Contaminazioni: la Scuola Popolare di Musica di Testaccio sposa la tradizione con il futuro. L’intervista a Franca Renzini

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

La Scuola Popolare di Musica di Testaccio presenta la 12° rassegna di concerti  Contaminazioni. L’edizione del 2014 sta spostando la sua attenzione anche alle musiche del centro Italia con il gruppo umbro dei Sonidumbra e il gruppo marchigiano Lu Trainanà, entrambi molto attivi sia nelle rispettive regioni che in tutto il territorio nazionale. Altri graditi ospiti di questa edizione sono stati i Parafonè. Ultimo incontro con l’OrchestraBottoni e i suoi organetti, capitanati da Alessandro D’Alessandro, in un viaggio tra la tradizione mediterranea e l’etnojazz. Questi interessanti esperimenti musicali rappresentano  un terreno fertile su cui la scuola ama confrontarsi. A parlarci della rassegna e di tutte le attività della scuola è il Direttore Artistico Franca Renzini.

La rassegna “Contaminazioni” giunge alla sua dodicesima edizione. Quali sono gli obiettivi di quest’anno?

Contaminazioni non prevede obiettivi, si tratta più di una sorta di check up, un modo piacevole per scoprire dove sta andando la musica popolare. Uno sguardo curioso sulle possibili trasformazioni e interazioni.

Pensando a quanto fatto fino ad oggi, cosa rappresenta il punto di forza di questo nuovo appuntamento musicale e culturale?

L’appuntamento di quest’anno sposta la sua attenzione anche alla musica del centro Italia, forse un po’ meno frequentata nelle ultime edizioni di Contaminazioni. Probabilmente il prossimo anno esploreremo anche il nord!

Commistioni di generi e sperimentazioni a partire da una comune matrice popolare tradizionale popolano i concerti di quest’anno, qual è l’area musicale su cui si concentra il palinsesto?

Se per area musicale intendiamo intendiamo l’area geografica stiamo spaziando dal sud con i calabresi Parafonè alle Marche con Lu Trainanà. Se intendiamo il genere, ovviamente restiamo nell’area popolare e quest’anno non avremo incursioni di nessun tipo né jazz o rock, tanto per fare un esempio. Potremo definire uno sconfinamento  verso la “musica d’autore”, anche se le definizioni spesso risultano un po’ strette…

Cosa ha offerto al pubblico workshop dedicato ai canti umbri di Barbara Bucci?

Il workshop con Barbara Bucci ha previsto una parte teorica sulla polivocalità nei repertori tradizionali umbri e cioè i canti alla mietitora, a malloppo, i vatocchi…tutti canti ormai non più in uso e che rischierebbero di perdersi. Durante il workshop ne sono stati esaminati alcuni, eseguiti  a due voci dai partecipanti.

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Ci parla delle forme polivocali umbre e di un loro possibile utilizzo?

Come dicevamo questi canti sono qualcosa che ci resta ma che ormai non è più legato alla funzione, come per esempio alla mietitura, e quindi si vanno perdendo. Sono forme bivocali che hanno dei forti legami con le prime forme di discanto medievale e spesso l’armonia non è tonale. I Sonidumbra utilizzano  queste forme di espressione nel loro repertorio concertistico con delle voci bellissime e intense inserendoli tra un saltarello, una ballata o un brano originale con una fluidità imprevedibile permettendo a chi ascolta di riassaporare i suoni di un tipo di cultura che va scomparendo.

Come si può progettare il futuro senza dimenticare le radici, la storia, il patrimonio del passato?

Il patrimonio del passato è quello che ci resta delle vite già vissute. Qualcosa di cui a volte non abbiamo coscienza ma che appartiene a tutto quello che facciamo o che siamo. A un gesto, un modo di sentire, a una melodia che ci colpisce e non sappiamo perché, a un desiderio per qualcosa che non abbiamo vissuto, di cui forse abbiamo solo sentito parlare ma che era il quotidiano dei nostri genitori, dei nostri nonni e ancora più indietro e che ha determinato quello che ora siamo. Diverso e lontano ma anche così vicino. Parte della terra e delle stagioni che sono ancora parte della nostra vita. Ecco, la musica e il ballo sono modi per non dimenticare il patrimonio del passato; essi  veicolano storie, pensieri, desideri e aspettative. Sono l’anello di collegamento tra passato e futuro, oltre che una fonte di piacere e di divertimento!

Cosa proporranno al pubblico i marchigiani “Lu Trainarà”?

I ragazzi de Lu Trainanà proporranno il loro repertorio di brani a ballo (soprattutto saltarelli), canti di questua, storie d’amore e stornelli a tempo di saltarello. Nel pomeriggio prima del concerto sarà possibile partecipare a una serie di incontri: sul tamburello marchigiano, sugli stornelli, sull’organetto e uno sui balli popolare marchigiani.

E “L’Orchestra Bottoni”?

L’Orchestra Bottoni è un’orchestra di organetti con una batteria percussiva e una voce. Il repertorio spazia dalla tradizione all’etno jazz. Di tutta la rassegna sono forse i più contaminati perché toccano più stili: classico, contemporaneo, funky, reggae, afrobeat…

Quali sono le attività quotidiane della Scuola di musica di Testaccio?

La Scuola Popolare di Musica di Testaccio svolge una densa attività di alfabetizzazione. Ogni giorno è previsto almeno un corso di teoria musicale (introduzione alla musica) o di solfeggio ritmico (esercitazioni ritmiche). Sono previsti  anche corsi di ascolto guidato e soprattutto laboratori di musica insieme che sono moltissimi e a vari livelli. Chiunque studia uno strumento può trovare spazio per suonare con gli altri nelle varie orchestre, nei laboratori di improvvisazione jazz, nei gruppi di musica da camera…dalle 10,00 di mattina a mezzanotte!

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Parafonè @ Scuola Popolare di Musica di Testaccio

Quanto e come coinvolgete i giovani nei vostri progetti?

La Scuola coinvolge  i giovani non appena sono in grado di suonare uno strumento. E per giovani intendiamo anche i bambini! Infatti abbiamo un’orchestra di musica insieme che li vede coinvolti dai 7 anni in poi. Per i ragazzi dai 14 anni sono previste più situazioni: l’orchestra under 18, i piccoli gruppi di improvvisazione jazz, effetto gruppo (completamente virato al rock), front line (gruppo che si occupa di jazz) e comunque quando sono più grandi cominciano a “mischiarsi” con gli adulti e così vengono coinvolti nelle bande, nelle big band e così via. La scuola è aperta a tutti, dai 3 anni in su…

Quali saranno i prossimi eventi in programma? Ci saranno iniziative simili o con contenuti differenti? 

Oltre a Contaminazioni la scuola prevede un fitto calendario di incontri e concerti. Si parte dal concerto di apertura in un teatro di Roma, una specie festa di inizio anno. Poi si alternano le varie rassegne con programmi molto diversi tra loro, a testimoniare le varie anime che convivono all’interno della scuola. Così troviamo lo spazio Freon con una serie di incontri e concerti dedicati alla musica contemporanea. Testaccio classica, già ben definita dal titolo…il SAT che è lo Spazio Aperto Testaccio e cioè uno spazio mensile dove si convogliano i progetti originali degli allievi ma anche degli insegnanti  o degli amici. Una sorta di festa-concerto conviviale. La rassegna Musica & Musica ospita invece progetti di stampo Jazz, Rock ed anche sperimentazione. I concerti per bambini (in genere a febbraio) sono pensati per il pubblico dei piccoli e il genere è abbastanza vario. Rimane poi l’imprevisto e la possibilità di ospitare altre nuove idee nel corso dell’anno e ampliare così la possibilità di ascoltare con piacere sempre nuova musica!

Raffaella Sbrescia

 

Intervista a Giuseppe Capuana: “Il Sangue di Giuda? L’ album della mia rinascita artistica”

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Giuseppe Capuana, è un pittore, cantautore e musicista di origini siciliane e provenienza milanese che vive, ormai da tempo, in Toscana. Dal fortunato incontro con Giulio Iozzi (arrangiatore e produttore artistico) nasce “Il Sangue di Giuda”, l’ album in uscita il prossimo 7 novembre su etichetta Raimoon Ed. Musicali Srl, in cui parole e musica convergono seguendo i ritmi e le linee di stili diversi tra loro, eppure uniti dal fascino senza tempo del genere cantautoriale. Capuana racconta le storie di uomini e donne in potersi rispecchiare per emozionarsi al pensiero che determinate fasi della vita ci accomunano tutti, aldilà di qualsiasi preconcetto. Raffinato e sensibile, l’artista canta e sogna senza porsi troppi perché ed il risultato è di forte impatto emotivo.

Come hai maturato l’idea di scrivere, produrre e registrare questo album?

I testi e le melodie sono nate dal “bisogno” di ritornare ad esprimermi “artisticamente” e  visto che erano diversi anni che non riuscivo più a farlo, aver ritrovato questo “bisogno” nella musica è stata una rinascita. L’idea di produrre questo album è nata dopo aver conosciuto Giulio Iozzi, l’arrangiatore di tutti i pezzi, che ha creduto, anche forse più di me, nella realizzazione del progetto.

