Intervista a Jason Derulo: “Everything is 4″ è un album necessario

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Con oltre 45 milioni di singoli venduti in tutto il mondo, Jason Derulo è tra gli artisti di maggiore successo degli ultimi anni. Fautore di un genere musicale fresco ed accattivante, a cui molti altri artisti pop-dance si sono rifatti dopo il suo successo, Jason è tra i più ascoltati sulle piattaforme musicali Spotify e Shazam. Le sue canzoni hanno tutte un particolare appeal radiofonico, senza dimenticare il fatto che Jason è stato anche invitato a partecipare nel ruolo di giudice alla prossima 12° stagione di “So you think you can dance”, il noto reality show americano sul mondo della danza.  In occasione dell’uscita del singolo “Want To Want Me”, Jason Derulo è arrivato a Milano per parlarci del suo nuovo album “Everything Is 4”, nei negozi dal 1° giugno, un lavoro composto da undici tracce in cui troviamo sonorità provenienti da generi diversi, quali pop, dance, urban e R’n’B, con numerose le collaborazioni importanti, tra le quali Stevie Wonder, Jennifer Lopez, Keith Urban, Megan Trainor e Matoma. Durante l’intervista l’artista ci ha parlato non solo del nuovo album e della propria musica, ma anche di sé e delle proprie emozioni.

Il titolo del tuo album è “Everything is 4”. Qual è il significato di questa scelta?

Tutto è per una ragione. Tutto è per mia madre, per i miei fan, per il mio futuro. Anche il numero 4 nel titolo ha un significato simbolico: le quattro gambe in un tavolo, il susseguirsi delle quattro stagioni, i quattro stati della materia.

Anche i generi musicali presenti nell’album possono essere ricondotti al numero 4?

In verità ce ne sono molti di più! C’è il country, il folk, il pop, l’R’n’B, l’alternative e tutta una serie di richiami a generi diversi.

Riallacciandoci a questa tematica, ci racconti come hai lavorato al brano, “Broke”, realizzato in collaborazione con Keith Urban  e Stevie Wonder?

Incredibile. Keith è un grande professionista. Stevie l’ho incontrato ad una cena alla Casa Bianca, ho parlato con lui, gli ho proposto di suonare l’armonica in “Broke” e lui ha accettato.  Quando è arrivato in studio ha portato con sé  dieci o quindici armoniche diverse per scegliere quella giusta per questa particolare registrazione, è un genio!

Come possono generi così diversi, come pop, il country, il soul andare d’accordo tra loro?

La musica è sempre musica. Credo che una canzone come “Broke” possa rompere le barriere perché non è solo country ed il risultato è stato sorprendente anche per me!

Nell’album ci sono altre collaborazioni importanti, come quella con Jennifer Lopez in “Try me”. Com’è andata?

J.Lo è una delle più influenti artiste femminili di tutti i tempi. Abbiamo cantato e ballato per due notti, l’obiettivo era trovare il mood più adatto per una canzone che parla di noi. Lei è fantastica, si è materializzata dal muro della mia stanzetta nel mio studio di registrazione. Ne siamo usciti fuori con una canzone House stile caraibico che è davvero entusiasmante.

Jason Derulo

Jason Derulo

Potresti dirci qualcosa di più riguardo ai testi e ai contenuti dell’album?

Ogni canzone è davvero diversa dalle altre. Per esempio, “Painkiller”, il duetto con Metghan Trainor, parla di come le avventure di una notte possano aiutare a dimenticare la sofferenza per la fine di una relazione, anche solo per un po’, proprio come fanno gli antidolorifici. Non riesco a scrivere di cose che non mi capitano e a me capita questo. Anche se per un breve tempo, le avventure fanno bene.

Da cosa nasce un pezzo come “Want To Want Me”, che hai scelto come singolo?

Credo sia frutto della sperimentazione, anche perché non penso mai «ora farò così». Gli anni ’80 sono stati un periodo meraviglioso. C’è molto di Michael Jackson e di Prince in questo album. Quando ero piccolo, non capivo Prince  e non capivo perché alla gente piacesse. Quando sono diventato più grande, sono riuscito ad apprezzarne pienamente il genio. Quindi sì, ogni cosa arriva dalla sperimentazione.

Come descriveresti il tuo album, con una sola parola?

Necessario. Ci sono canzoni per chiunque e per ogni situazione, sia che tu stia attraversando la fine di una relazione, sia che ti stia innamorando di qualcuno. Ogni canzone è speciale in modo diverso.

“Want To Want Me” è il tuo sesto singolo ad entrare nella Billboard Hot 100. Cosa serve per arrivarci?

Il talento, naturalmente. Credo anche che per continuare ad essere nella Billboard serva saper scrivere le proprie canzoni e non dipendere da altri. Il talento è la vera chiave del successo e quindi mi piace pensare che chi si scrive le cose da solo non debba dipendere dal talento altrui.

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Come hai deciso di diventare una pop star?

Ho cercato me stesso per molto tempo. Volevo cantare. Volevo fare rap, R’n’B, soul, country e jazz. I musical hanno avuto una parte importante nella mia vita, finché non ho finalmente ottenuto un ruolo a Broadway e ho capito che non era la cosa giusta per me. A quel punto ho deciso di fare la mia musica che, giorno dopo giorno cambia volto in maniera camaleontica e direttamente proporzionale al mio umore. Di sicuro non sarà mai noiosa, perché ci sono così tanti “gusti” tra cui scegliere.

