Intervista a Fiorenza Calogero: “Cantare Napoli significa darle il rispetto che merita”

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Quella di Fiorenza Calogero è tra le più importanti voci della scena musicale napoletana e mediterranea. Cantante e attrice versatile e appassionata, Fiorenza ha saputo distinguersi grazie al suo talento concentrato nella valorizzazione della lingua e della cultura della sua terra: Napoli. In questa intervista abbiamo lasciato che l’anima di questa artista si aprisse raccontandosi a 360 gradi, in attesa di un nuovo atteso lavoro discografico, prodotto da Andrea Aragosa.

Sei una cantante e attrice che si è particolarmente distinta per la valorizzazione della lingua e della cultura della tua terra…cosa significa per te cantare Napoli?

Il mio riferimento, sin da quando ero piccola, è sempre stata la musica tradizionale. Sarà anche perchè i miei genitori l’ascoltavano, ho sempre vissuto tra un nonno che fischiettava le canzoni classiche napoletane e un padre che era un amante e cultore de “La Gatta Cenerentola” di De Simone. A questo si aggiunge anche il fattore emotivo, c’era la possibilità che io rimanessi indifferente a questo tipo di musicalità, invece provavo sempre emozione: a 5-6 anni ascoltavo il disco de “La Gatta Cenerentola” o la Nuova Compagnia di Canto Popolare, di cui conoscevo a memoria tutte le canzoni. Ovviamente nel corso degli anni la passione è cresciuta, avvertivo, seppur ancora inconsapevolmente, che mi piaceva cantare la canzone classica napoletana. A 15 anni poi, feci il provino per La Gatta Cenerentola del maestro De Simone, lessi l’annuncio sul Mattino e, proprio come se si trattasse di una forza più grande di me, presi la circumvesuviana di nascosto e andai ai provini. Da lì si è aperto un mondo, ho deciso che volevo esprimermi attraverso questo tipo di musica da un punto di vista artistico. Volevo essere identificata come una cantante napoletana ma con uno spirito diverso: la musica napoletana ha una sua dignità, una sua storia, forse più di altre tradizioni di musica popolare nel mondo….Qui ritroviamo la poesia, il sentimento, l’aneddoto, la storia. Ho iniziato a studiarla proprio perché non volevo cadere nella banalità di alcuni esecutori che, invece, l’hanno un po’ travisata. La musica napoletana per me non è né la pizza, né il mandolino, né il Vesuvio; questa tradizione musicale ha una nobiltà e una storia tale che non sempre si conosce e non sempre si percepisce perché siamo abituati a renderla giocosa, festaiola. Il lavoro che ho fatto in questi 15 anni è servito per far sì che, quando salgo sul palcoscenico, so come dover trattare questo tipo di musica. Sono felice di portare la musica di Napoli nel mondo come dico io, ho cercato una strada musicale, ho seguito la strada della sottrazione scegliendo di esibirmi solo con voce e chitarra e lasciando intatte partiture e cadenze senza stravolgerle. Cantare Napoli significa questo, significa darle la dignità e il rispetto che merita senza imbruttirla e involgarirla.

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Un altro passaggio importante è stata l’esperienza con il Festival Migrazioni Sonore dal 2007 al 2009…come furono quegli anni e cosa ti hanno insegnato artisticamente?

Migrazioni Sonore è stato il passo successivo all’interno del mio percorso ed è la conseguenza di ciò che io ho imparato insieme ad Enzo Avitabile e Andrea Aragosa che organizzano, già da una decina d’anni,  Sentieri Mediterranei, il Festival che si svolge a Summonte (Avellino). Questa è una manifestazione a cui io ho partecipato sia come artista che come collaboratrice del direttore artistico. Da loro ho imparato tutto ciò che è relativo alla world music e quali sono le possibilità che un festival  può offrire al pubblico, sia dal punto di vista musicale che culturale. Nella fase successiva, c’ è poi stata l’assegnazione della direzione artistica del festival Migrazioni Sonore, che allora non esisteva. Dopo diversi incontri e dopo aver visto la location (Montefalcione-Avellino), ho pensato ad un festival strutturato in tre giorni, avevo scelto 12 location, quasi come percorso musicale e culturale per il turista o il curioso che veniva a visitare il festival, e ho chiamato 12 gruppi stranieri, non famosi, ma professionisti, che si esibivano rappresentando la loro musica di tradizione, il loro artigianato, le loro danze, i loro costumi. Sul palco principale, ogni sera c’era un gruppo di tradizione musicale popolare italiano mentre i 12 gruppi erano gli stessi per tutte e tre le sere e si esibivano per le strade del paese. Nel 2009 questo festival è stato premiato come miglior festival della Campania e ha avuto tantissime presenze, mi intristisce ripensarci perché purtroppo questa esperienza si è definitivamente conclusa, a causa della mancanza dei fondi pubblici. Tanti giovanissimi si sono appassionati ai tamburi cinesi, al flamenco, alla musica messicana, alla musica celtica e, se pensiamo al fatto che gli artisti coinvolti non erano nemmeno conosciuti, la mia è stata una doppia vittoria. Da allora, però, non ho più voluto prendermi questi incarichi, perché non c’erano le condizioni economiche adatte e perché mi è passata la voglia di scontrarmi con la burocrazia e le istituzioni. Resterà soltanto un bel ricordo…

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Ci parli dei progetti discografici, rispettivamente intitolati “Fioreincanto” , “Fiorenza” e “Sotto il vestito…Napoli”?

“Sotto il vestito…Napoli” rappresenta il più grande sbaglio della mia vita… Non mi riferisco al contenuto musicale dell’album perché si tratta di un buon lavoro in cui la musica napoletana viene sposata al jazz. Quello che contesto non è  la scelta di mettere me e delle colleghe nude in copertina ma il modo in cui siamo state messe in copertina…Ci sono nudi e nudi, ci sono i nudi artistici e poi ci sono nudi squallidi, come lo è quello nella copertina di questo cd… La colpa è stata mia perché da artista e da professionista quale sono dovevo accertarmi, dopo lo shooting fotografico, quali foto scegliere. Dovevo tutelarmi e non l’ho fatto, quindi da un punto di vista d’immagine questo è stato un grande sbaglio che mi ha fatto tanto soffrire;  non era certo questa l’immagine che volevo dare di me stessa, digerire nel corso degli anni questo mio fallimento ha richiesto un bel po’ di tempo. Di tutte le esperienze che ho fatto, questa è quella che, se tornassi indietro, non rifarei o quantomeno la rifarei tutelando la mia immagine.

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

A cosa stai lavorando adesso con la produzione artistica di Andrea Aragosa?

Questo lavoro rappresenta la mia rinascita artistica perché l’ultimo mio disco è stato proprio “Sotto il vestito…Napoli”. Con un album ti aspetti di lavorare, di fare concerti invece quel disco mi ha solo tolto credibilità. Dal 2011 ad oggi c’è stato quasi il buio da un punto di vista discografico e musicale, nel frattempo, però, sono diventata mamma e mi sono dedicata alla mia realizzazione come donna. Con il mio produttore Andrea Aragosa, una persona competente, lungimirante e intelligente e colta, stiamo realizzando il progetto che avrei sempre voluto fare. Con Andrea collaboro già da una quindicina d’anni però, tutte le volte che io parlavo di un disco insieme, lui mi diceva sempre che non era il momento. Evidentemente non mi vedeva e sentiva pronta, nonostante il fatto che in questi anni abbiamo sempre collaborato insieme. Dopo tante esperienze, anche negative,  ho capito la lezione e questo ha fatto sì che io maturassi anche dal punto di vista artistico per cui, quando lui mi ha detto che ero finalmente pronta, abbiamo iniziato a lavorare a questo cd. In relazione al discorso sugli sbagli voglio aggiungere una cosa importante rivolgendomi a chi si vuole avvicinare a questo mondo: Io capisco che chi fa solo questo lavoro, deve lavorare e, pur di farlo, è costretto ad accettare quasi tutto perché l’affitto e le bollette si devono pagare, però ci sono cose a cui a cui puoi dire di sì e cose a cui devi dire di no.

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Cosa ci puoi anticipare di questo nuovo lavoro?

Posso sicuramente dire che sto facendo quello che ho sempre voluto fare con la canzone napoletana, un’operazione del genere l’ho sempre desiderata e adesso ne sto avendo l’opportunità. Questo sarà un album di respiro internazionale e tra le tante collaborazioni, che non posso ancora svelare, ci sarà Cristina Branco, cantante di fado portoghese e stella della musica fadista nel mondo, che duetterà con me ne “Lu Cardillo”, di cui c’è stata la recente anteprima al Teatro Sannazzaro di Napoli e, a parte pezzi di tradizione classica, ci saranno anche degli inediti di Enzo Avitabile. Anche se cerco di stare sempre coi piedi per terra, quello che mi rende davvero felice è che si tratta di qualcosa che avrei sempre voluto fare e sono contenta di fare questo percorso con le persone giuste. Trovare le persone giuste, lungo il proprio percorso, è davvero fondamentale perché anche se c’è talento, determinazione, voglia di fare, voglia di lavorare, voglia di cantare, il successo è il frutto di un lavoro di squadra e, quando la squadra è fatta da persone che puntano ad uno stesso obiettivo e sono competenti, allora il tuo talento può finalmente uscire fuori.