Di chi sono le 5 anime affacciate alla finestra del “Vicolo Carlotta”?

“Vicolo Carlotta” è la canzone dell’album a cui tengo di più perché legata a uno dei momenti più belli della mia vita. Questa canzone diversamente dalle altre è il mio primo “dipinto di parole”. Sono tanti piccoli fotogrammi che rendono visibile ciò che canto. Le anime affacciate alla finestra valgono quanto le persone che passeggiano nel dipinto di Van Gogh “Terrazza del caffè la sera”…semplicemente non possono non esserci, non sarebbe la stessa cosa.

Giuseppe Capuana

Giuseppe Capuana

Cosa racconti, invece, in “Il volo dei matti”?

“” il volo dei matti è il loro sorriso e cancella le pagine del loro destino”". Lucio Dalla cantava ” Il pensiero come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare” , così è per il sorriso di alcune persone, non lo puoi bloccare nè recintare e quando si apre sparisce persino quel briciolo di coscienza di appartenere a questa vita.

Alcuni brani sono ambientati in un contesto di registrazione differente dagli altri… cosa accomuna “Come un  dente di leone”, “Se”, “Se non si può ridere” e “Buonanotte a te”?

A volte mi capita di cominciare a scrivere una canzone e accorgermi che è finita dopo pochissime parole e non perché non so più portarla avanti, ma semplicemente perché aggiungere altro sarebbe superfluo. Così, io e Giulio abbiamo deciso di inserire alcuni di questi pezzi chitarra e voce e farli diventare degli “intermezzi” tra una canzone e l’altra.

Ci parli del bellissimo ed intenso brano intitolato “Incomprensioni”?

 ”Incomprensioni” e “Il matto Jim” sono gli unici due testi che non nascono dalla mia penna. Il primo è stato scritto da Domenica Borghese e quando Giulio mi ha proposto di dargli voce ho accettato subito perché prima di ascoltare l’arrangiamento ho letto il testo e l’ho trovato , come hai detto tu, intenso. Il secondo è stato scritto da Alessandro Secci, una tra le persone più “pazze”  nello scrivere testi che abbia mai conosciuto.

Giuseppe Capuana

Giuseppe Capuana

A cosa è dovuta la scelta della data 20.07.2011 come titolo di un brano e cosa si cela al centro della trama del brano?

“Di quel misfatto, sia chiaro il fatto, che di cantarlo non darò giudizio”". Racconto, col giusto peso che bisogna dare alle canzoni, uno dei tragici giorni del G8 a Genova…

Cosa rappresenta per te la musica e in che modo riesci a veicolare la tua essenza al suo interno?

In questo momento la musica rappresenta una rinascita, e l’interpretazione, più che la voce, è lo “strumento” che uso per filtrare ciò che è giusto esca dalle mie parole.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?

Spero prestissimo, stiamo lavorando per questo! Tutte le date e informazioni usciranno sulla mia pagina Fb: https://www.facebook.com/pages/Giuseppe-Capuana/664584030236289?fref=ts e sul sito giuseppecapuana.com

 Raffaella Sbrescia

Video: “Il Sangue di Giuda”

Intervista a [K(s)A/L]: “Viva Terror! è la mia storia stravagante”

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“Viva Terror!” è l’ultimo disco di [K(s)A/L] Kaiser(schnitt)amboss/laszlo, uscito nel 2011 ma riscoperto e dato alle stampe solo ora da Spaceship Management, che pubblicherà anche il nuovissimo album nel 2015. Cecilia, questo il suo nome di battesimo, è una ragazza forte, decisa, ribelle e completamente dedita alla musica. Il suo album è eterodosso, sofferto, anarchico, in bilico tra blues, industrial, elettro wave con momenti acustici e sonorità visionarie ispirate dal costante abuso di droghe che si risversa anche nei testi ermetici, disillusi e diretti. In questa intervista, l’artista si è raccontata senza filtri, svelando molto di sé e della sua potente musica.

Perché il tuo album è intitolato “Viva Terror!”?

Il terrore è molto più penetrante della paura ma può valere la pena provarlo. Provarlo può essere anche tremendo, quindi tanto vale celebrarlo, magari con 11 canzoni, è un gran bel modo di farcela.

Cosa ne pensi del fatto che questo album stia avendo una nuova vita?

Mi fa piacere che questo disco sia stato “riscoperto”, dato che ha avuto una visibilità limitata, sino ad ora. Secondo me ha sempre qualcosa da dire, è diverso, eterodosso, libero, parecchio menefreghista e impertinente, pieno di piccole “trappole” e agitato da diversi colori. I suoni sono fantastici. E’ un long playing, quindi, volente o nolente, è una storia. Una storia stravagante ma una gran buona storia.

A che cosa stai lavorando per il 2015? Puoi anticipare quali saranno i temi delle nuove canzoni?

10 pezzi per il nuovo album completo sono stati già registrati, in attesa di uscire. Un album sostenuto da sole chitarre, acustiche ed elettriche, diverso per molti aspetti da Viva Terror!, almeno per quanto riguarda l’ortodossia degli strumenti utilizzati. I temi delle canzoni? Non c’è nessun tema, se non ciò che mi attraversa personalmente, se non quello che vivo e vedo e i ritratti di quelli che mi gravitano attorno. Qualsiasi cosa mi può muovere a scrivere un pezzo e il suono di una parola ha lo stesso peso del suo significato, nell’economia di un brano. È la mia realtà, che piaccia o meno, ed è così che la descrivo.

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

Ti ritrovi quando scrivono che ti piace infastidire, incantare e affascinare il pubblico?

No. Non mi P-I-A-C-E infastidire, incantare e affascinare nessuno. Perché dovrei? Può darsi che infastidisca o può darsi che incanti qualcuno, ma scrivere e suonare un brano non ha nulla a che fare con tutto questo. È tutt’altra faccenda. Sei solo. Hai una chitarra, e la fai cantare con te. E lavori col cesello. Come puoi avere in mente un pubblico da infastidire o incantare, in quel momento? È l’oggetto della tua canzone, la tua ossessione. Allora ti autodescrivi, ti sfinisci e ti completi.

 La tua musica a grandi linee viaggia tra blues ed electro wave, riesci a spiegare la formula sonora di questo disco? Quali sono i tuoi riferimenti?

La formula è semplice. “Viva Terror!” è un album di 11 canzoni nate originariamente per voce e chitarre e che, in corso d’opera, è stato letteralmente agitato da fantastici interventi eretici, a livello sonoro e suonato con molti strumenti. Chitarre, basso, piano, catene, body-percussion, ovviamente voce. Ma è comunque un disco immediato e, come spesso dico, composto da canzoni che possono essere suonate anche in un mondo dove la corrente elettrica venga meno. Ascoltavo e imparavo da Leadbelly, Cluster e i Public Image Limited in heavy rotation e ossessivamente, in quel periodo. E’ confluito molto di tutti loro, in Viva Terror!.

Perché e quando hai scritto una canzone come «Destroy your generation»?

“Destroy your generation” è un inno, una marcia, realizzata con povere cose (un basso, una voce, e una TR 505 filtrata da un flanger). È una canzone ossessiva e notturna, nata davvero velocemente, una vera e propria urgenza, condita da una rabbia precisa. È un inno all’individualismo e all’emancipazione, distruggere il concetto, la famiglia, la macchina, pensandole come strutture precostituite da cui è necessario liberarsi per rifondarsi da capo. O per non rifondarsi affatto!

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

E che dire di “Viva Anarchia”?

L’anarchia di questo brano non è quella politica, sempre che l’anarchia lo possa essere, visto che la sua grandezza è nell’impossibilità della sua etica. E cito il grande Malatesta, intendiamoci. Guyau e Stirner comunque sono sottilmente omaggiati. E anche Viva Anarchia! è un inno, eccome. “C’è stato un tempo in cui ero un tipo carino, non è vero, non lo sono mai stato …”. Un inno a pieni polmoni ai propri difetti, alla tua unicità, anche alla propria indolenza e contraddizione, necessariamente alla propria solitudine, intendetela come volete. Non è facile volersi davvero come individuo. Fa male, come arrivare in fondo al ritornello di questa canzone.

 Pensando al tuo passato, qual è il tuo rapporto con la droga?

Ho un ottimo rapporto con le droghe, passato o non passato. Che dovrei dire? Certo sono una compagnia parecchio esigente. Se mi si vuole sentir dire che “servono” alla scrittura di un brano, no, non è vero, per nulla. Spesso, anzi,  te lo impediscono. Incidono a loro modo, come qualsiasi altro stimolo, ma sono ben altri i meccanismi mentali e spirituali lì implicati. Che il mondo dell’illecito solletichi la tua fantasia e alzi il livello di adrenalina e la posta in gioco della tua vita, è vero. C’è a chi piace sentirsi così, e a chi no. E a me piace. A questo mondo c’è chi trova soddisfacente, che so, parlare di cibo vegano e complicarsi la vita in cucina. Io non cucino perché penso di impiegare meglio il mio tempo suonando. A ognuno la sua fetta di universo, semplicemente.

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

Kaiser(schnitt)amboss/laszlo Ph Nikka Dimroci

 Cosa ti aspetti dal futuro?

