“…E Fuori nevica”: il film di Salemme nelle sale dal 16 ottobre. La recensione della colonna sonora

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Sarà in tute le sale italiane, a partire dal prossimo 16 ottobre, “…E FUORI NEVICA”, il film di Vincenzo Salemme, tratto dalla trasposizione cinematografica della commedia teatrale del 1994, nata da un’idea di Enzo Iacchetti. A distanza di 20 anni Enzo (Salemme), Stefano (Carlo Buccirosso) e Cico (Nando Paone) torneranno a divertire il pubblico italiano attraverso le loro storie ed il tentativo di incrociare tre universi paralleli. Incontri, scontri, gag,  amori, amicizie e drammi familiari saranno al centro di un lavoro incentrato su una comicità di situazione. Ad accompagnare il film, ci sarà l’omonima colonna sonora, in uscita il prossimo 14 ottobre, realizzata ad hoc da Paolo Belli, suonata dalla big band e prodotta da Roberto Ferrante per Planet Records. Sonorità swing e ritmi jazzati attraversano le tracce proposte in una tracklist allegra e legata a doppio filo con i temi proposti nel film.

Nel brano “Splash” Paolo Belli duetta con lo stesso Vincenzo Salemme, riprendendo i tratti caratteristici della tradizione musicale italiana. Molto più sbarazzine le melodie di “Italian Boogaloo”, “Veramente Jazz”, “Senti Che Rombombom” (versione italiana di “Hot Hot Hot”). Il tema della diversità viene affrontato con leggera spensieratezza in “Io Non Sono Uno Normale” mentre la drammatica brevità di “E’ Finito Il Teatrino” ci riporta repentinamente coi piedi per terra. Vincenzo Salemme bissa la propria performance canora nella versione solista di “Splash” mentre il brano che chiude i titoli di coda è “Rido”. Testo e melodia si intrecciano creando i cardini di una struttura inossidabile; parole intense, profonde e significative provano a fornirci gli strumenti per reagire alle difficoltà contingenti, continuare il cammino e guardare lontano, senza mollare mai. Le voci di Paolo Belli e della cantante ed attrice Loretta Grace si fondono all’interno di una dimensione sonora equilibrata e coinvolgente, offrendo, dunque, all’ascoltatore, una gradevole parentesi riflessiva.

L’intervista

Presente all’incontro di presentazione con la stampa, Loretta Grace si è gentilmente prestata ai nostri microfoni raccontando non solo la sua partecipazione alla realizzazione della colonna sonora del film ma anche alcune delle importanti esperienze professionali che stanno rendendo il suo curriculum artistico davvero prestigioso.

Loretta Grace con Vincenzo Salemme e Nando Paone

Loretta Grace con Vincenzo Salemme e Nando Paone

Come hai lavorato al brano “Rido” ed in cosa consiste il tuo contributo vocale?

“Rido è il brano che chiude la proiezione del film. Pur essendo già stato ritmato, ho modulato l’aspetto creativo della melodia. Per quanto riguarda il testo, credo che esso proponga dei temi e degli spunti interessanti; durante la promozione io e Paolo non ci stancavamo mai di sottolinearne la profondità”.

Sei stata la protagonista del musical “Sister Act” presso il Teatro Nazionale di Milano…come andò l’incontro con la leggendaria Whoopi Goldberg?

“Avvenne tutto grazie alla regista dello spettacolo. “Sister Act” viene rappresentato ormai in tutto il mondo e Whoopi partecipa solo ad alcune prime. Nel mio caso, lei era interessata a conoscere uno dei pochi neri italiani che avevano mai preso parte a questo show e fu un’emozione grandissima, mi ha dato molti consigli e mi ha caricato a mille”

Cosa ci racconti della tua esperienza in “Ghost”?

“Beh, sicuramente me la sono goduta di più. Il mio personaggio era scritto molto bene e ha messo in luce le mie qualità. Anche il compositore delle musiche del musical Dave Stewart è stato entusiasta della mia performance”.

La tua vocalità di presta molto bene a diversi generi musicali ma qual è la tua dimensione ideale?

“Partendo dal presupposto che mi sento italiana al 100% visto che sono nata a Teramo e che sono cresciuta nelle Marche, sono molto vicina alla componente black & soul della mia voce. Sono figlia d’arte, mio padre e mio nonno lavoravano in ambito musicale e sono davvero tanti i riferimenti che mi hanno fornito nel corso degli anni”.

Stai lavorando anche ad un disco tutto tuo?

“Sì. Attualmente sono in fase creativa, sto lavorando ad un disco di inediti ma, dato che sono anche nel cast di una parodia ispirata al best seller “50 Sfumature di grigio”, mi sto concentrando principalmente sui testi poi, presumibilmente da gennaio, sarò in sala di registrazione… non vedo l’ora!

 

 

Intervista a Kìmel: Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro”

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La cantautrice-chitarrista cremonese Kìmel presenta “Distanti”, un brano autobiografico dalle sonorità pop rock, scritto e arrangiato da lei stessa e che anticipa l’uscita del disco, prevista per l’inizio del prossimo anno. Autrice e compositrice inquieta e particolarmente attenta al dettaglio, Kìmel propone un rock intimista, dal piglio immediato. In questa intervista la giovane artista ci accompagna alla scoperta del suo mondo fatto di note imprevedibili ed appassionate.

Kìmel, sei cantautrice e musicista diplomata in Conservatorio in Chitarra e Pianoforte. Quali caratteristiche di questi due strumenti rispecchiano maggiormente la tua personalità?

Entrambi influenzano notevolmente la mia personalità artistica. La chitarra elettrica rappresenta ‘l’alternativo” ovvero la mia inspirazione rock mentre il pianoforte rappresenta la classicità musicale che mi ha formata e continua ad essere fortemente presente.

In che modo la città di Cremona influenza i tuoi ascolti e i tuoi riferimenti musicali?

Cremona mi ha cresciuta per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Ha influenzato i miei studi, ho respirato la sua tradizione musicale, che ho amato e da cui ho attinto molto . Si tratta di un’ impronta dominante.

Il tuo rock è molto personale, teso e viscerale… cosa intendi comunicare attraverso le tue composizioni?

Le mie composizioni raccontano ciò che vivo, ho vissuto e sento. Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro” … Ancora oggi mi aiuta a conoscermi, ad esplorare ciò che ancora è inesplorato.

Cosa ti dà e cosa ti toglie l’esibizione live?

Il live a mio avviso aggiunge sempre, difficilmente toglie. Personalmente è il mezzo più immediato che conosca per emozionare ed emozionarsi.

“Distanti” è il tuo nuovo singolo, in cui il niente pare essere il protagonista assoluto, è davvero così o c’è dell’altro?

Il “niente” è il vero protagonista del brano. Ho cercato di descrivere la sofferenza che causa l’incomunicabilità, quel sapore amore in cui tutto è vano ed ogni sforzo risulta “contro corrente”.

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La tua voce potente travolge l’ascoltatore con intensità. Nel caso specifico di questa canzone, il tuo canto lascia trasparire una sensazione di drammatica disperazione…Ci racconti da dove nasce questo testo e quali suggestioni intende ispirare nell’animo altrui?

Sono una visionaria, mi avvalgo di immagini quando compongo. In “Distanti” l’immagine del “niente” ha preso il sopravvento. La consapevolezza che tutto è andato perso, è una sofferenza molto più dolorosa del non aver mai avuto nulla. Ho cercato di esprimere la profonda amarezza con il testo mentre ho volutamente discostato l’arrangiamento verso tinte molto più morbide,  “cautamente” solari e serene.  Questo per sottolineare ancora maggiormente quanto sia destabilizzante e in disequilibrio l’immagine contraddittoria del “niente”.

Questo brano anticipa il nuovo album in uscita il prossimo anno… cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Come e con chi ci stai lavorando su?

Sarà un album in cui i veri protagonisti saranno i suoni, i silenzi ed il rock. I brani sono arrangiati da me, per cui mi avvalgo della mia collaborazione (ride ndr)

Quali sono le altre tue passioni e gli eventuali progetti paralleli?

Non ho altre passioni che non siano strettamente collegate alla musica, per cui i miei progetti restano totalmente indirizzati ad essa. Avrei un sogno più che un progetto: poter vivere di musica con la musica. Chiedo molto vero??!!

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Cucu Diamantes: ” La mia vita tra musica e cinema”

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Cantante e attrice versatile, capace di passare dal pop al rock alle sonorità caraibiche, Cucu Diamantes ha collaborato con grandi nomi del panorama musicale internazionale. Il prossimo 10 ottobre l’artista sarà ospite d’eccezione durante la serata conclusiva della terza edizione di “Scoprir, mostra del cinema iberoamericano di Roma”, organizzata dal Cervantes a cura di Gianfranco Zicatelli e Jose Cantos, per presentare il film di Jorge Perugorría, “Amor crónico”, di cui Cucu è protagonista. Il progetto è, in realtà, un docu-film che segue in tour per tutta Cuba una sgargiante ed eccentrica cantante ed intreccia riprese di spettacoli dal vivo con il racconto di una storia d’amore surreale, mostrando un ritratto unico di un’artista che viaggia alla ricerca delle sue radici.