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

Fiorenza Calogero Ph Luigi Maffettone

I prossimi appuntamenti live di Fiorenza Calogero

Gli appuntamenti più vicini sono il 20 giugno al Real Ortobotanico per la rassegna Ortovolante e il 6 luglio al PompeiLab per la rassegna TeatroLab, un concerto dal titolo “FiorenzaCantaViviani” che racchiude il mio amore e il mio legame per Raffaele Viviani, mio illustre concittadino. L’idea del progetto e le elaborazioni musicali sono di Marcello Vitale, già chitarrista con Pino De Vittorio e L’Arpeggiata di Cristina Plhuar, mio compagno nella vita e padre di mia figlia con cui si è creato un intenso sodalizio artistico, insieme a lui ci sarà Carmine Terracciano chitarra classica, mio collaboratore e amico con cui condivido la scena da anni e Erminia Parisi alla danza.

 Raffaella Sbrescia

 

Intervista a Romina Falconi: “Sono imprenditrice di me stessa”

Attraverso_EP_cover b (2)Energica e spontanea, Romina Falconi è una cantautrice romana che, all’amore per la forma canzone tradizionale, associa una vena sperimentale fresca ed innovativa. Dopo le prestigiose esperienze, vissute anche in qualità di corista, nell’ “Ali e Radici World Tour” di Eros Ramazzotti e al fianco di altri importanti personaggi del mondo musicale italiano, Romina ha scelto di mettersi in gioco con una trilogia di ep davvero molto promettente, insieme al produttore Filippo Fornaciari alias The Long Tomorrow, nuovo interessante nome della scena dubstep-elettronica italiana. Abbiamo raggiunto Romina al telefono per lasciarci conquistare dalla sua personalità forte e schietta al contempo; imprenditrice di se stessa, Romina Falconi ha le idee molto chiare sul da farsi e si è già rimboccata le maniche per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata.

“Attraverso” è il secondo capitolo della trilogia intitolata “Certi sogni si fanno attraverso un filo d’odio”… Ci spieghi il significato del titolo di questa trilogia…il perché della suddivisione in 3 capitoli e i temi che affronti nei 5 brani di questo secondo ep?

Avevo tantissimo da scrivere e, pur avendo la possibilità di far uscire un disco, ero consapevole di quali fossero le operazioni discografiche che mi aspettavano perciò mi è venuta in mente questa cosa un pochino rivoluzionaria. L’idea è quella di provare a fare tre mini album e spalmarli nel tempo, facendo lo stesso anche con la successiva promozione: fare bene i videoclip, farne uscire più di uno. Visto che non sono un artista famosa, ho deciso entrare in questo mondo in punta di piedi e soprattutto a modo mio. Pur non avendo un budget stellare e senza una produzione holliwoodiana, siamo riusciti a raggiungere degli ottimi risultati, questo testimonia che l’importante è fare un lavoro dignitoso con i mezzi che si hanno a disposizione. Un pò di rivoluzione ci vuole, mi sono detta facciamo il nostro e troviamo un modo originale per farlo. In base a questo ragionamento ho suddiviso anche i brani che avevo scritto. In “Certi sogni si fanno” descrivo quello che sono, senza mezze misure, ho scelto le produzioni più estreme per far vedere come io mi approccio al mondo in generale. “Attraverso”, invece, è l’ep dei segreti, in cui si va più a fondo per far vedere quello che provo, quello che desidero. Infine in “Un filo d’odio” ci sarà il rischio vero perchè, dopo essermi presentata, dopo aver fatto vedere quello che ho dentro, ci saranno i pensieri taciuti e cose politicamente scorrette… ci saranno un po’ di sorprese a riguardo.

Il testo di “Circe” è particolarmente tosto ed immediato… queste caratteristiche rispecchiano anche la tua scrittura e la tua personalità?

Sì assolutamente! Partendo dal presupposto che adoro la musica italiana, ho molto da ridire sul pensiero comune che la donna debba sempre lanciare dei messaggi molto puliti, semplici. Io voglio raccontare anche la parte scomoda di noi donne, mi piace dire delle cose, che di solito non si dicono, ma che sono assolutamente reali.

Sei un artista piuttosto poliedrica, hai prestato la tua voce a diversi generi musicali… quale senti quello più vicino a te?

Mi piacciono gli ibridi, se dovessi cantare un lentone con lo stesso vestito che conosciamo, con gli arrangiamenti di sempre, non riuscirei a rendere al meglio, come invece faccio, quando, per esempio, faccio un pezzo soul e ci metto su un arrangiamento new wave. Ho notato che sto bene con l’elettronica perché possiede una miriade di colori e sfumature.

Come hai lavorato con Filippo Fornaciari?

Filippo Fornaciari è un pazzo visionario, amico fraterno, ormai. Ci conoscevamo da tempo ma non abbiamo mai lavorato insieme, ci siamo incontrati in studio per mettere delle voci su un suo progetto. Filippo non ascolta musica italiana ed è predisposto a fare cose estreme, io che, invece, adoro la musica tradizionale, ho pensato che sarebbe stato molto bello scrivere dei pezzi con lui che mi proponeva di stravolgerli: due mondi avulsi che si incontrano. Avevo paura di una cultura musicale diversa dalla mia, siamo stati 6 mesi a cercare soluzioni, sembravamo dei pazzi ma poi, nata la prima canzone, ogni giorno abbiamo fatto qualcosa che è poi diventato definitivo. In sintesi, trovare la formula giusta è stato molto difficile poi però, una volta capito il senso di quello che volevamo, non ci siamo più abbandonati.

Romina Falconi

Romina Falconi

Ci parli del forte legame di amicizia che ti lega ad Immanuel Casto e della collaborazione nel brano intitolato “Eyeliner”?

“Eyeliner” è nata perché io sono cresciuta con una vicina di casa trasgender, si chiama Gio e mi ha aperto un mondo facendomi capire le difficoltà del suo di mondo. Quando ho scritto questo brano ho pensato a questo tema così delicato, il testo parla di tutte quelle persone che ne hanno passate di ogni ma che, nonostante tutto, non hanno perso quello che hanno dentro. Quando ho scritto “Eyeliner” ci tenevo moltissimo, non volevo solo descrivere il mondo dei trans, l’ho dedicata a Gio ma mi son detta: “chi vuol capire, capisce… chi ha provato certe cose, può capire.. .”  In seguito mi sono rivolta ad Immanuel Csto, che adora i pezzi loschi, anche quelli più ambigui, in cui non è necessario spiegare tutto per bene. Il risultato, con l’inserimento della sua voce, mi è piaciuto tantissimo; lui è il mio Albano. Immanuel è la persona con cui sto crescendo artisticamente, è l’artista che amo di più, ha un coraggio invidiabile, che è quello di mostrarsi per come è, senza tornare indietro. Crescere insieme a lui è bellissimo poi stiamo diventando sempre più amici, questo è il terzo featuring che facciamo, ormai è un sodalizio, lui è un mio compagno artistico. Sono fiera di avere accanto lui come maestro, complice, compagno di viaggio anche se tante volte mi fa sentire una piccola Bridget Jones.

A proposito di questo brano, com’è stato partecipare alla Giornata Internazionale contro l’omofobia?

Essendo cresciuta con Gio che, oltre a mia madre, ha rappresentato una figura molto importante nella mia crescita, ci tengo tanto a far capire che non se ne può più. Bisogna far qualcosa, ho pensato di postare una foto su instagram con su scritto: “Si scrive omofobia, si legge basta”. Questo è un argomento che mi sta a cuore soprattutto per colei che ero solita chiamare  “la mia mamma col distintivo”. Non riesco a capire perché ci siano ancora episodi omofobi, se ci pensiamo basterebbe così poco per vivere tranquilli e andare d’accordo. Purtroppo invece no, sembra quasi che quello che per noi è diverso ci fa talmente paura da essere aggredito. Adesso, con la vittoria di Conchita Wurst all’ Euro Song Contest 2014, bisognerà  trovare il modo per farne parlare ancora di più. Sono convinta che ce la faremo, così come le donne sono riuscite a fare delle rivoluzioni immense, si riuscirà a debellare l’omofobia una volta per tutte. Chiedo anche agli altri di esprimere solidarietà e fare qualcosa, secondo me se ci fosse un  uomo, etero, uno forte, famoso, che si schierasse contro l’omofobia sarebbe un fatto mediatico di notevole risonanza.

Come ti sei trovata durante le riprese del video di “Attraverso”?