Niente, il futuro è qualcosa che non riesco affatto a prefigurarmi. Non riesco a pensare ad altro che a migliorare sulla chitarra e sulla scrittura delle canzoni. Quella è la mia ossessione, sentire vibrare le corde sotto i calli. Tutto il resto a quel punto può scomparire e nulla ha più importanza.

Raffaella Sbrescia

“Viva Terror!” è in streaming e download grautito su https://soundcloud.com/k-s-a-l/sets/viva-terror

Intervista a Marco Selvaggio: “L’Hang è il mio scrigno magico”

Marco Selvaggio Ph Fabio Florio

Marco Selvaggio Ph Fabio Florio

 “The Eternal Dreamer” è il nuovo singolo del percussionista catanese Marco Selvaggio. Il brano, che  anticipa l’uscita dell’omonimo disco, prevista per l’1 dicembre. Marco Selvaggio, ad oggi, è l’unico in Italia a suonare l’Hang dal vivo, sulla musica house ed elettronica, e a sposare le melodie dell’hang alla musica lirica e da ultimo pop. L’hang è uno strumento idiofono svizzero suonato da Marco e nell’imminente album, esso avrà un ruolo centrale insieme alle collaborazioni con diversi artisti italiani come The Niro, e internazionali, come Anne Ducros,  Daniel Martin Moore, Dan Davidson (dei Tupelo Honey), Sidsel Ben Semmane e altri ancora.

The Eternal Dreamer” è un suggestivo brano dal titolo eloquente… ci parli della scelta di un arrangiamento così particolare e dell’interpretazione testuale di Daniel Martin Moore?

“I’m gonna be beautiful, when you look at me, I’m gonna be beautiful, an eternal dreamer you will see”  The Eternal Dreamer è la canzone che rappresenta pienamente l’album e me stesso. E’ una di quelle canzoni che forse si scrivono una volta sola nella vita. Ha con se la carica di un sognatore che guarda in cielo con i piedi per terra. Sa bene che gli potrà cadere un giorno il mondo addosso ma ha la forza di non cadere mai sulle proprie ginocchia per andare verso l’amore incondizionato e per il raggiungimento del suo sogno. L’arrangiamento è molto delicato e l’hang appare e scompare tra le calde note della voce di Daniel. Lui l’ho conosciuto online e mi ha subito colpito per la particolarità della sua voce! Calda, soffice, dolce ma anche nostalgica e malinconica! Le sensazioni che maggiormente mi appartengono! Ho scritto musica e testi di “The Eternal Dreamer” circa un annetto fa e credo che Daniel Martin Moore abbia interpretato la canzone in maniera incredibile (basta pensare che per ogni canzone cantata del disco ho ascoltato circa 50 interpreti, quindi circa 350 voci diverse). Devo dire che son legato a The Eternal Dreamer in maniera davvero particolare, quasi viscerale, così come alla mia Sicilia.

Il brano anticipa il tuo nuovo album, in uscita il prossimo 1 dicembre…cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Cosa ti ha spinto a lavorarci su? Con chi hai collaborato? Cosa racchiude di te, quali saranno i contenuti e le prospettive del nuovo disco che ci presenterai?

E’ un lavoro iniziato da più di un anno che non è stato semplice realizzare! Tutto ha avuto inizio nell’aprile del 2013 quando ho iniziato a fare ascoltare i miei brani alla Waterbirds Records, nella persona di Nica Midulla accompagnata da sua figlia Simona Virlinzi, supportato da mio padre – nient’altro che il terzo produttore del disco – che mi ha trasmesso la passione per la musica sin da piccolo. Ho iniziato a scrivere e a suonare l’hang circa 6 anni fa e poi è stato un crescendo continuo che mi ha portato a comporre melodie sempre diverse e provare sperimentazioni sonore molto particolari! The Eternal Dreamer è un album pop molto sognante! Lo strumento cardine del disco è chiaramente l’hang, e in questo siamo stati un po’ pionieri dato che nella musica pop non si riscontrano ancora produzioni con l’utilizzo dell’hang, o perlomeno saranno davvero pochissime e a noi sconosciute. Ho ascoltato moltissime voci per far interpretare le mie canzoni (io non canto, son davvero stonato, anche se mi sarebbe piaciuto molto) e al disco collaborano cantanti di tutto rispetto! Da Daniel Martin Moore, come ho accennato prima, a Anne Ducros (che ha inciso con Battiato) e canterà l’unica canzone in francese dell’album, a The Niro che arriva fresco fresco dall’ultimo Sanremo, a Dan Davidson leader del gruppo canadese Tupelo Honey che sta andando fortissimo, a Sidsel Ben Semmane dalla Danimarca la quale ha partecipato all’Eurovision alcuni anni fa, a Haydn Cox e Hazel Tratt dall’Inghilterra. Il disco affronta principalmente il tema della vita e dell’amore visto da diversi punti di vista e prospettive. Ci sono molte metafore nei miei testi che possono anche essere interpretate in base alle proprie sensazioni! Il disco, inoltre, ha un forte respiro internazionale e mi auguro insieme ai produttori che possa uscire fuori dall’Italia.

Marco Selvaggio Ph Andrea Ventura

Marco Selvaggio Ph Andrea Ventura

Ci saranno ponti di collegamento tra le tracce strumentali e quelle cantate?

La tracklist dell’album è stata studiata per molto tempo! Alla fine ho deciso di comune accordo con Toni Carbone (fonico, arrangiatore e produttore artistico) di seguire i suoi consigli e unirli alle mie intenzioni. Il disco si apre e si chiude con una traccia strumentale! Questo perché chiaramente non tutti conoscono l’hang (considerato ad oggi lo strumento più raro al mondo)! In tal modo s’introduce l’ascoltatore a nuove sonorità che ritroverà sempre all’interno del disco riuscendo anche a riconoscerle in maniera netta e distinta. Il disco poi si chiude sempre con un brano strumentale che inizia con l’accensione di una macchina… come ad iniziare un altro viaggio…

Si pensa già ad un collegamento con un progetto futuro… Chi lo sa!?

Da dove viene la tua passione per un strumento così raro come l’hang? Quali parole useresti per descrivere questo strumento al pubblico? Quali suggestioni è in grado di evocare, secondo te?

Non è semplice spiegare da cosa nasca la passione per questo strumento! Io dico sempre che è stata serendipità! Il termine serendipità indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra. Io non cercavo l’hang, mi è semplicemente capitato davanti un suonatore dell’est d’Europa mentre cercavo un locale di Roma per Trastevere! Da la è iniziata la sfrenata ricerca per lo strumento e l’amore folle per lo stesso che mi ha portato oggi a suonare e comporre tante musiche e canzoni e che al tempo stesso mi tiene incollato 4 ore al giorno, o meglio a notte, sullo stesso. È uno strumento incredibile che riesce ad evocare sensazioni mistiche. È quasi ipnotico ed è difficile separarsene. Non è semplice descriverlo, io dico sempre che se la magia è presente nella musica, per quanto mi riguarda, è dentro questo scrigno di metallo chiamato Hang.

Cover album Ph Valentina Indelicato

Cover album Ph Valentina Indelicato

Durante il tuo lungo percorso di studio, hai associato il suono dell’hang alla musica elettronica  e alla musica house…come hai creato questo connubio ritmico? Cosa ti ha ispirato e quali credi siano stati i frutti migliori di questa sperimentazione?

Ho iniziato a suonare musica tradizionale africana circa 13 anni fa. Tutto è iniziato come un gioco con le percussioni, col djembè per l’esattezza! Da lì mi sono avvicinato al mondo della musica house suonando le percussioni dal vivo in alcuni club della mia città! In fin dei conti si comincia sempre così… dal basso, per crescere! Avuto l’hang mi è venuta l’idea di associare non più solo la parte ritmica alla musica house, ma anche quella melodica! Con l’hang si è in grado di creare delle vere e proprie melodie e guardando online mi ero accorto che mai nessuno dal vivo aveva fatto tutto ciò nei club. Ho iniziato a sperimentare sulla musica house ed elettronica suonando con l’hang sul brano passato dal DJ di turno e costruendo melodie sempre diverse, a volte reiterando un motivo musicale, altre volte facendo dei veri e propri virtuosismi. I frutti di questa sperimentazione, non ancora compresa pienamente nel mio territorio, mi hanno portato a suonare e sperimentare questa piccola innovativa idea in giro per l’Europa tra club e festival (Monaco, Londra, Malta etc…).

Cosa stai ascoltando in questo periodo?

In questo periodo ascolto spesso Nick Drake, uno dei miei cantautori preferiti, William Fitzsimmons visto sempre nel 2014 a Berlino, Damien Rice visto qualche giorno fa a Milano e Jeff Buckley! Adoro la musica indie e folk. Le canzoni acustiche e il pop sognante e mai pesante.

Quando e dove potremo ascoltarti dal vivo? Che tipo di concerto proporrai al pubblico?