In questa intervista Cucu ha raccontato se stessa, le sue emozioni e i tanti progetti che vedono coinvolta con ruoli di primo piano.

Che cosa racconta il brano “Amor Crónico” e in che modo si lega alla trama dell’omonimo film di Jorge Perugorrìa che presenterai alla III edizione della mostra del cinema iberoamericano?

Il brano in sè parla di un amore che non vuole finire e che, con il passare del tempo, diventa “cronico” quasi come una malattia. Il titolo del film riprende il tema dell’amore inteso come sentimento rivolto al proprio paese, alla propria cultura, alle proprie radici.

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Come hai lavorato alla realizzazione di questo docu-film e cosa ha significato per te dare voce a questo omaggio alla canzone d’amore cubana?

Questo film è nato dalla mia collaborazione con il regista Jorge Perugorria (aka Pichi) ed è un omaggio rivolto non solo agli immigranti che ritornano alle proprie radici ma anche al cinema d’autore cubano e al neorealismo italiano, fonte d’ispirazione del cinema cubano degli anni ‘60.

Cosa ami in particolare della cultura musicale cubana?

 Adoro il fatto che le sonorità e i ritmi non hanno frontiere.

Tu che sei passata dal pop al rock alle sonorità caraibiche, in quale dimensione sonora ti senti più a tuo agio?

La mia voce è irrimediabilmente molto cubana.  Sono influenzata da tutta la musica in generale e mi sento a mio agio con tutte le sonorità possibili.

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Hai tante prestigiose collaborazioni all’attivo… cosa ti hanno lasciato da un punto di vista artistico?

Una delle persone più aperte e disposta a rompere le regole quando collaboriamo insieme è Carlinhos Brown, la sua allegria e la sua vena creativa mi contagiano sempre tantissimo.

Come avete costruito tu e Andres Levin il collettivo YerbaBuena, uno dei collettivi più influenti del latin fusion di New York, e quali sono i tratti che contraddistinguono la cifra stilistica di questa realtà musicale?

Andres Levin ha portato la sua esperienza come produttore musicale (Tina Turner, Chaka Khan, Aterciopelados, David Byrne, Carlinhos Brown, ecc). Insieme abbiamo individuato sia i cantanti  che i musicisti per comporre la banda. Yerba Buena si è nutrita dall’ecletticismo musicale vivente nell’isola di Manhatan.

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crònico

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crónico

Sei stata testimonial per la campagna contro la violenza sulle donne organizzata da Amnesty International, come hai interpretato questo ruolo?

La filantropia è quello che mi fa scendere dalla mia torre d’avorio e che mi arricchisce spiritualmente. Di solito sostengo ogni campagna e movimento di non violenza contro gli esseri umani, non riesco a credere che  nel 2014 nella cosiddetta “società moderna” dobbiamo ancora lottare contro questo tipo di problemi.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni in ambito musicale?

Ho appena finito di girare un altro film con la regia di Jorge Perugorria , la cui sceneggiatura è tratta dal racconto “Fatima o el Parque de la Fraternidad” di Miguel Barnet, vincitore del premio Juan Rulfo di letteratura.  Il mio personaggio  è quello di un transessuale della notte “habanera”. Per concludere, sto lavorando al mio nuovo album e sarò entusiasta di farvelo ascoltare molto presto!

Raffaella Sbrescia

Video: Amor crónico

Intervista a Paolo Di Sabatino: “Trace Elements? Sono i micronutrienti della vita”

Paolo Di Sabatino

Paolo Di Sabatino

“Trace elements” è il nuovo lavoro discografico del pianista e compositore Paolo Di Sabatino, pubblicato su etichetta Irma Records. In questo elegante e ricercato progetto musicale, l’artista ha racchiuso le suggestioni, le influenze e le impressioni del suo e del nostro presente, raggiungendo un risultato in grado di coniugare classe, qualità e contemporaneità. Tante sono le sorprese e le particolarità che Paolo Di Sabatino ha incluso in “Trace Elements” è questa ampia intervista rappresenta l’occasione per scoprirne qualcuna.

Quali sono le idee, le emozioni e i ritagli di vita vissuta che hai racchiuso nel tuo nuovo disco”Trace elements”?

In questo lavoro ci sono tutte le emozioni che mi accompagnano in questo momento della mia vita, soprattutto quelle legate ai miei splendidi figli Caterina e Luigi, fonte inesauribile di ispirazione, insieme a mia moglie Chiara. Le idee musicali sono a loro volta figlie di quello che vivo quotidianamente, non potrebbe essere altrimenti!

Da dove nasce la scelta di questo titolo?

Da una certezza che ho da sempre, cioè quella che nessuno di noi potrebbe mai fare a meno della musica. Trace Elements sono, in biochimica, i micronutrienti. Ognuno di noi si nutre di musica, dalla nascita! E poi nel titolo c’è un’assonanza col numero 3, come i componenti del gruppo.

Nel tuo lavoro hanno partecipato due eccellenze musicali…stiamo parlando di Peter Erskine, batterista riferimento negli ultimi quarant’anni di jazz,  e del bassista Janek Gwizdala, definito “l’astro nascente del basso elettrico a livello mondiale”… Raccontaci come avete instaurato il vostro rapporto di amicizia, in che modo i due artisti hanno preso parte al tuo progetto e cosa ha significato per te questa collaborazione.

Suonare e registrare con Peter è stata una delle soddisfazioni più belle della mia vita. Ci conosciamo da anni, e di tanto in tanto gli ho sempre inviato qualcosa di mio. Un giorno ho ricevuto una sua email di congratulazioni per un mio cd, e da quel momento ho capito che avrei potuto pensare ad un progetto con lui. Io amo suonare con chi dimostra una certa affinità col mio mondo musicale e palesa apprezzamento per le mie composizioni. In effetti lo scorso marzo ho avuto la prova che tra me e Peter c’era la giusta sintonia, e dall’ascolto del CD credo si evinca senza dubbio alcuno. Peter ha dato un grande apporto umano e musicale, ed è stato lui peraltro (conoscendo la mia musica) a presentarmi Janek, ritenendolo perfetto per questo progetto. E ha avuto ragione!

Paolo Di Sabatino

Paolo Di Sabatino

La prima traccia contenuta in “Trace elements” è “Driving blues”, un brano ispirato alla vita on the road di voi artisti…cosa ti regala questo stile di vita e cosa, invece, pensi possa toglierti?

Innanzitutto mi ha regalato l’ispirazione per scrivere dei brani! Anni fa ho anche composto “F.S. Blues”, dedicato ai miei viaggi in treno. Credo di aver raggiunto un sano equilibrio nella gestione del mio stile di vita. Non sono un musicista che suona tutte le sere, non avrei le forze e l’ispirazione per farlo. Quindi le volte che parto, anche se sto fuori un mese, sono bello carico e pieno di energia. Quando torno ho sempre tempo di rilassarmi, recuperare appieno e godermi la casa e la famiglia.

Cosa vorresti che la tua musica comunicasse al pubblico e a quali contesti credi che le tue composizioni si prestino al meglio?

Vorrei sempre comunicare emozioni intense, che si tratti di un brano del mio trio jazz, di una canzone o di una ninna nanna. Sarebbe una tragedia lasciare indifferenza a chi ascolta, è la cosa che mi ferirebbe di più. Metto l’anima in ogni nota che suono e che scrivo sul pentagramma, negli ambiti più disparati, e credo che le melodie che compongo siano adattabili a molti contesti, dallo strumentale jazzistico al cinema. La melodia è sempre il comune denominatore della mia musica e spero sempre di riuscire nell’intento di regalare qualcosa a chi mi ascolta: un sorriso, un pensiero, anche una lacrima, perché no.

In “Trace elements” ci sono anche due standard jazz uno è “Nature Boy”  di Eden Ahbez, l’altro è “They Can’t Take That Away from Me” di George Gershwin; come mai hai scelto proprio questi due brani? Sono legati in qualche modo alle altre tracce che compongono l’album?

Nessun legame particolare, se non il fatto che sono delle melodie che amo. Gershwin però è uno dei miei compositori preferiti, e mi vanto pure di essere nato il 26 settembre come lui!

“Time for fun” è un “lusso” che sempre meno persone possono permettersi, l’hai inserito per sottolinearne l’importanza vitale?