Sarai in “So You Think You Can Dance”, il famoso talent show americano sul mondo della danza, nel ruolo di giudice al fianco di Paula Badul e Nigel Lythgoe. Senti una certa responsabilità verso coloro che dovrai giudicare?

Certo! Ero in quella posizione non molto tempo fa, so come ci si sente a fare audizioni di fronte a tre o quattro persone. Sento la responsabilità di non dire solamente «no», penso sia importante spiegare le ragioni del rifiuto.

Nei tuoi video appari spesso come un sex symbol. Tu ti vedi così o semplicemente ti diverti ad interpretare questo ruolo?

Sarebbe davvero strano vedere me stesso come un sex symbol! Ma sono felice di rivestire questo ruolo, mi piace il sesso. Ad ogni modo vengo da Miami e a Miami non abbiamo molti vestiti addosso!

C’è qualcosa di specifico che ispira i tuoi testi?

A volte penso di essere guidato da Dio per le idee che ho in testa. Mi piace la sperimentazione, vengo da Miami dove ci sono tanti stili musicali e a me piace mischiarli. A questo aggiungo il mio approccio evolutivo alla musica.

Quale sarà il tuo prossimo singolo?

Non lo so, sto ancora decidendo. Ho messo online tre o quattro canzoni, sperando che questo mi indicasse le preferenze del pubblico ma sono piaciute tutte e il compito della scelta non è stato facilitato come speravo. Questo è un disco che vale nella sua interezza, vorrei fare un video per ogni pezzo perché non vorrei essere ingiusto con le canzoni, non vorrei lasciarne indietro nessuna!

Raffaella Sbrescia

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Video: “Want to want me”

Intervista a Floraleda Sacchi e Maristella Patuzzi: “Vi raccontiamo le nostre emozioni in Intimamente tango”

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Nel disco “Intimamente Tango” Floraleda Sacchi e Maristella Patuzzi rivisitano le composizioni di Astor Piazzolla in un tango inconsueto che si fonde con i caratteri poetici ed intimi della musica classica.

Le composizioni di Astor Piazzolla sono riproposte negli arrangiamenti originali e creativi firmati da Floraleda e Maristella che fondono armonicamente malinconia, speranza e sensualità in una nuova chiave musicale, tra tradizione e innovazione, tra classico e jazz, tra improvvisazione e world music.

Cosa vi ha spinto a lavorare insieme e perché avete scelto di concentrarvi proprio sul repertorio di Piazzolla?

Perché entrambe amiamo la sua musica, perché non esisteva per il nostro duo e dunque questo ci obbligava ad essere più personali e ad arrangiare tutti i brani. Ci è sembrato il modo migliore per fare veramente duo e trovare un accordo.

In che modo avete interpretato un genere così particolare come il tango?

Cercando di metterci tutto il sentimento possibile. Il Tango è così, ti coinvolge e  ti fa sentire vivo perché ti emoziona. Dato che Piazzolla è stato anche un compositore colto e raffinato, con studi tradizionali,  abbiamo pensato molto a come valorizzare la sua ricerca sonora e la sua raffinatezza, elementi che spesso passano in secondo piano.

Cosa significa fondere malinconia, speranza, sensualità in un unico progetto?

Significa parlare delle  sfaccettature del vivere quotidiano.

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Quali sono le tappe che hanno scandito il percorso legato a questo disco?

Abbiamo dapprima scelto di suonare insieme, poi abbiamo scelto la musica da suonare attraverso un grande lavoro di ricerca e selezione dei brani di  Piazzolla da trascrivere (ce ne piacevano troppi). Abbiamo lavorato agli arrangiamenti  ad ogni ora del giorno con  giornate di prove intense,  le registrazioni e le valutazioni finali del risultato a due mesi di distanza dalla fine dei lavori.

 Com’è andato il concerto dello scorso 9 maggio al Loggione de La Scala?

Molto bene, abbiamo suonato anche un po’ di brani operistici di Donizetti e Paisiello e il pubblico si è molto divertito. Ci hanno detto che li abbiamo fatti sognare e che era un concerto pieno di poesia.

Che sensazioni avete provato suonando al Museo del Legno?

Il concerto è andato molto bene. E’ stato molto particolare suonare su un tavolo (per noi palco) di legno Kauri vecchio di 48.000 anni. Il legno risuonava meravigliosamente e ci ha fatto da cassa armonica. Dovendo suonare senza scarpe, lo sentivamo vibrare sotto i piedi e abbiamo avuto la sensazione che abbia gradito e quasi sognato che potesse rifiorire.

Floraleda, hai suonato in tante sale importanti, sei stata solista con tante orchestre… come cambia di volta in volta il tuo approccio allo strumento?

Cambia in base al repertorio che suono e posso suonare molto diversamente. Cambia ancor più l’approccio in base alla sala in cui si suona, all’acustica e al pubblico che frequenta il luogo. Ma proprio questo è quello che rende ogni concerto diverso dall’altro e il lavoro del musicista così bello.

Quali sono le differenze tra l’arpa antica e quella moderna? Quale tipologia di strumento preferisci suonare?