Una volta uscito l’album l’1 dicembre 2014 faremo una bellissima presentazione del disco partendo dal pubblico di casa e poi inizieremo a pensare ai live in maniera più concreta! Non mancheranno i concerti strumentali e sperimentali da solista con l’hang, quelli in trio con i miei musicisti e quelli con la formazione completa insieme a qualche featuring di voce che mi accompagnerà a seconda delle esigenze concertistiche! In fin dei conti nel mio disco ci son 7 cantanti provenienti da diverse parti del mondo! Sarebbe bello!

Raffaella Sbrescia

Acquista “The Eternal Dreamer” su iTunes

Saint Motel: il debutto italiano di “My Type” è un successo

Saint Motel @ Terrazza Aperol Ph Francesco Prandoni

Saint Motel @ Terrazza Aperol Ph Francesco Prandoni

I Saint Motel arrivano in Italia portando con se una bella ventata di freschezza. La band di Los Angeles si è esibita sia in tv, nella trasmissione Rai “Quelli che il calcio”, sia alla Terrazza Aperol di Milano per lo showcase di presentazione dell’Ep intitolato “My Type”, proprio come l’omonimo singolo balzato velocemente in cima alle classifiche. La formula musicale proposta da A/J Jackson (cantante), Aaron Sharp (chitarra), Dak (basso), Greg Erwin (batteria) si basa su una componente ritmica veloce e potente, in grado di conferire un elevato grado di ballabilità a tutti i brani del piccolo lavoro discografico che questi giovani ed intraprendenti musicisti hanno realizzato. I Saint Motel non sono solo “My type”, la loro verve carismatica ha scaldato subito gli animi di quanti sono accorsi ad ascoltarli dal vivo, testimoniando un’immediata capacità comunicativa. Abituati ad esibirsi nei contesti più inusuali  come un party in mutande in un magazzino, nel retro di un camion ad un party di San Valentino o in mezzo ad una pista di skate-boarding, i Saint Motel sono rimasti davvero colpiti dall’entusiasmo del pubblico italiano e, durante la round table che si è tenuta lo scorso 27 ottobre, presso gli uffici della Warner Music, i quattro musicisti hanno raccontato le loro impressioni: “ Ci siamo sentiti davvero a nostro agio. Il nostro primo live italiano ci ha fatto emozionare, il pubblico era caldo, entusiasta e partecipe. Non vediamo l’ora di tornare in Italia per i concerti di marzo, rispettivamente previsti il 10/03 al Tunnel di Milano, il 12/03 all’Orion di Roma, il 13/03  al Vox Club di Modena ed il 14/03 al New Age Club di Treviso”.

Saint Motel @ Terrazza Aperol Ph Francesco Prandoni

Saint Motel @ Terrazza Aperol Ph Francesco Prandoni

Insieme ormai dal 2009, i Saint Motel lasciano confluire i loro diversi background musicali all’interno di un unico contesto comune, in grado di esaltare echi che richiamano il soul, il rock, il pop latino e la disco anni ’70 arrivando fino al jazz, ovviamente suonato a modo loro. “Non chiedeteci di descrivere la nostra musica. Non ci piace farlo. Preferiamo prendere a prestito citazioni altrui”, spiega A/J Jackson, che, in effetti, più che utilizzare sproloqui sull’arcobaleno di note realizzate, preferisce concentrarsi sulla chimica che scandisce le composizioni del gruppo. Tra i punti chiave dell’incontro con la stampa anche un focus sul video non ufficiale di “My Type”, in cui Jackson balla con Raffaella Carra, grazie ad un brillante fotomontaggio, il visual album “Voyeur”, inciso nel 2012, e gli elettrizzanti feedback degli opening acts degli Imagine Dragons e degli Arctic Monkeys. Lo slancio, la grinta e la leggerezza dei Saint Motel rappresentano, dunque, i promettenti presupposti su cui la giovane band si baserà per i prossimi passi volti alla conquista della scena musicale mondiale.

Raffaella Sbrescia

Video: “My Type”

Amedeo Minghi “Suoni tra ieri e domani? Un progetto che racconta la mia vita”

Cover disco

Amedeo Minghi  torna sulle scene con un nuovo progetto editoriale e discografico intitolato “Suoni tra ieri e domani”. L’artista ha racchiuso alcuni dei più bei brani scritti da lui ed  interpretati dai nomi storici della musica italiana in un elegante cofanetto comprensivo di un cd audio, un bellissimo brano inedito “Io non ti lascerò mai”ed un libretto di 64 pagine in cui il cantautore ha ricordato aneddoti, artisti, poeti, musicisti, arrangiatori, produttori che hanno segnato le tappe salienti della sua lunga carriera artistica. Rilette e riarrangiate insieme al maestro Gangarella, le canzoni vivono una nuova identità  e, nella loro essenzialità piano e voce, si aprono con stupefacente facilità a nuove coinvolgenti interpretazioni. In questa intervista Amedeo Minghi si è soffermato a lungo non solo su questo importante progetto ma anche su numerosi aspetti strettamente collegati alla dimensione musicale contemporanea.

Così come ha spiegato nel libretto che accompagna il suo nuovo lavoro discografico “Suoni tra ieri e domani”, la scelta di pubblicare questa selezione di brani del suo repertorio è consequenziale ad una “spinta sociale”… ci spiega come le è venuta la voglia di recuperare queste gemme dal suo personale forziere di parole?

In questo album ci sono 10 brani che ho selezionato e che in passato ho affidato a miei colleghi interpreti. In realtà questo lavoro è una sorta di testimonianza di un modo di concepire la musica diverso da quello contemporaneo, un mondo in cui  i grandi compositori, i cantanti, i musicisti avevano una forte apertura verso gli altri, verso la collaborazione, non c’era l’individualismo che c’è oggi. Racconto un mondo in cui c’erano meno sovrastrutture, i cantanti non erano chiusi in torri d’avorio. Noi eravamo abituati a sperimentare, ricominciando ogni volta quasi daccapo. In ogni canzone c’è, inoltre, un piccolo aneddoto che svolge la funzione di collegamento tra brani composti in un arco temporale piuttosto lungo.

Tra tutti gli episodi citati, particolarmente emozionante è quello relativo alla registrazione del brano intitolato “Ma sono solo giorni” con Mia Martini…cosa ha reso quel momento così memorabile?

Mimì era considerata da tutti noi dell’ambiente musicale  la numero uno in assoluto. Lo dico con molta chiarezza, noi musicisti abbiamo amato moltissimo Mimì per cui, quando  mi chiamarono per scrivere questo brano per lei, si trattò per me di un vero e proprio salto di qualità. Scrivere per lei fu qualcosa di molto importante e lo fu anche il modo in cui avvenne: io nel box con la chitarra, lei al microfono. Eravamo da soli, tutto era sulle mie spalle. Il brano era anche molto difficile da suonare, non c’erano click, non c’era niente. Per me quello è un ricordo straordinario.

Nella presentazione del disco e del relativo volume, lei parla anche della crisi della discografia e della distribuzione musicale… quanti danni ha causato l’avvento del digitale?

Beh, il digitale ha sicuramente causato gravi danni soprattutto alle giovani generazioni perché magari un ragazzino potrebbe pensare che l’unico modo per ascoltare musica sia soltanto attraverso il pc, non si rende conto di quale sia la reale produzione di un album. A questo aggiungerei un problema tutto italiano: mentre in Germania per scaricare un brano paghi 4 euro, in Italia lo stesso brano costa 0.99 centesimi, un intero album in Germania però costa 7 euro qui, invece, viene 9.99 euro. Si tratta di un problema di impostazione. In casi come questo, in cui un artista propone un libro, il racconto di un percorso di vita, quello che offriamo diventa qualcosa di diverso, pensato per aggirare l’ostacolo: siamo sul digitale ma saremo anche nelle librerie e cercheremo di dare la giusta visibilità ad un lavoro importante e per certi versi addirittura utile per i ragazzi. Lo stesso libretto è stato realizzato dagli studenti dell’Università La Sapienza di Roma, che hanno voluto realizzarlo  in maniera del tutto volontaria e  sono stato davvero molto entusiasta di collaborare con loro.

Amedeo Minghi

Amedeo Minghi

Quale sarà, dunque, il futuro del supporto fisico?

Ci sono alcuni segnali secondo cui il vinile potrebbe riprendere vita, anche perché con i mezzi che abbiamo a disposizione si potrebbe riuscire ad ottenere un disco in vinile con dei costi molto più ridotti. Se si potesse togliere il 4% di iva, come avviene già con i libri, sarebbe un’altra storia. Non siamo ancora riusciti a convincere il governo del fatto che la musica è cultura, se ci riuscissimo potremmo ottenere la realizzazione di lavori fruibili, concreti, tangibili, da vivere e toccare con mano.

A proposito di impostazione del sistema,  il suo lavoro sarà presto protagonista di un grande evento organizzato presso l’Università La Sapienza di Roma… cosa dovrà aspettarsi il pubblico?

