Intervista a Roberta Di Mario: “La musica è un contenitore di colori”

custodia_statodellecose (2)Roberta Di Mario è una compositrice, autrice, pianista, cantautrice, producer parmense che, forte di un’espressione musicale poliedrica e senza confini, ha pubblicato lo scorso 28 marzo l’album intitolato “Lo stato delle cose”. Il progetto racchiude due percorsi artistici distinti eppure appartenenti ad una sola anima: “Songs” e “Walk on the Piano Side”, il primo con tracce cantate, il secondo solo con brani strumentali. Vincitrice del premio “Sisme” – migliore interpretazione al Festival di Musica popolare e Canzone d’Autore  – Musicultura 2012, finalista al Premio Bindi 2012 e vincitrice del Premio Varigotti Festival 2012, Roberta ha risposto alle nostre domande svelando una sensibilità raffinata e particolarmente attenta anche alle più impercettibili sfumature dell’animo animo.

Il tuo repertorio passa dal pianismo contemporaneo al jazz, dallo swing al pop cantato… Quali sono le idee che ti ispirano, i passaggi che determinano i cambiamenti stilistici e le suggestioni che intendi comunicare attraverso la tua musica?

Mi sono diplomata in pianoforte per cui tutto è partito da un mondo classico. In un secondo momento sono passata alle colonne sonore e ai musical avvicinandomi allo swing e al jazz ascoltando e assorbendo sonorità un po’ diverse. Non ho fatto uno studio jazz, mi sono avvalsa della mia predisposizione personale per poter trasmettere al pubblico il mio mondo interiore. Sia nella musica che nel testo metto i miei sentimenti e i miei mondi musicali senza incanalarmi in un genere specifico.

Da dove nasce l’idea di convergere “Songs” e “Walk on the Piano Side” in un unico progetto?

Ho voluto unire le mie due anime: cioè quella del pianismo e della canzone anche perché credo che all’interno del panorama italiano una cosa così sia abbastanza originale.  Ho voluto fortemente unire questi due  know how insieme perché sono parte di me, l’uno non esiste senza l’altro. Nel mio disco precedente c’erano 10 tracce, di cui 8 canzoni e 2 testi di piano perché già allora volevo unire due progetti artistici che fanno parte di uno stesso cuore.

“Qual è “Lo stato delle cose” oggi?

Per me lo stato delle cose è scrivere, suonare e cantare ed esprimermi attraverso musica pura. Queste sono faccende di alta acrobazia, eccitanti e pericolose al contempo, mettono in evidenza chi sei davvero, la tua parte più intima che è quella più vera e più profonda. Lo stato delle cose è, quindi, raccontare chi sono io oggi, con tutta la trasparenza e la fedeltà possibile. Combatto affinchè la qualità della mia musica possa fare la differenza, anche se non distinguo musica di serie a e di serie b, tutta la musica bella, rimane tale e merita di essere ascoltata.

In che modo la direzione artistica di Piero Cantarelli ha influito nella creazione del disco?

Piero ha dato una svolta al mio percorso artistico. Lui viene da un mondo fortissimo, che è quello dei cantautori come Ivano Fossati. Da un lato mi ha scosso per cercare dentro di me il coraggio e la  sincerità, dall’altro questi arrangiamenti classici e contemporanei al contempo, hanno vestito le canzoni in un modo molto attuale ed elegante. Piero ha una grandissima sensibilità musicale, anche lui viene dal mondo del pianoforte e ci siamo trovati non solo vocalmente ma anche sul piano strumentale.

Roberta di Mario

Roberta di Mario

C’è un brano, tra quelli cantati, a cui sei più legata?

Senz’altro sono legatissima a “Lo Stato delle cose”, che è anche la title track del disco, perché c’è un contrasto tra un suono violento ed una sonorità più dolce e intima. Questo brano racchiude il senso dello stato delle cose attuale, in cui si alternano momenti fortemente violenti e drammatici a momenti molto sereni. Poi c’è “Il Mercante di sogni”, il brano musicalmente più bello, più coinvolgente, che rimanda tanto alle immagini. Per me è come se fosse una colonna sonora, infatti tra i miei sogni nel cassetto c’è  quello di scrivere colonne sonore perché la caratteristica della mia musica è quella di rimandare tantissimo alle immagini.

“Hands” ha musicato la Mostra Internazionale del Maestro Botero…cosa racconta questa composizione?

Il titolo di “Hands” è nato mentre mi guardavo le mani che volavano sulla tastiera. Dopo poco ho scoperto che il Maestro Botero ebbe un incidente nel 1979  in cui perse suo figlio e l’ultima falange del mignolo della mano destra, ciò lo spinse a scolpire più volte enormi mani. Per me è stato come se si chiudesse un piccolo cerchio, ho capito che la melodia del brano si legava alla creatività del maestro ma anche al suo percorso personale.

Qual è, secondo te, il lato luminoso delle cose di cui parli ne “Il pensiero magico”?

Il lato luminoso delle cose è essere positivi verso la vita. L’aspetto positivo di ogni cosa, di ogni incontro, nel bene e nel male. “Il pensiero magico” è la catarsi di un percorso all’interno del disco: trasforma un punto di domanda nella più bella fantasia.

Come ti senti ad aprire i concerti di Roby Facchinetti e Sagi Rei. Quali sono le tue prospettive in proposito?

Si tratta di bellissime lezioni artistiche. Roby Facchinetti resta uno dei cantanti che ha fatto la storia della musica italiana e continua a farlo. Adesso ha iniziato questa nuova avventura da solista e da lui potrò imparare il modo di porsi sul palco e tanti segreti professionali, poi, ovviamente, il suo pubblico sarà anche il mio pubblico e potrò far conoscere il mio progetto. Lo stesso avverrà con Sagi Rei, anche se si tratta di un artista più giovane, ma che ha il suo background ed un pubblico diverso. Questi quattro appuntamenti sono un po’ l’ anteprima  del mio tour e serviranno per vedere la reazione di un pubblico nuovo e trasversale verso la mia musica. Aprirò e chiuderò i concerti con 5 brani, di cui l’ultimo sarà sempre un pezzo strumentale.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Roberta di Mario e Clarissa D’Avena per la disponibilità

Intervista al regista e videomaker Tiziano Russo: dagli esordi in webcam, ai videoclip dei Negramaro, fino al docufilm “Habemus Mister”

Tiziano Russo

Tiziano Russo

Tiziano Russo è un regista e videomaker salentino. Nonostante la sua giovane età, Tiziano è riuscito ad individuare una propria originalissima cifra stilistica fin dagli inizi del suo percorso artistico e, forte, di un innato istinto creativo, si è lanciato, con successo, nel mondo musicale e cinematografico. In molti lo conoscono soprattutto per i videoclip che ha realizzato per i Negramaro ma Tiziano Russo vanta un curriculum ancora più ricco di quanto si immagini: Mina, il cantautore Marco Sbarbati e Le Strisce si aggiungono, infatti, ai grandi nomi con cui il regista ha collaborato. In occasione della presentazione di “Habemus Mister”, l’opera prima realizzata da Tiziano Russo, insieme alla sceneggiatrice Ilaria Macchia, abbiamo intervistato il regista per conoscere ed approfondire il suo mondo fatto di immagini.

Come ti sei avvicinato all’attività di regista e video maker e quali sono, secondo te, i requisiti imprescindibili per capire come interfacciarsi con questo tipo di professione?

Ho studiato cinema a Roma 10 anni fa, realizzando un approfondimento teorico di quello all’epoca stavo realizzando. A quei tempi non avevo materiali o strumenti per cominciare a realizzare le mie piccole cose e quindi mi sono affidato alla webcam. Diciamo che il mio inizio è stato interattivo o comunque virtuale, mi sono subito interfacciato con youtube e i vari social network cercando di diffondere, attraverso quel mondo, le mie piccole idee che, essendo realizzate con webcam, erano di una qualità piuttosto bassa. In seguito ho iniziato a girare direttamente dei videoclip, cosa che in quel periodo era forse un po’ più facile da realizzare. Col tempo la passione si è trasformata in un lavoro. Mi veniva talmente facile realizzare un videoclip, anche in mezza giornata, che riuscivo a farlo costantemente e poi da lì sono arrivati i vari contatti nel mondo della musica riuscendo ad arrivare anche ai più grandi.

Per quanto riguarda il discorso legato alla professione, io credo che questo mestiere con la telecamera a volte abbia molto a che fare e a volte praticamente per niente. Si tratta di una cosa assolutamente soggettiva, che dipende dal regista. Io sono di quelli che a volte ama stare in macchina, altre volte invece seguo il monitor, giusto per capire come vanno le cose. Quello che è imprescindibile, secondo me, è l’istinto del gusto, qualcosa di inspiegabile. Ci sono dei momenti, quando scegli quello che ti piace, in cui si capisce subito se sei parte di questo mondo oppure no. L’istinto è qualcosa di cui non ti rendi neanche conto, non stai lì a pensare cosa è giusto e cosa non lo è.