Io adoro il regista Luca Tartaglia, anche lui è una persona che considero amica e che mi accompagnerà ancora per tutto questo percorso. Luca parte ogni volta da una mia idea, perché avendo scritto io i testi delle canzoni, partiamo da quello che è venuto in mente a me e magari costruiamo il video su quello. Per il video di “Attraverso” mi sono fatta cucire da mia madre questo vestito per avere un look senza tempo, non volevo appartenere a qualche sponsor o avere i soliti vestiti addosso, mi immaginavo uno scenario piuttosto apocalittico. Stavolta interpretavo il ricordo, lo staff è stato bravissimo a realizzare ogni volta i miei pensieri. La cosa più divertente del video è stata rompere tutto, piatti, bicchieri. Mi piace molto essere teatrale, questa cosa all’inizio non la sopportavo, poi ho cominciato a farmela piacere e a mettere questa teatralità anche in musica. Se non lo faccio adesso che sono imprenditrice di me stessa, non lo farò mai più.  Per me ora è come stare dentro un sogno e, avere delle persone accanto che mi permettono di sperimentare, è davvero bellissimo.

Come hai vissuto l’esperienza da corista con Eros Ramazzotti e quali sono gli insegnamenti che ne hai tratto?

Dal tour di Ramazzotti ho imparato che la famosa frase “The show must go on” è vera, l’importante è fare bene sul palco e dare il massimo. Questo mi ha insegnato molto, anche il fatto di avere ogni sera un pubblico diverso, di paesi diversi, mi ha fatto mettere  in gioco anche in questo senso. Eros stesso, all’epoca mi diceva che non vedeva l’ora che io smettessi di fare la corista per seguire il mio sogno. Ora, finalmente, è giunto il momento: stiamo cercando di studiare la soluzione live più adatta a me e alle mie canzoni… Vorrei creare lo stesso palco in ogni posto e, quando comincerà il tour, che stiamo organizzando, anche insieme a Barley, vorremmo fare in modo che ovunque ci sia sempre lo stesso palco, come se noi ci teletrasportassimo tutti. In ogni caso vedo l’ora di far ascoltare le mie cose al pubblico.

Si ringraziano Romina Falconi e Marta Falcon per Parole e dintorni

Raffaella Sbrescia

Acquista “Attraverso” su iTunes

Video: “Attraverso”

Intervista a Silvia Tancredi: “The Cage è un assaggio del mio nuovo album”

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi è una cantante e autrice torinese, diplomata in canto presso il CPM di Milano e laureata in D.A.M.S. presso l’Università degli Studi di Torino. Innamorata da sempre del gospel, Silvia vanta una nutrita carriera come vocalist al fianco di artisti come Neja, Arthur Miles & The Allstars Gospel, Lee Brown, Fred jr. Buscaglione, Fabrizio Consoli, Anthony Morgan’s Inspirational Gospel Choir Of Harlem. Sempre pronta a sperimentare ed a mettersi in gioco, Silvia Tancredi sta lavorando al suo nuovo album di inediti e nel frattempo ci ha parlato di “The Cage”, il brano scelto dalla regista Mirca Viola per la colonna sonora del suo film “Cam Girl” (al cinema dal 22 maggio) e disponibile anche in versione remix a cura di Jeffrey Jey (Eiffel 65).

Silvia, il tuo percorso musicale è per lo più incentrato sullo studio e la pratica del contemporary gospel…cosa rappresenta per te questo universo musicale e cosa ti ha dato fino ad oggi in termini sia umani che artistici?

Il gospel è stato il mio primo amore e, in quanto tale, questo genere è stato una continua fonte di spunti per andare alla ricerca di aspetti musicali sempre nuovi. Il gospel è una musica che ha radici molto antiche, è nata nell’800 e ha preso forme sempre nuove fino ad arrivare al contemporary,  una musica un po’ più difficile da inquadrare per noi italiani. In realtà si tratta di un genere che viene suonato su tutti i palchi in continuazione, uno stile musicale assolutamente vivo, che mi sono portata in tutti i miei progetti.

Quanto sono importanti per te lo studio e la ricerca quotidiana?

Beh, lo studio è fondamentale. Credo che la cultura possa darci delle chiavi per aprire le porte della nostra vita. L’approfondimento dell’aspetto musicale e la ricerca per la tesi della laurea specialistica per me sono stati importanti perché ho avuto modo di attuare un percorso di studio approfondito su un argomento molto attuale ovvero il mondo legato ai talent show. Il mio punto di vista non è stato solo quello di una studiosa, di una ricercatrice, si tratta, piuttosto, di un punto di vista etnoantropologico; in questo modo ho ottenuto dei riscontri e dei risultati molto più completi.

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo

“The Cage” è il tuo nuovo singolo che, insieme a “Sing your love”, brano tratto dal tuo primo album intitolato “L’importante è crederci”, fa parte della colonna sonora di “Cam Girl”, il nuovo film della regista Mirca Viola. Di cosa parlano questi brani e in che modo si ricollegano alla trama del film?

Sono convinta che Mirca abbia scelto queste due canzoni innanzitutto per la loro musicalità ma anche per il loro contenuto testuale. “Sing your love”è una canzone in cui compaiono pianoforte, archi e voci e nel film è stata messa, infatti, come musica di sottofondo in un momento più tranquillo della narrazione cinematografica. “The Cage”, invece, è una canzone che non ho scritto per il cinema quindi l’incontro con Mirca è stato molto fortunato. La mia canzone parla dell’illusione di trovarsi all’interno di una gabbia dorata, dell’impossibilità di riuscire a volare. Per queste ed altre ragioni, il contenuto del film si identifica con i concetti contenuti nel mio brano: quattro ragazze si troveranno, senza rendersene conto, intrappolate nella scelta di aprire un sito di Cam Girl. La mia canzone comunque lascia una porta aperta alla possibilità di realizzazione.

Che ne pensi della versione remix di “The Cage” curata da Jeffrey Jey degli Eiffel 65?

Conosco Jeffrey da tempo e, quando lui mi ha proposto il remix, ho temuto che il risultato si discostasse dalla canzone invece devo dire che ha fatto un lavoro veramente entusiasmante!L’ultima volta che ho ascoltato il remix ballavo da sola per casa come una pazza perché Jeffrey ha messo nel brano tutta la sua energia.

Stai lavorando ad un nuovo album? Se sì, in che direzione ti stai muovendo?

“The Cage” è in effetti, il singolo che precede il mio nuovo album che è praticamente finito… A breve seguiranno dei nuovi singoli e poi uscirà l’album intero! In estate ci saranno delle belle novità in questo senso…

Si ringraziano Silvia Tancredi e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

Acquista “The Cage” su iTunes

Video: “The Cage”

Intervista a Daniele Ronda: “La rivoluzione siamo noi”

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda è un cantautore piacentino, noto all’interno del panorama musicale italiano, non solo per i propri originali progetti discografici, ma anche per aver messo la sue notevoli capacità compositive anche a disposizione di famosi cantanti nostrani come Nek, Massimo Di Cataldo, Mietta, dj Molella. Attento, curioso, appassionato, Daniele è riuscito a costruire, tassello dopo tassello, un percorso artistico davvero molto articolato. Il suo cantautorato profuma di terra, di storie, di vite, di ragionamenti. La dimensione live per lui rappresenta il raccolto delle emozioni, il bagaglio di gemme e pietre preziose da riversare nel calderone delle sue canzoni.

In attesa di ascoltarlo dal vivo, in una delle numerose date estive che lo vedranno anche protagonista delle aperture dei concerti di Ligabue allo stadio Olimpico a Roma il 31 Maggio e allo stadio di San Siro a Milano il 7 giugno, abbiamo raggiunto Daniele al telefono per farci raccontare “La Rivoluzione”, il suo ultimo album di inediti, e per lasciarci conquistare da un cervello acceso, curioso,  rivoluzionario.

DANIELE RONDA_cover del disco LA RIVOLUZIONE_b (2)“La Rivoluzione” è il titolo del tuo ultimo album. Partiamo da questo singolo per entrare nei dettagli di questo lavoro… quali sono i temi e le chiavi interpretative di questo disco?

Il disco ha una caratteristica importante, si tratta di un lavoro nato in maniera quasi inconscia. Mentre lo stavo registrando, mi sono trovato ad ascoltarlo e mi sono reso conto che le 11 tracce erano diventate una sorta di concept album. Tra le canzoni c’è un legame forte, qualcosa che le unisce ed è la necessità di cambiare una serie di cose che a mio parere stanno minando la nostra serenità, l’unione della nostra società. Questa voglia, questa forza, questa rabbia nei confronti di questa situazione mi è sembrata una sorta di rivoluzione, non di quelle classiche, una rivoluzione interiore che, secondo me, bisogna fare ogni giorno senza accettare tutta una serie di compromessi. Tutte le volte che decidiamo di incuriosirci, di informarci, di amare la cultura, di guardarci intorno, tutte le volte in cui facciamo cose che racchiudono i nostri valori, mettendo le cose davvero importanti al primo posto, ci avviciniamo verso la nostra felicità. Ogni volta che facciamo questo facciamo l’unica vera rivoluzione efficace. Alla luce di questo pensiero, mi ci è voluto poco per chiamare il disco “La Rivoluzione”, il brano che dà il titolo al disco è, tra l’altro, uno dei pezzi nati dopo le altre canzoni che compongono l’album.