Assolutamente si! Oggi si corre a destra e a manca, senza un attimo di respiro. Ovviamente mi riferisco a chi ha la fortuna di avere un lavoro, che sta diventando quello si un lusso, cosa che stride molto in un Paese dove il primo articolo della Costituzione dice che siamo una repubblica fondata sul lavoro. Il privilegiato che lavora però, spesso lo fa perdendo di vista l’essenza della vita, alla ricerca spasmodica di un benessere economico maggiore. Perdendo di vista così il fatto che il benessere reale è quando ti fermi a guardare un tramonto, quando mangi bene e bevi meglio, quando leggi un bel libro o vedi un bel film, quando riesci a dedicare tempo agli amici e alla tua famiglia: “Time for fun”, appunto.

Ci racconteresti com’è nato il neologismo “Ciclito”?

Mio figlio Luigi ha una sorta di triciclo col quale scorrazza per casa. Spesso e volentieri i bimbi storpiano le parole, soprattutto quelle più difficili. Ed ecco nato “Ciclito”! Ho scritto il brano di getto, immaginando Luigi in frenetica attività su suo amato triciclo/ciclito.

Come nasce e come si sviluppa la bonus track “Ce que j’aime de toi”, scritta a quattro mani con Kelly Joyce?

Conosco Kelly da molti anni, ma a parte una jam session, non avevamo mai avuto l’opportunità di collaborare. Ho pensato che questo brano potesse essere giusto per lei, cantato in francese. Gliel’ho inviato e le è piaciuto subito. Così ha scritto il testo e lo abbiamo inciso. C’è anche un bellissimo videoclip su youtube (http://youtu.be/iDoWMvq7fv4)

Hai collaborato con tantissimi artisti, sia italiani che stranieri, come riesci a conciliare, di volta in volta, il tuo stile con quello altrui?

Diciamo che cerco di collaborare con musicisti che sento affini già prima di suonarci insieme. Va fatto invece un discorso diverso per i cantanti. Quando accompagno i cantanti cerco sempre di immedesimarmi nel loro stile e nelle canzoni che cantano, col l’obiettivo di valorizzare musica e testo, senza perdermi in inutili e dannosi virtuosismi che prevaricherebbero l’interpretazione vocale. Il jazz è bellissimo, ma senza controllo può diventare deleterio!

Paolo Di Sabatino Ph Alessandro Pizzarotti

Paolo Di Sabatino Ph Alessandro Pizzarotti

Sei docente di musica d’insieme e coordinatore del dipartimento di jazz presso il Conservatorio Alfredo Casella di L’Aquila… come sono cambiati, negli anni, i metodi di insegnamento e le modalità di apprendimento da parte degli studenti?

Veniamo da una recente riforma che ha trasformato i Conservatori in Istituzioni di Alta Cultura, come le Università. I metodi non sono cambiati, è cambiata la forma. Ora ci sono i corsi pre-accademici, poi la laurea triennale e poi il biennio superiore. Ci sono molte materie complementari che però tolgono, di fatto, tempo prezioso allo studio dello strumento a casa. Secondo me è una riforma zoppa, che in ambito classico ha anche eliminato la possibilità di sostenere esami da privatista. Mia figlia Caterina, ad esempio,  studia pianoforte con mio padre, che a causa di questa riforma non potrà portarla a compimento degli studi. Dovremo per forza iscriverla in un Conservatorio o Liceo musicale. Secondo me è un’assurdità. La ciliegina sulla torta è che non ci hanno nemmeno equiparato gli stipendi a quelli dei docenti universitari…

A novembre sarai in tour e ti dividerai tra Russia, Cile ed Argentina… che tipo di concerto offrirai al pubblico e come riesci ad instaurare un feeling empatico con la platea internazionale?

In Russia suonerò col progetto “Inni d’Italia”, con l’amico fisarmonicista Renzo Ruggieri. Abbiamo in repertorio i classici della melodia italiana, da Verdi a Baglioni, si tratta di un progetto che abbiamo già portato in Russia, con grande soddisfazione nostra e del pubblico russo. In Cile ed Argentina invece suonerò col mio trio (con mio fratello Glauco alla batteria e bassisti sudamericani che troveremo nelle città dove ci esibiremo, la cosa rappresenterà una preziosa possibilità di scambio artistico e culturale), quindi la mia musica. Mi esibirò anche al festival jazz di Buenos Aires e devo dire che la cosa mi emoziona al solo pensiero. Sento grande affinità con il Sudamerica, da sempre. Poi in Argentina ci sono tantissimi italiani! Sarà meraviglioso per me, e spero anche per loro,  fargli ascoltare le mie melodie.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Time for fun”

Intervista a Michele Mangano: “Vi racconto il mio amore per la tarantella”

Michele Mangano Ph Pietro Armiento

Michele Mangano Ph Pietro Armiento

Michele Mangano è un ballerino, maestro e coreografo di fama mondiale, che ha fornito un importante contributo alla diffusione della cultura popolare centro meridionale in tutto il mondo, insieme alla sua associazione e compagnia di danza e musica popolare La Bella Cumpagnie – Cultura Etnica Popolare Garganica.  Insignito dalla Regione Puglia del riconoscimento di Ambasciatore del Folk Pugliese nel Mondo, Michele si è raccontato in questa lunga intervista con l’obiettivo principale di avvicinare  le giovani generazioni, non solo alla danza e alla tarantella, ma soprattutto alla conoscenza delle proprie radici storiche, culturali, musicali.

Michele hai dedicato la tua vita alla danza e alla musica popolare… come ti sei avvicinato a questo tipo di realtà musicale e cosa ha alimentato nel corso degli anni la tua passione?

Partirei da quando avevo 14 anni, il momento in cui sono stato folgorato da questa forma d’arte quale è la tarantella. Nasco a Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia, nel territorio del Gargano, un luogo particolarmente noto per il culto micaelico di San Michele Arcangelo, attorno al quale si concentra anche il folklore locale. Quando cominciai quest’avventura fui da subito entusiasta, ero il ragazzo più piccolo e mi accontentavo di portare anche solo le borse. A quei tempi i festival dedicati al folklore erano molto importanti, in particolar modo le rassegne folkloristiche internazionali, e giravo tantissimo insieme ai ballerini. Un giorno mi fecero entrare come riserva in un gruppo folk in cui sono rimasto fino all’’82. Già all’epoca avevo voglia di andare oltre, il professor Campanile, antropologo e docente di Filosofia e Pedagogia, mi diede l’importante incarico di condurre la compagnia per un anno e di fare il capogruppo. Per due anni ho portato avanti quel progetto, poi mi sono distaccato ed ho creato una mia compagnia di musica e danza popolare “La bella Cumpagnie”, in cui ho messo da parte il termine folklore ed ho tirato in ballo le musiche di tradizione popolare addentrandomi nella ricerca di una dimensione nuova. Nel frattempo mi sono iscritto all’Accademia delle Belle Arti di Foggia, provengo da una famiglia di decoratori di chiese a cappella e ho seguito un po’ anche la carriera di mio padre e mio nonno. Per quanto riguarda la mia avventura individuale, nulla è stato facile, anzi! Ho trovato intoppi di ogni tipo, ostruzionismo, gelosie, ma sono stato testardo e sono andato avanti dandomi molto da fare.

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Che ruolo svolge la danza nel contesto socio-culturale contemporaneo?

 Mi è sempre piaciuto interagire con gli anziani, essi rappresentano le nostre radici e la loro saggezza ci tramanda la nostra identità e la nostra memoria. In un’epoca in cui manca la conoscenza del proprio territorio e  di tutto quello che concerne la tradizione popolare è importante tenersi in contatto con tutte quelle persone in possesso di un bagaglio socio-culturale di grandissima rilevanza. L’importanza fondamentale di capire ciò che facciamo, ci consente di preservare e trasmettere il nostro patrimonio culturale alle nuove generazioni. Spesso alla notte della Taranta le persone non sanno cosa stanno ballando e perché, oltre a non conoscere  i nostri strumenti popolari. Io facevo parte dell’Arci, un contenitore culturale in cui si parlava anche e soprattutto di cultura. In quel contesto ci spiegavano cos’era il mandolino, l’arpa, la zampogna, la cornamusa, la chitarra battente, la chitarra acustica, il tamburello, le loro differenze, i suoni e i ritmi. Grazie a questo percorso, mi sono fatto un bagaglio culturale che oggi i giovani non hanno. Premettendo che a 51 anni non sono da considerare vecchio, mi sento di dire che giovani d’oggi hanno difficoltà ad ascoltare, sembra che non vogliano capire e parlare del pentagramma. Recentemente ho organizzato l’”Umbra Forest Folk – Gargano Porta di Pace”, un’iniziativa che mi ha portato sia in piazza che nelle scuole. L’idea di andare dai ragazzi mi ha fatto capire da vicino che le nuove generazioni sono all’oscuro delle nostre antiche dominazioni, dei nomi, delle fattezze e degli utilizzi degli strumenti musicali e che c’è davvero tanto bisogno di attirare l’attenzione dei più giovani.