“Habemus mister” è la tua opera prima che ha visto anche la collaborazione della sceneggiatrice Ilaria Macchia. Com’è nato questo docufilm e la relativa sceneggiatura?

Nel giorno stesso delle dimissioni del Papa Benedetto XVI ho avuto l’idea di riprendere tutto quello che accadeva in piazza. Durante le interviste che realizzavo la domanda era sempre la stessa: “Cosa sta succedendo?”. Se gli interlocutori erano al corrente degli eventi, si lasciavano andare anche in monologhi di 20 minuti. Andavo tutti i giorni a riprendere, pensavo fosse bello documentare le dimissioni del Papa e le reazioni della piazza, poi pian piano mi sono accorto che non avevo a che fare semplicemente con dei fedeli bensì mi trovavo di fronte a dei veri e propri tifosi del papa. Quindi sono andato da Ilaria, la sceneggiatrice, e le ho detto di non essere interessato alla realizzazione di un documentario sul Papa. Alla luce della mia deduzione, anche lei, riguardando il materiale raccolto, ha avuto la mia stessa sensazione e abbiamo pensato di legare la storia del papa ad una vicenda che rappresentasse il mondo sportivo. Da lì è nato tutto, abbiamo trovato il mister, con cui mi allenavo in una piccola squadra di calcetto, l’unico contatto sportivo che avevo. Quest’allenatore non vedeva l’ora di mollare la squadra, quindi ho subito trovato una situazione che in qualche modo potesse riallacciarsi a quella del Papa ed è venuto fuori il documentario. Questo lavoro sta ricevendo degli ottimi riscontri, l’abbiamo presentato in anteprima nazionale al Bif&st, Bari International film festival, tra i più importanti d’Italia, ed è stata una bella soddisfazione. Naturalmente parteciperemo anche ad altri Festival con altre proiezioni, ci stiamo muovendo per ottenere i migliori risultati possibili.

Nonostante la tua giovane età, hai tante collaborazioni importanti all’attivo… Tra i tuoi lavori più noti, ci sono i videoclip che hai realizzato per i Negramaro. Qual è stato il video con cui li hai conquistati all’inizio del vostro percorso insieme?

Io e Giuliano siamo dello stesso paese, con Andrea eravamo addirittura vicini di casa solo che tra di noi c’è una differenza di età di circa 7-8 anni e all’epoca non ci conoscevamo. Quando iniziai a fare le mie prime cose con la webcam, realizzai un video, ancora disponibile su Youtube, intitolato “Indice tenace”. Quando ho fatto questo video, ci ho messo sopra “Notturno”, un brano tratto dal primo album dei Negramaro. Qui ritorna il discorso legato all’istinto: in quel brano c’era l’atmosfera perfetta per quello che intendevo comunicare. Non so esattamente come sia arrivato nelle mani di Giuliano e di tutti i ragazzi, comunque l’hanno visto e quando poi ci siamo incontrati, per caso, in un pub a Covertino, Giuliano mi ha visto e mi ha chiesto se ero io il tipo che aveva realizzato quel video pazzo in stop motion con il brano “Notturno” e da lì è iniziato tutto. Da un giorno all’altro mi hanno chiesto di seguirli con loro in tour per documentare tutto quello che accadeva, ho lasciato il set di un film a cui stavo lavorando da due mesi e sono partito con loro. Da lì è nata un’amicizia fortissima, siamo praticamente fratelli.

Tiziano Russo

Tiziano Russo

In una recente intervista hai raccontato che, tra i video che hai girato per la band salentina, sei più legato a “Sei”. Ci racconti perché e quali sono le suggestioni interpretative che intendevate trasmettere attraverso il video?

Ogni video ha una sua gestazione, è frutto di un  pensiero che può durare anche mesi e con i Negramaro succede spesso di parlare tantissimo prima di arrivare alla fase di realizzazione del video. Per quanto riguarda “Sei”, loro volevano moltiplicarsi, cioè volevano che questo sei diventasse un multiplo di sei, un numero che fosse in grado di rappresentarli sempre, per cui ho pensato che la cosa più giusta fosse ricreare una stanza di specchi. Quello che si evince dal video è il fatto che sono sempre loro sei ma si ritrovano, si rivedono, si rispecchiano, tutto si moltiplica. Quando poi ho scritto l’idea e l’ho proposta alla produzione, per curare tutto l’esecutivo, avevamo la necessità di ambientare il video in una location del tutto fiabesca, un po’ fuori dalla realtà, qualcosa di non facile da trovare e che potesse ospitare grandi strutture, l’abbiamo trovata nei pressi di Otranto a Le Orte. Tengo molto a quel video perché dietro c’è un lavoro impressionante.

Cosa significa per te realizzare un “ritratto di note”, ovvero fissare i suoni in immagini?

Nei videoclip, ma anche nei film, c’è sempre un suono; ci sono dialoghi che hanno un suono e poi ci sono dei silenzi. Quando giro un video spesso agiamo in assenza di musica, come è accaduto, ad esempio, nel caso di “Se” di Marco Sbarbati. Ho lasciato a tutti molta libertà di fare, gesticolare, e mentre riprendevo, mi accorgevo delle sonorità dei gesti. Quello era il tipo di musica che doveva accompagnare quelle immagini. In sintesi, durante le riprese quello che è importante non è la musicalità ma il suono, ogni tipo di azione mi dà un suono e, quel tipo di suono, può essere legato a determinate musiche.

Alla luce di quanto ci hai spiegato, qual è la cifra stilistica che hai seguito per la realizzazione del videoclip di “Se”?

Si tratta di un video molto intimo. Il brano è molto delicato, parla di attimi, di momenti, di cose che possono essere cambiate dal nulla e volevo focalizzarmi su attimi che possono verificarsi anche nei più piccoli movimenti che non ricordiamo e non sappiamo nemmeno di compiere. Altri elementi di cui non riesco a fare a meno sono le mani. Nel video ci sono, infatti, molte mani, siamo un popolo che vive di gesti, io sono un po’ ossessionato dalle mani e dalla nudità dei corpi e quello è un video che fa attenzione al gesto.

Puoi anticiparci qualche collaborazione di cui vedremo a breve i frutti?

Sì, ho girato un video per Le Strisce che uscirà in questo mese.  Davide Petrella, tra l’altro, ha scritto delle cose molto belle anche per “Logico”, il nuovo album di Cesare Cremonini.

Hai dei progetti paralleli in corso?

Ci sono ovviamente anche delle altre cose che usciranno durante la seconda metà di quest’anno che sto ancora pensando e scrivendo. Adesso sono in una fase di scrittura documentaristica. Per i videoclip si tratta, invece, di cose che cambiano di giorno in giorno.

Quali sono, secondo te, le prospettive future del settore audiovisivo?

Questo è un settore in continua evoluzione. Anche se si parla di crisi, in particolar modo nel mondo del cinema, ci sono tantissime sit com, serie tv, reality che, in ogni caso, stanno determinando un cambiamento del linguaggio in uso. Io faccio parte della categoria degli ottimisti, penso che questo sia un periodo di passaggio, di transito,  c’è molto fermento e voglia di fare, non solo da parte dei giovani. Per quanto riguarda il pubblico, invece, la direzione è un po’ negativa, perché il cinema non è più quello di una volta, relativamente ai numeri, Internet ha cambiato il modo di vedere le cose, l’audiovisivo dovrà adeguarsi a questi cambiamenti. Forse in futuro non avremo più film da 600 sale ma film da 100 sale. A me dispiace dirlo perché trovo che il cinema sia completamente un’altra cosa; quando ho visto il mio documentario in sala, durante l’anteprima, mi veniva da piangere per l’emozione però l’uomo ormai tende a stare più a casa che in giro. Forse dobbiamo accettare o abituarci all’idea di un cinema a portata di clic.

Raffaella Sbrescia

Si ringrazia Tiziano Russo per la disponibilità

Pausilypon, tutto sulla VI edizione di “Suggestioni all’Imbrunire”

Suggestioni all’imbrunire

Giunge alla VI edizione “Pausilypon Suggestioni all’imbrunire” la rassegna artistica ideata e curata dal Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus con la collaborazione della Soprintendenza Archeologica di Napoli ed il Patrocinio di Regione Campania e Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli. Una vera e propria opera di mecenatismo ambientata in una location unica nel mondo quale è il Parco Archeologico del Pausilypon, finalizzata all’incontro tra archeologia, natura, musica e teatro. «Nell’anno del bimillenario dalla morte di Augusto, spiega il responsabile della Soprintendenza del Pausylipon G. Vecchio, “Suggestioni all’Imbrunire” si arricchisce di un nuovo e più profondo significato, diventando rassegna stabile all’interno di un contesto incantato».