Nel corso della tua carriera hai avuto modo di misurarti con vari generi musicali, nella veste di autore, attraverso molteplici collaborazioni artistiche. Qual è il contesto compositivo in cui ti senti più a tuo agio e come cambia il tuo approccio alla scrittura di volta in volta?

Lavorare e scrivere per altri è diverso dal lavorare per se stessi, si tratta di due mestieri che hanno sì qualcosa in comune ma hanno due approcci differenti. Quando lavori per un altro artista dipendi dalle sue esigenze, bisogna capire qual è il suo linguaggio, quale cosa detta da lui sarà più efficace, credibile, cosa lo rappresenterà di più e questo è un lavoro molto stimolante perché ti spinge a toccare dei temi, degli stili, dei suoni, dei generi che magari non avresti mai affrontato… Questa cosa mi ha spinto ad aprirmi a tanti mondi musicali. Quando si lavora con se stessi, invece, il lavoro diventa più doloroso, più difficoltoso. Nonostante ci si conosca, spesso ci si trova a combattere di fronte a dei conflitti interiori. Questa cosa ti fa crescere e, allo stesso tempo, ti consente di raccontarti attraverso la musica ed è una cosa che a me dà tanto, questo è il mio modo di urlare quello che sono, quello che sento, il mio modo di raccontare quello che vedo e che mi tocca in modo particolare.

Come ti è venuta la voglia di legare la tua musica al territorio piacentino in particolare ed emiliano più in generale?

La musica è una parte fondamentale della mia vita, tutte le scelte del mio quotidiano si rispecchiano nel mio modo di fare musica. Sono stato per un periodo lontano da casa, lontano dalla mia terra perché consideravo la mia città quasi un luogo troppo piccolo, che mi stava stretto per i miei sogni e i miei progetti. Quando sono andato via, però, ho scoperto che mi mancava tremendamente, mi mancavano tutta una serie di cose che mi facevano sentire a casa. Allora ho cominciato a raccontare la mia città con l’intento di raccontarle tutte. Il legame con le proprie radici è qualcosa di universale, questo non significa che siamo ancorati al posto in cui siamo nati, significa che abbiamo un punto di riferimento, un posto che, guardandoci indietro, possiamo ritrovare sempre e comunque trasformandolo in una ricchezza, una nostra peculiarità. Nel mio caso è stato così, sono orgoglioso di raccontare le storie che sono nate nella mia terra.

Secondo te l’uso del dialetto nella canzoni può rappresentare un valore aggiunto?

Il dialetto è una forma di comunicazione, prima ancora che una lingua. Credo che certe cose dette in dialetto abbiano un’efficacia, una forza, una potenza particolare ed è per quello che ho scelto e sceglierò ancora di scrivere in dialetto. Non è una scelta commerciale e, anche se in questo mio ultimo disco non ci sono canzoni in dialetto, per me si tratta di una necessità, certe cose mi viene spontaneo dirle in dialetto perché dietro ogni parola, ogni modo di dire, c’è tutta una serie di incastri etimologici e questa è una cosa meravigliosa.

In “Ognuno di noi” parli della comune usanza di fare grandi progetti di notte e di ritrovarsi al mattino dopo con il ricordo appannato della sera prima….Si tratta di un racconto dalla valenza universale?

Ho parlato della notte perché a me è capitato di notte, ma credo anche a tanta altra gente capiti che in certi momenti del giorno ci si senta padroni del mondo e altri in cui ci si sente persi, distrutti, abbattuti… Questo ci destabilizza, ci aggrappiamo a una serie di cose che ci vengono propinate in maniera assillante, io invece credo che dobbiamo credere in noi stessi, non dobbiamo voler essere qualcun altro, dobbiamo credere in quello che siamo e, su questa base, dovremo costruire la nostra vita. Il brano ha anche un video che, con ironia, dice che cercare di vivere la vita di un altro significa frustrazione. Io sono uno che guarda, che si informa, che cerca la gente… poi, però,  prendo quello che mi interessa, lo faccio mio, lo rielaboro, lo modifico, lo riutilizzo per quando mi servirà. In sintesi: vivo la mia vita con tutti i pregi ma anche con tutti i difetti che mi contraddistinguono.

“Le donne italiane” si riferisce ad una storia in particolare o intende parlare di una tematica più generale?

In Italia abbiamo tantissime diversità, tradizioni diverse, lingue diverse, storie diverse e queste differenze rappresentano una delle nostre ricchezze più grandi a livello culturale, storico e sociale.  Spesso sembra che cantando in dialetto ci vogliamo chiudere e non voler scoprire quello che c’è intorno, invece è il contrario! Quello che racconto nelle mie storie è il frutto di un viaggio in cui mi piace scoprire il luogo in cui vado, la storia dei luoghi che mi circondano. Questa è una pizzica salentina che ho scritto in Emilia Romagna, un asse tra nord e sud, un’unione della diversità. Ho voluto valorizzare quello che è diverso come qualcosa da scoprire, la diversità deve unire le persone, deve unire i popoli…La vera maniera che abbiamo per uscire da questa crisi è valorizzare la nostra diversità perché siamo uno dei paesi che ne ha più di ogni altro; ogni 23 km cambiano i dialetti, le storie, le tradizioni e questa è una cosa davvero speciale.

Che ruolo ha la fisarmonica nella tua musica?

Nei dischi precedenti la fisarmonica rappresentava addirittura la colonna portante di alcuni arrangiamenti. In questo disco è ancora tanto presente ma lo è in particolar modo in una canzone intitolata “La Regina”. Questo strumento è stato messo in disparte per tanti anni, era considerato vecchio, sembrava che con la fisarmonica si potesse fare solo musica da ballo come il liscio. Io penso, invece, che questo strumento sia vivo: l’aria passa attraverso piccole lamelle ed il suono fuoriesce quasi come se fosse un canto. La versatilità del suono permette di interpretare col cuore le canzoni, ecco perché la fisarmonica è uno strumento magico.

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella

Ti esibisci spesso in contesti molto legati all’identità territoriale…che tipo di impressioni e riscontri ricevi ogni volta?

Per noi artisti il live è qualcosa di fondamentale, è la nostra forma di contatto con la gente. Io e i Folkclub siamo partiti da qualche settimana con il nuovo tour, questo è quel periodo dell’anno in cui diventiamo un po’ degli zingari, siamo in macchina e maciniamo chilometri incontrando gente. Anche sui palchi scopriamo cose che ci portiamo dietro. “La Rivoluzione” è, infatti, un disco che nasce molto in viaggio, incontrare le persone è fondamentale tanto quanto lo è vederle provare delle sensazioni insieme a te. Questa cosa mi arricchisce sempre tantissimo. Poi ovviamente ci sono dei periodi dell’anno in cui siamo in studio per lavorare il disco, ed è in quei momenti che a volte mi vengono crisi di astinenza da palco. Il live è veramente una di quelle cose che salva la musica. Mentre tutti parlano di crisi discografica, il live è qualcosa che è lì e che non si può scalfire perché è vero, è vivo, crea un contatto tra chi è sopra e chi è sotto il palco.

Come è andata al concerto del Primo Maggio a Roma?

Un conto è dire le cose, un conto è metterle in atto ed io l’ho fatto scegliendo di fare il mio set insieme ad un gruppo che fa musica popolare calabrese come i TaranProject. Addirittura una delle canzoni l’abbiamo cantata un po’ in dialetto piacentino, un po’ in dialetto calabrese per ricordare il concetto di asse nord-sud e di diversità che unisce. Questo è avvenuto perché sono sempre alla ricerca, scopro sempre cose nuove, tengo gli occhi aperti, non mi faccio influenzare da un meccanismo che fa comodo e che impone di non guardarci troppo intorno. Queste sono le cose che mi danno gioia, che mi arricchiscono, voglio capire perché si suona un determinato strumento e scoprire storie della terra. Tutte le volte riempio il mio bagaglio ed è una cosa che mi tiene su e mi dà sostegno.

 Si ringraziano Daniele Ronda e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

Acquista “La Rivoluzione” su Itunes

Video: “La rivoluzione”

 

Intervista ai Park Avenue: “Con Alibi cantiamo in italiano”

Park Avenue

Park Avenue

Park Avenue sono un gruppo rock italiano, nato nel novarese, composto da Federico Marchetti (voce e chitarra), Marcello Cravini (chitarre), Alberto “Spillo” Piccolini (basso) e Vinicio Vinago (batteria). La versatilità del gruppo rappresenta, a pieno titolo, uno dei punti di forza di questa compagine musicale che ha avuto l’opportunità di girare l’Europa e toccare con mano i più disparati contesti artistici. Dopo l’esordio anglofono con “Time To”, i Park Avenue presentano “Alibi”, un album composto quasi interamente da canzoni in lingua italiana. Abbiamo raggiunto Federico Marchetti, frontman della band, per conoscere più a fondo il percorso del gruppo e i contenuti del loro ultimo disco.