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Per quanto riguarda un discorso più strettamente legato alla tarantella, così come tutte le altre danze, quello che io chiedo è considerazione e rispetto. Qualcuno mi ha accusato di andare oltre il patrimonio tradizionale, a questo io rispondo dicendo che attingo dalla tradizione ma cerco di guardare anche all’innovazione. Perché non si può sperimentare con la tarantella? Con la tammurriata? Con la pizzica? I ritmi possono fondersi insieme. La tarantella può essere rappresentata, esportata e insegnata in ogni luogo. Così come è successo con le altre danze, anche la tarantella deve sopravvivere, deve diventare materia viva contaminabile.

Hai avuto tante esperienze importanti anche in tv…come ti sei fatto notare dalla Rai?

Nel 94’ mandai una lettera alla Rai in cui parlavo di un progetto incentrato sui prodotti tipici della mia terra e sul pane di Monte Sant’Angelo. Partecipai ad Uno Mattina, così per divertimento, ma quel momento ha sancito anche la svolta della  mia vita artistica. La regista mi consentì di diventare autore di un progetto sempre ad Uno Mattina e dal 1994 al 2004 ho collaborato a tanti programmi, sempre in veste di autore: Bella Italia, Sereno Variabile, Geo &Geo, Domenica In…ormai ero di casa. La visibilità della Rai mi ha aiutato molto con i concerti e con gli spettacoli. Ci fu un susseguirsi di cose importanti, conobbi tanti artisti, su tutti Eugenio Bennato, Carlo D’Angiò, Nando Citarella, Goran Bregovic, Franco Battiato, Teresa De Sio.

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Hai tenuto delle lezioni a New York? Che riscontro hai avuto?

Dopo aver portato le lezioni di tarantella nelle scuole a Carpino, dove poi nacque il Carpino Folk Festival. La Comunità montana del Gargano ha sponsorizzato questo progetto dal 2000 al 2007. Finito il 2007 proposi di tenere lezioni di tarantella a New York agli emigranti italiani. All’epoca volevo iniziare a recuperare la terza e quarta generazione dei figli dei nostri emigranti ed anche questo progetto andò a lieto fine. A distanza di 7 anni questo progetto è ancora vivo. Vado in America 3 volte all’anno e  questa attività viaggia in parallelo con la scuola che ho qui in Puglia.

Michele Mangano

Michele Mangano

Quali sono le attività della Danza Nova Folk Ballet?

Negli anni 2000 è nata una nuova realtà, la Danza Nova Folk Ballet in cui io ed i miei ragazzi raccontiamo qualcosa di diverso dal solito folk, ci muoviamo tra tradizione ed innovazione e, grazie a tanti seminari ed incontri che organizziamo la compagnia è sulla cresta dell’onda. Abbiamo realizzato una tammurriata particolare, sullo stile folk-rap con Raiz e Pietra Montecorvino mettendoci in gioco e rischiando per farci capire anche dai giovani. Noi non vogliamo allontanarci dal mondo antico ma vogliamo anche guardare al futuro, creando un equilibrio. Abbiamo creato anche un’ Accademia, giunta al quarto anno di attività, a cui aderiscono bambini, ragazzi, adulti e anziani.

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Michele Mangano Ph Luigi Maffettone

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?

Fino alla fine di settembre siamo all’Oktober Fest di Monaco di Baviera, il 20 di ottobre terremo uno spettacolo a Montecarlo per un premio letterario ed il 27 novembre ripartiremo per New York.

 Raffaella Sbrescia

Intervista a Gianluca Giordano: “Il canto e la scrittura sono le mie più grandi passioni”

Gianluca Giordano

Gianluca Giordano

Gianluca Giordano, classe 1990, è un giovane cantautore campano da sempre interessato al mondo della musica e delle arti. Dopo la partecipazione a diversi concorsi letterari e svariati talent regionali come  “Ti va di cantare?” e “Musica è”, Gianluca ha deciso di mettersi in gioco proponendosi al pubblico con “Ferma il tempo”, una delicata ballad intrisa di sonorità black & soul. Dotato di una vocalità sottile e potente, Gianluca Giordano sta lavorando ad un primo progetto di canzoni inedite e abbiamo colto l’occasione per incontrare e conoscere da vicino questo giovane talento.

Sei vicino alla musica e al canto, ormai da svariato tempo…come nasce questa passione così forte e quali sono stati i passi che hai mosso per dare vita al tuo percorso artistico?

La passione per la musica è nata anche grazie all’ambiente in cui ho sempre vissuto. Mio nonno da giovane era un cantante lirico e mi ha trasmesso l’amore per la musica. Nonostante ciò, soltanto intorno ai 16-17 anni ho deciso di interfacciarmi seriamente con questo mondo  e ho cominciato a prendere lezioni di canto dando vita al mio percorso professionale. La mia insegnante di canto mi ha dato tanto fino ad oggi, mi ha fornito gli strumenti per adottare una tecnica, mi ha insegnato il rispetto per la musica, mi ha avvicinato all’arte a 360 gradi. Mi è sempre piaciuto sperimentare, aldilà delle velleità attoriali che avevo da piccolo, la passione che si accompagna alla musica e al canto è quella della scrittura. Da un po’ di tempo a questa parte scrivo testi e non solo, a tutto questo si accompagnano i miei studi in comunicazione.

Gianluca Giordano

Gianluca Giordano

“Ferma il tempo” è un tuo brano scritto nel 2012 che, recentemente, si è arricchito con il bel videoclip girato con Antonio d’Alessandro. Di cosa parla questo brano e a cosa si ispira?

Il bello di questo progetto, sia per quanto riguarda la canzone in sè, sia per il discorso relativo al video è che è stato interamente realizzato da giovani. Non abbiamo avuto alcuna pretesa se non quella di assecondare la nostra grande passione per la  musica, per le arti visive e la fotografia. Abbiamo unito le nostre forze per creare qualcosa che fosse nostro, sperando potesse piacere a molti. A distanza di poco tempo, i riscontri sono stati molto buoni e siamo stati molto contenti ma è tutto un di più, il nostro intento era, ed è, quello di condividere qualcosa di bello. Scrissi questo brano tra le 3 e le 4 di notte, come spesso mi succede…il testo nasce da un sogno fatto per caso ma la cosa incredibile è che, a distanza di un mese, parte di quello che avevo raccontato nel brano si è poi verificata per davvero nella realtà. Questo fatto mi ha colpito al punto da spingermi a realizzare una vera e propria canzone. Ho, dunque, intrapreso una collaborazione con Massimo Carola, un bravissimo arrangiatore che si occupa in particolare di missaggi. Ovviamente in questo arco temporale ho scritto altre cose e colgo l’occasione per dire che sto lavorando a qualcosa di nuovo e sono in sala a registrare…. Se “Ferma il tempo” è nato per divertimento, ora sto cercando di lavorare a qualcosa che abbia una maturità diversa e con diverse sonorità.

Quali sono i tuoi ascolti, i tuoi riferimenti musicali, la tua cifra stilistica?

Ho sempre ascoltato l’R’nb e seguo il filone Motown. Oggi vorrei dare un impronta diversa al mio suono ma ci sto ancora lavorando su con la speranza di essere notato da qualche addetto ai lavori. Da soli non è facile emergere in nessun campo, soprattutto in questo. Ad ogni modo continuo a credere nel mio sogno e lavorare per renderlo reale.

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Hai preso parte a tanto eventi e talent show regionali… come ti sei interfacciato con queste realtà? Proveresti a partecipare ad un talent nazionale?

Sicuramente i talent sono qualcosa di utile per quanto riguarda la promozione e la visibilità, soprattutto per un artista emergente. Ad essere sincero mi piacerebbe poter emergere attraverso palcoscenici diversi ma mi rendo conto che è molto complicato. Per questa ragione, se un giorno dovesse arrivare la chiamata di un grosso talent, coglierei sicuramente l’occasione perché si tratta di un meccanismo in cui, in fin dei conti, bisogna inevitabilmente rientrare. In ogni caso non mi sento di sminuire i talent show perché essi offrono ai giovani un’esperienza fondamentale per la loro crescita artistica e rappresentano un metro di misura per il capire il gradimento del pubblico.

Gianluca Giordano

Gianluca Giordano

Ci parli del Facemob?

Si tratta di un’iniziativa nata per divertimento per cercare di diffondere un po’ il video di “Ferma il tempo” in giro. L’idea è quella di condividere il video da youtube allo stesso orario, tutti insieme, e devo dire che ha avuto un ottimo riscontro. Stiamo pensando anche a qualche altra forma di diffusione e, a tal proposito, voglio ringraziare i miei amici che mi hanno sostenuto tantissimo e continuano a farlo in ogni momento!