Gli strumenti antichi così come l’arpa sudamericana sono caratterizzati dalla minor tensione delle corde, questo (chiaramente con stili molto diversi) porta ad una grande velocità e leggerezza nell’esecuzione. L’arpa moderna è più potente e più aggressiva e la amo per quello. So suonare anche le arpe celtiche, ma sarebbe meglio avere le unghie più lunghe perché l’unghia è richiesta nel pizzico, un po’ come sulla chitarra. Questo è un po’ un problema perché per le altre serve rigorosamente solo il tocco con il polpastrello.  Mi diletto anche a suonare il Koto e la Kora… insomma ho un feeling con le corde.

Sei autrice delle musiche del monologo “donna non rieducabile” , in scena con Ottavia Piccolo… di cosa parla l’opera e come vivi i successi di ben 100 repliche?

Bene, ormai lo spettacolo sta nel piacere di incontrarsi con i  colleghi. Dopo 100 repliche potrei suonare tutto anche in condizioni proibitive. Il tema dello spettacolo è estremamente importante e serio e mi tocca ogni volta che lo porto in scena: si parla infatti della libertà di stampa, di comunicazione ed espressione, insieme alla volontà di portare il proprio lavoro fino in fondo, restando fedeli ai propri ideali anche a costo di rischiare la propria vita. Non a caso la figura che guida questo percorso è quella della giornalista Anna Politkovskaja, che è stata uccisa per non essersi piegata alla censura. La sala stampa della Comunità Europea, infatti, è intitolata a lei.

Maristella, come ti trovi a suonare con Floraleda e quali altri progetti hai in programma?

Adoro suonare con Floraleda perché è sempre creativa e suona con entusiasmo. Per quanto mi riguarda mi divido tra la musica e la politica, la musica mi segue fin da bambina, la politica è capitata per caso, ma quasi senza che lo volessi, sono diventata prima consigliera a Lugano e da qualche giorno parlamentare al gran consiglio del Ticino. Mi piace immensamente cercare di fare qualcosa per gli altri. Per me, che ho genitori italiani e nazionalità italiana, ma sono nata in Svizzera e ho anche questa nazionalità, è bello potermi dedicare ad entrambi i paesi, perché mi sento di appartenere ad entrambi.

Che emozioni provi suonando lo Stradivari Ex Bello 1687?

Bellissime, suonai questo strumento per la prima volta a New York e me ne innamorai. Dopo il concerto dovetti ovviamente restituirlo, dopo qualche mese fu lui a venire a Lugano, dove abito, nelle mani di un collezionista privato che me l’ha affidato. L’ho sempre visto come un segno del destino e poi l’87 è il mio anno di nascita, 300 anni più di me… Le coincidenze sono troppe!

Che tipo di riscontro state ricevendo dal pubblico?

Finora siamo state accolte molto favorevolmente e abbiamo ricevuto solo complimenti e critiche positive. Questo ci sprona ovviamente a continuare a dare il massimo per soddisfare il nostro pubblico.

Raffaella Sbrescia

Luciano Ligabue: Campovolo – La Festa 2015. L’artista annuncia i festeggiamenti per i suoi 25 anni di carriera a Reggio Emilia

Luciano Ligabue @ Campovolo - Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

Luciano Ligabue @ Campovolo – Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

Luciano Ligabue festeggia 25 avventurosi, inaspettati, appaganti anni di carriera invitando 300 giornalisti da tutta Italia sulla pista di atterraggio di Campovolo, a Reggio Emilia, per annunciare  ‘Campovolo – La festa 2015′, un concerto mastodontico, della durata di 5 ore, in cui verranno celebrati i 25 anni di “Ligabue”, i 20 anni di “Buon compleanno Elvis” e i 10 anni dal primo appuntamento di Campovolo, quando più di 150 mila persone si ritrovarono a dar vita al più grande concerto che, ad oggi, la storia della musica italiana ricordi. Il rocker ha accolto i media e la stampa dapprima con uno speciale percorso  illuminato da tanti pannelli, quanti sono stati i dischi pubblicati in questi anni, poi, voce e chitarra, ha intonato “Sogni di Rock’n roll”, “Certe notti” e “C’è sempre una canzone” per provare a racchiudere in tre brani l’essenza della propria anima artistica.

Ad affiancarlo durante la successiva conferenza stampa, Ferdinando Salzano di F&P e lo storico manager Claudio Maioli. Al centro dell’attenzione, l’evento previsto per il 19 settembre: il terzo Campovolo sarà una grande festa ed è stato annunciato come quello che sarà il concerto più lungo della carriera di Ligabue, nel corso del quale  l’artista suonerà per intero l’album ‘Ligabue’ (1990) con i ClanDestino, per intero ‘Buon compleanno Elvis’ (1995) con La Banda e tutto il meglio di ‘Giro del mondo’ accompagnato dalla sua formazione attuale, Il Gruppo. I festeggiamenti cominceranno con un giorno d’anticipo con ‘Aspettando Campovolo’: dalle 15 alle 24 di venerdì 18 settembre il Liga Village, all’interno dell’area di Campovolo, sarà infatti aperto al pubblico che avrà acquistato il biglietto per il concerto. L’evento sarà animato da ‘intrattenimento da strada’ (artisti, giocolieri, professionisti e musicisti) e dalla proiezione dei film di cui il Liga è stato regista. Per tutti gli acquirenti del biglietto dell’evento ci sarà anche uno special box contenente DVD, gadgets e  memorabilia. Saranno previste, inoltre, delle apposite aree per le tende e convenzioni con bus, treni e navette per agevolare gli spostamenti di chi arriverà dalle varie parti d’Italia.

