quello ancora ci si aspetta. Di fatto, il concerto è bellissimo. Ma impoverito in quella componente emozionale che ha portato Metheny a essere Metheny. Sul finale si riprende, il pubblico si scioglie, lui si scompone, e si ritrovano un poco quelle antiche atmosfere oniriche.
Ma Metheny, da grande artista qual è, ha tutto il diritto di proporsi anche in chiave “insolita”. E per l’immenso talento e professionalità che esprime, merita comunque un profondo inchino e il consenso incondizionato. Almeno pari all’affetto che dimostra avere nei confronti di questa terra e di questa manifestazione, nel dire “Continuerò ad affermare che per un musicista è sempre una grande emozione suonare ad Umbria Jazz”.

Kyle Eastwood - Umbria Jazz 2018 - photo JR

Kyle Eastwood – Umbria Jazz 2018 – photo JR

Ad introdurre le note del Mostro Sacro della chitarra, un figlio d’Arte….anche se di diversa arte. Kyle Eastwood, al suo esordio ad UJ, sicuramente ha ereditato la passione dal padre, grande cultore di Jazz, che ha spesso inserito nelle colonne sonore dei suoi film. Contrabbassista, estremamente disinvolto nell’approccio con il pubblico, emozionato e disponibile, si lancia in una breve ma sostenuta performance , assai “cool” e divertente. Musica anni 60 e 70, rivisitata in chiave moderna, quattro brani inediti, tratti dal suo ultimo cd (che Kyle si presta ad autografare, incontrando così fisicamente il pubblico che tanto lo ha apprezzato), uno standard di Mingus, un Boogie stop shuffle, e il tema d’amore di Nuovo Cinema Paradiso, ad omaggiare Morricone che tanto ha accompagnato nella figura e nei ruoli cinematografici del Padre.
Simpatico, divertente e bello. Oltre che decisamente bravo, affiancato da Andrew McCormack al piano, Chris Higginbottom alla batteria, Graeme Blevins al sassofono e il notevole Quentin Collins alla tromba.

Sergio Cammariere - Umbria Jazz 2018 - photo JR

Sergio Cammariere – Umbria Jazz 2018 – photo JR

A sorpresa, per la rassegna “Round Mindnight”, Sergio Cammariere offre uno spettacolo di grande impatto. Tornato alle origini jazz, e, rivisitato il repertorio, ultimamente un poco troppo orientato al pop, regala un’ora e mezza di grande commozione, complici un frizzate e “mostruosamente” performante Amedeo Ariano alla batteria, il noto e caro, sempre solido Bulgarelli al contrabbasso, Bruno Marcozzi alle percussioni e Daniele Tittarelli al Sax Soprano. Insomma, una selezione accurata di musicisti, che unita alla capacità compositiva ed esecutiva di Cammariere al piano, si concretizza in uno spettacolo denso di emozioni, caldo ed avvolgente. Il pubblico si immerge nelle atmosfere raffinate e non prive di “pathos” della sua poesia, e ne resta ammaliato. Tanto da chiedere più di un bis, cui Cammariere, emozionato e felice, come l’ampio abbraccio rivolto alla platea dimostra, si concede. Fino a notte inoltrata. Quando definitivamente si spengono le luci su questa settima intensa giornata dell’Umbria Jazz.

JR

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