Cosa proponi al pubblico durante i tuoi live?

Faccio serate live con Fabrizio Campanile, un bravissimo chitarrista con cui propongo un concerto voce e chitarra. Il nostro repertorio è molto variegato, riarrangiamo pezzi pop in chiave acustica passando da Michael Jackson a Nutini a Mengoni, semplicemente mettendoci in gioco.

Raffaella Sbrescia

Acquista “Ferma il tempo” su iTunes

Video: “Ferma il tempo”

Intervista al compositore Emiliano Palmieri: “Festeggio Charlot e sogno di lavorare ad un film della Disney”

palmieri

Emiliano Palmieri è un autore e compositore romano. Dedito allo studio del pianoforte fin dalla giovanissima età, Emiliano ha sviluppato una naturale versatilità compositiva sia in ambito classico che contemporaneo. Il suo debutto artistico risale al 2005 e, da allora, è riuscito ad affermarsi, con successo, sia in ambito musicale che teatrale e televisivo. Autore delle musiche dello spettacolo intitolato “Zakharova Super Game”, in scena al prestigioso Teatro Bolšoj di Mosca nel 2009, Emiliano Palmieri si è distinto anche per il suo spiccato senso solidale. Tra i vari progetti benefici a cui l’artista ha preso parte, ricordiamo il passo a tre per il gala di beneficenza organizzato da Emergency “A step for Africa” e l’inno dell’associazione “Angel Onlus”. Il prossimo 13 settembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano andrà in scena “Buon compleanno Charlot”, nell’ambito del circuito MITO Settembre Musica. Lo spettacolo è stato interamente musicato da Emiliano Palmieri e, in questa lunga intervista, il compositore ci ha parlato anche di questa gratificante esperienza lavorativa.

Sei autore, compositore e musicista… come ti sei avvicinato alla musica e cosa scopri in lei giorno dopo giorno?

Il mio approccio alla musica è stato del tutto casuale. Come molti, ho iniziato a studiare musica alle scuole elementari con la famosa diamonica, una tastierina collegata ad un tubicino di plastica in è necessario soffiare per produrre il suono in corrispondenza della nota che si pigia. Mi ricordo che uno degli esercizi che mi diede il mio insegnate fu quello di provare a scrivere un breve motivetto, naturalmente feci un disastro ma quello fu il mio primo momento da “compositore”. Il percorso successivo fu quello di prendere lezioni di piano e armonia e in questo fui molto fortunato perché trovai un insegnante molto capace, che mi fece appassionare sia alle opere classiche sia alle composizioni moderne, lasciandomi libero di scegliere a seconda del mio umore. Per questa ragione, durante i primi anni di studio, lezione dopo lezione, passavo con disinvoltura dalla classica al pop.

Ci spieghi quali sono le differenze tra il comporre per la discografia, per il teatro e per la tv?

Comporre non è difficile, sono convinto che tutti noi abbiamo una sensibilità innata e la utilizziamo a seconda delle cose che facciamo, dallo scrivere musica al cucinare… si tratta si capire e trovare il giusto equilibrio tra le parti. Scrivere per il teatro, per la tv o per la discografia è semplice se riesci a capire cosa vuoi dire, il resto è tecnica e tanto lavoro. Una cosa che ho imparato con il tempo è che bisogna sempre mettersi in discussione per fare un buon lavoro, la cosa più importante è sempre quella che devi ancora scrivere.

La versatilità artistica rappresenta uno dei tuoi maggiori punti di forza ma, se dovessi scegliere, quale sarebbe l’ambito più vicino alle tue naturali attitudini?

Non credo di avere un genere nel quale io mi sento più a mio agio. Avendo la possibilità di spaziare tra tanti contesti musicali, riesco a non essere saturo di uno solo; quando finisco di scrivere un nuovo spettacolo per il teatro, mi sento completamente svuotato e sono cosciente del fatto che in quel momento non sarei in grado di scrivere un tema classico ed orchestrarlo, quindi passo alle canzoni e mi dedico a qualche progetto più pratico per ricaricare le pile in vista del lavoro successivo.

Sei il primo compositore italiano ad aver composto, dopo 100 anni, una Premiere messa in scena nel tempio della danza internazionale in Russia…come hai vissuto questo importante traguardo professionale?

“Zakharova Supergame” è stato il mio primo lavoro internazionale, andò in scena al Teatro Bolshoi nel 2009, inutile dire che è stato del tutto inaspettato. Avevo appena partecipato alla Biennale di Venezia di Danza con lo spettacolo intitolato “Il mare in catene” ed il coreografo con il quale lavoro da molti anni, Francesco Ventriglia, mi chiese di scrivere per un Galà internazionale di danza in favore dell’Africa. Il tema musicale aveva un forte impatto emotivo e colpì l’attenzione di molti, la sorte volle che all’evento ci fosse anche la prima ballerina Russa Svetlana Zakharova, considerata una delle più grandi ballerine di sempre. Fu proprio lei a rimanere colpita dal mio stile e qualche mese dopo mi fu chiesto di scrivere i temi dello spettacolo. Non so come ma, nei tre giorni successivi, scrissi i cinque temi che fanno parte dello spettacolo e li consegnai al coreografo. Naturalmente erano una sorta di “bozza” ma si intuiva che erano perfetti per il tipo di spettacolo che avremmo messo in scena pochi mesi dopo. La sera della prima eravamo tutti emozionatissimi, all’evento c’era anche il presidente Putin e le più alte cariche dello stato Russo, è stata un’ esperienza incredibile. Una cosa che mi ha colpito molto è stato l’atteggiamento e la fiducia degli addetti ai lavori nei miei confronti… non mi piacciono le polemiche ma notai una grande differenza culturale e di pensiero con il movimento artistico italiano e sono passato da “troppo giovane per fare cose importanti nei teatri d’opera italiani” a “così giovane sei arrivato a comporre per uno dei teatri più importanti del mondo”.

Nel corso degli anni hai lavorato con tanti giovani, spesso provenienti dal mondo dello spettacolo e dai talent televisivi… tra tutti ricordiamo Manuel Foresta e Claudia Casciaro. Qual è il tuo pensiero a riguardo e come ti sei interfacciato con loro?

Lavorare con i giovani è fantastico hanno una voglia di arrivare e una determinazione pazzesca. Nello specifico negli ultimi anni ho collaborato con diversi talent, che ormai da un po’ dettano le regole del mercato, e devo dire che il livello è alto. Purtroppo oggi non basta avere solo una bella voce, quello che conta è il brano giusto che valorizzi le qualità di chi lo indossa. Personalmente mi piacciono gli artisti che in studio, durante la registrazione di un inedito, rappresentano un valore aggiunto, quelli che sanno capirti al volo e si lasciano dirigere ma che, allo stesso tempo, hanno un istinto musicale che li porta a fare delle cose a cui io non avrei pensato.

Tra i tuoi più stretti collaboratori c’è l’autrice Anna Muscionico, di cui hai spesso musicato i testi… Com’è nato questo feeling artistico tra voi?

Anna Muscionico per me è talento allo stato puro, nei suoi testi riesce a farti vedere le immagini di quello che racconta e lo fa con una semplicità a dir poco disarmante. Conobbi Anna nel 2004, in quel periodo stavo lavorando a quello che fu per me un battesimo musicale, ovvero il singolo “M’ama o M’amerà”, un tormentone radiofonico e televisivo mentre contestualmente stavo ultimando l’album d’esordio di Mariangela. A quel tempo Anna non era interessata al discorso musicale ma sapevo che scriveva molto bene perché avevo letto dei suoi spunti, così le chiesi di provare a collaborare con me. Purtroppo, a causa dei numerosi impegni la cosa non andò in porto ma, quando mi chiesero di provare a scrivere la sigla della fiction “Un medico in famiglia”, per associazione di idee, la prima persona che mi venne in mente fu proprio Anna… il resto è storia.

Hai preso parte anche a diverse iniziative a sfondo benefico…che significato hanno avuto per te?

Mi piace l’dea di restituire con il mio lavoro qualcosa indietro e, per questo, quando mi viene chiesto, partecipo e scrivo sempre volentieri per iniziative benefiche! Nei vari anni ho collaborato con “Save the Children” per l’africa , con la “Onlus A.n.g.e.l” per sensibilizzare la comunità internazionale sulle vittime dei bambini in guerra, con la “Cifa” per le adozioni dei bambini Cambogiani.

Il prossimo 13 settembre sarà in scena “Buon Compleanno Charlot” al Piccolo Teatro Grassi di Milano…Uno spettacolo creato per piccoli musicisti e ballerini, che potranno partecipare alla costruzione di una fiaba musicale e trascorrere una giornata di gioia con MITO, tra bombette, baffetti e bastoni in omaggio a Charlot. Ci parli di questo progetto più nel dettaglio? Chi ci ha lavorato, con quali prospettive e con quali obiettivi?Per quanto riguarda te, come hai lavorato alle musiche dello spettacolo?