Luciano Ligabue @ Campovolo - Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

Luciano Ligabue @ Campovolo – Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

In occasione del Liga Day, Luciano ha anche annunciato la realizzazione di due documentari per festeggiare tutti coloro che hanno lavorato con lui in questi anni, due making of che metteranno nero su bianco tutto ciò che è accaduto tra palco e realtà: “Mi piace salvaguardare la musica creata , per questo ho pensato a due making of di “Ligabue” e “Buon Compleanno Elvis” anche per ricordare chi tra noi non c’è più. L’idea è di far parlare chi c’era, raccontare le emozioni, ricordi. Il primo devo farlo io per forza, per il secondo spero di trovare un autore”. Soddisfatto ed appagato, l’artista è stato infine premiato da Ticketone per la vendita record di 2 milioni e 232 mila biglietti, avvenuta tra il 2005 ed il 2015.

Sorridente e rilassato, Luciano Ligabue ha risposto alle numerose domande arrivate dai tanti giornalisti presenti all’evento. Ecco le principali dichiarazioni:

Quella del 19 setttembre sarà una serata unica perché non ho mai suonato integralmente i miei primi due dischi. L’idea nasce dal voler far sì che si possano ascoltare anche quei brani che durante i live sono sempre stati nascosti, spiega Luciano. La canzone da cui è cominciato tutto è “Sogni di rock’n’roll”. All’inizio della mia carriera mi ispiravo alla mia passione per il rock progressivo ed i cantautori. Ho iniziato componendo musiche inutilmente complesse e scrivendo testi troppo pretenziosi, poi una domenica pomeriggio, mentre raccontavo un sabato sera tra amici in discoteca, mi sono reso conto di aver scritto la mia prima canzone compatta. Ho capito che dovevo usare un linguaggio comune, semplice, immediato e mi piace pensare che è proprio in quello che si nasconda la poetica”. In venticinque anni sono cambiato molto, io in primis come essere umano. Ho iniziato la mia carriera nell’incoscienza totale, poi ho pian piano maturato la consapevolezza di come il pubblico senta e percepisca le mie canzoni, prima nate di getto, poi sottoposte a lunghe sessions di revisione artigianale. Oggi ho meno pudore di prima, aggiunge Liga, all’inizio mi mascheravo dietro a dei personaggi, ora parlo in prima persona. In questi anni ho scritto tantissimo di me, del mio punto di vista sul mondo eppure ancora mi meraviglio di aver ancora qualcosa da dire”.

Particolarmente toccante il momento in cui Ligabue ha ricordato il momento in cui si è reso conto di aver “svoltato”: Ero al Rocktober Fest di Alessandria, c’era  il gruppo di supporto, gli Statuto, che avevano già pubblicato tre album e mi sembrava inverosimile che suonassero prima di me. Nelle prime venti file tutti sapevano le mie canzoni a memoria ed è stato in quel preciso momento che  ho cominciato a prendere coscienza della potenza delle canzoni e della responsabilità che ne consegue” .

Anni costellati di trionfi ma anche di scivoloni: “Gli scivoloni che ho commesso sono sempre stati evidenti e chiari e credo anche di essermeli anche meritati. Tendo a credere che la canzone debba essere popolare e arrivare alla gente, se questo non  avviene, la canzone non funzionerà. Il più clamoroso passo falso furono “Sopravvissuti e Sopravviventi” e “Miss Mondo”. Dopo “Buon Compleanno Elvis” ho sofferto una crisi di identità e volevo raccontare la punta amara del successo, un argomento davvero impopolare, confida Luciano, “Quando le cose vanno male, ricevi inevitabilmente meno telefonate, eppure anche quella solitudine è necessaria; quando caschi devi lasciare che il tempo passi e che la tua consapevolezza maturi”.

Per quanto riguarda l’ultima avventura de il “Viaggio del mondo”:  “Fare quel giro del mondo è stato un viaggio della libertà, un regalo che ci siamo fatti. Tornare a suonare nei club mi ha fatto tornare indietro nel tempo, mi ha permesso di cambiare le aspettative e di allontanarmi la maniacale tendenza italiana di voler prevedere cifre, numeri e ritorni.

Luciano Ligabue @ Campovolo - Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

Luciano Ligabue @ Campovolo – Reggio Emilia ph Francesco Prandoni

Parlando di ciò di cui non riesce a fare a meno, Liga spiega: “Ho sempre la speranza che ad ogni nuovo disco ci sia un nuovo Ligabue. Al di là delle scelte sonore, quello che ritengo davvero importante è l’urgenza di dire qualcosa: le canzoni che entrano nei miei dischi rispondono a questa prerogativa. Scrivo tanto e quando scelgo, sento cosa ho scritto quando ne avevo davvero bisogno. Con le canzoni cerco la gente, con tutto il resto questo problema non me lo pongo. Con la musica alla gente non gliela si fa, chi fa il furbo ha un brano che dura un’estate. Questo è il mistero delle canzoni dove il giudice è chiaro: il pubblico.