“Alibi” arriva a 4 anni di distanza dall’esordio di “Time to”… cosa hanno fatto e quali passi hanno compiuto i Park Avenue durante questo tempo?

In questi 4 anni abbiamo ovviamente promosso il primo disco, abbiamo girato molto per l’Italia e abbiamo tenuto molti concerti… quello che ci piace di più è proporre la nostra musica dal vivo, siamo stati in giro 2 anni e nel frattempo abbiamo cominciato a scrivere il nuovo disco. Alla fine di questo percorso ci siamo accorti che stavamo un pochino cambiando la nostra direzione…A livello macroscopico la grande differenza sta nel fatto che, mentre il primo disco era in inglese, il secondo è per l’80 per cento cantato in italiano; questo è stato un grosso passo per noi e probabilmente è frutto del rapporto che abbiamo col pubblico.

park avenue 2A cosa si deve la scelta di questo titolo per il disco?

Il ragionamento che ho fatto nello scrivere i testi è il seguente: viviamo un momento in cui si parla tanto di crisi, è sempre colpa del mondo esterno, non c’è lavoro, non c’è prospettiva, siamo tutti un po’ tristi e avviliti e questo, per carità, è un dato di fatto però il messaggio è questo: dobbiamo cercare di avere meno alibi possibili. Partendo da noi stessi possiamo cercare di cambiare la nostra situazione, il nostro è un invito a tenere duro.

Qual è la cifra stilistica musicale che sentite più vostra?

Siamo più o meno sempre gli stessi… Scriviamo le nostre canzoni sempre prima in inglese per cercare di dare un’immediatezza all’ascolto delle canzoni. L’italiano è più cantautorale mentre l’inglese è un po’ più commerciale, forse grazie alla presenza di frasi molto più corte, il nostro obiettivo è, in ogni caso, quello di essere  incisivi…

Come avete lavorato alla scrittura e all’arrangiamento dei brani e quali sono i temi cardine attorno a cui ruota questo progetto?

Creiamo tutto in sala prove, suoniamo molto, improvvisiamo, cerchiamo di lasciarci trasportare dal nostro umore nel suonare tentando di non creare canzoni molto lunghe a livello di minutaggio e cercando di essere immediati nel messaggio testuale ma non scontati a livello musicale. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, i nostri brani sono costruiti su intrecci di chitarre, abbiamo una formazione base con due chitarre, un basso e una batteria, anche se ogni tanto una chitarra viene sostituita da un pianoforte. Anche la musica è testo e noi cerchiamo di essere riconoscibili anche dal punto di vista sonoro, non bisogna sottovalutare nessuno dei due aspetti.

park avenue 3Chi è, secondo voi, il “social lover”?

In questo brano prendiamo un po’ in giro quelle persone che, all’interno della sfera social, sembra abbiano un alter ego molto diverso da come sono in realtà… anche tra le nostre amicizie, ci sono quei tipici amici che quando ti scrivono un messaggio sono dei leoni, poi magari li vedi in giro e neanche ti salutano, proprio come se fossero due persone diverse…quando noto questa discrepanza mi faccio delle domande e questa canzone è a metà strada tra critica e presa in giro…

“Le cose parlano, straparlano, complottano, si alleano con lei” è uno dei titoli più enigmatici dell’album…qual è la chiave interpretativa di questo brano?

Si tratta di un brano leggero, proprio per questo è a metà della track list. Questa canzone rappresenta un volta pagina all’interno del disco e ho pensato di darle un titolo che spiccasse tanto rispetto agli altri per fare in modo che potesse subito colpire chi legge i titoli delle canzoni. Per questo ho preso quasi tutta la frase del ritornello e l’ho messa nel titolo. In parte è stata anche una scelta un po’ provocatoria…

park avenue 4Qual è, invece, il testo a cui siete più legati?

Le preferenze del gruppo ricadono tutte su “Alibi”, la canzone che ci rappresenta di più nel disco e che ne tira fuori il messaggio principale.

La dimensione live è indubbiamente quella in cui riuscite ad esprimervi al meglio… che tipo di concerto è il vostro?

Quello che noi facciamo dal vivo rappresenta l’amplificazione di quello che accade nella nostra sala prove, ci divertiamo veramente tanto a suonare, tutto è molto poco studiato, i nostri concerti non prevedono una scaletta fissa, decidiamo al momento, a seconda di come stiamo, di come ci sentiamo, di dove ci troviamo. Siamo liberi di divertirci e cercare di essere sempre al 100 %,  questa cosa viene apprezzata anche da chi si segue. A volte ci sono persone che vengono ad ascoltarci più volte e ci dicono sempre che ogni nostro concerto è diverso. Il fatto che ci divertiamo nel suonare per noi è fondamentale, fare le cose come dei robot dopo un po’ potrebbe annoiarci quindi cerchiamo di tenere viva la nostra voglia di stare insieme suonando.

PARK COVERChe riscontri avere ricevuto durante i concerti all’estero e gli opening act di artisti italiani come Ligabue, Antonacci, Baustelle…? Quali differenze avete notato in contesti così diversi tra loro?

All’estero il pubblico ci  ascolta di più, le persone hanno meno preconcetti, c’è una cultura di base più propensa all’ascolto della musica dal vivo e a dare un’opportunità anche a un gruppo che magari viene ascoltato per la prima volta. In Italia, invece, il pubblico è tendenzialmente più diffidente anche se se devo dire che, in occasione delle nostre operture, ci è andata piuttosto bene! Abbiamo aperto due concerti di Ligabue negli stadi ed è stata un’esperienza veramente molto bella. La prima volta avevamo un po’ paura invece il pubblico è stato molto corretto e ci ha davvero ascoltati. So di altri gruppi, in altri contesti, che invece si sono trovati di fronte ad un pubblico che non ha voluto ascoltarli, pur trattandosi di realtà musicali molto valide… Questo accade perché il pubblico italiano richiede molto più tempo per essere educato all’ascolto di qualcosa di nuovo e di diverso… Noi abbiamo assaggiato un po’ tutto però ci siamo trovati molto bene in tutte le situazioni perché se la musica è buona la gente ascolta sempre con piacere… Dal vivo riusciamo a mettere in evidenza le nostre sfaccettature in base al contesto in cui ci troviamo e sappiamo adattarci in maniera naturale al contesto.

In quale direzione vi state muovendo adesso e che prospettive ci sono sia per il vostro percorso artistico che per il vostro disco?

Adesso siamo molto concentrarti nella promozione del disco, siamo  pronti a fare dei concerti estivi, a farci sentire, a incontrare il pubblico tra piazze e Festival, finalmente si suona tanto e si registra meno. Stiamo a cominciando a comporre anche nuove cose, abbiamo la nostra linea e il nostro sound  rock anche siamo comunque aperti a tutto, senza nessun preconcetto.

Si ringraziano Federico Marchetti e Alessandra Placidi

Raffaella Sbrescia

Video: “Non è domani”

Intervista a Dante Brancatisano “Sono ancora qui”

DANTE_cover SONO ANCORA QUI (2)Dante Brancatisano è un cantautore calabrese che dopo “Via Gleno”, ha pubblicato lo scorso 20 maggio il nuovo album intitolato “Sono ancora qui”, anticipato in radio dal singolo “Così come sei”. Questo lavoro, prodotto dall’etichetta indipendente Eden Music, segna una nuova fase del percorso artistico di Dante e contiene 9 brani in cui il cantautore  racconta la propria  quotidianità, avvalendosi della collaborazione di grandi musicisti del panorama italiano come il batterista Alfredo Golino, il bassista Paolo Costa, il tastierista Matteo Fasolino e i chitarristi  Andrea Braido e Luca Colombo. Abbiamo raggiunto Dante al telefono per farci raccontare questo album e per scoprire come procedono le numerose attività che egli sta portando avanti già da tempo.

“Sono ancora qui” è il titolo del tuo nuovo album in cui racchiudi in maniera diretta la tua quotidianità. Cosa racconti in queste canzoni e qual è il messaggio che vorresti trasmettere al tuo pubblico?

In questo lavoro racconto momenti di vita vissuti e i sentimenti di tutti i giorni: rabbia, delusione, tristezza, amore. In questo lavoro c’è un po’ tutto quello che rappresenta la vita a 360 gradi. Il messaggio è piuttosto forte ed immediato…Non bisogna arrendersi mai, concentriamoci sul fatto che dopo il buio arriva sempre la luce!

Qual è il brano a cui ti senti più legato?

 “Cosa ce ne frega”. Nella vita abbiamo tutti i nostri piccoli o grandi difetti ma tendiamo sempre a nasconderci e a lasciar emergere solo i nostri tratti migliori. Io invece penso che anche le imperfezioni siano parte integrante di ciascuno di noi e questo brano parla proprio di questo.