Ad introdurre il nuovo cartellone, in una dettagliata conferenza stampa tenutasi questa mattina presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, M. Simeone ha ripercorso i progressi e le numerose iniziative che hanno portato al pieno recupero di un’ area ambientale ed archeologica di assoluta importanza: «Nell’arco di 10 anni abbiamo impiegato risorse, competenze ed energie per ridare lustro a questo importante sito archeologico. Ora, grazie alla direzione artistica di Stefano Scognamiglio e Francesco Capriello, il centro studi Pausilypon diventa ancora più interdisciplinare. Naturalmente, anche per questa edizione, rimane invariata la scelta di “non invasività” del luogo, non ci saranno allestimenti scenici, elettronici ed infrastrutturali che potranno in qualunque modo alterare il fascino naturale del sito archeologico. Gli artisti che hanno accettato questa nostra scelta, si esibiranno sfruttando le già perfette condizioni di luce e di acustica del sito, nel totale rispetto di uno dei luoghi più belli del nostro pianeta. Questo per dimostrare che la rassegna si adatta al sito e non il contrario! Un doveroso ringraziamento, aggiunge Simeone, va al nostro main sponsor Cupiello che, in funzione dell’amore per l’arte, ci consente di reinvestire i proventi della rassegna in progetti di ricerca, recupero e valorizzazione del sito. Il progetto in corso riguarda il “CALIDARIUM” del Pausylipon, scoperto nel 1913 da R.T Gunther e mira alla restituzione del sito alla cittadinanza».

Presente alla conferenza anche Stefano Scognamiglio, direttore artistico della sezione teatrale della rassegna: «Il progetto parte dal territorio e costituisce una lente di ingrandimento su una realtà che non è figlia di alcuna parte politica e che, anzi, è il frutto di sacrifici di persone che intendono mettersi al servizio della città. Dopo cinque edizioni, questa rassegna sta cominciando ad attirare pubblico e, francamente, credo ci siano tutti i presupposti affinchè essa possa diventare un evento di rilevanza internazionale. Vorrei inoltre sottolineare che la nostra realtà è aperta ad altre istituzioni sul territorio, dal prossimo anno lavoreremo in sinergia con il Palazzo delle Arti di Napoli perché crediamo che i vasi comunicanti, specialmente nel nostro ambito, possano creare grandi cose.  Tornando, invece, a “Suggestioni all’imbrunire”, crediamo che lavorare per sottrazione, nell’allestimento scenico degli eventi in programma, ci possa far ottenere un risultato migliore. Ricordo, infine, che ogni appuntamento sarà preceduto da una visita guidata al sito che accompagnerà gli ospiti in un crescendo di suggestioni, dall’imponente Grotta di Seiano fino all’incontro con gli artisti presso l’area dei teatri. Alla fine di ogni spettacolo sarà offerto un piccolo rinfresco di qualità ed una degustazione di vini delle eccellenze enologiche campane».

Suggestioni all'imbrunire

Suggestioni all’imbrunire

A seguire l’intervento di Francesco Capriello, responsabile della sezione musicale della rassegna: « Ad inaugurare il cartellone sarà il pianista Ivano Leva con un piano solo, arricchito da improvvisazioni su svariate tematiche. Il 17 maggio sarà la volta dell’ensemble acustico La Mescla, che ci porterà al centro di un viaggio mediterraneo, tema che ricorrerà anche nella perfomance di Alana Sinkëy in “Minha Terra”. Altri spunti interessanti saranno offerti dall’Orchestra acustica del Pausylipon Afrocubatà: musicisti di età compresa tra i 18 ed i 37 anni ci coinvolgeranno in una sfida compositiva e strumentale molto interessante».

A promuovere la rassegna, che avrà luogo da 10 maggio al 15 giugno, sarà il marchio Cupiello, la cultura del gusto”, rappresentato in conferenza stampa dal dottor Alfio Schiatti: «Questa iniziativa rispecchia i valori su cui lavora, da anni, la famiglia Simeoli: cultura, sostenibilità, concretezza e visione internazionale».

Sulla stessa linea d’onda Emilio Scano per l’Associazione Ager Campanus che curerà, quest’anno, la selezione delle cantine: «Abbiamo accettato di buon grado la proposta artistica e culturale che ci è stata offerta e, a modo nostro, abbiamo agito nel rispetto dello spirito con cui la rassegna è stata ideata. Ogni spettacolo vedrà la partecipazione di una cantina del territorio campano con delle degustazioni pensate ad hoc».

Ivano Leva

Ivano Leva

 L’intervista a Ivano Leva:

 Protagonista della serata di apertura il prossimo 10 maggio sarà il pianista Ivano Leva in “Piano Solo”, un’esibizione in cui il musicista attingerà alla sua grande esperienza ed inventiva presentando una performance totalmente improvvisata. Abbiamo chiesto maggiori dettagli all’artista, presente in conferenza stampa.

Che tipo di live proporrà il prossimo 10 maggio?

Pur provenendo da una formazione classica, contestualmente, mi dedico anche alla forma espressiva propria dell’improvvisazione, si tratta di qualcosa che mi ricongiunge  alla mia indole. Sento, infatti, che l’improvvisazione faccia parte di tutta la mia storia. Fin da bambino, quando mi regalavano i giocattoli la prima cosa che facevo era smontarli e rimontarli a mio piacimento. Per quanto riguarda il concerto farò delle improvvisazioni sfruttando dei materiali tematici già noti, non per un discorso di facile presa, ma solo come pretesto per attuare il giro di colori che prediligo. Tra le varie personalità multiple che convivono nella mia persona, ce n’è una dedita alla scrittura, un’altra dedita all’improvvisazione. Non si tratta di una prima, anzi, ho tenuto uno spettacolo simile qualche mese e fa parte di progetto che porto avanti per mostrare la mia quotidianità, in sintesi, il messaggio è: Vi apro le porte della mia stanza, accomodatevi ed ascoltate”.

Ci sono dei progetti paralleli in corso?

Certo, mi sto dedicando a progetti jazzistici e non. Tra le altre cose mi sto occupando di un progetto che fa capo al batterista Leonardo De Lorenzo, senza tralasciare la partecipazione a svariati Festival e allo spettacolo teatrale di Enzo De Caro, improntato sulla biografia di Chet Baker, intitolato “Chet c’è”. Di recente ho collaborato anche con Antonio Onorato in un altro progetto dal vivo.

 Per quanto riguarda l’aspetto compositivo, è in fase di scrittura?

Naturalmente ho dei dischi miei, comprensivi di brani originali composti da me e ne sto maturando altri. Visto che non ho ne necessità commerciali ne una produzione alle spalle che mi obbliga ad avere tempi di realizzazione per vendere, mi prendo delle pause tra un disco e l’alto, anche pluriennali. Il tutto mi serve per raccontare delle cose piuttosto che altre…quello che sto scrivendo adesso è un disco  per orchestra e pianoforte e non credo che lo realizzerò prima della seconda metà di quest’anno se non per l’anno prossimo.

Prevendite: www.etes.it

Ingresso con visita guidata dalle 17,30 alle 18,20 – ingresso solo spettacoli dalle 18.20 alle 18,40, (contributo 15,00 euro).

Info 0812403235 info@gaiola.org www.gaiola.org - www.suggestioniallimbrunire.org

Raffaella Sbrescia

Video: “Pausilypon Suggestioni all’imbrunire”

Intervista al flautista Pino Porsia: “La mia nuova avventura con i Joy’s Celtic Connection”

Pino Porsia

Pino Porsia

I Joy’s Celtic Connection radunano in un unico gruppo tre musicisti di lunga esperienza musicale in un inedito progetto folk, ispirato alla tradizione celtica: Pino Porsia (voce, flauti e ukulele), Rosario Le Piane (chitarra e percussioni) e Antonio Tuzza (basso e voce) torneranno ad esibirsi, al Joy’s Pub (C.so Sonnino 118/D – Bari – ore 21.45) per il “St. Patrick Day Revival”. Per l’occasione abbiamo raggiunto Pino Porsia al telefono per lasciarci conquistare dalla sua sconfinata passione per la musica irlandese e per il flauto, uno degli strumenti più affascinanti della storia.

Pino, il tuo percorso musicale è iniziato quando eri soltanto un adolescente… qual è stato il motore che ha innescato in te la passione per la musica antica e per quella celtica in particolare?

Ho iniziato suonando e ascoltandoaltra musica poi, ad un certo punto, sono stato in viaggio in Irlanda e da lì mi sono innamorato della cultura e della musica di quella terra. Da lì è iniziato un percorso che mi ha portato a scoprire altre la musica antica, quella medievale e quella rinascimentale, anche se la mia grande passione rimane la musica celtica e quella irlandese in particolare.