Anche per me sarà una grande sorpresa!  Il 30 ottobre scoprirò cosa hanno organizzato i ragazzi che, tra l’altro, hanno realizzato un bellissimo videoclip e anche questo libretto. Insieme ai suddetti progetti è venuta fuori anche questa cosa del tutto inaspettata, quel giorno saranno presenti tantissimi ragazzi e numerosi gruppi, che hanno realizzato delle cover version di brani miei, rivisitati in maniera del tutto spontanea. Ovviamente faremo una ripresa audio e video di quest’evento in cui ci saranno rock, pop, jazz, hip hop, rap, reggae, un balletto ispirato alla musicoterapia , un altro ispirato alle musiche di “Fantaghirò”, insieme a delle coreografie classiche.  Io sarò ovviamente in prima fila a godermi tutto dall’inizio alla fine, adoro stare con i giovani!

Cantare è d’amore?

Certo, tutti cantano d’amore! Alcuni si sono forse celati dietro altre cose, magari buttandosi sul sociale, ma alla fine  l’amore è anche politica.

“In ogni giorno ci sei per sempre. Io non ti lascerò mai, non ti lascerò mai. Quel respiro leggero che hai, l’onda del petto  che scende e che sale  e mentre sogno ti penso e fa male . Un’altra vita  eravamo oramai e adesso sì che sto imparando a stare nel mondo…ancora qui per noi”.  Il suo ultimo inedito è una dedica d’amore incondizionato…

Avevo già iniziato a scrivere questa canzone prima che mia moglie se ne andasse, lei l’aveva ascoltata e le piaceva davvero molto per cui ho lavorato molto su questo testo. Alla luce di tutto questo è importante rileggere il video pensando che i riferimenti al mito di Orfeo ed Euridice e alla poesia di Ungaretti sono pensati per dare un senso all’ amore che è più forte di tutto, anche della morte.

Perché  il titolo della raccolta “Suoni tra ieri e domani” presenta un riferimento al futuro?

Il brano “Io non ti lascerò mai” è proiettato al futuro. Io canto canzoni del passato ma le sto eseguendo come in un probabile futuro .

Come ha lavorato con Cinzia Gangarella agli arrangiamenti?

Cinzia ha fatto un lavoro enorme, ha lavorato per mesi scorporando gli arrangiamenti originali per riarrangiare i brani e costruire un’architettura sonora straordinaria.

Hai rimpianti o rimorsi particolari?

Sì, ci sono state occasioni perse ma fa parte della vita. La maggior parte delle volte che fai progetti non ti riescono poi magari ti capitano delle cose strepitose, completamente inaspettate. Il rimorso si può anche avere ma alla fine è completamente inutile perché la vita ti dà quello che vuole lei. Il caso ha un’importanza clamorosa nelle nostre esistenze.

Come saranno i live che presenterà a breve al pubblico il 29 novembre a Bologna, il 21 dicembre a Torino ed il 22 dicembre al Teatro Nuovo di Milano?

La prima parte del concerto sarà con il maestro Gangarella mentre nella seconda parte coinvolgerò il pubblico in un viaggio nel nostro comune passato.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Io non ti lascerò mai”

Invers: “In Montagne vi spieghiamo che la resa sta alla radice di una svolta”

Montagne

Gli Invers sono una band originaria di Biella  con una formula musicale a cavallo tra rock e cantautorato. La potenza delle melodie proposte da questi 4 musicisti italiani si sposa con la forza emotiva dei testi proposti al pubblico. Con un gran numero di concerti all’attivo e due Ep pubblicati negli scorsi anni, la band presenta un nuovo singolo intitolato “Montagne”, scelto per anticipare il nuovo atteso album “Dellʼamore, della morte, della vita” che sarà pubblicato ad inizio 2015. Registrato e mixato al MoscowMule Studio (Biella) da VinaBros, il singolo è stato masterizzato al The Exchange (Londra) da Mike Marsh (Franz Ferdinand, Kasabian, Savages).  In questa intervista  Marco B. / Mattia I. / Enrico B. / Mirko L. ci raccontano nello specifico la trama dell’inedito pubblicato lo scorso 17 ottobre, anticipando alcuni gustosi dettagli relativi al lavoro discografico in uscita nei prossimi mesi.

 

Alla luce dei vostri lavori precedenti e di quello a cui state lavorando oggi… chi sono gli Invers?

Quando ci si guarda in faccia, vedendosi ogni giorno, ci si dice che si è sempre uguali, ma sappiamo tutti che la realtà è diversa. Per noi questo è vero in parte, perchè se musicalmente dobbiamo riconoscere e quindi dire di essere cambiati, o meglio di aver intrapreso un percorso in cui ci sentiamo più liberi e forse anche cresciuti e consapevoli, dal lato personale siamo fondamentalmente i soliti quattro di sempre, ognuno con i propri gusti, le proprie idee, i propri modi di fare, costantemente in contrasto con quelli degli altri, che tra un confronto e l’altro riescono sempre a trovare un modo per andare d’accordo. Quattro amici, di cui due fratelli, e gli altri due praticamente fratelli acquisiti.

Avete definito il singolo “Montagne” un brano potente, serrato ed ossessivo…  come motivereste la scelta di questi aggettivi e come spieghereste il senso di questa canzone?

Partendo dall’idea primordiale del pezzo, passando attraverso il suo sviluppo e arrivando alla versione definitiva del brano, questi tre aggettivi sono rimasti intatti, dall’energia messa nelle prime prove alle sensazioni percepite ascoltando il risultato finale in studio. Il testo del brano descrive la condizione di inadeguatezza in cui si trova chi non si riconosce più in quello che vede, che fa, che vive, e solo dopo aver preso atto dell’immutabilità di tale condizione, riconosce che l’unica cosa da fare è arrendersi ad essa. La parte musicale è potente, ipnotica, quasi una cantilena tagliente proprio perchè ossessiva, serrata, a sostenere e rafforzare il senso di costrizione descritto dalle parole.

Invers

Invers

Quali saranno i temi, le storie, i personaggi e le scelte musicali che verranno incluse in “Dell’amore, della morte, della vita”?

I tre concetti che regalano il titolo al nostro secondo album sono i temi portanti di ognuna delle canzoni che compongo il disco. Alle volte uno solo, altre volte due, oppure tutti e tre nello stesso brano, sono l’amore, la morte e la vita i “personaggi” in scena in questo nuovo lavoro, che vengono riflessi attraverso storie di persone vicine e lontane, unite e divise, presenti e passate. Tutto ciò è avvolto da una componente musicale decisamente più dinamica rispetto al nostro precedente lavoro, volta a trasmettere nel modo più efficace e profondo possibile il significato e l’atmosfera di ogni brano.

Cosa vi hanno insegnato i tanti concerti che avete tenuto negli scorsi mesi in tutta Italia e cosa amate di più dell’interazione con il pubblico?

Sicuramente abbiamo capito che, nonostante i chilometri, gli imprevisti, le dimenticanze, i ritardi, le ore di sonno mancate, e tutti gli altri accessori inclusi, suonare è quello che vogliamo fare, ad ogni costo, cercando di arrivare a più timpani e cervelli e cuori possibili, per trasmettere la nostra visione e la nostra idea, per poterla mettere nelle mani di altre persone e vedere che effetto fa loro, se la giudicheranno, l’apprezzeranno o la demoliranno, avremo comunque raggiunto l’obiettivo più importante: condividere quel che siamo e facciamo con chi è lì con noi in quel momento.

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Se doveste spiegare la vostra musica a chi non vi conosce, quali parole usereste?

Ci piace usare una frase breve ma significativa per presentare quello che facciamo, ovvero “musica potente con testi particolarmente vicini al cantautorato italiano”, che di fatto descrive molto bene quello che siamo musicalmente parlando, sia sul palco che in studio. Tuttavia non si tratta solamente di una personale presentazione del nostro lavoro, è anche e soprattutto l’idea che abbiamo in testa, che vogliamo realizzare, e il modo in cui sentiamo di doverla esprimere.

La “resa” può rappresentare una svolta esistenziale?

Senza ombra di dubbio la resa sta alla radice di una svolta.Che sia per scelta o per forza, si arriva alla resa dopo un’ attenta analisi della situazione che causa malessere, e solo dopo aver raggiunto una posizione oggettiva rispetto ad essa, si può essere in grado di prendere la decisione di non curarsene più, e quindi lasciare perdere. La resa come atto supremo di presa di coscienza fa da spartiacque tra quello che è stato e quello che sarà, istruendoci su un nuovo e più lucido approccio nella visione della realtà.

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Dove e quando vi esibirete dal vivo?

Da qui alla fine dell’anno porteremo in giro una sorta di anteprima live completa dei brani che comporranno “Dell’amore, della morte della vita”, in attesa della sua pubblicazione ufficiale, nei primi mesi del 2015. Più precisamente, chiunque vorrà ascoltare il nuovo disco, potrà trovarci venerdì 24 ottobre alla Cooperativa Portalupi di Vigevano, sabato 1 novembre al Circolino Porta Torino di Vercelli, mercoledì 12 a Bologna, al Làbas occupato e sabato 22 al Kantiere di Verbania. Per quanto riguarda dicembre, invece, saremo dapprima il 13 a Torino, al Magazzino sul Po, e poi sabato 20 all’Otto di Biella, vicino a casa, giusto in tempo per prepararsi per un nuovo anno, un nuovo disco, una nuova vita.