Solo a chi entro il 30 giugno acquisterà online su www.ticketone.it il biglietto per “CAMPOVOLO – La festa 2015”, scegliendo la modalità di spedizione a casa, sarà data la possibilità esclusiva di assistere al concerto dall’area dedicata “PIT speciale” (PIT A) in prossimità del palco (l’accesso all’area sarà regolato da un braccialetto spedito insieme al titolo d’ingresso del concerto e allo “Special Box Campovolo 2015”).

In alternativa alla modalità di spedizione a casa, per coloro che acquisteranno online su www.ticketone.it è previsto il ritiro dello “Special Box Campovolo 2015” e del titolo d’ingresso direttamente a Campovolo, il giorno dello spettacolo (non è previsto il braccialetto “PIT A”).

Anche chi acquisterà il biglietto presso i punti vendita avrà la possibilità di ritirare lo “Special Box Campovolo 2015” (non è previsto il braccialetto “PIT A”). Info e modalità saranno pubblicate su fepgroup.it.

Dall’1 giugno sarà possibile acquistare posto auto (interno o in prossimità dell’area di Campovolo) e posto tenda (all’interno dell’area dedicata) per le notti del 18 e del 19 settembre.

Verranno inoltre messi a disposizione dei treni speciali a/r Milano-Reggio Emilia e a/r Roma-Reggio Emilia (info, orari e tariffe dall’1 giugno).

Eventi in Bus, partner ufficiale di “CAMPOVOLO – La festa 2015”organizzerà servizi autobus a/r da tutta Italia all’area di Campovolo (tutte le info suwww.eventinbus.com).

 

Raffaella Sbrescia

 

Abbi cura di te: il secondo album e la ritrovata felicità di Levante

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Dolce, appassionata, sensibile e romantica da un lato,  forte, determinata e tenace dall’altro. Claudia Lagona, in arte Levante, dall’alto dei suoi 27 anni conquista il pubblico con “Abbi cura di te”, un nuovo intenso lavoro discografico che porta la firma di INRI e Carosello Records, in cui le  dodici tracce che lo compongono lavano via le ferite e pagano per intero e senza mezzi termini il saldo con le sofferenze del passato. Ogni brano possiede una propria dimensione definita, una storia da raccontare, una ferita da rimarginare, uno scopo da raggiungere: la felicità.  Arrangiamenti raffinati e sonorità ricercate sono il frutto della produzione artistica di Alberto Bianco, già operativo per “Manuale Distruzione” e regalano una sfumatura unica a ciascun pezzo.

Levante

Levante

Si comincia con “Le lacrime non macchiano”, un brano  agrodolce profumato di pop-rock venato d’elettronica. Imbarazzo, disagio, incertezza, timore e rischio irrorano i versi di “Ciao per sempre” mentre la titletrack “Abbi cura di te” diventa un mantra da seguire, un focus su cui mantenersi concentrati: “Segui la parte sinistra, il battito lento, l’istinto che sia , segui le orme dorate, i cieli d’argento, non perderti via”, canta Levante, con semplicità e classe, con schietta malinconia dal gusto retrò. Più allegra e movimentata “Caruso Paskoski”, ispirata al film del 1988 di Francesco Nuti “Caruso Paskoski di padre polacco” che Levante vide in tv col papà. Romantica e sognante è, invece, “La rivincita dei buoni”, le cui sonorità strizzano l’occhio alle melodiche ballads anni ’50. Notevole il suadente groove della chitarra acustica folk di “Contare fino a dieci”. Commovente ed intensa “Finché morte non ci separi”, brano in cui Levante canta con la madre ripercorrendo le prime fasi della storia d’amore dei propri genitori. Amore, amore e ancora amore come in “Tutti i santi giorni” e soprattutto in  “Lasciami andare”, prodotta dal compagno di Levante, Simone Cogo alias The Bloody Beetroots ed irrorata di affascinanti tocchi di elettronica. Divertente, ironica e spassosa “Pose plastiche”, un brano che non le manda di certo a dire  e che demolisce  i “sorrisi indossati all’occorrenza”.  Forte e potente “Mi amo”: “mi amo e non importa se ridi di me, sì mi amo anche quando non so sopportarmi”, canta ferma e decisa Levante, salvo poi commuoversi intonando “Biglietto per viaggi illimitati”, il racconto poetico dell’addio al padre ferroviere, che chiude questo disco  così come si concluderebbe un sogno malinconico e gioioso al contempo  e che ci lascia sospesi in un limbo distante dal cinismo imperante del nostro tempo.

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 Ecco cosa ci ha raccontato Levante in occasione della presentazione alla stampa di questa mattina a Milano:

Qui parliamo di coraggio… tu ti rendi conto di essere coraggiosa, di aver intrapreso una strada che prescinde dai luoghi comuni della musica, che ti vede protagonista del palco insieme alla tua chitarra… come affronti questo tuo modo di essere?

Io non ho mai creduto di essere una persona coraggiosa perché in ogni cosa che faccio, ho sempre una paura incredibile però è anche vero che il coraggio senza paura non è coraggio per cui è anche giusto che ci sia una sensazione di debolezza, di fragilità. Credo di essere stata coraggiosa nello scegliere di essere felice e questo tipo di musica, insieme a questo tipo di percorso,  mi fa stare bene; non ce n’è un altro che mi farebbe stare meglio di quello che sto facendo adesso.