Cosa significa per te suonare il flauto? Qual è la storia che accompagna questo tipo di strumento e quali tipologie di flauto suoni?

Questo strumento è generalmente associato a feste pagane. Il flauto è uno degli strumenti più antichi che l’umanità conosca. Il primo strumento musicale mai rinvenuto dagli archeologi è stato proprio un flauto, sin dagli albori dell’umanità si cercava di far musica suonando dentro tubi di ossa, pezzi di canne di bambù o di legno, già questo è un fatto di per sé affascinante, inoltre questo strumento ha avuto una storia molto interessante perché ogni epoca ha prodotto flauti differenti. Il flauto è, dunque, uno strumento che si adatta sia ai tempi che ai posti in cui viene suonato e questa è una cosa davvero affascinante. Io suono prevalentemente flauti di origine irlandese, i thin whistle in latta. Oggi esistono anche flauti in plastica tipologie di strumento più evolute, più intonate, che rispondono meglio al suono. Poi suono i flauti traversi irlandesi, in legno e a volte suono anche il flauto traverso moderno, un po’ meno espressivo per questo tipo di musica, però alle volte può essere utile.

Hai mai preso parte alle leggendarie sessions di musica irlandese nei pub locali?

Sì certo! Ho fatto vari viaggi in Irlanda proprio per per partecipare alle sessions dei pub. Questo tipo di evento non è rappresenta solo un momento di gioia musicale ma anche, e soprattutto, una preziosa occasione di studio. Vado lì per conoscere nuovi brani, nuovi musicisti, ho avuto anche la fortuna di poter suonare con Matt Molloy in una di queste sessions. Matt è il più grande flautista irlandese, fondatore dei The Chieftains, uno dei gruppi folk più famosi, e io ho avuto l’onore di suonare anche con lui ed è una cosa molto bella.

E i Festival?

Naturalmente ho partecipato a tantissimi festival! Sono talmente tanti che diventa difficile anche citarne solo qualcuno… Tieni conto che durante il periodo con i Folkabbestia abbiamo girato l’Europa intera, i Festival di musical folk li abbiamo girati quasi tutti. Quelli erano anni in cui non si stava fermi nemmeno per un giorno!

Per un po’ di anni hai fatto parte del gruppo del Folkabbestia. Quali ricordi conservi di quel periodo?

Certamente conservo dei bellissimi ricordi. L’esperienza con i Folkabbestia non è nata tanto come esperienza musicale quanto come esperienza umana. Eravamo e siamo ancora molto amici, un vero gruppo formato da amici a cui piaceva anche suonare insieme. Abbiamo condiviso tanta strada e tanta musica, ho suonato con loro per tantissimo tempo fino a quando poi le strade si sono naturalmente divise per esigenze diverse. Spesso, però, amiamo continuare a suonare insieme, ogni tanto mi chiamano a suonare e siamo sempre in contatto sia umanamente che musicalmente.

Joy's celtic connection_Locandina (2)Che tipo di repertorio affronti con i Joy’s Celtic Connection?

In realtà questo progetto è nato per gioco. Abbiamo deciso nell’ambito del Joy’s Pub, il locale che ci ospiterà anche stasera (2 maggio), di provare a suonare insieme e devo dire che sta funzionando bene. Insieme a Rosario Le Piane (chitarra e percussioni) e ad Antonio Tuzza (basso e voce) abbiamo iniziato a suonare per fare un concerto il giorno di San Patrizio lì nel pub. In quell’occasione ci siamo divertiti così tanto che abbiamo pensato di continuare e di non lasciare che si trattasse di un episodio isolato. In seguito siamo stati invitati a suonare alle Giornate Federiciane ad Altamura, lo scorso 26 aprile, ed è stato un bellissimo concerto con tante persone che si sono divertite con noi. Tutti questi avvenimenti ci hanno incoraggiato ad andare avanti, il repertorio abbraccia la tradizione irlandese e scozzese: musica da danza, allegra e divertente anche se suonata in maniera non propriamente tradizionale. Tenendo conto del fatto che l’ ”irlandofilo” della situazione sono io, ci sono spunti di apertura ad altri generi musicali perché Antonio e Rosario non hanno mai suonato musica folk per cui in quello che stiamo facendo si fondono un po’ le esperienze di tutti noi.

Ci saranno dei vostri brani inediti in futuro?

Per ora direi che si tratta di un discorso prematuro, ci stiamo concentrando molto nel cercare un linguaggio comune per avvicinare i nostri tre linguaggi musicali però non è escluso che prima o poi inizieremo a lavorare su dei brani originali.

 Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Pino Porsia e Roberta Ruggiero per la disponibilità

Intervista ai The Burlesque: Vi raccontiamo il nostro album “Cheap and Kool”

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The Burlesque

Fabio Atteo (voce e chitarra), Dario Menna (basso e cori) e Ceppe Pasciano (batteria e synth) sono i The Burlesque. Il trio partenopeo ha pubblicato lo scorso 25 febbraio “Cheap and Kool”, un album indie rock  che trae ispirazione da Vampire Weekend, Strokes o Cribs  e che, attraverso dieci brani, riesce a trasmettere l’essenza flessibile, frizzante e friabile del suono proposto da questi giovani musicisti che non amano prendersi troppo sul serio. A raccontarci la storia e l’entità del gruppo è Fabio Atteo cantante e chitarrista dei The Burlesque.

Come nascono i The Burlesque e quali sono i presupposti su cui si basa la vostra musica?

La formazione nuova del progetto dura da un anno. Prima della fase, uscì un Ep, sempre sotto il nome The Burlesque, in cui figuravo io, assieme ad altri elementi, ci fu un tour, poi incorsero dei problemi, che hanno portato fino quasi allo scioglimento del gruppo, finchè ho trovato dei nuovi elementi con cui ho iniziato a scrivere, suonare, registrare e promuovere “Cheap and Kool”, il nostro nuovo album. Vista la storia un po’ travagliata, io miro a dire che il progetto ha un anno di vita semplicemente perché i pezzi, tutti nuovi, hanno un anno, magari è anche un gesto affettivo verso ciò che stiamo facendo, ciò non toglie che non si rinnega nulla di quello che è stato fatto in precedenza.

La stampa di settore ha inquadrato il vostro genere come indie A-PUNK, entriamo nei dettagli… ci spieghi quali sono i temi, le influenze e gli obiettivi del vostro fare musica?

Probabilmente è stata vista una vicinanza ai Vampire Weekend, una band che a noi piace molto, tra l’altro. Noi abbiamo un modo di vivere la musica in maniera A-Punk, nel senso che facciamo un rock’n’ roll roll privo delle varie distorsioni usuali. La nostra attitudine punk, si dota, dunque, di una A privativa e questo si sposa bene molto bene con il nostro tipo di melodia. Più in generale l’apparato sonoro che utilizziamo è finalizzato a rendere il suono più vario e più divertente possibile prima per noi e poi per gli ascoltatori.

cheap and koolCheap and Kool” è il titolo del vostro ultimo disco… cosa racchiude questo album e qual è il senso del titolo?

Il disco rappresenta il racconto del mondo che ci circonda, i testi li ho scritti io con la volontà di raccontate il fatto che è sempre più facile riuscire ad essere “cool” ad un prezzo ormai basso. Il discorso però è un po’ più complesso di come appare, quello di cui intendiamo parlare è il valore reale di ciò che ci circonda. Un mondo “Cheap and Kool” in cui spesso riusciamo a fare qualsiasi cosa senza capire il reale valore delle cose.

A cosa è dovuta la scelta della inquadratura bassa nel video del singolo “Young love”?

Questo video fa parte di una trilogia composta da “Young love”, per l’appunto, “Think about” ed il nuovo singolo “About an H”. Si tratta del racconto di una storia in maniera verticale ma la chiave interpretativa del video risiede nell’idea di una stessa storia raccontata attraverso tre diverse inquadrature. Dopo diverse ricerche, svolte in maniera anche un po’ goliardica, ci siamo resi conto che si tratta del primo caso al mondo in cui si verifica questo tipo di racconto audiovisivo. Per noi è stata un’esperienza molto divertente che, tra l’altro, si sposa molto bene con il concetto di “Cheap and Kool”, anche perché il tutto è costato 500 euro (ndr).

the burlesque 2 (2)Il prossimo 2 maggio sarete all’Arenile Reload di Napoli nell’ambito del Comicon (Salone Internazionale del Fumetto). Ci raccontate che tipo di live è il vostro?

Saremo insieme agli the Shak&Speares e saremo sicuramente in famiglia! Abbiamo suonato innumerevoli volte insieme, abbiamo fatto incursioni durante i loro live… Dopo di noi ci sarà anche il dj set di Davide Boosta Dileo, una super serata!