Questo, per me, è un momento professionale importante “Buon compleanno Charlot” è un lavoro a cui tengo moltissimo. Volevo scrivere su Chaplin da molto tempo e, quando mi è stato proposto, ho accettato immediatamente; avrò anche la fortuna di potermi avvalere di un orchestra formata da 40 giovani musicisti e naturalmente non poteva mancare la danza con la presenza di 40 ballerini sul palco. Lo spettacolo rappresenta un omaggio al personaggio di Charlot, di cui si festeggia il centenario, ed è composto da un atto unico, che ripercorrerà in quattro momenti, la vita di Charlie Chaplin, uno dei più grandi geni che il mondo dell’arte abbia mai conosciuto.

Sei impegnato anche in altri progetti? Se sì, puoi anticiparci già qualcosa?

Cosa bolle in pentola? Posso solo dire che a breve usciranno diversi album di artisti già conosciuti, che interpreteranno dei miei inediti. Poi ci saranno il teatro, la tv ed una web serie, che mi vedranno coinvolto come compositore tra gennaio e maggio. Infine sarò impegnato in una insolita e stimolante collaborazione con il mondo dello sport ma non posso ancora svelarvi di cosa si tratta…

Hai mai pensato di pubblicare un tuo lavoro discografico con composizioni inedite?

Mi piace di più l’idea di essere dietro le quinte, adoro assistere alle prove di un nuovo spettacolo seduto in poltrona e vedere l’arte di qualcun altro esprimersi, partendo dal punto in cui io ho finito, per dar vita ad una magia… Un sogno nel cassetto però ce l’ho ed è quello di lavorare ad un film d’’animazione per la Disney, sono sicuro che mi divertirei moltissimo.

Raffaella Sbrescia

Piccola Patria tour: Marco Guazzone & Stag con Maria Roveran in concerto ad Avellino. Il live report dell’evento e l’intervista ai protagonisti

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Si è concluso lo scorso 20 agosto il “Piccola Patria tour”, l’avventura musicale che ha determinato un interessante ed apprezzatissimo sodalizio artistico tra Maria Roveran, attrice e cantante, protagonista del film “Piccola Patria”, girato dal regista Alessandro Rossetto e presentato durante la 70ma edizione del Festival del cinema di Venezia, nelle sale italiane dallo scorso aprile 2014, e gli Stag (Marco Guazzone, voce e tastiere, Stefano Costantini, tromba e synth, Edoardo Cicchinelli, basso, e Josuè Manuri, batteria) una solida ed originale realtà musicale romana, sempre più legata al mondo del cinema. Ospiti del Laceno d’Oro, dapprima Rassegna e poi Festival del Cinema neorealista di caratura internazionale, gli artisti si sono esibiti in concerto nel cortile dell’ex Carcere Borbonico di Avellino subito dopo la proiezione del film con l’obiettivo di veicolare il difficile messaggio contenuto nella pellicola ambientata nel profondo nord-est italiano. Cinema d’autore, cantautorato, denuncia e riflessione socio-culturale sono gli elementi coinvolti in un interessante progetto che ha preso vita attraverso un lungo tour che ha coinvolto i 5 giovani artisti in un’avventura on the road.

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Dapprima l’incontro sotto i riflettori del Festival del Cinema di Venezia, poi la convivenza in camper, i concerti in giro per l’Italia e non solo, la scoperta di se stessi, nonché l’arricchimento e lo scambio reciproco sia dal punto di vista umano che musicale. Questo e molto altro si è visto durante l’ultimo emozionante concerto di questo appassionante viaggio artistico. Senza una scaletta prefissata e con parecchi stravolgimenti negli arrangiamenti dei rispettivi brani, gli Stag e Maria Roveran hanno inaugurato il live campano con “If I Needed You” di  Townes Van Zandt, seguita dalle suggestioni de “Il Principe Davide” e da “Piova Grigia”, scritta dalla giovane attrice e rivista con una splendida intro cantata a cappella, in duo con Marco Guazzone. Molto particolare anche la rivisitazione della title track “Piccola Patria”, le cui sfumature drammatiche sono subito state alleggerite da “Guasto”, uno dei brani più noti degli Stag. Assolutamente coinvolgente l’omaggio strumentale al grande compositore Ennio Morricone, scelto per introdurre “Atlas of Thoughts”, il brano che ha dato il nome al primo album di inediti degli Stag. Ancora un brano in veneto “Assime star” per raccontare il pathos ed il tormento di anime in pena, al centro di conflittualità collettive ed individuali, prontamente sdrammatizzate da “Sabato simpatico”  e da “Ringo Fire”, la cover di Johnny Cash rivisitata e arricchita dall’energetica perfomance di Maria Roveran, scalza e scatenata come non mai sul palco. “Joska la rossa” è il brano di ispirazione popolare e di tradizione alpina che gli Stag e Maria hanno stravolto e fatto proprio. A concludere il live, davvero molto apprezzato dal pubblico entusiasta,  è stata “Les Paul”, brano di punta degli Stag, che si sono concessi anche un richiesto e graditissimo bis sulle note di “Just Can’t Get Enough” dei Depeche Mode concludendo un live di grande qualità.

Raffaella Sbrescia

Abbiamo colto l’occasione della conclusione del Piccola Patria Tour per intervistare Maria Roveran e Marco Guazzone e scoprire le loro reciproche impressioni in riferimento a questo lungo ed intenso percorso artistico.

Maria, come è avvenuto il tuo incontro con gli Stag?

Maria Roveran: “Con Marco e gli Stag mi sono trovata subito in sintonia. La nostra chimica musicale è nata durante la Mostra del cinema di Venezia, durante la quale lui e gli Stag dovevano eseguire le colonne sonore dei film in concorso, io avevo scritto quella di “Piccola Patria”, per cui la sera prima della presentazione del film mi hanno contattato dalla redazione di Radio Hollywood Party per duettare con Marco e gli Stag. Conoscevo i ragazzi soltanto di fama, gli ho mandato i file e loro, tra mille cose, sono riusciti ad ascoltarli molto in fretta…il giorno successivo eravamo lì in diretta radio e, sebbene io fossi veramente tesa, ci trovammo subito in sintonia sulle note di “Assime star”, il brano più rabbioso della tracklist che, nel tempo, è molto cambiata perché la musica da film è un po’ più difficile da proporre al pubblico. Abbiamo combinato la mia rabbia alla melodia degli Stag ed è nata una nostra formula musicale”.

“Piccola Patria” ha messo in luce il tuo talento vocale…ci racconti come hai affrontato le prime fasi di questo percorso e cosa ti ha ispirato per la scrittura dei testi?

Mentre giravo il film sono entrata in connessione con le parti più intime e viscerali della mia anima. Solitamente il nord-est è dipinto tutto come un mondo di rose e fiori ma, in verità, ci sono un po’ di realtà familiari e territoriali difficili. Per 3 anni ho cercato di eliminare completamente il dialetto veneto dal mio parlato perché, come è noto, al centro sperimentale un attore deve resettare cadenze e inflessioni dialettali. Poi alla prima esperienza cinematografica mi dissero di tornare completamente al dialetto e per me è stato piuttosto spiazzante. Ovviamente l’ho fatto ed è stato un bel ritorno alle origini. Le immagini fluivano molto bene con quello che recitavo quindi la sera tornavo in hotel e le parole venivano fuori da sé. Posso sicuramente dire che c’è stata una sorta di maturazione del personaggio attraverso la musica, fatta proprio mentre giravamo il film anche se non è stato affatto facile. Siamo stati 3 mesi insieme e quando rientravo alla sera mi rilassavo cantando. Quando il regista mi ha sentito, il giorno successivo mi ha chiesto di cantare davanti alle persone ed io non ce l’ho fatta, sono scoppiata a piangere, hanno dovuto fermare il girato e mi sono dispiaciuta tantissimo. Anche al centro sperimentale facevo lezioni di canto, era una cosa che mi piaceva molto ma ogni volta che toccava a me mi tremavano le gambe e, durante alcune canzoni, mi succede ancora. Devo ringraziare davvero molto Alessandro Rossetto perché è stato lui a stimolarmi in questo senso e a dirmi che quando canto, mi succede qualcosa di interessante. Ho accettato la sfida che mi ha proposto e, seppur pian piano e a singhiozzo, gli ho fatto ascoltare quello che avevo scritto e mi sono decisa a cantare. Questa esperienza bellissima, inaspettata e potente mi ha aiutato anche nella recitazione perché reputo le due forme d’arte come vasi comunicanti.

Hai intenzione di continuare la tua avventura di cantautrice?