Come mai hai scelto “Bella Ciao” come ghost track dell’album?

“Bella Ciao” è una canzone che nessuno dovrebbe dimenticare per ricordare da dove veniamo, quello per cui i nostri antenati hanno combattuto e sono morti regalandoci  la libertà. La libertà, una parola tanto usata ma davvero poco rispettata. “Bella Ciao” non è solo la canzone dei comunisti, è la canzone di un popolo in lotta.

Dante_foto5_b (2)

Dante

I testi sono nati tutti spontanei, velocissimi. In quel periodo mi sono sentito come un fiume in piena, dovevo dire la mia su tutto, sentivo dentro di me la voglia di scaricare tutto quello che avevo sopportato e la gioia di aver ritrovato la vita di tutti i giorni. Con i musicisti si è instaurato subito un rapporto molto bello, basato sull’amicizia e sul rispetto comune. Ho lavorato con dei veri professionisti che hanno fatto la storia della musica e ciascuno ha aggiunto qualcosa di personale nel disco.

Come procedono le attività della tua scuola “Il villaggio della musica”?

Si tratta di un’iniziativa a sostegno di talenti emergenti con la collaborazione di tantissimi professionisti dello spettacolo, persone che hanno capito lo spirito del progetto e che lo stanno appoggiando. Ci stiamo anche allargando, presto apriremo una sede a Pescara… Amo molto questo progetto perché adoro guardare questi ragazzi nei cui occhi sono racchiusi tutti i sogni del mondo. Attraverso i loro occhi, rivivo anche io le loro emozioni.

Dante

Dante

Che riscontri hai avuto dalla pubblicazione del tuo libro intitolato “Vita straordinaria di un uomo ordinario?

Il libro sta andando piuttosto bene anche se nell’ultimo periodo mi sono concentrato soprattutto sulla musica… Più avanti riprenderò a seguire la promozione di questo lavoro perché esso vuole essere la testimonianza diretta di una storia che potrebbe essere quella di chiunque. Ho gridato la mia innocenza, la griderò ancora e dimostrerò in qualunque sede la mia completa estraneità a tutti i fatti di cui sono stato ingiustamente accusato.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni live?

Ci sono i miei manager che hanno chiuso delle date a Milano e a Bologna ma stanno arrivando anche altre richieste… Vorrei poter tenere conto anche delle esigenze dei ragazzi della mia band, sarebbero tutti orgogliosi di prendere parte anche alla dimensione live del mio progetto , un live con tutti loro sarebbe un’esperienza davvero eccezionale!

Si ringraziano Dante Brancatisano e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

Video: “Così come sei”

Intervista a Gabriele Vegna: “Pittura, energia per comunicare, pura e impalpabile”

Keith Richards. Ritratto di Gabriele Vegna

Keith Richards. Ritratto di Gabriele Vegna

Gabriele Vegna è un artista che vive e lavora a Milano.  Scelto tra gli iscritti di Piazza delle Arti, la piattaforma che mette in contatto artisti e aspiranti e mecenati, Vegna si è avvicinato alla pittura molti anni fa e, nel corso del tempo, ha concentrato la propria ispirazione e la propria energia verso la musica rock, intesa non solo come colonna sonora di una generazione ma anche, e soprattutto, come un modo per  riuscire a scarnificare e poi rigenerare, in maniera indelebile, il pensiero, il costume e il modo di vivere di tutto il mondo. Reduce dall’esposizione dei propri quadri presso il locale milanese Ronchi 78 di Giacomo Bertacchi, appassionato di musica e titolare dell’etichetta musicale Palbert Music, Gabriele Vegna ha omaggiato Ritratti di note  con questa intervista in cui l’artista ha ripercorso le proprie fasi artistiche e ci ha aperto le porte del suo pensiero.

Cos’è per lei la pittura?

Per me la pittura è ancora una grande passione. Ho iniziato a dipingere, casualmente, non molti anni fa; avevo bisogno di uno specchio e ne decorai la cornice. Da allora iniziai a dipingere con continuità, prima soggetti geometrici, poi la figura umana, e a ogni quadro riuscivo sempre di più ad affinare la tecnica.

Da cosa nasce l’energia per dipingere?

Nasce dalla voglia di mettermi in gioco quotidianamente. È una sfida con me stesso per provare a dipingere dei soggetti sempre più complicati. Ogni volta che inizio un nuovo quadro, mi domando sempre se sarò in grado di farlo.

Ritratto di Gabriele Vegna

Ritratto di Gabriele Vegna

Quali sono i passaggi che hanno preceduto il suo avvicinamento alla pittura?

Dopo gli studi ho iniziato a lavorare in uno studio di architettura come junior designer. Successivamente ho partecipato, come assistente scenografo, al festival lirico Opera Barga  (Lucca), dove ho contribuito a realizzare l’allestimento delle opere Demetrio e Polibio di Gioacchino Rossini e La Traviata di Giuseppe Verdi. All’inizio degli anni ’80 anni ho collaborato per alcuni studi fotografici e di pubblicità, sino ad affermarmi come producer in uno dei principali network di comunicazione internazionali, dove ho realizzato molte campagne pubblicitarie per note aziende.

Ci racconta i suoi lavori maggiormente rappresentativi?

Con i miei lavori cerco di omaggiare i musicisti che con la loro musica mi hanno sempre accompagnato. I miei preferiti sono da sempre i Rolling Stones, in particolare Keith Richards. Gli Stones sono stati spesso additati come nemici pubblici, per la loro immagine definita oltraggiosa. Immagine basata sugli scandali, sulla droga e sugli eccessi di cui la loro carriera è sempre stata costellata. Rappresentare Beggars Banquet è stato impegnativo, sia per la complessità del soggetto che per le dimensioni (m.2×1), ma sono stato gratificato, il dipinto è stato acquistato da una fondazione. Con la finalizzazione di questo lavoro ho capito che mi potevo spingere oltre nel creare lavori ancora più complicati.

Qual è la sua cifra stilistica, qualora ce ne fosse una in particolare?

Ritraggo i personaggi nella maniera più realistica possibile, per le mie capacità, cercando di conferire loro più “anima” con l’uso di colori dai toni caldi, in modo da accentuarne il contrasto e i chiaroscuri. La mia pittura è un interpretativo omaggio alla British Pop Art, in modo particolare alla pittura di Peter Blake che di quella corrente artistica è considerato il padre.

Perché molti dei suoi dipinti omaggiano la musica rock?

La musica rock è stata la colonna sonora della mia generazione, da molti definita “folle”, ma capace di creare l’irriverente genialità della Controcultura, e i musicisti che danno vita alle mie opere ne sono stati fra le bandiere. Icone di una generazione dalle forti tensioni e contraddizioni che, con la forza delle proprie idee, è riuscita a scarnificare e poi rigenerare, in maniera indelebile, il pensiero, il costume e il modo di vivere delle persone in ogni parte del mondo. Controcultura che è diventata, con pieno diritto, patrimonio della cultura collettiva. Quei musicisti ne faranno parte per sempre.

Jimi Hendrix. Ritratto di Gabriele Vegna

Jimi Hendrix. Ritratto di Gabriele Vegna

Quali icone, in particolare, hanno scaturito un interesse artistico nella sua anima?
Sono molti, per citarne alcuni: Jeff Beck, Steve Winwood, Frank Zappa, Jimi Hendrix, che ho avuto la fortuna di vedere in concerto, a Milano nel 1968, quando avevo 15 anni e Keith Richards. Credo che Richards rappresenti l’icona che meglio rappresenta il rock, con le rughe scolpite da una vita vissuta senza risparmiarsi, le mani deformate dalle migliaia di accordi suonati, il look stravagante e volutamente trascurato, ma è sopratutto un chitarrista, oltre che un compositore, ineguagliabile e i suoi riff sono e saranno sempre materia di studio per le future generazioni di musicisti. Frank Zappa. Il GENIO. Spirito libero dalla mente acuta. Musicista, compositore e scrittore di testi irriverenti. Nemico di ogni tipo di droga, del falso moralismo, dell’ipocrisia sessuofoba, del capitale. Frank Zappa, forse, è stato il musicista che meglio ha saputo sperimentare stili e linguaggi artistici differenti. Creatore di uno stile musicale inconfondibile, le sue composizioni non sono etichettabili. La sua musica è una perfetta miscellanea di rock’n’roll, blues, musica contemporanea e jazz, elaborata con intelligenza e personalità musicale.

Cosa pensa della piattaforma Piazza delle Arti?

Molto utile per far conoscere artisti che non hanno possibilità di esporre i loro lavori. L’idea dei mecenati trovo che sia un punto di forza di Piazza della Arti. Purtroppo sta diventando una cattiva abitudine corrente chiedere soldi a chi intende esporre. La maggior parte di queste “mostre” a pagamento servono solo per spillare soldi e non portano nulla di concreto. Piazza delle Arti si pone come una valida alternativa al tradizionale circuito delle gallerie d’arte, sempre più difficile da raggiungere, le gallerie ormai difficilmente investono negli artisti non affermati.