Noi siamo in tre e siamo poco ingombranti, quello che ingombra sono gli strumenti che ci portiamo dietro durante i live. Ci approcciamo in maniera molto diretta al pubblico, anche se ci sono tante sfumature di suono da riprodurre. Inoltre come nell’album, anche dal vivo ci sono due pezzi in cui il bassista va alla batteria, il bassista suona la tastiera e io qualche volta suono, questa cosa diverte sia noi che il pubblico. L’attitudine del nostro suono è molto ballabile ed è questo che ci diverte più di tutto. Il nostro live in genere dura parecchio, non è raro trovare pezzi nuovi all’interno della scaletta, abbiamo un ep precedente che per noi racchiude vere e proprie chicche ma non abbiamo una scaletta fissa. Dario e Ceppe mi assecondano spesso nelle mie follie, magari si sbaglia qualcosina ma ci divertiamo e l’errore durante il live secondo me è consentito, il pubblico non è così diverso da noi, siamo tutti esseri umani. Per il resto stiamo riarrangiando dei pezzi in chiave acustica buttandoci dell’elettronica all’interno; questo per creare l’atmosfera ideale per degli showcase che presenteremo dando una nuova veste ai pezzi dell’album. Vorremo trascorrere un mese suonando in posti un po’ più piccolini dove poter fare questa cosa, al momento è ancora tutto in via di sviluppo ma abbiamo davvero tanta voglia di concretizzare questo tipo di situazione.

 Raffaella Sbrescia

Video: “About An H.”

 

Si ringraziano i The Burlesque e Giulio Di Donna per la disponibilità

 

L’intervista a Mario Restagno, direttore artistico dell’Accademia dello Spettacolo di Torino

sfa_2013_0196_bMario Restagno, Direttore Artistico dell’Accademia dello Spettacolo di Torino e regista del musical “Excalibur– La Spada nella Roccia”, apre le porte dell’Accademia e della Scuola di formazione dell’attore. Un progetto, quest’ultimo, ideato dall’Accademia dello Spettacolo per promuovere attivamente il valore della formazione artistica e scommettere sulle capacità dei giovani. In occasione degli open days, che si terranno in tre giornate, dal 25 al 27 aprile, Mario Restagno ci ha parlato delle possibilità offerte da questa importante scuola con un ampio approfondimento del programma multidisciplinare e del percorso didattico offerto, attraverso lo studio delle tre arti sceniche: canto, danza e recitazione.

Quando nasce e quali sono gli obiettivi principali dell’Accademia dello Spettacolo di Torino?

Alla fine degli anni 80 in Italia si cominciò a parlare di musical. Subito si evidenziò un problema: non c’erano attori in grado di esprimersi nelle tre arti. Cominciai a studiare un percorso per formare una nuova  generazione di artisti.

Quali sono le linee guida del percorso formativo offerto?

Gli anni dedicati allo studio della didattica e dei metodi formativi mi hanno portato alla creazione di un modello che si ispira alle scuole anglosassoni (ArtsEd di Londra su tutti), ma conserva anche una sua peculiarità.
Innanzitutto l’impostazione di livello universitario è una caratteristica peculiare della SFA che si traduce in un’attenzione agli aspetti culturali, spesso trascurati nelle scuole private di arti sceniche in Italia: su un piano di studi di 1000 ore annue, oltre 200 sono dedicate alle materie culturali come Storia del Teatro, Psicologia, Anatomia. In secondo luogo, il programma in tre anni consente all’allievo un’esperienza a grande raggio nel settore delle arti sceniche: teatro di prosa, cinema, musical, teatro danza, teatro di strada, teatro sperimentale..

Ci parla degli ultimi progetti realizzati e i riscontri ottenuti?

L’attenzione al mondo della scuola ha sempre ispirato il lavoro di Accademia dello Spettacolo. Da alcuni anni creiamo opere teatrali che produciamo in dvd e distribuiamo gratuitamente in tutte le scuole italiane: nel 2013 è stata la volta di “Scrooge, Canto di Natale” (oltre 30.000 copie diffuse). Sono spettacoli che gli insegnanti possono realizzare localmente con le classi di allievi: la nostra associazione fornisce le basi musicali e tutto il supporto didattico perché nelle scuole italiane si faccia teatro a partire dalle elementari. I riscontri a questo impegno sono per esempio gli oltre 250 istituti che solo nel 2013 hanno messo in scena un nostro lavoro. É qualcosa che succede su tutto il territorio nazionale in silenzio, senza tanta pubblicità, come una foresta che cresce, ma succede. Sull’esempio di quanto si fa in Australia noi crediamo che educare i bambini e i giovani a fare teatro è l’unica via per avere in futuro artisti e pubblico più qualificati.

sfa_2013_053_bLa Scuola di Formazione dell’Attore è un progetto no profit ideato proprio dall’Accademia dello Spettacolo… quali sono le attività svolte durante il triennio e quali garanzie offre questo percorso ai giovani allievi che decidono di iscriversi?

É no profit perché le rette non coprono i costi di gestione della scuola. La SFA ha fatto una scelta importante di qualità sull’esempio di quanto viene fatto a Londra in istituti come l’ArtsEd. La qualità ha un costo: significa concretamente non avere classi troppo numerose per poter seguire bene ogni singolo allievo, avere spazi adeguati, a norma e dedicati esclusivamente alla scuola, rispettare un codice etico che abbiamo pubblicato sul nostro sito. Una scuola così impostata costa oltre 10.000 euro all’anno (la retta dell’ArtsEd  è di 14.000 sterline). Accademia dello spettacolo, per ogni allievo avvia un “programma di sostegno economico” che va a coprire oltre il 60% dei costi.

Quali macro aree comprende il piano didattico?

Il piano didattico della SFA è diviso in 5 aree:

  • culturale (Storia del Teatro, Storia del Musical, Storia della Musica, Psicologia, Anatomia…)
  • espressiva (Dizione e Fonetica, Recitazione Teatrale, Recitazione Cinematografica, Improvvisazione,…)
  • musicale (Solfeggio, Tecnica Vocale, Canto Corale, Canto Moderno, Interpretazione Musical)
  • coreutica (Danza Classica, Jazz, Contemporanea e Tip Tap)
  • integrativa (Arti Marziali, Balli da Sala, Combattimento Scenico,…)

E per quanto riguarda  il programma?

Ogni anno la direzione attiva corsi complementari e stage che completano un programma già intenso. La SFA offre elevate garanzie sul programma: per esempio le lezioni sono garantite (materie, numero di ore, docenti), neppure le scuole di Stato arrivano a tanto. Questo consente di assicurare la continuità nello studio. La scuola non può garantire sulle capacità e sulle motivazioni di un candidato: la scuola mette tutto lo staff al servizio dell’allievo, ma spetta a quest’ultimo fidarsi, applicare con rigore i metodi, studiare. Noi amiamo citare una scena del film Karate Kid: “Passa la cera, togli la cera… passa la cera, togli la cera…”. La proposta SFA si ispira a valori che forse non sono tanto di moda: chi cerca scorciatoie o pensa già di sapere non si troverà bene alla SFA, chi ha pazienza e si fida avrà il meglio per realizzare il proprio progetto.

Diventare famosi? Non siamo in grado di prometterlo. Bravi sì.

Recentemente avete prodotto il Musical “Excalibur – La Spada nella Roccia”. Il protagonista, Jacopo Siccardi, è stato proprio un allievo della scuola… qual è il bilancio di questa produzione?

In realtà il vero protagonista è Merlino interpretato da gipeto, in seconda battuta Morgaine, l’antagonista, poi c’è Ginevra e infine Artù. Excalibur è un’opera con diversi piani di lettura che vuole invitare i giovani a riflettere sul proprio destino e sulle relazioni familiari, un tema tanto caro ai drammaturghi che da sempre hanno scritto di padri, madri e figli. Jacopo Siccardi è un allievo che ha completato con successo il triennio professionale nel 2012 e sta ancora studiando per migliorarsi ulteriormente. Excalibur è stato scritto mentre Jacopo frequentava con i suoi compagni l’ultimo anno dell’Accademia. Un piano di lettura dell’opera è il rapporto Merlino, Artù e Ginevra: non è un caso che nel secondo atto, quando Ginevra viene baciata da uno sconosciuto evocato da Merlino, quest’ultimo dica: “É un’immagine, un esempio… come attori che per finzione si baciano!”. In Excalibur confluiscono riflessioni che sono state oggetto delle lezioni in accademia: per gli esterni è difficile capire, ma per gli allievi della SFA (almeno i più intuitivi) il rapporto tra Merlino e i due giovani è una similitudine del rapporto docente-allievi SFA. In definitiva Artù e Ginevra sono due allievi dell’accademia.