Ti sei presentata come artista indipendente , quanto ci tieni a mantenere questo status e quanto ti  preoccupa il passaggio in spazi più ampi sia televisivi che festivalieri?

Io non ho paura di questo. Spesso  si tende ad associare l’essere indipendenti all’essere qualcosa di molto opposto al pop e non è così! Io sono molto pop, non sono molto distante dalla tv e dalle cose più “commerciali”. Spero di essere indipendente nelle scelte, vorrei essere sempre in grado di poter essere l’ultima persona a dare l’ultima parola, quella decisiva. Vorrei sempre poter contare tanto rispetto magari ad una major che mi vorrebbe avviare verso percorsi che non amerei fare.

Il mainstream implica una serie di scelte comunicative diverse…

Sì, eppure il mainstream mi mi scarta perché sono considerata un po’ borderline. Nel mondo la mia musica è pop, in Italia, invece, sono borderline…. Il mio esempio Carosello Records, una realtà indipendente molto forte, salda, con dei principi fermi, eppure di successo, per cui credo si possa diventare grandi senza svendersi.

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Hai definito il tuo disco “l’Abbecedario della felicità”…come sei arrivata a questo percorso?

È stato tutto molto naturale. Ho scritto “Abbi cura di te” durante tutto il 2014, nell’ambito del “Manuale Distruzione tour” quindi avevo tantissime cose da dire proprio perché stavo facendo delle scelte molto forti, sia a livello personale che musicale. In queste 12 tracce parlo tanto di me poi ho stretto dei forti legami con tantissime persone che amo e che mi sono state molto vicine per cui ci sono anche dei racconti che non ho vissuto in prima persona ma che racchiudono una sorta di cammino verso la serenità, verso la voglia di essere felici.  Fino a qualche anno ha, ho avuto un atteggiamento adolescenziale, mi crogiolavo nella tristezza poi, ad un certo punto, ho sentito l’esigenza di essere felice e la svolta è stata il saper scegliere. La felicità non la trovi dietro l’angolo, la felicità  è dentro di te, nel momento in cui hai il coraggio di fare le scelte che ti portano ad esserlo, lo sei.

Continui ad avere esempi o punti di riferimento in ambito artistico –musicale oppure vai per la tua strada?

In questo periodo i miei lavori ricordano un po’ Leslie Feist poi c’è Carmen Consoli: tanti mi associano a lei e per me è un grandissimo onore poi mi rendo conto che siamo tanto diverse, sia nella scrittura che nel modo di vivere la musica e di farla, poi ci sono Cristina Donà, Janis Joplin, Alanis Morrissette e Mina.

Perché stai facendo fatica ad imparare i nuovi testi?

Da quando è esplosa “Alfonso” non mi sono mai fermata, sono sempre stata in giro con il tour, ho scritto il disco, siamo stati in Europa, in America, ho registrato il disco, ho iniziato subito la promozione e non ho avuto il tempo di studiare…giuro che mi preparerò meglio!

Parlaci del tuo rapporto con la Sicilia, della canzone in cui canti con tua madre nel disco e di quella che hai dedicato a tuo padre…

Ho una sorta di amore-odio con la Sicilia, l’ho lasciata all’età di 14 anni con mia mamma, valigia e chitarra, per sopravvivenza. Sono molto innamorata della mia terra, ci torno spesso, ho tutti i parenti paterni lì, la mia casa, i miei ricordi. Quando ci torno è sempre una sorta di capriola nel passato…

Ho sempre raccontato di mio padre, la sua scomparsa è stata la ferita più grande, la prima in assoluto per me. Anche in questo album c’è un brano che parla di lui ed è “Biglietto per viaggi illimitati”: sono figlia di un ferroviere e, quando lui è mancato, mi sono ritrovata con questa specie di scherzo del destino con questo biglietto per viaggi illimitati…La cosa amara è che quando lui mancò, l’unico posto in cui volevo raggiungerlo non era possibile da raggiungere per cui racconto di questo treno che non posso prendere. Per quanto riguarda mia madre, invece, finalmente ho raccontato una storia di cui mi vanto tantissimo fin da piccola: questa mamma sedicenne, un po’ pazza, che lega le lenzuola calandosi dal primo piano di casa, lasciando le finestre aperte a Torino, facendo ammalare la sorella con la febbre a 40. Il tutto per raggiungere il mio papà, che in quel periodo studiava ingegneria meccanica a Torino e che si era innamorato di questa ragazzina. L’idea più bella di questo disco è stata proprio quella di voler far cantare mia mamma. Inizialmente ero terrorizzata perchè non è facile ascoltare la propria voce in cuffia, in uno studio, essere intonati, precisi ed interpretare bene un brano. Lei però,  superato il primo scoglio per l’  inevitabile emozione , è stata davvero bravissima.

E per quanto riguarda gli arrangiamenti?