Che riscontro ha avuto l’esposizione al Ronchi 78?

A dire il vero non molto, a parte un paio di persone interessate ai miei lavori… interesse che però non si è concretizzato. Il vero riscontro è questa intervista, oltre ad alcune recensioni sull’esposizione che sono state pubblicate su vari siti. Anche se preferisco non esporre nei locali, con Ronchi 78 è stata comunque una buona esperienza. I proprietari del locale sono persone cordiali e gentili, fra l’altro Max si occupa di musica, credo che abbia una sua etichetta e permette a molti  musicisti di esibirsi nel suo locale.

Ritratto di Gabriele Vegna

Ritratto di Gabriele Vegna

A cosa sta lavorando attualmente?

Inerente alla pittura sto realizzando dei nuovi soggetti, a ottobre intendo organizzare una nuova personale. Altri progetti, sto ultimando la stesura di un romanzo, altra mia passione è scrivere e, non ultimo, sto cercando di realizzare il mio sogno nel cassetto, quello di aprire uno spazio espositivo che, oltre ad accogliere i miei lavori, permetta anche ad altri artisti di esporre, naturalmente senza chiedere loro alcun contributo.

Quali prospettive ci saranno per la pittura in futuro?

Di artisti giovani e talentuosi ce ne sono molti e davvero bravi, prima o poi verranno scoperti. Anche se attualmente le gallerie d’arte stanno attraversando un periodo di forte crisi, credo che il talento, prima o poi, venga sempre premiato.

Si ringraziano Gabriele Vegna e Sara Bricchi per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

Intervista a Marco Sbarbati, un cantautore #Inviaggio

Marco Sbarbati - Se_b (2)Marco Sbarbati è un giovane cantautore marchigiano che sta provando ad affacciarsi sullo scenario musicale italiano proponendo una musica che spazia tra dolce delicatezza e sofisticata intensità espressiva. Il suo ep, onomimo, si compone di 5 brani, a cavallo tra italiano e inglese, ed è stato prodotto da Corrado Rustici. Al fine di conoscere più a fondo questo progetto discografico, abbiamo raggiunto Marco Sbarbati al telefono anche per raccogliere le impressioni e i commenti del cantautore in merito alla sua recentissima avventura live, intitolata #InViaggio, che l’ha portato nelle piazze delle più importanti città d’Italia.

Com’è andato questo tour nelle piazze d’Italia e che riscontri hai avuto?

E’ stata un’esperienza veramente molto bella, sicuramente stancante ma va benissimo così! Ho girato in tanti posti e ogni piazza è diversa, anche nell’approccio con il pubblico… un percorso molto intenso e gratificante.

Ci sono anche degli input compositivi?

In questo tour sono stato sempre in movimento e mi sono mosso così velocemente che ho preferito memorizzare i posti e le sensazioni.

Hai portato il quaderno delle dediche con te?

Quello purtroppo no perché si trovava nella custodia di un’altra chitarra, la prossima volta lo porterò. In ogni caso, ogni tanto c’era qualcuno che mi lasciava dei bigliettini per dirmi che ha apprezzato la mia musica, un pensiero molto carino.

Quali sono i temi del tuo ep e come hai lavorato con Corrado Rustici?

Ho lavorato con Corrado in California, lo seguo da tempo e mi piace il suo approccio internazionale alla musica. Nel mio ep ci sono brani che ho scritto durante l’università e che rappresentano quella parte della mia vita in cui mi sono trasferito dal mio paesino a Bologna. Si tratta, quindi, di un lavoro che mi rappresenta, sono canzoni piuttosto intime.

Nel video di “Se”, il regista Tiziano Russo ha raccontato di essersi concentrato sugli attimi e sulla gestualità dei protagonisti… Tu come hai vissuto le riprese del video? Ti rispecchi in questa chiave interpretativa?

Ho scelto il soggetto di Tiziano tra altri che mi erano arrivati, l’ho scelto perché, mentre l’ho letto, ho sentito subito una sensazione positiva e simile a quella che intendevo lanciare con la mia canzone. Il fatto di aver girato il videoclip a Bologna con un team di miei amici è stato un surplus ultra perché quando lavori con persone che conosci, e con cui ti senti a tuo agio, viene sempre fuori qualcosa di bello.

Nel tuo lavoro due canzoni sono in italiano e tre in inglese… qual è la lingua a cui ti senti musicalmente più vicino?

Marco Sbarbati (2)

Marco Sbarbati

Ho scelto i brani che mi piacevano di più, anche insieme a Corrado Rustici e sono stato super contento del fatto che, sebbene io gli abbia mandato diversi brani, lui abbia scelto gli stessi che anche io volevo registrare. Ci siamo trovati in tutto e per tutto sulla scelta delle canzoni. Sono partito con la scrittura in inglese però poi mi sono fermato un attimo e mi son detto: “Sono nel mio paese, abbiamo una lingua bella perché non provare a scrivere in italiano?”… Sto cercando di trovare un equilibrio tra suono, genere e linguaggio.

Qual è il brano a cui sei più legato di questo Ep?

Sicuramente “Ocean”, l’ultimo brano. Anche se i miei amici dicono che questo è quello che apprezzano di meno,  io ci sono affezionato perché è quello che, più di altri, rappresenta un periodo della mia vita che ho descritto anche  inconsciamente in questo brano.

Che repertorio stai offrendo al pubblico in questo periodo?

Naturalmente canto le canzoni del mio ep per promuoverle però continuo anche a fare delle cover perché, quando sono per strada, ci sono delle regole, anche non scritte, necessarie per conquistare il pubblico. Ci sono delle perle del mio repertorio che amo cantare e che attirano l’attenzione come “Hallelujah” di Leonard Cohen, “A Case of You” di Joni Mitchell, tanti brani dei Coldplay e altre piccole gemme musicali.

Come mai la scelta di lanciare l’hashtag #inviaggio su Instagram?

Io sono un amante dei viaggi e, visto che ho iniziato a suonare per strada, ho pensato di provare a promuovere questo ep partendo proprio dal mio mondo. Per annunciare i miei live in piazza e in giro nei vari locali ho sempre usato i social networks e quindi ho unito le due cose. Ci sono molti ascoltatori attivi anche su Instagram che mi scrivono e mi incoraggiano ad andare avanti.

Quali saranno i prossimi passaggi del tuo percorso artistico?

Parteciperò al Busker Festival di Ferrara il 23 e 24 agosto, poi ad un festival nelle Marche a Morrovalle a luglio e, naturalmente, non appena arriveranno altre novità le posterò subito sui miei canali social.

Si ringraziano Marco Sbarbati e Sara Bricchi per Parole e Dintorni

Raffaella Sbrescia

Video: “Se”

Intervista ai Moseek: “La nostra musica è un imperdibile show”

Moseek_01 (2)

Moseek

I Moseek sono una band nata nel 2010 composta da Elisa Pucci (voce, chitarra e autrice), Fabio Brignone (basso, synth e cori) e Davide Malvi (batteria e sequencer). Il genere della band si muove tra rock ed elettronica finalizzato al pieno coinvolgimento del pubblico in un vero e proprio show.  Nel loro percorso artistico i Moseek hanno toccato in lungo e largo l’Italia, partecipato a numerosi festival condividendo il palco con tantissime band tra cui “I Ministri”, “Tre Allegri Ragazzi Morti”, “Linea 77”, “Giuliano Palma & The Bluebeaters”, “Bud Spencer Blues Explosion”, “Perturbazione” e molti altri.  “Leaf” è il titolo del loro disco d’esordio,  abbiamo raggiunto Elisa Pucci al telefono per farcelo raccontare ma anche per sapere qualcosa in più sulla fase di gestazione del prossimo lavoro discografico di un gruppo che ha molto da dire.

Quali sono stati i passaggi che hanno forgiato l’identità artistica dei Moseek?

Il passaggio più importante è stato sicuramente il tour che abbiamo fatto in Inghilterra nel 2012. Lì abbiamo ascoltato tanta  musica nuova, che è stata per noi fonte di tanta ispirazione, sia per quanto riguarda l’aspetto musicale che per la concezione di organizzazione di un concerto. Inoltre abbiamo incontrato tanti musicisti, con tanta esperienza alle spalle, e questo ci ha offerto l’occasione di apprendere davvero molte cose.

Ci parli della cifra stilistica e dei temi che affrontate in “Leaf”?

In questo disco affrontiamo temi piuttosto vari. C’è molta autoanalisi, ci poniamo molte domande su come si affronta la vita ma queste canzoni rappresentano anche un modo per stemperare vicende sia brutte che belle che abbiamo vissuto. I testi sono autobiografici, l’amore è tra i  temi più affrontati nel disco mentre l’altra grande protagonista è la Chiesa; ci siamo posti un vero e proprio interrogativo su quello che essa oggi rappresenta.

Come hai lavorato alla scrittura dei testi e quali sono i sono stati i vostri punti di riferimento?