Excalibur è un’opera destinata alle scuole, in linea con quanto Accademia dello Spettacolo fa da quasi 10 anni. In questo caso non ci si è voluti fermare alla realizzazione del dvd da distribuire perché, vedendo la situazione generale di crisi del settore spettacolo, l’associazione ha voluto offrire un segnale positivo ai giovani.
Così è nato il progetto di far diventare Excalibur un spettacolo da inserire nel circuito professionale per dare un’opportunità lavorativa ai giovani esordienti. Il bilancio di questa prima tornata di date è positivo, nonostante tutto.

Quali difficoltà avete incontrato?

La difficoltà maggiore incontrata è la diffidenza rispetto ad un’operazione che non ha seguito il meccanismo dei soliti nomi o del “nome televisivo”: da più parti, continuamente ed ossessivamente, viene richiesto un nome che attragga perché questa la legge del mercato. Il nome garantisce visibilità, protegge da critiche distruttive, tranquillizza i teatri e fa lavorare in serenità i distributori. La filosofia che ispira il nostro modo di lavorare mal si collima a questa impostazione visto che noi amiamo rischiare sul nuovo e sull’inedito… tuttavia qualche compromesso si dovrà fare anche per il bene dei giovani. Vedremo…

sfa_oreste_0234_bDal 25 al 27 aprile ci saranno gli Open Day della Scuola di Formazione dell’attore… a chi si rivolgono queste giornate? Quali sono i requisiti per entrare a far parte dell’organico? Chi sono i docenti? E per quanto riguarda i costi?

Partiamo dai costi. La scuola è molto cara. Gli studenti versano una retta annuale di 4.000 euro, che copre il 40% dei costi: Accademia dello Spettacolo interviene poi con un programma di sostegno economico.
Per questo motivo la scuola è molto severa: detto in breve non basta pagare per andare avanti. Lo studente che non rispetta il Regolamento o il cui rendimento non è all’altezza dell’investimento che viene fatto a suo favore non può proseguire l’iter formativo.

Accademia dello Spettacolo offre l’opportunità di entrare alla SFA a giovani in età compresa tra i 18 e i 24 anni che siano seriamente motivati a diventare attori secondo il metodo globale: cioè studiando tutte le discipline delle arti sceniche, la recitazione, il canto e la danza.

L’open-day è un momento importante per conoscere direttamente la scuola, i docenti e ottenere una valutazione.
Requisiti fondamentali per accedere ala SFA sono sana e robusta costituzione, maggiore età compiuta entro il 31 dicembre 2014, conoscenza della lingua italiana.

Lo staff è composto da oltre 20 docenti: qui possiamo citare il sodalizio con l’ArtsEd che ci consente di avere direttamente da questo istituto londinese docenti che vengono a tenere le lezioni a Torino sia per l’aggiornamento dei docenti sia per la formazione dei nostri studenti.

Per partecipare è necessario compilare il modulo on-line (www.scuoladimusical.org/candidatura-online) allegando una foto a figura intera. La Scuola di Formazione dell’Attore si impegna ad assegnare a ciascun studente che si iscrive al triennio un programma di sostegno economico che copre il 60% della retta annuale (per maggiori info 011/4347273).

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano il Dottor Mario Restagno e Sara Bricchi per Parole e Dintorni per la disponibilità

Intervista a Riky Anelli: “La musica è approfondimento, scoperta e sogno”

Riky Anelli Ph Tania Alineri

Riky Anelli Ph Tania Alineri

Riky Anelli è un cantautore e polistrumentista bergamasco. Da sempre attivo sui palcoscenici italiani ed esteri, l’artista è anche docente all’Accademia Musicale di Treviglio nonchè fervente sostenitore di Amnesty International. “Svuota tutto” è il titolo del singolo con cui Riky Anelli ha vinto al Premio De Andrè 2013 la targa Repubblica.it, assegnata dai lettori del sito. Abbiamo colto l’occasione per porgli alcune domande finalizzate alla scoperta e all’approfondimento del suo mondo fatto di note e parole.

Nella sua biografia si legge che lei è un cantautore e polistrumentista, quali sono esattamente gli strumenti che suona e che tipo di cantautorato è quello che lei propone al pubblico?

Principalmente sono un chitarrista, acustico, elettrico e classico. Suono il basso, il pianoforte, l’ukulele, il banjo e adoro utilizzare l’armonica in diversi pezzi. Il mio è un cantautorato da vecchia scuola, di matrice napoletana, romana e genovese, inserito in una realtà attuale. Spero sia creativo e fresco al punto giusto.

Qual è il suo background culturale, musicale e artistico?

Vengo dal blues. Ho studiato musica e arte, scrivo da che ne ho memoria, poesie e canzoni. De André mi ha cambiato la vita, Dalì me l’ha resa comprensibile, Bennato mi ha dato coraggio, Neruda la voglia di mettermi a nudo, De Gregori ha acceso la mia sensibilità, Man Ray ha schiaffeggiato la mia vergogna iniziale, Dylan…beh Dylan ha fatto tutto il resto. A loro devo molto.

Lo scorso 16 aprile ha pubblicato il singolo intitolato “Svuota tutto”… ci racconta di cosa parla questo brano e come ha realizzato l’arrangiamento così articolato del pezzo?

In auto, sulla strada per arrivare al locale, un continuo alternarsi di cartelloni pubblicitari, svendite totali, “Fuori tutto”, “Svuota tutto”, “Svendo tutto”. Ho pensato subito all’Italia in vendita a poco prezzo, a questa paradossale differenza tra chi ozia su barche super costose e chi non ha lavoro, a questo paese così ricco di meraviglie, di cultura, di storia e al suo degrado moderno, molto spesso (parlo di quello artistico) “taciuto”. Per quanto riguarda l’arrangiamento di “Svuota Tutto” ho creato la sessione ritmica con strumenti che amo definire “rurali”; un barattolo di tabacco, una sedia, un pannello fonoassorbente dello studio, il pavimento stesso, basso, basso tuba. Ho lavorato a loop, nella stessa maniera che uso dal vivo quando suono da solo. Per le melodie un fantastico mellotron, violino e…le mie chitarre. Un mixaggio paziente e ben sperimentato fatto dal mio manager, compagno di viaggio ed amico Francesco Matano che ha usato reverberi vecchissimi e molto asciutti.

Nel videoclip legato al singolo e realizzato a budget zero, compare un Pinocchio cresciuto e “poco onorevole”… come mai questa scelta?

Il Pinocchio collodiano rivisitato da Marco Pedrazzetti nei suoi spettacoli mi ha sempre fatto impazzire, con lui mi sono studiato questa figura, un bugiardino che ti guarda come se il party al quale sei stato invitato sia una prassi ma…la festa è finta e il suo palazzo è un disegno. In fondo siamo abituati agli onorevoli poco onorevoli, non è critica, è un dato di fatto, penso sia evidente ormai per tutti anche per i benpensanti. Budget zero, assolutamente! Invito i giovani musicisti a non lasciarsi prendere dallo sconforto e dalla mancanza di cachet ai concerti. Basta un’idea interessante, credendoci fino in fondo.

Riky Anelli Ph Tania Alineri

Riky Anelli Ph Tania Alineri

Lei è anche partner di Amnesty International, a quali iniziative ha preso parte per rendere concreto il suo appoggio?

Sono partner di Amnesty da un po’, Giorgio Moranda di Amnesty Bergamo è una di quelle persone che credono moltissimo e con entusiasmo in ciò che fanno, con una sensibilità rara e un impegno unico. Ai miei concerti è possibile firmare e sostenere attivamente Amnesty International. Noi lo diciamo sempre, anche una sola firma in più fa molto. La campagna che, in questo periodo sostengo nei miei live, si intitola “Ricordati che devi rispondere”. Si chiede alle istituzioni italiane di adoperarsi per la tutela dei diritti umani sulla base di un’agenda in dieci punti. Contro la violenza sulle donne, trasparenza delle forze di polizia e l’introduzione del reato di tortura, contro la pena di morte, diritti lgbti, diritti dei rom, diritti degli immigrati, condizioni dignitose nelle carceri, controllo sul commercio delle armi, diritti umani nelle aziende multinazionali, creare un’istituzione indipendente per la tutela dei diritti.

Cosa significa per lei essere docente all’Accademia Musicale di Treviglio? Ci racconta com’è insegnare musica al giorno d’oggi?

Essere docente è una grossa responsabilità, soprattutto perché il mio scopo didattico non è solo teorico e tecnico. Per quanto la tecnica e la teoria siano fondamentali, il mio approccio con gli studenti è molto artistico. Credo che la musica sia anche approfondimento, scoperta e sogno. Riuscire a far accendere ad uno studente il lume dello stupore verso una composizione a lui sconosciuta non ha prezzo. Insegnare musica al giorno d’oggi non è molto semplice, ci vuole pazienza e testardaggine. Su internet si impara tutto volendo, i talent ci insegnano che molti ragazzi possono avere i 15 minuti di popolarità già predetti da Warhol. Io credo fermamente nella figura dell’insegnante vecchio stile, quello che il palco lo vive e lo calpesta prima di insegnarlo, che non usa scorciatoie e che ti illustra quali sono i punti meno dolorosi dove “sbattere la testa”. Perché “sbattere la testa” ogni tanto è necessario.