Lo scorso maggio ho preso Alberto Bianco da parte e gli chiesto se gli andava di arrangiare anche questo nuovo lavoro; lui si è chiaramente emozionato, mi ha stretto forte e da lì è ripartito tutto. Alberto è stato davvero bravo perché, se per “Manuale Distruzione” ero stata un po’ assente per cappuccini e caffè dalle 9 alle 17,  in “Abbi cura di te” sono stata, al contrario, molto presente e molto esigente. Insieme abbiamo comunque trovato un buon compromesso tra i suoni e tutto il resto ed il risultato mi soddisfa molto, soprattutto nel caso della  titletrack del disco. Per quanto riguarda “Ciao per sempre”, l’arrangiatore è Ale Bavo, produttore torinese che ha anche curato la produzione delle voci. Ci sono stati anche i contributi degli elementi della mia vecchia band, tutti cantautori, artisti con dei loro progetti in cantiere. “Lasciami andare”, invece, è stata prodotta da The Bloody Beetroots e, anche se non avrei mai voluto questa collaborazione,  perché sarebbe stato facile additarla, è nata in modo davvero molto naturale. Quando ha ascoltato questa canzone, Simone si è emozionato, ha insistito perché potesse farne una versione propria e, quando io e Alberto l’abbiamo sentita, abbiamo pensato che non esistesse una versione migliore di quella e quindi ce la siamo tenuta portando una ventata di elettronica nel disco, seguendo, tra l’altro, un mio antecedente avvicinamento al genere, senza perdere il legame con le origini.

Raffaella Sbrescia

A giugno  prende il via il tour di Levante. Organizzato da OTRLive Srl, queste le prime tappe confermate:

6 giugno – Milano – Miami Festival

16 giugno – Bologna – Biografilm Festival

20 giugno – Sassocorvaro (PU) – Indietiamo Festival

26 giugno – Foresto Sparso (BG) – Forest Summer Fest

27 giugno – Vicenza – Festambiente

Video: “Ciao per sempre”

Peole Keep Talking, Hoodie Allen presenta l’album d’esordio

People Keep Talking album cover

Steven Adam Markowitz, in arte Hoodie Allen,  è un giovane artista, classe 1988, bianco, ebreo, laureato in un’università della Ivy League che, dall’alto delle sue autoproduzioni, presenta il suo album d’esordio “People Keep Talking” insistendo subito su un concetto chiave come l’autenticità: “Per me autenticità significa accettare il fatto che non sono Kendrick Lamar e non vengo dal ghetto. Ognuno ha il dovere di raccontare la propria storia. E la mia è questa qua”. A metà strada tra rapper e pop star 2.0. Hoodie Allen negli Stati Uniti ha raggiunto la seconda posizione nelle classifiche Rap e R&B, l’ottava in quella generale ma è dal 2009 che il egli distribuisce in modo indipendente mixtape – il più noto è forse “Pep rally” del 2010 – ed EP come “All American” del 2012: “Mi piace scrivere, raccontare storie divertenti, costruire canzoni. All’inizio era un hobby poi ho imparato a usare internet per diffondere la musica e ho trovato un vero pubblico”. Dopo aver lavorato nel 2010 nel programma AdWords di Google, a Mountain View, Hoodie ha deciso, infine, di dedicarsi solo alla musica: “Lì ho imparato a pensare in modo critico, ad avere la mente aperta, a essere creativo. Ma fra Google e la mia musica, lavoravo venti ore al giorno. Lasciare l’impiego per dedicarmi al rap è stato un atto di fede”.

Hoodie Alllen ph Matty Vogel

Hoodie Alllen ph Matty Vogel

Ed ecco, dunque, “People keep talking”, un lavoro non propriamente esaltante che al suo interno contiene, comunque, un paio di messaggi interessanti: Il primo chiude il brano che dà il titolo al disco e riproduce la voce tremante una fan emozionantissima: “È un modo sarcastico per prendere in giro i superfan, quelli che dicono che ti amano e non sanno nemmeno i titoli delle tue canzoni”, spiega Hoodie, mentre il secondo messaggio è contenuto in “Sirens” dove un finto discografico – Todd Ferman della Gigantic Records – dice a Hoodie Allen che lo adora e lo vuole mettere sotto contratto, non prima di averne snaturato la musica: “È ispirata a un vero discografico, di cui non dirò il nome. Quando diventi popolare su internet gli A&R cominciano a chiamarti non perché credono in te, ma perché vogliono essere i primi a ‘scoprirti’ o per dire al capo di averci almeno provato”, conclude Hoodie. Da evidenziare anche la collaborazione con Ed Sheeran per il singolo ed il video di “All about it”: “Con Ed si è amici da tre anni, eppure non avevamo mai fatto musica assieme. Il video l’abbiamo girato l’ultimo giorno del suo tour nordamerican, pensare che lui non voleva nemmeno apparire poi l’ho convinto io a mostrare il suo lato più leggero, quello che la gente non conosce, ed il risultato è stato molto divertente”.  A dispetto dei ritornelli catchy e dell’ atmosfera easy che caratterizza album, Hoodie Allen è in ogni caso, piuttosto serio nel difendere le proprie scelte e la propria autonomia. Il senso è: potete dire quel che volete di me, ma non cercherò di compiacervi e continuerò a fare musica a modo mio, restando coi piedi per terra”.