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Piero Fabrizi: “Primula? Un disco spontaneo e libero”

Piero Fabrizi

Piero Fabrizi

Musicista, compositore, produttore e arrangiatore, Piero Fabrizi è attivo nel panorama musicale italiano sin dal 1980. Dopo aver prodotto, nell’arco di 23 anni, 14 album e due DVD della cantante romana Fiorella Mannoia, nel 2002 Piero Fabrizi ha fondato l’etichetta discografica indipendente Brave Art Records, con la quale realizza progetti dedicati alla musica strumentale. Lo scorso settembre il chitarrista e produttore romano ha deciso di pubblicare “Primula” (un album d’esordio arrivato dopo una lunga carriera e oltre cento dischi), per raccontarsi senza limiti. In questa intervista, l’artista si è raccontato a 360 gradi dedicando un ampio approfondimento non solo a questo lavoro ricco di prestigiose collaborazioni, ma anche alla situazione generale del contesto musicale contemporaneo, offrendo numerosi spunti di riflessione.

Nel corso della tua carriera, iniziata nel 1980, hai ricoperto il ruolo di produttore, chitarrista, autore lavorando alla realizzazione di più di cento album. Quale di queste vesti senti più tua e perché? Come cambia il tuo ruolo a seconda della funzione che svolgi?

Mi sento soprattutto un musicista, la produzione è uno dei lati del mio fare musica, forse il più coinvolgente lavorativamente parlando, molto simile al ruolo di un regista nel cinema, una figura di riferimento che può realmente affiancare un’artista dall’inizio alla fine di un progetto, una figura importante in America o in Inghilterra, in Brasile perfino…un po’ meno da noi, dove il produttore è visto come colui che realizza un disco e lo consegna all’artista o alla casa discografica. In realtà, a mio avviso, non è questa la funzione fondamentale del produttore. La produzione parte a monte, con la scelta delle canzoni, interpretando al meglio l’orientamento dell’artista, aiutandolo il più delle volte a cercare il percorso ideale per esprimersi al meglio, attraverso le canzoni migliori, con quel filo di distacco che l’artista non potrebbe mantenere fino in fondo, nei confronti del proprio materiale. Il produttore è il vero alter ego dell’artista, colui che vede oltre e coadiuva nelle scelte importanti, con chiarezza e determinazione, fuori da ogni logica che non sia prettamente artistica. In tutto questo, il suonare, comporre e arrangiare, diventano elementi indispensabili per comunicare con il giusto linguaggio e per veicolare al meglio l’emozione trasmessa dall’artista nelle sue interpretazioni. Il rispetto della personalità artistica, unito al senso critico, alla creatività e ad una visione d’insieme, fanno di un musicista, chitarrista e autore… un buon produttore.

Hai lavorato per tantissimi anni con Fiorella Mannoia… ci racconti come hai vissuto questa speciale sintonia artistica con lei e come l’avete alimentata nel corso degli anni?

Lavorare per oltre 23 anni con Fiorella Mannoia è stato relativamente facile perché ci ha uniti la profonda passione e l’altrettanta sintonia, su tutto ciò che abbiamo deciso di fare, ma soprattutto, direi, la stima reciproca, che sancisce sempre le unioni creative e umane. L’essere due persone molto diverse – ma con grandi affinità – ha sicuramente arricchito ed alimentato per molto tempo il nostro rapport rendendolo molto speciale.

Nel tuo album d’esordio hai racchiuso i tuoi riferimenti musicali, i tuoi sogni di una vita e gli hai dato forma insieme ad alcuni nomi di spicco della scena musicale internazionale come Chico Cèsar, Tony Levin, Jacques Morelenbaum, Morneo Veloso, David Binney, Mauro Pagani, Maurizio Giammarco… Quando e perché ti è venuta voglia di lavorare ad un progetto tuo? Qual è stato l’elemento scatenante e quali sono le storie, i messaggi e le prospettive di questo lavoro così eterogeneo?

Era da tempo che sentivo l’esigenza di avventurarmi in qualcosa di personale e specifico come la progettazione di un mio album. In verità la musica ha preso il sopravvento sulla razionalità, nel senso che ho iniziato a registrare un paio di brani che avevo provato insieme al mio caro amico e mirabile batterista Elio Rivagli. Abbiamo improntato un ensemble molto scarno: chitarra elettrica, batteria acustica e percussioni elettroniche per appuntare delle idee ritmiche. Da lì a breve ci siamo ritrovati in studio con Dario Deidda al basso elettrico per registrare la prima traccia dell’album che dà il titolo a tutto il lavoro: “Primula”. Sono molti i momenti da ricordare, legati alle registrazioni del disco: ho ripreso gran parte delle sessioni in studio e vorrei riuscire a farne una sorta di “making of”, cosa sempre interessante dal punto di vista dell’ascoltatore che, in questo modo, può avere la possibilità di cogliere una maggiore “umanizzazione” dell’importante, (ma a volte oscuro) lavoro svolto in studio di registrazione. Non ci sono messaggi in questo mio lavoro, direi, piuttosto un pensiero costante: fare musica in piena libertà. Questo è il vero e unico intento, che io, insieme ai musicisti che hanno partecipato alle registrazioni, abbiamo perseguito fino in fondo. Ora c’è la voglia di portare questo progetto ambizioso fuori dallo studio, suonare dal vivo è il mio vero obiettivo, il più naturale e consequenziale, certo, ma anche il più gratificante.

Piero Fabrizi ph G. Canitano

Piero Fabrizi ph G. Canitano

Non solo musica ma anche solidarietà, con questo album sostieni la Onlus fondata da Barbara Olivi “Il sorriso dei miei bimbi”. Di cosa si occupa questo ente e in che modo il tuo album intende sostenerne i progetti?

Il lavoro svolto da Barbara Olivi e dagli altri volontari è proteso soprattutto alla scolarizzazione dei bambini (ma anche dei più adulti) in una realtà molto dura qual è la favela di Rocinha a Rio de Janeiro, (la più grande favela di tutto il Sud America),  dove il degrado è visibile e tangibile ad ogni angolo, e dove i ragazzi vengono continuamente a contatto con tutto ciò che di più dannoso e deleterio si possa immaginare in un “inter regno” costituito e gestito da spacciatori senza scrupoli, armati fino ai denti, impegnati in continue lotte intestine, feroci e sanguinose, per il controllo del territorio della favela. L’associazione di Barbara e compagni, garantisce per alcune ore giornaliere un cuscinetto ideale, per poter dare spazio e aree di pace e di aggregazione, gestite da insegnanti qualificati e psicologi, i quali si preoccupano del benessere dei bambini/ragazzi che aderiscono al progetto. Oltre alla scuola, ci sono corsi di danza, uso del computer, ginnastica e perfino un corso di botanica. La Onlus è una realtà che va sostenuta e difesa, questi volontari hanno cuore e coraggio da vendere!

Tu sei il fondatore della “Brave Art Records”, un’etichetta che si dedica alla musica strumentale. Come ti muovi all’interno del contesto contemporaneo italiano? Quali sono i filoni che ritieni interessanti? Cosa dovremmo assolutamente ascoltare in questo periodo secondo te?

Il contesto contemporaneo in Italia non consente ottimismi di nessun genere, resiste la passione e la caparbietà di molti di noi che, nonostante la totale assenza di un vero mercato discografico, continuano a pensare alla musica come un’idea più alta, un modo di pensare e di vivere che coinvolge e accomuna. Ritengo che tutto sia cambiato radicalmente con l’avvento di internet e della rete, si deve convivere con una maggiore promiscuità musicale e un minore talento creativo, c’è molta più offerta che richiesta di musica, ci sono molti più performers che compositori, i veri artisti sono addirittura difficili da scovare, dietro questa cortina fumogena formata da orde di prodotti e sottoprodotti musicali…difficile, orientarsi (da parte del consumatore) verso un prodotto qualitativamente alto. Gli stessi format televisivi (X-factor, The voice, ecc..) sono, a mio avviso, fuorvianti ed inefficaci, se pensati con la prospettiva di far ripartire un settore, ormai in caduta libera. Ci vorrebbe onestà e rigore per riuscire a ridare valore e vigore  alla musica italiana. La mia etichetta Brave Art Records, così come anche la Route 61 music, si impegnano a cercare di dare voce alle cose di qualità, qualunque sia la direzione e la tendenza espressa nei dischi prodotti, che vengono scelti esclusivamente sulla base di una proposta qualitativa alta. Se posso consigliare l’ascolto di un disco italiano, consiglierei sicuramente il disco di Tosca – “Il suono della voce”,  un lavoro di grande classe, che alza di netto il livello degli album usciti in questo 2014 in Italia.

Come nasce il passionale intreccio di corde e di pelli vibranti de “La Mirada del Che”? ( Bellissimo il solo di Mauro Pagani al violino… intenso, drammatico e straziante!)

Il brano mi è stato ispirato dalla lettura di una bella biografia di Ernesto Che Guevara, scritta dal francese Pierre Kalfon. Mi hanno colpito soprattutto gli appunti personali del Che e la drammatica imboscata che gli fu fatale a la Higuera in Bolivia, il pezzo vuole descrivere emozionalmente l’atto conclusivo della vita di Guevara. Il bellissimo solo di Mauro Pagani credo racchiuda in sè tutta la drammaticità e la tensione di quel momento, trovo che l’intervento di Mauro sia davvero eccezionale, egli è riuscito ad  interpretare alla perfezione l’andamento e l’intensità del brano. Lo considero un generoso regalo, fattomi da uno dei migliori musicisti italiani.