La sua attività concertistica è sempre molto fitta di appuntamenti, che tipo di concerto deve aspettarsi il suo pubblico?

Sicuramente un concerto diverso tutte le volte. Non faccio mai la scaletta, sul palco si respira libertà e c’è un buon profumo. Il concetto di palco pieno con tanti musicisti mi piace e diverte molto, consideri che per dieci anni ho suonato in giro da one man band, quindi da solo, ora ho proprio bisogno di fare ciò che mi piace in buona compagnia. Sono molto pignolo e puntiglioso con i miei musicisti, su tutti gli aspetti del live. E’ necessario perché così facendo riescono a seguirmi in tutte le mie improvvisazioni. Siamo una carovana zigana in continuo movimento. Ogni concerto sembra una festa, in effetti lo è.

Chi sono i The Good Samaritans che l’accompagnano dal vivo?

Sono polistrumentisti e fantasisti come me, detta così sembra una squadra caotica ma al momento giusto tutto va in ordine e si fila via lisci, forse c’è un po’ di magia…o fortuna(ride). Ecco i miei compagni di viaggio: Francesco Matano alla chitarra elettrica, lap steel, cajon;  Matteo Casirati al violino, mandolino, banjo, ukulele e bouzouki; Francesco Puccianti al basso e contrabbasso; Michele Torresani alla batteria e percussioni varie; Francesco Esposito alla fisarmonica, piano e organo. Aggiungerò presto una corista.

Sta lavorando anche a dei nuovi brani?

In verità ho già finito di registrare l’intero album che include “Svuota Tutto” e il prossimo singolo, un disco di dodici tracce che uscirà il prossimo autunno. Sono fortunatamente molto produttivo per quanto riguarda la scrittura, oltre all’ispirazione ho un  mio metodo, mi applico con devozione e pazienza. Sono un osservatore, scruto tutto ciò che mi sta intorno, invento le mie storie e alcune le riporto. Amo la descrizione. Leggo tanto e scrivo tanto ma…rigorosamente quando nessuno se ne accorge, quando nessuno mi vede, di notte, in pausa, di mattina e nei posti più assurdi. E’ una mia formula da sempre e ho bisogno resti tale. Mi piacerebbe poter far uscire un disco all’anno, un sogno. Ho già una trentina di brani da interiorizzare per il disco dell’anno prossimo.

Che progetti ci sono in cantiere?

Sicuramente tanti live, canzoni e spero soddisfazioni.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Riky Anelli e Martina Roncoroni per Parole e dintorni per la disponibilità

Video: “Svuota tutto” 

Intervista ai Fiberglass, un duo retro alternative pop

Hush Cover (2)I Fiberglass sono un duo elecropop con radici ben piantate negli eighties: Liz Martin (Annalisa De Martino,) cantante/polistrumentista/lyricist e Luca Thomas D’Agiout, arrangiatore/compositore specializzato in soundtrack, sono due artisti campani che, insieme, hanno dato alla luce un disco di 9 tracce intitolato “Hush,” un lavoro che riflette la reale entità del loro affollato e caotico background musicale. Abbiamo sentito Annalisa al telefono per capire da quali presupposti è un nato questo invitante mix di alternative rock anni ’90 e moderno synth-pop.

I Fiberglass riuniscono in un unico progetto musicale due entità molto diverse… come avete lavorato all’album “Hush”?

Luca è principalmente un producer ed un arrangiatore bravo a spaziare tra generi molto diversi. Io invece ho militato in diverse formazioni, mi muovo molto in giro, canto, suono la chitarra ed il pianoforte e ultimamente suono in una band più orientata al jazz. Nel nostro album “Hush”, ciascuno ha messo il suo, io ho cantato e ho collaborato anche alla scrittura di alcuni pezzi, soprattutto i testi, mentre Luca, oltre la parte autorale, ha curato tutta la produzione e l’arrangiamento del disco.

Che ci dici dei temi dei testi?

In realtà i testi sono i classici brani da classifica pop europea… ci sono magari dei passaggi più lirici, più poetici, alcuni un po’ onirici, ma più in generale, si tratta di canzoni molto fresche sia per quanto riguarda la musica che i testi.

Liz Martin

Liz Martin

E’ vero che amate definire il vostro genere retro alternative pop?

Sì, questa definizione comprende delle sfaccettature diverse della nostra musica pop (chiarissima sia negli arrangiamenti che nella struttura dei pezzi, nell’armonie e nelle melodie). Tuttavia non si tratta di un pop contemporaneo, ci siamo definiti retro perché ci ispiriamo soprattutto agli anni’ 80 e ’90. Infine siamo alternative perché ci sono delle note alternative in alcuni pezzi… in sintesi siamo un mix di questi tre elementi.

In una recente intervista avete dichiarato “Ascoltiamo, suoniamo, facciamo esperienze e ci rivediamo in studio”… alla luce di questo, cosa avete ascoltato e quali esperienze avete fatto dopo quel fatidico open act del concerto di Tricky durante lo scorso Neapolis Festival?

Noi ascoltiamo musiche di vario tipo, da quando collaboro con Luca mi sono avvicinata di più alla musica orchestrale, alle colonne sonore di film ma, in genere, ascoltiamo anche le hit americane come quelle di Pharrell o cose più alternative… a me in questo periodo piace moltissimo Anna Calvi, la cantautrice inglese. Forse, e non per snobismo, l’unica cosa che ascoltiamo di meno è proprio la musica italiana. Infatti, se qualcuno ascolta la nostra musica si sente subito che essa è di chiara ispirazione esterofila.

Luca Thomas D'Agiout

Luca Thomas D’Agiout

A cosa state lavorando attualmente e quali sono i vostri progetti paralleli?

Luca studia moltissimo da solo e quotidianamente produce musica, a prescindere dal progetto Fiberglass. Il suo mondo abbraccia musiche di ogni tipo spaziando tra moltissimi generi, io invece ogni tanto suono live con un trio molto diverso da Fiberglass, si tratta di un trio jazz e suoniamo principalmente musiche degli anni ’30, il trio si chiama Le jazz hot. Nel nostro repertorio c’è una sorta di schizofrenia, intesa con accezione positiva.

E per quanto riguarda Fiberglass?

Proprio in questo periodo, io e Luca stiamo ultimando un set live che ha richiesto un po’ di tempo per essere organizzato e costruito. Il disco è chiaramente da studio, noi siamo in due ma con l’aiuto della tecnologia abbiamo creato un disco di una band classica, ci sono tutti gli strumenti, tutti suonati da noi ma ovviamente dal vivo la cosa non è fattibile. Abbiamo messo a punto un set acustico con delle drum machines, delle cose un po’ lo fi e penso che a brevissimo comunicheremo qualche data! Per il resto stiamo scrivendo, d’altronde scriviamo sempre perché ci piace e vi sveliamo anche che stiamo lavorando anche ad un secondo disco!

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Annalisa De Martino e Giulio Di Donna per la disponibilità

Video: Baby’s Got

Intervista a Oscar Latino, un batterista innamorato del canto

Oscar Latino Ph Alessandro Trippodi

Oscar Latino Ph Alessandro Trippodi

Oscar Latino è un cantante e batterista palermitano diplomato all’Università della Musica di Roma. Autore di numerose e fortunate sigle di successo per alcuni importanti villaggi turistici, Oscar si affaccia al panorama pop italiano dapprima con l’ep d’esordio, intitolato “L’Angelo” poi la canzone “Non ti basta” e ora con “Il primo giorno di primavera”, un brano scritto da Filippo Marcheggiani (chitarrista del Banco Del Mutuo Soccorso) e prodotto da Mauro Munzi (batterista dei Dhamm).

Lo abbiamo raggiunto al telefono per conoscere più a fondo le fasi che hanno scandito il suo percorso ed approfondire i retroscena della sua musica.

Il tuo incontro con la musica avviene a Palermo, la città in cui sei nato… come ti sei avvicinato alla batteria e quali sono state le fasi successive del tuo cammino?

Mi sono avvicinato alla batteria perché avevo questa passione fin da piccolino inoltre vengo da una famiglia di clarinettisti. Con l’età mi sono dedicato sempre più alla musica fino ad iscrivermi all’Università della Musica di Roma dove mi sono diplomato studiando per sei anni con specializzazione in musica leggera e funk.

Qual è il tuo stile musicale, quando ti sei avvicinato al canto e quali sono i tuoi ascolti?