Sì! Due settimane fa è uscito il mio primo cd intitolato “AlleProfondeOriginiDelleRugheProfonde”, in cui ho incluso sia i brani contenuti in “Piccola Patria” che dei brani in italiano… Un’altra canzone sarà pubblicata, invece, in un altro film a cui ho preso parte e che sarà presentato prossimamente, non posso ancora dire dove…

Marco, quali sono, invece, le vostre impressioni rispetto al tour che si è appena concluso e come avete affrontato l’integrazione di Maria all’interno del gruppo?

Marco Guazzone: “Durante la scorsa edizione del Festival del Cinema di Venezia eravamo nel cast di Radio Hollywood Party e salutavamo tutti gli ospiti che prendevano parte alla trasmissione con uno stacchetto musicale. Spesso andavamo a vederci i film, anche per studiarci cose nuove, quando una  sera ci dissero che sarebbe venuta in programma l’attrice di un film, che era anche cantante, noi ci ascoltammo i brani senza aver avuto il tempo di studiarli. Maria venne mezz’ora prima in trasmissione, quel giorno c’era davvero chiunque… provammo i pezzi una sola volta, li suonammo in diretta e andò così bene che il produttore del film ed il regista Alessandro Rossetto ebbero l’ idea di mettere su un tour per portare la colonna sonora in giro per l’Italia dal vivo. Abbiamo, quindi, realizzato vari scambi, intrecci e rivisitazioni di brani alla scoperta del Veneto. L’esperienza più bella e più intensa è stata proprio quella on the road, mentre eravamo tutti insieme nel camper. Abbiamo conosciuto Maria in una certa veste, mentre era nel pieno della presentazione del film al Festival di Venezia, però quando poi ci siamo rivisti a Roma per le prove in sala,  lei è venuta con la tuta e con un canovaccio in testa, abbiamo cominciato a capire la sua concezione di musica, intesa come qualcosa di autentico, senza bisogno di orpelli e lustrini. Ci siamo divertiti ad entrare ognuno nel mondo dell’altro, contaminandoci”.

Come procede la lavorazione del nuovo album degli Stag?

Stavolta faremo una cosa sicuramente diversa… stiamo lavorando con un nuovo produttore che è Paolo Buonvino (che ha già lavorato con Battiato, Mannoia, Negramaro, Jovanotti e tantissimi altri artisti). Siamo arrivati da lui con 24 pezzi, con l’intenzione di fare un mega disco doppio ma, in realtà, ci siamo allontanati molto dalla nostra idea iniziale. Visto che la fruizione della musica è completamente cambiata, quasi non c’è nemmeno più l’mp3 di iTunes  ed è tutto su Spotify e, dato che si perderà la concezione del possesso della musica, stiamo pensando al disco come una sorta di punto di arrivo del nostro progetto e sarà tutto nuovo anche per noi. Paolo è un produttore che viene dalla musica da film e ci sta aiutando a creare l’atmosfera che vorremmo mantenere e approfondire.

 Raffaella Sbrescia

 Fotogallery a cura di: Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

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Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d'Oro Ph Errico Sarmientos

Marco Guazzone & Stag Feat. Maria Roveran @ Laceno d’Oro Ph Errico Sarmientos

 

 

 

 

Intervista a Francesco Loccisano: “Vi svelo i segreti della chitarra battente”

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano è un musicista italiano che ha incentrato la sua intensa carriera su uno strumento in particolare: la chitarra battente. Competenza, talento e originalità sono gli elementi che gli hanno consentito di svolgere un’intensa attività concertistica, dapprima al seguito di Eugenio Bennato con i Taranta Power e in seguito da solista. Ricerca, studio e composizione sono i passaggi che accompagnano costantemente il percorso artistico di Francesco che, dopo la pubblicazione di “Battente Italiana” e “Mastrìa”, si appresta al completamento della scrittura di un terzo album. Spesso protagonista di lezioni-concerto e masterclasses, Loccisano si è raccontato in questa approfondita intervista lasciandoci entrare nel suo mondo fatto di note e di emozioni senza tempo.

A 10 anni eri già un polistrumentista…come hai capito che sei nato per fare musica?

Da bambino seguivo l’istinto facendo ciò che più mi piaceva, senza avere alcuna costrizione.  Poi da grande mi sono accorto che tutte queste cose le ho fatte non perchè qualcuno me le aveva imposte ma perché davvero mi piaceva stare a contatto con la musica. Avevo 14 anni quando decisi di fare il musicista e da allora non mi sono più fermato.

Hai definito la chitarra battente “il vestito perfetto per le tue giornate” cosa intendevi dire?

Visto che cercavo l’originalità in quello che facevo, ho trovato in uno strumento della mia terra il canale espressivo che mi avrebbe reso, a mio modo, unico agli occhi del resto del mondo.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Ci racconti, in breve, le origini di questo strumento e le sue particolarità sonore?

La chitarra battente è uno strumento che ha un’origine ben precisa, deriva dalla chitarra barocca che, a sua volta, nasce in Spagna e ha cinque corde doppie in budello. La chitarra battente si differenzia nel fatto che, pur avendo le stesse corde e la forma un po’ allungata, ha le corde in metallo, quindi per via della tensione delle corde stesse, il suono dello strumento cambia. Subendo questa piccola modifica, lo strumento ha preso il nome di chitarra battente perché viene percosso con la mano destra su tutta la lunghezza delle corde creando un suono omogeneo che richiama molto la risacca del mare, diventando in questo modo, un po’ caratteristico del Sud Italia. Le prime tracce della chitarra battente sono presenti a partire dal 1500, su tutto il territorio nazionale, ed era uno strumento di origine colta. Il primo sviluppo avvenne nel Nord Italia, grazie ai fratelli Matteo e Giorgio Sellas anche se fu solo grazie alle popolazioni del Centro e del Sud che questo strumento riuscì a sopravvivere nel tempo e a mantenere il proprio ruolo sociale. La battente, infatti, fu adottata dal mondo contadino come strumento di accompagnamento al canto tradizionale. A ridare lustro allo strumento è stato il lavoro della famiglia De Bonis (Bisignano, Cs) ed in particolare di Nicola e Vincenzo che, a partire dal 1950, hanno riproposto un modello di chitarra battente d’autore. Una tradizione che prosegue oggi grazie all’impegno dei fratelli Costantino e Vincenzo, che tramandano la loro esperienza all’unica “erede” di questa famiglia, Rosalba.

 In che modo hai personalizzato questo strumento?

Per 400 anni la chitarra battente è stato uno strumento di accompagnamento al canto poi pian piano ha cominciato a conquistarsi un ruolo da solista. Per quanto riguarda me, nel 2005 sono stato in tournèe con Eugenio Bennato e lui cominciò subito a spronarmi perché vedeva in me la possibilità di dare un valore aggiunto allo strumento, dato che riuscivo a dare un tocco personale e inedito al suono della chitarra battente. Ho, quindi, pensato di aggiungere dei tasti in più sulla tastiera dello strumento per avere un range di frequenze alte e un maggior numero di note, non c’è stato alcun snaturamento nel suono. Nelle composizioni gioco molto sul suono battente, inoltre con l’arpeggio, che di solito non si usa sulla battente, accade qualcosa di meraviglioso: se chiudi gli occhi non ti rendi conto se si tratta di un’arpa o di una chitarra. Spesso ai concerti mi vengono a chiedere se ho altri strumenti nascosti, visto il suono molto ricco dello strumento. Ho inoltre intitolato il mio primo album “Battente Italiana” per evidenziare l’origine dello strumento e marcare la sua appartenenza alla nostra tradizione che, mentre il nord Italia ha tirato fuori, il Sud mantiene viva e  porta avanti…in questo senso l’Italia, spesso divisa sotto tanti punti di vista, è stata unita ed inconsciamente coerente.

Quali storie, quali protagonisti e quali suoni proponi in “Mastría”, l’album pubblicato nel 2013?

In questo album c’è una consapevolezza maggiore. Mentre il primo l’ho registrato a rate perché ero molto impegnato con la tournèe di Eugenio, in questo caso ho deciso, invece, di fermarmi, di lasciare la tourneè con Eugenio e Taranta Power per dedicarmi esclusivamente alla chitarra battente. Per questa ragione la scrittura del disco è molto più consapevole, più pensata e poi ho voluto produrre questo disco dentro casa mia, senza uscire mai per mesi. Per poter suonare la chitarra battente, disse un mio amico musicologo, ci vuole Maestria, e ripensando alle sue parole, intitolai così l’album.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Hai tenuto più di 550 concerti con Eugenio Bennato…cosa ti ha insegnato e cosa ricordi di quel periodo?