E la dedica ai “Meninos da rua” in “Clandestino”?

Questo è un brano che da sempre avrei voluto tradurre e riarrangiare e l’occasione di poterlo realizzare su un mio disco non poteva andare sprecata. Chico Cèsar ha scritto questo pezzo venti anni fa, e oggi più che mai,  le sue note e le sue parole risuonano attuali, inneggiando al senso di libertà e fratellanza che lega e unisce questi figli della strada. Chi ha visto e conosce questa dura realtà brasiliana può apprezzare ancora meglio il senso di questa canzone, che è al contempo dura denuncia e accattivante filastrocca. Quando mandai a Chico la mia versione, lui mi scrisse subito, proponendomi di cantare il pezzo insieme a lui, inutile dire che questa collaborazione è motivo di grande orgoglio per me.

Piero Fabrizi

Piero Fabrizi

La title track rappresenta davvero il punto di partenza di questo tuo progetto?

Si, “Primula” è stato il primo pezzo registrato (con Elio Rivalgi alla Batteria e Dario Deidda al Basso elettrico) e da qui il titolo emblematico del brano. Qualcosa che nasce in maniera spontanea e inattesa.

Come hai scoperto la meravigliosa voce di Elsa Lisa, che hai poi inserito in “Buzet Me Ishin Thare” ed in “Qan Lu Lja per Lulen”? Di cosa parlano questi brani così delicati e magici?

Elsa Lila è una cantante albanese di grande talento, ritengo che la sua voce sia oggettivamente una delle più belle al mondo. Il suo timbro è unico e la sua vocalità riesce a toccare corde emozionali profonde, con eleganza e sobrietà. Quelle cantate da Elsa, sono due canzoni d’amore…”Quan lulia per lulen” è un canto popolare, il cui titolo tradotto  dall’albanese è: “Piange il fiore per il fiore”, ovvero il canto di addio di un padre ad una figlia che va in sposa ad un giovane, il quale la porterà via per sempre dalla casa dei genitori, dai suoi affetti, dalla sua infanzia. Il pezzo è stato totalmente rielaborato e riarrangiato da Elsa Lila e da me per cercare di realizzarne una versione più internazionale, meno legata alla scrittura tradizionale del brano. Melodicamente e armonicamente la nostra versione è molto diversa dall’originale. Questo, comunque, è, in assoluto, uno dei miei pezzi preferiti dell’album.

L’estrema varietà del disco è confermata dalla presenza di “Uncle Frank”, il tuo tributo a Frank Zappa, dalla scelta di chiamare dei musicisti brasiliani ad interpretare “Kashmir”, dall’autentico blues di “Jff”…cosa ti ha spinto ad agire con tutta questa libertà?

La naturale propensione a fare soltanto ciò che mi piace è stata la vera costante che ha pervaso le registrazioni dell’intero album. Ho sempre pensato al fatto che ci fossero troppi luoghi comuni da sfatare (ad esempio) riguardo ai musicisti brasiliani. Ho voluto dimostrare che una band composta all’80% da musicisti brasiliani, potesse suonare in modo magistrale un classico del rock come “Kashmir”. Joao Viana (figlio di Djavan) è un batterista rock eccezionale e Jaques Morelenbaum, si è prestato a sottolineare i riff storici del brano con il suo violoncello. Il mio tributo a Zappa è nato dal cuore; la sua musica mi ha sempre affascinato. “Uncle Frank” è una dichiarazione d’amore dedicata al genio iconoclasta del rock. L’arrangiamento dei fiati, ad opera di Maurizio Giammarco, è in perfetto stile zappiano mentre il solo al violoncello, suonato da Jaques Morelenbaum, è una vera perla.

Il brano conclusivo del disco è “Now that you’re gone” un brano che hai scritto pensando a Michael Mc Donald. Se avessi la possibilità di incontrarlo come gli descriveresti questa canzone?

Si tratta di una canzone d’amore molto semplice. La musica non si descrive, si suona e si ascolta! Oltre la morbida voce soul di Lily Latuheru, c’è il notevole apporto sonoro di Tony Levin che sorregge con il suo riff di basso l’intero brano, insieme ad Elio Rivagli alla batteria. Gli archi dal malinconico sapore retrò – scritti e diretti da Maurizio Abeni – rappresentano l’ideale chiusura di questo viaggio personale, attraverso musiche e stili diversi.

Quali saranno i progetti collegati a questo nuovo album e quali, invece, quelli inerenti alla tua carriera da musicista e produttore?

Ho intenzione di fare una serie di concerti per portare dal vivo la musica di “Primula”. Parallelamente ho un paio di progetti, molto interessanti, da produrre nel corso dei prossimi mesi; si tratta di due cose molto diverse tra loro ma entrambe di grande spessore.

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Moni Ovadia: “L’accoglienza dell’altro rappresenta la benedizione per il futuro”.

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Il Forum delle Culture ospiterà “Senza confini. Ebrei e zingari”, il nuovo spettacolo dell’attore teatrale, drammaturgo, scrittore e cantante Moni Ovadia, considerato uno dei massimi esponenti della cultura occidentale nel Mondo. All’interno del Festival intitolato “In diverso canto”, in programma alla Mostra d’Oltremare di Napoli, il recital intende rappresentare una preziosa occasione di lotta al razzismo. In questa intervista, Moni Ovadia ha approfondito diversi aspetti legati sia alla sua prestigiosa carriera che alla sua filosofia di pensiero, su tutti la definizione di dignità.

Qualche giorno fa Lei ha tenuto una lectio magistralis presso il Museo della Scienza di Milano sul tema della dignità. Cosa ha spiegato agli studenti che l’hanno ascoltata e con quali parole definirebbe questo concetto tanto delicato?

Ho fatto un discorso articolato cercando di trattare diversi aspetti di una questione che in Italia non è stata dibattuta come, ad esempio, lo è stata in Germania. La definizione a mio parere più sintetica e folgorante appartiene allo scrittore premio Nobel Josè Saramago, che ha scritto questa cosa quando era in prigionia durante la dittatura fascista: “…non ci dicano com’è la dignità perché lo sappiamo già perché,  perfino quando sembrava non fosse altro che una parola, noi comprendevamo che si trattava della pura essenza della libertà nel suo senso più profondo. Quello che ci permette di dire, contro l’evidenza stessa dei fatti, che eravamo prigionieri eppure eravamo liberi”. Sono dunque partito da questa definizione articolando un’argomentazione ampia, una riflessione che si è concentrata sullo statuto dei diritti, soprattutto quelli sociali. In verità la dignità stessa precede i diritti. La dignità è qualcosa che l’essere umano sente prima dello Statuto di legge, lo sente in sé come assoluto, si tratta di una condizione assoluta a cui l’uomo ha di natura i requisiti per accedervi. Nel monoteismo abramitico la dignità si pronuncia con un termine che significa “onore a me stesso”, non a caso questo concetto viene espresso attraverso il fatto che ognuno è formato sull’impronta di Dio, contiene in sé una dimensione assoluta, quindi inviolabile. In Germania, dopo il nazismo, i padri costituenti tedeschi hanno capito e hanno messo la dignità in testa alla costituzione in modo assiomatico: “La dignità umana è intangibile”, “tutti gli organi dello stato devono garantire l’intangibilità della dignità umana”. Quando togli la dignità ad un uomo, lo riduci alla pura sopravvivenza, quindi ammazzarlo diventa solo un dettaglio.

Lei è il protagonista di un corto didattico sul rispetto della natura e lo sviluppo eco-compatibile . Di cosa narra questo lavoro, da chi è stato realizzato, con quali obiettivi e qual è stato il suo ruolo attivo in questo progetto?

Si tratta di un progetto molto divertente, pensato per i più piccoli, in cui interpreto la parte del professor Ottusus. In questo corto si immagina un mondo del futuro in cui non esiste più la natura, cancellata da macchine e bolle piene d’aria, perché ingombrante. Attraverso questo paradosso, Elisa Savi, ideatrice del progetto, mi cala nei panni di Ottusus per spiegare ai bambini l’evoluzione dei fatti. Essi, nella loro freschezza, rimangono stupiti dalla bellezza della natura, ormai concentrata nei musei, come un reperto del passato. Quando, infine, Ottusu fa scoprire loro un posto segreto in cui sono conservate tutte le semenze, essi riescono a rubarne qualcuna per piantare le prime piantine e restituire un futuro alla natura.

Ci parla dello spettacolo “Cabaret Yiddish”e di come esso si è evoluto nel corso degli anni?