In genere scrivo sempre in maniera molto spontanea e spesso le situazioni che vivo mi portano a scrivere molto velocemente. Per esempio “Pills”, in cui parlo di come mandare giù un boccone amaro, è stata scritta proprio in 5 minuti, sia per quanto riguarda il testo che la musica in sala di registrazione. L’approccio alla scrittura è, quindi, molto diretto.

La scelta della lingua inglese si rifà ad un motivo specifico?

Si tratta semplicemente di un’attitudine. Fin da quando ero piccola ascolto musica in inglese quindi non si tratta di una scelta a priori.

copertina Leaf (2)“Bocconi da mandar giù in “Pills”, sentimenti soppressi in “Something to Dig”…c’è qualcosa di inespresso in questo album?

Essendo un disco concepito nel 2012, ho cercato di metterci dentro quello che è successo in quel periodo, proprio per questo motivo, però, “Leaf” non rappresenta appieno quello che suoniamo adesso, quindi la parte inespressa del disco è più relativa alla parte musicale piuttosto che quella testuale dei Moseek.

Nell’ambito live che tipo di concerto è il vostro?

Concepiamo il concerto come un vero e proprio show, cerchiamo di portare avanti l’idea di uno spettacolo, abbiamo scenografia e luci mirate ad enfatizzare momento per momento ogni brano.Per queste ragioni anche i pezzi sono concepiti per la dimensione live, il nostro obiettivo è stabilire una maggiore connessione con il pubblico, cerchiamo di colpire le persone non solo dal punto di vista musicale ma anche visivo quindi è molto importante avere un impatto a 360 gradi; questa è una cosa che ci diverte fare.

Qual è il vostro habitat naturale?

Qualsiasi palco per noi è degno di nota, qualsiasi tipo di occasione per noi è l’ideale, non ce n’è una che disdegniamo o che preferiamo. Ogni palco, dove c’è pubblico, fa il suo.

Quali saranno i prossimi passi del vostro percorso artistico?

Stiamo mettendo giù le altre date del tour e poi stiamo lavorando alla pre-produzione del nuovo album perché  il disco che è uscito lo scorso gennaio appartiene al 2012 e ha vissuto la fusione di due autoproduzioni che avevamo fatto in precedenza, per cui abbiamo molto materiale nuovo che vogliamo assolutamente mettere su disco!

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Elisa Pucci e Marialuisa Simbula per Safe & Sound Ufficio Stampa

Video: “Steal-Show”

Intervista a Ylenia Lucisano: “Vi racconto il mio Piccolo Universo”

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Ylenia Lucisano è una giovane cantautrice di origini calabresi. Abbiamo già avuto modo di imparare ad apprezzare la raffinatezza della sua voce in “Quando non c’eri”. Oggi Ylenia aggiunge un nuovo importante tassello all’interno del proprio percorso artistico con il disco d’esordio intitolato “Piccolo Universo”. Composto da dieci brani, di cui due a firma di autori (e cantautori) di rilievo come Pacifico e Daniele Ronda, e uno con la collaborazione della pianista Giulia Mazzoni, questo album offre un interessante e variegato spaccato della personalità di Ylenia. Candidata tra gli artisti selezionati per il “Music Awards – Next Generation 2.0”, fino al  28 Maggio, Ylenia Lucisano rientra gli emergenti più apprezzati nel panorama musicale italiano.

Con “Piccolo Universo” coroni il sogno di pubblicare il tuo primo album. Cosa racconta di te e della tua visione musicale questo disco?

“Piccolo Universo” racchiude tutti i passaggi di questi ultimi anni, in cui ho fatto il possibile per la realizzazione del disco. Per quanto riguarda i contenuti di questo lavoro, posso sicuramente dire che si tratta di un album spontaneo, i testi sono diretti come me e ho colto questa opportunità per passare attraverso vari generi musicali. Si va dalla musica dalla musica pop cantautorale al folk, senza tralasciare vari riferimenti elettronici. Non mi sono voluta soffermare su un solo genere, anche perché, trattandosi del mio primo disco, non volevo autolimitarmi e ho voluto sperimentare per capire quale fosse la direzione musicale migliore da prendere e per farmi conoscere dal pubblico a 360 gradi.

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

La title track “Piccolo Universo” è scritta da Pacifico. Com’è avvenuto questo incontro artistico e qual è il tuo commento ad un brano tanto intenso?

Si tratta di una canzone che parla di un aspetto molto importante dell’amore, ovvero la fiducia. Il messaggio è un invito a lasciarsi andare e a vivere il rapporto vivendo l’attimo. Sono molto contenta della collaborazione con Pacifico, che non aveva mai scritto per artisti emergenti, questa cosa che mi rende portatrice di una certa responsabilità e mi fa proprio piacere.

“A mot e luna”, “Jett u Sal”, “Movt Movt”rappresentano le tue origini calabresi e un aspetto molto importante della tua personalità. Quanto conta per te la tradizione e come cambia il tuo approccio al canto durante brani come questi?

Quando canto in dialetto mi sembra di tornare un po’ bambina. Avendo lasciato la Calabria da ormai sei anni, anche se solo fisicamente, questo è anche un modo per ricordare e non perdere mai  modi di dire e tradizioni. Sicuramente in questi brani c’è una carica emotiva diversa anche per queste ragioni. Naturalmente questo è anche un modo per omaggiare e ringraziare la mia terra per avermi trasmesso la passione per la musica.

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

In “Riscoprirmi” il cantautore Daniele Ronda ti affida il delicato compito di dare voce ad un tabù tutto femminile, qual è l’autoerotismo. Come interpreti il testo e qual è, più in generale, il senso di questa canzone?

Sicuramente il brano non si riferisce ad un discorso legato alla carnalità, d’altro canto il tema del brano si rifà all’autoerotismo come ad un modo per riscoprire noi stesse, per conoscerci e per dare spazio a degli aspetti reconditi della nostra personalità.

Ti senti sposa della musica, come canti in “Marylin Monroe”?

Il finale del brano, in questo senso, vuole intendere un’altra cosa: per me l’attesa di cui si parla nel testo è l’attesa di una sposa davanti all’altare… Visto che io non ho una visione del matrimonio tradizionale ma sogno, bensì, di sposarmi a Las Vegas e travestirmi da Marylin Monroe, un pensiero che ho sin da quando ero piccola, mi piacerebbe trovare un’anima gemella che condivida questo mio pensiero bizzarro. Dato che, inoltre, in questo periodo della mia vita non penso al matrimonio, ho paragonato questa attesa a quella prima dell’esibizione sul palcoscenico.In ogni caso lo spirito del brano è assolutamente libero alle più svariate interpretazioni.

Lo specchio è un nemico o un compagno per te?

Beh, tutt’e due…Dipende da come ci si sente! A volte lo specchio può aiutare a risollevarci in un momento critico o a guardarci in modo diverso. Nel brano, quest’oggetto è pensato più come un amico, qualcosa in cui ci riflettiamo senza falsità.

Ci parli de “Il silenzio della neve”?

Ho scritto questo brano un po’ di tempo fa pensando a una persona con cui adesso non ho più rapporti. Il testo parla di persone molto speciali che, anche se lontane, ci lasciano comunque un segno. Proprio queste persone restano attraverso profumi, sensazioni, colori e suoni che ritroviamo durante il giorno.

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Ylenia Lucisano Ph Angela Caterisano

Quali suggestioni hanno ispirato te e Giulia Mazzoni per la costruzione di un brano così intenso come “Un angelo senza nome”?

Il brano è stato scritto un bel po’ di tempo fa e lo tenevo chiuso nel cassetto… mi è venuto spontaneo scriverlo quando, da lontano, avevo visto delle persone che operavano in un contesto molto difficile. Solo in un secondo momento l’ho fatto ascoltare a Giulia, lei si è emozionata e le ho chiesto di un’interpretazione strumentale che desse rilevanza ad un testo molto delicato, che non necessitava di un arrangiamento invasivo. Il risultato è stato molto naturale e spontaneo, abbiamo registrato tutto con un solo take.

Il prossimo 11 luglio parteciperai al Ravello Festival… Quali sono i tuoi pensieri e le tue aspettative a riguardo?

Intanto mi sto preparando ai concerti che terrò nel prossimo periodo… le date saranno ovviamente comunicate sui miei canali ufficiali. Mi esibirò in trio: voce, chitarra classica e percussioni; ho pensato ad una formazione elegante e sintetica, grazie al fatto che i brani si prestano a degli arrangiamenti abbastanza semplici. Poi ci sarà ovviamente la data di Ravello, un Festival a cui prenderanno parte artisti di tutto il mondo e io, in quanto artista emergente, dovrò dimostrare ad un pubblico esigente che ho qualcosa da dire a livello artistico…proprio per questo mi sto preparando nel miglior modo possibile.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Ylenia Lucisano e Alessadra Bosi di Parole e dintorni per la disponibilità

Video: “Movt Movt”

Previous Posts Next Posts