Mi sono avvicinato al canto perché, come spesso accade per i musicisti, ci si ritrova a fare da coristi al cantante. Nel mio caso la scintilla è nata proprio in questo modo, poi ho continuato ad andare avanti con delle lezioni private e ho coltivato a fondo questa nuova passione. In seguito ho cominciato a scrivere sigle per importanti villaggi turistici e, anche grazie a questa esperienza, ho conosciuto il mio produttore con cui ho arrangiato tantissime sigle e abbiamo avviato un progetto musicale incentrato sul pop. Per quanto riguarda lo stile vorrei avvicinarmi alla linea guida rappresentata da Gianluca Grignani, una via di mezzo tra il cantautorato italiano e dei suoni un po’ più rock.

Che tipo di musica e quali temi ci sono nel tuo ep d’esordio l’ “Angelo”?

I miei primi testi sono assolutamente semplici, diretti, si riferiscono alla vita quotidiana di tutti i giorni in cui spesso i protagonisti sono teenagers. “L’Angelo”, in particolare, è una canzone che è stata scritta per una persona a cui tengo tantissimo. Gli altri testi dell’ep sono basati sulla vita di coppia. Cosa che spesso si presenta anche in altre mie canzoni.

Quali sono le differenze, sia a livello strumentale che contenutistico, tra “Non ti basta” e “Il primo giorno di primavera”?

“Non ti basta” è nata dall’esigenza di esprimere una tipologia di problematica che spesso coinvolge gli artisti: nella vita di coppia ci si ritrova ad affrontare la vita artistica e la vita di tutti i giorni, lo scontro tra esigenze e stili di vita diversi è inevitabile: da un lato c’è il partner con una vita lineare, tra virgolette normale, dall’altro c’è l’artista che prova a districarsi tra prove, concerti, interviste, tour. Come si vede nel video della canzone, il protagonista scappa via proprio per questo motivo ma alla fine non riesce a resistere e torna a casa perché, aldilà dei problemi, alla fine l’amore risolve tutto.

Cover brano Oscar Latino (2)“Il primo giorno di primavera” non è una canzone riferita alla primavera. Il titolo del brano fa riferimento ad una data in cui due persone si conoscono, affrontano dei problemi insieme ma alla fine non riescono mai ad innamorarsi nonostante una forte attrazione reciproca. Abbiamo da poco finito di girare anche il videoclip del brano. La location è il bellissimo borgo di Corinaldo nelle Marche, un posto già famoso in cui si svolge l’Halloween più importante d’Italia. La protagonista del video sarà Francesca Saturnia, una ragazza molto brava, secondo me la persona più giusta, una bellezza acqua e sapone. Le prime riprese del video, girato da Stefano Cesaroni, sono state realizzate al Teatro Goldoni di Corinaldo: la protagonista arriva il 20 marzo in Teatro per assistere al concerto ma non trova biglietti disponibili, il suo beniamino, intanto, assiste alla scena dietro le quinte, e volendole fare un regalo, le fa recapitare un biglietto il giorno successivo, ovvero il 21 marzo. Lei, felicissima, si prepara, entra in teatro e scopre che non c’è nessuno, mentre sta per andare via, l’artista, ovvero me stesso, entra sul palcoscenico e le dedica questa canzone in modo esclusivo. L’idea, molto semplice e diretta, risponde all’obiettivo di voler trasmettere una stretta vicinanza tra me e i fan.

Oscar Latino ph Marco Marroni

Oscar Latino ph Marco Marroni

Come è avvenuto l’incontro con Filippo Marcheggiani del Banco del Mutuo Soccorso e come avete lavorato insieme?

In qualità di batterista ho collaborato con tanti artisti e musicisti che ho incontrato spesso per turni di registrazioni, collaborazioni, concerti. Questa amicizia, in particolare, dura già da due-tre anni e ci siamo trovati a scrivere delle canzoni. Di questa canzone, in particolare, mi piaceva il fatto che in una specifica data tutto nasce e tutto si conclude. “Non ti basta” è, invece, un brano scritto da Alessio Ventura (cantante dei Dhamm).

“Il primo giorno di primavera” anticipa l’album di prossima uscita…cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Di cosa parlerai e cosa vorresti comunicare? Ci saranno testi scritti da te? Collaborazioni?

Scriverò sicuramente un pezzo più lento ma, in linea di massima, la mia strada è quella che ho già tracciato. Stiamo decidendo se rivalutare alcuni brani che ho scritto per un lavoro mai editato e il nuovo disco uscirà tra ottobre e novembre, nel frattempo uscirà un altro singolo a giugno!

 Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Oscar Latino e Sara Bricchi per Parole e dintorni per la disponibilità

Intervista a Manuel Cardella: “Voglio creare qualcosa di nuovo”

Manuel Cardella

Manuel Cardella Ph Agnese DiVico Rubini

Il cantautore romano Manuel Cardella presenta “Rinascerò”. Il singolo è tratto dal disco d’esordio, di imminente pubblicazione, e racchiude la grande voglia di mettersi in gioco da parte del giovane artista che, lavorando a stretto contatto con il team di Cantieri Musicali, ha maturato l’idea di un genere musicale in grado di riunire i tratti tipici della tradizione pop italiana con le sonorità elettroniche tanto in voga oltreoceano. Abbiamo raggiunto Manuel al telefono per scoprire quali sono i contenuti del suo lavoro e cosa c’è alla base delle sue canzoni.

“Rinascerò” è il titolo del tuo nuovo singolo. Dal punto di vista musicale ci colpisce la fusione tra la melodia pop con il dub, la dance ed il funky mentre, per quanto riguarda il significato del brano, il tema centrale pare essere quello di un sentimento impossibile da cancellare…Qual è il tuo commento?

Il testo è scritto da uno dei più grandi autori della musica italiana che è Piero Calabrese il quale, tra l’altro, è uno dei miei produttori e fa parte del mio team di lavoro. Siamo partiti dai miei lavori precedenti, contraddistinti da suoni molto elettronici e vicini alla dance, per arrivare al pop più suonato con degli strumenti live, il tutto per cercare un mio stile personale in grado di differenziarsi dallo scenario musicale attuale. L’idea iniziale del testo è venuta da me è parla di un amore impossibile da cancellare e che segna per sempre l’anima. Il sentimento che contraddistingue il brano è la voglia di rinascere e ripartire da zero, lasciando comunque intatto il ricordo di una persona importante.

I movimenti delle tue mani nel videoclip girato dal regista Daniele Zed Berretta hanno un significato specifico?

Sì! Parlando con il regista mi sono soffermato su ciò che si può creare e ciò che si può distruggere e abbiamo preso come riferimento le mani. Proprio con le mani, nel video, costruisco forme come se tutto fosse possibile da realizzare…l’idea della rinascita è stata resa proprio attraverso la creazione estemporanea di forme con l’obiettivo di trasmettere a tutti la consapevolezza dei propri mezzi e del proprio potenziale.

Manuel Cardella

Manuel Cardella Ph Agnese DiVico Rubini

Quali saranno i temi e i generi presenti nel tuo nuovo lavoro?

Il lavoro che sta per uscire è praticamente il mio primo disco che è registrato al Biplano Studio per l’etichetta Cantieri Musicali. Si tratta di un lavoro che comprende diversi generi musicali, una miscela di diversi stili che va dal pop, all’elettronica, alla dance, al funky, al dubstep, senza, tuttavia, tralasciare pezzi piano e voce più malinconici. A questo aggiungo che vengo da un’esperienza di vita che mi ha un po’ cambiato: circa un anno e mezzo fa sono stato operato al cuore per una malformazione congenita, che avevo dalla nascita, e dopo questa esperienza ho voluto raccontare nel disco quello che ho vissuto. Trattandosi del primo album, avevo voglia di raccontare della mia crescita fino ad oggi. Si parlerà non solo di amore ma anche di rivincita, di rivalsa, di una crescita personale, che c’è stata sia a livello artistico che umano. Ci sarà, dunque, ampio spazio per fatti e pensieri molto più personali e intimi come la voglia di andare avanti e di lottare per quello che si vuole senza avere paura.

Alla luce del fatto che il tuo primo amore musicale è stato il pianoforte, com’è cambiato, nel tempo, il tuo approccio nei riguardi della musica?

Parto dal presupposto che la mia ricerca stilistica dura già da un po’ e ho da sempre l’obiettivo di fare qualcosa che non si sia già sentito in Italia, il mio background si rifà alle sonorità d’oltreoceano tuttavia, in tutti i miei brani c’è la presenza costante del pianoforte che da sempre mi accompagna nel mio percorso artistico. L’obiettivo finale è quello di trovare il giusto equilibrio tra tutti questi elementi mixando passato e  presente.

Quali saranno le prossime tappe del tuo percorso?

Nei prossimi mesi ci sarà la pubblicazione del mio primo album e alcuni live che stiamo organizzando per la promozione del disco in tutta Italia.

Raffaella Sbrescia

Video: “Rinascerò”

 

Si ringraziano Manuel Cardella e Marina Mannino per la disponibilità

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