Il mio spettacolo si è evoluto naturalmente, acquisendo nuove dinamiche, nuovi musicisti etc…Ora, per esempio, si è aggiunto un musicista rom ed è tornato il primo violinista, a questo aggiungo che il mio modo di raccontare si è arricchito grazie alla gavetta fatta e all’evoluzione del rapporto con il pubblico.  Questo è uno spettacolo che continua ad essere magicamente richiesto ed ha un clamoroso successo che stupisce anche me. Il suo segreto sta nel fascino delle prime forme di espressione teatrale in cui i commedianti arrivavano su un carro e allestivano lo spettacolo con pochi strumenti per raccontare il mondo al pubblico. Io, con questo spettacolo, sono riuscito a portare l’epopea di una grande diaspora al pubblico che, in questo modo, non solo fruisce di uno show divertente con musiche molto commoventi che toccano l’animo, ma si avvicina ad una serie di vicende che hanno segnato la storia del mondo occidentale.

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Come e quando ha deciso di dare il via ai reading degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini? Qual è il suo rapporto con lo scrittore e poeta e in che modo ne ha interpretato l’opera?

Anche se non ho mai avuto il privilegio di incontrare Pasolini, per me è stato maestro di pensiero, di sapere, di arte. Nessuno ha saputo capire il mondo popolare, le sue immense ricchezze come Pasolini. Oggi non abbiamo nessuno che sia in grado di essere altrettanto lucido; Pasolini non è stato profeta, ha semplicemente capito quello che vedeva e che noi non vedevamo ancora ed io, quando leggo questi gli scritti Corsari, ci trovo sempre un nutrimento e penso che essi vadano letti  nelle scuole per capire. Sono testi ricchi di coraggio, lucidità e pathos come difficilmente è stato riscontrato altrove nella nostra storia nazionale.

Il prossimo 18/10 sarà a Napoli con lo spettacolo intitolato “Senza Confini. Ebrei e Zingari”, un contributo alla battaglia contro ogni razzismo. Ci descriverebbe questo spettacolo e cosa intende trasmettere al pubblico?

Anche questo spettacolo avrà una formula semplice. Ad accompagnarmi ci saranno 4 musicisti rom e 3 italiani, ci sarà una parte ebraica molto breve mentre tuto il resto dello spazio sarà dedicato alla cultura musicale rom e alla tragica e continua discriminazione a cui questo popolo è soggetto. I rom che collaborano con me sono miei amici, fratelli e collaboratori, sono in gran parte rumeni ed incarnano il senso più profondo di questo spettacolo. Il repertorio è vasto quanto le terre che i rom hanno attraversato, non c’è terra d’Europa che non abbiano calcato e trovo giusto parlare di loro per spiegare e condannare le vessazioni di ogni sorta che essi abitualmente subiscono per dimostrare anche che la nostra società non è guarita dalla bestia del razzismo.

Cosa pensa di iniziative come quella del Forum Universale delle Culture?

Iniziative come questa sono di estrema importanza perché o noi riusciremo a costruire l’accoglienza delle alterità, o ci saranno sempre guerre e violenze. Le differenze possono convivere e scambiarsi reciprocamente le rispettive ricchezze. Nel mio paese natìo in Bulgaria tre religioni hanno convissuto ed in 400 anni di convivenza non si è registrata una sola violenza; non è un caso che gli ebrei di Bulgaria sono stati salvati dal popolo bulgaro. L’accoglienza dell’altro rappresenta, dunque, la benedizione per il futuro.

Secondo lei esiste una dimensione artistica in grado di coniugare web-musica-social network e poesia?

Certo, dipende dalle capacità dell’artista…Uno dei più grandi cantori della storia italiana era Enzo Del Re, ascoltare lui cantare era come entrare nel tempo, quasi come se avesse vissuto per 2000 anni. Enzo si accompagnava soltanto con una sedia e questo testimonia che, fin quando la tecnologia non sarà in grado di superare la mente umana, l’arta sarà sempre una prerogativa legata alle singole capacità dell’artista in questione.

Raffaella Sbrescia

Intervista agli Strani Giorni: “Portiamo avanti con impegno e leggerezza il nostro piccolo grande sogno”

 

Strani Giorni

Strani Giorni

Gli Strani Giorni compiono dieci anni di attività. Il sound del gruppo strizza l’occhio al rock d’autore e si esprime al massimo in occasione dell’attività live coinvolgendo il pubblico con grande energia. In quest’intervista la band presenta il proprio ultimo lavoro, intitolato “L’invisibile spazio”, raccontandosi ad ampio raggio.

 Ci raccontate, a grandi linee, questi 10 anni di musica e di vita vissuta insieme?
Per raccontare dieci anni di Strani Giorni bisognerebbe scrivere un libro di parecchie pagine. La nostra band è il frutto di una profonda amicizia e nasce con l’idea e la voglia di creare un proprio spazio virtuale dove poter condividere idee ed esprimersi senza nessuna forma di censura, emozioni, pensieri, stati d’animo. Dieci anni indimenticabili di musica condivisa in giro per l’Italia a far concerti e a partecipare a innumerevoli festival con la forza di rimanere sempre uniti e di portare avanti con impegno e leggerezza il nostro piccolo grande sogno. Al nostro attivo abbiamo un Ep  “Strani Giorni” (2008) e due LP  “Un Passo Avanti” (2010) e “L’invisibile spazio” (2014).

Come siete riusciti a ritagliarvi un vostro spazio all’interno della sconfinata realtà musicale romana?
Credendo molto in noi stessi, mettendo passione ed entusiasmo in quello che facciamo; la nostra forza crediamo risieda proprio nel sound, nell’energia, nella semplicità ma soprattutto nell’onestà artistica. Le persone sono esseri molto sensibili e capiscono sempre quando un messaggio viene trasmesso con trasparenza…poi ci vuole volontà, pazienza, coraggio e tanta, tantissima fortuna!

Strani Giorni

Strani Giorni

Qual è la vostra dimensione live ideale?
Diciamo che il live in generale è la nostra dimensione!!! Si tratta sicuramente della parte più eccitante e liberatoria del percorso musicale di una band; ogni concerto è unico e irripetibile, anche quelli che non riescono benissimo ti insegnano tantissime cose che, alla fine, contribuiscono a formare la tua coscienza artistica. Sinceramente non abbiamo preferenze, suoniamo ovunque anche perchè dopo tanti concerti abbiamo capito che la differenza importante non la fa mai il posto nel quale ti esibisci ma la gente presente, attraverso la partecipazione attenta e la contagiosa voglia di divertirsi!

Che differenze ci sono tra “Un passo avanti” e “L’invisibile spazio”?
Con “L’Invisibile Spazio”, rispetto al precedente lavoro, abbiamo assecondato l’esigenza spontanea di rinnovarci, metterci in discussione, sperimentando con grande libertà tutto quello che ci è passato per la testa. Significativo l’inserimento dell’elettronica, del computer e dei sintetizzatori; abbiamo curato con minuziosa attenzione ogni piccolo dettaglio, parole, arrangiamenti, sonorità e grafica senza mai perdere di vista però la naturalezza e l’essenzialità che alla fine sono risultati essere i punti di forza dell’intero album

La vostra è una poesia urbana?
Questa è una domanda alla quale dovete rispondere voi. Amiamo semplicemente raccontare tutto quello che percepiamo intorno a noi in modo diretto, sincero, col nostro linguaggio!

cover cd

Quali tematiche affrontate in questo vostro ultimo lavoro?
“L’invisibile Spazio”, fondamentalmente è un concept album. Tutte le canzoni sono sempre in stretta connessione tra di loro,  alimentandosi in un rapporto di continuità. Ci siamo ispirati al concetto “l’essenziale è invisibile agli occhi”, tema centrale e ricorrente nel meraviglioso e famosissimo libro “Il Piccolo Principe”. I testi affrontano temi come il senso della vita, il significato dell’amore della fede e dell’amicizia…volevamo mettere in evidenza tutte quelle emozioni e cose astratte che non possono essere delineate e definite da uno spazio fisico e visivo ma che allo stesso tempo occupano un posto fondamentale nella nostra vita!

Il singolo intitolato “La speranza” racchiude un messaggio di rivoluzione concretamente realizzabile?
“La Speranza” è il brano che, in assoluto, focalizza e racchiude in sé il concetto di rivoluzione interiore: un inno alla gioia, al cambiamento…un vero e proprio canto di liberazione! La storia ci insegna che le rivoluzioni hanno sempre accompagnato e condizionato la vita degli uomini, noi crediamo che ci saranno ancora tantissime rivoluzioni e si manifesteranno in altrettante evoluzioni, in questo mondo niente è impossibile, “chi vivrà… vedrà!”

 Dove e quando potremo ascoltarvi dal vivo?
È appena iniziato il nostro tour invernale in giro per il nostro bel paese ma potete trovare il calendario delle date completo e sempre aggiornato sul nostro sito ufficiale www.stranigiorni.org o sulla nostra pagina www.facebook.com/ stranigiorniband

Avete altri progetti paralleli di cui vi occupate, anche singolarmente?
Per il momento gli Strani Giorni sono il nostro unico credo. Abbiamo realizzato un album nuovo di zecca che ci emoziona e ci rappresenta a pieno e sinceramente non vediamo l’ora di salire sul palco per trasmettere a più persone possibili tutte le nostre “strane vibrazioni”. Vi aspettiamo, veniteci a trovare e sempre buona musica!

Raffaella  Sbrescia

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Video: “La speranza”

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