Questo è stato uno dei periodi più importanti della mia vita, grazie ad Eugenio ho riempito il passaporto di bolli… abbiamo suonato in Etiopia, Sudafrica, Madagascar, Algeria, Libano e tantissimi altri paesi del mondo…tutto questo mi ha forgiato perché suonare senza sosta, dormire negli aeroporti, stare sempre a contatto con la gente ti fortifica molto. La concezione del fare l’artista con Eugenio la si apprende bene perché la musica non ti lascia né scampo, né spazio. Per fare musica devi lavorare e soffrire molto.

Un’altra collaborazione importante è quella con Vinicio Capossela…

Vinicio venne in Calabria per fare un concerto al Politeama di Catanzaro, una giornalista mia amica, che era stata al concerto per intervistarlo, mi disse che l’artista voleva conoscermi perché aveva sentito parlare del suono particolare del mio strumento. Riuscimmo ad incontrarci al Petruzzelli di Bari, mi invitò nel suo camerino, s’incuriosì molto e facemmo delle prove. Da allora la nostra collaborazione si è consolidata nel tempo. Abbiamo fatto dei concerti insieme a Cosenza, Diamante, Bari…Vinicio ha anche comprato una chitarra battente un pò sgangherata e ho dovuto rimettergliela apposto. Lui è uno di quelli che non si fermano un attimo, sta scrivendo tantissime cose per preparare un disco nuovo.

Tieni anche corsi di insegnamento?

Mi piace molto tenere lezioni-concerto e masterclasses in cui faccio conoscere il mio stile. Ogni volta è bello spiegare come si suona un certo brano, approfondire gli aspetti tecnici dello strumento, come si considera la chitarra battente in certe occasioni etc… Questo tipo di interazione con il pubblico è linfa vitale per  noi musicisti.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Inciderai a breve un nuovo album?

Sto lavorando al terzo disco, sono a metà strada ma la composizione è un’attività che non mi lascia mai… se non componi, non tiri fuori quello che hai dentro. L’intento sarà quello di fare sempre meglio con l’obiettivo di emozionare l’ascoltatore… ciò da cui traggo ispirazione è quello che vivo.

Quali saranno i tuoi prossimi appuntamenti?

Agosto sarà un mese davvero carico di appuntamenti che potrete scoprire consultando il mio sito internet http://www.francescoloccisano.it/ e sulla mia pagina Facebook. Poi il primo di settembre terrò una lezione in un camping di tedeschi a Sellia Marina, dal 26 al 28 settembre sarò a Cremona Mondo Musica, dove sarà installato un guitar village e, darò vita ad un endorsement con il liutaio Sergio Pugliesi, in arte Oliver, il quale ha costruito una chitarra battente apposta per me, utilizzando tecniche moderne e legni selezionati, lo strumento sarà in vendita a partire da settembre.

Raffaella Sbrescia

Acquista Mastrìa su iTunes

Video: “La Tarantella di Zio Nicola”

Intervista a Jimmy Ingrassia: “Per votarmi scrivi sì” è il preludio al mio nuovo album

 jimmi ingrassia foto

Jimmy Ingrassia è un cantante di origine siciliana da sempre in contatto con il mondo della musica. Dopo una serie di esperienze che l’hanno visto protagonista di trasmissioni tv come Domenica In e The Voice, oltre ad una lunga serie di concorsi canori e collaborazioni artistiche, Jimmi è giunto ad una nuova cifra stilistica ed una maturazione tangibile attraverso le note di  “Per votarmi scrivi sì”, un brano che ironizza sul televoto, inteso come un male, sempre meno una reale espressione di preferenza e di talento e che anticipa il nuovo album di inediti del cantautore. Scopriamo insieme cosa ci ha raccontato a tal proposito l’artista in questa intervista.

Il tuo percorso con la musica è iniziato quando avevi soltanto 11 anni, cosa rappresenta per te il canto e qual è la tua cifra stilistica?

In verità ad 11 anni ho cominciato a strimpellare con una pianola giocattolo della Bontempi e da lì mi sono avvicinato alle prime note accorgendomi che mi piaceva suonare. Per questa ragione, i miei mi hanno iscritto a delle lezioni private di pianoforte. Le cose hanno cominciato a farsi serie quando a 17 anni ho partecipato ad un concorso canoro per accompagnare una persona che doveva cantare, in quel caso il direttore artistico di quella manifestazione mi invitò a cantare, cosa che io non avevo mai fatto prima, e mi resi conto che quella era la mia vera vocazione. Ho quindi abbandonato un po’ l’attività di musicista e mi sono concentrato sul canto. Il mio stile si destreggia tra pop e cantautorato. Il nuovo singolo, infatti, ha questa matrice, al cui interno ci sono anche degli spunti folk.

“Per votarmi scrivi si” è il tuo ultimo singolo… con uno stile ironico ed un arrangiamento orecchiabile, realizzato da Francesco Musacco e scritto con Matte con Sperandeo parli, tra le altre cose, del male del televoto… Qual è il messaggio che intendi comunicare al pubblico? Come hai scelto la location del video “Baglio Vecchio”? C’è qualche legame con il discorso di ecocompatibilità sostenuto dalla Steel Rose?

Il tema del brano si concentra sul fatto che ormai qualsiasi cosa si faccia, dal piccolo concorso alla trasmissione televisiva, chiunque chiede di essere votato. Questo meccanismo svilisce e ridicolizza il valore artistico della musica. Ho scritto questo brano un pò di anni fa ma ho deciso di farlo uscire adesso perché è più attuale che mai. Lo scrissi dopo aver partecipato ad un concorso legato al Festival di Sanremo. Dopo quella esperienza io e Matteo decidemmo di scrivere questa canzone incentrata sul sistema del televoto. Alla regia del video c’è Marco Gallo, un giovane promettente, mentre alla produzione c’è la Steel Rose Records, una realtà che armonizza la musica con l’ambiente, in cui mi trovo a mio agio. La location del video è una piccola frazione di Dattilo, in provincia di Trapani con 900 abitanti, comprese le pecore. In questo luogo io ho vissuto la mia infanzia perché ci abitavano i miei nonni. Tutte le estati si andava lì da loro e sono quindi molto legato a questo posto, tanto è vero che quando scrissi questo brano, pensando ad un eventuale videoclip, avevo già in mente dove girarlo.

Jimmy Ingrassia

Jimmy Ingrassia

Come hai vissuto il tuo percorso a “The Voice” nel team Noemi e cosa ti ha insegnato?

Nel 2005/2006 feci il primo programma importante con un primo contratto serio… si trattava di Domenica In. A quel tempo pensavo, stupidamente, di aver compiuto il passo decisivo passando dal settore amatoriale e quello professionale invece, nonostante i contratti e le produzioni, è importante avere le spalle coperte. Forse proprio perché vengo dal basso, ho capito che non si è mai arrivati, soprattutto in quest’epoca non c’è niente di certo, ogni volta devi essere sempre attento a come mantenerti e stare con i piedi per terra. Finita l’esperienza a Domenica In io non sapevo perché non arrivavano altre chiamate del genere e sono tornato a cantare nei locali come facevo prima. The Voice è stata un’ulteriore esperienza in cui mi sono messo in gioco. The Voice è un programma che ti dà una bella visibilità con tutti i pro e contro annessi. Si tratta di una trasmissione televisiva che non sempre coincide con la musica, nel senso che bisogna portare avanti quello che è lo spettacolo, spesso a discapito dell’identità musicale di un artista. Prima di andarci, comunque, io ero al corrente di tutto, così come tutti gli altri, e, in ogni caso, è giusto dire che un talent show, oggi come oggi, rappresenta comunque un’’importante opportunità da cogliere al volo.

Hai cantato in coro e da solista davanti a Papa Francesco in occasione dell’evento “Le società sportive con Papa Francesco”….che emozioni hai vissuto in quel contesto?

Si è trattata di una bellissima giornata, di certo non capita tutti i giorni di cantare davanti al Papa! Ho vissuto questa emozione insieme ad altri coristi, tutti amici, e devo dire che anche se ero molto  stanco, giacchè avevo fatto i salti mortali per esserci e avevo dormito in tutto due ore, sono stato davvero felicissimo di partecipare.

Prendendo in considerazione l’Ep “Indifesa” cosa porteresti avanti  di quel progetto e cosa, invece, vorresti modificare, cambiare, evolvere pensando ad un lavoro discografico?

Spesso mi è capitato di produrre dei lavori che poi si bloccavano, non per mio volere. Le canzoni che fanno parte di  “Indifesa”, uscito un anno e mezzo fa, sono brani che avevo già scritto e arrangiato e che per alcune ragioni non erano stati pubblicati. Quando è uscito l’Ep non lo sentivo più mio perché, nel frattempo, ero già passato a fare qualcosa di diverso. Ovvero il genere cantautorale che adotto adesso in stile ironico, con matrice folk. Ora finalmente sono arrivato a fare quello che desideravo e l’album, attualmente in lavorazione, sarà l’espressione di quello che sono oggi.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Per Votarmi Scrivi Sì”

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