Raffaella Sbrescia

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Video: All about it

 

Reason, il nuovo album di Selah Sue è un’equazione con molte variabili. La recensione

Selah Sue

Selah Sue

Appassionata, struggente, complessa. Selah Sue torna sulle scene di tutto il mondo con “Reason” un nuovo album di inediti che spazia tra electro-soul, trip hop e house beats, un lavoro in cui la cantautrice belga riversa tutti gli input di questi ultimi anni delineano un’identità musicale decisamente variegata. Durante la round table concessa ai giornalisti italiani, in vista del concerto in programma al Tunnel di Milano il prossimo 29 aprile, Selah ha spiegato che questo disco racchiude in sé  un’equazione con molte variabili. Il risultato, ascoltabile attraverso le 16 tracce che compongono “Reason”, è il frutto di svariate sessions di registrazione tenutesi soprattutto in Belgio, ma anche a Londra, in Giamaica e Los Angeles, insieme a  due esperti produttori: il danese Robin Hannibal (Little Dragon, Kendrick Lamar) e lo svedese Ludwig Göransson, conosciuto per i suoi lavori con il trio pop HAIM e il rapper americano Childish Gambino. Con quest’ultimo, Selah Sue ha scritto e registrato “Together”, una splendente dichiarazione d’amore hip hop, avvolta da percussioni urban e synth. “Abbiamo scritto questa canzone in poche ore a Los Angeles. E’ la mia prima canzone d’ amore, la melodia mi è proprio uscita dalla pancia. Childish Gambino ha portato i beats e il ritmo particolare del cantato”, ha raccontato l’artista. La variopinta tavolozza di suoni contenuti in “Reason” rappresenta, dunque, l’assemblaggio perfetto di una serie di idee e stili anche divergenti.

Selah Sue

Selah Sue

Muovendosi in una direzione più sperimentale, elettronica, aggressiva e ballabile Selah riesce a scardinare etichette  e preconcetti; la sua voce tocca le corte più basse e spesse ma anche quelle più alte e sottili smuovendo l’anima  a suon di scossoni. “I Won’t Go for More” e “Reason” sono nell’insieme un’eco della Selah Sue che già conosciamo, con melodie costruite intorno alla sua chitarra acustica, nella sognante “Always Home”, prodotta insieme ai suoi due produttori, Selah Sue colpisce per il suo virtuosismo vocale e per la disinvoltura con cui riesce a mostrare se stessa ed i suoi sentimenti senza alcun filtro: “Inizialmente volevo concentrarmi su un solo tipo di sound, ma non mi è stato possibile perché amo l’hip hop, il jazz, il pop, il soul, ecco perché il disco è così eclettico, rispecchia il mio stile”, ha spiegato Selah, aggiungendo, “Io ho bisogno di tanti tipi di input: ho scritto qualche canzone da sola con la chitarra, come Always Home e I Won’t Go For More, ma ho anche lavorato con i miei musicisti per una settimana di jam session e sono nate Daddy, Stand BackGotta Make It Last. Infine ho collaborato con produttori di Paesi diversi: mi hanno fatto ascoltare dei beat e ho iniziato a cantarci sopra. Trovo molto stimolante lavorare in questo modo”. Vincendo questa nuova sfida Selah si è rimessa in discussione scacciando la sua proverbiale malinconia, da adesso in poi sarà la vitale bellezza della sua anima soul a scaldare il pubblico durante i suoi appassionati concerti.

Raffaella Sbrescia

Video: Alone

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“Ufficialmente Pazzi”, Pallante presenta il suo nuovo album. La recensione e l’intervista

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“Ufficialmente pazzi” è il nuovo lavoro discografico di Pallante. Elegante, creativo, stimolante, a tratti amarcord, questo disco lascia trasparire tutta la cura, l’impegno e la maniacale attenzione con cui è stato realizzato.  Ad affiancare Pallante, un gruppo di lavoro eccellente: Michele Rabbia (batteria e percussioni), Pino Forastiere (chitarra e supervisione del progetto), Alex Britti (basso, batteria, lap steel guitar e amichevole supervisione), Enrico Terragnoli (banjo), Filippo Pedol (contrabbasso), Eric Daniel (sax), Mike Applebaum (tromba e supervisione ai fiati), Massimo Pirone (tuba e trombone), Gabriele Benigni & The Gabbo 4th (violino e supervisione agli archi). Dall’alto della sua profonda conoscenza del pentagramma, Pallante crea e scrive tra suggestioni e ricordi di tempi andati, senza rinunciare ad un chiaro richiamo ai toni internazionali d’oltreoceano. Spaziando liberamente tra cantautorato, canzone popolare, swing e ballate, Pallante smuove l’animo con ferma delicatezza. La sua voce ruvida, ipnotica e coinvolgente accompagna, descrive, critica, racconta storie armonizzata da chitarre, arpeggi e pause  che veleggiano indisturbate tra tastiere e archi, senza soluzione di continuità.

 In questo lavoro si parla di follia ( Ufficialmente pazzi) ma anche di lavoro sommerso (King, un nome da re), di senza tetto ( Andiamo in pace), di povertà e ricchezza (La Caroppa e Carmelo casalingo), di rapporti famigliari (Fino alle ossa) e anche d’amore ( Per sempre). Ironia e disincanto si alternano ad un elegante ed irresistibile romanticismo metropolitano per poi confluire, infine, nella magia di “A night in Manduria”,  un brano strumentale dai toni crepuscolari, caratterizzato dalla travolgente carica di chitarre incalzanti e furiose, indomabili e lussureggianti, proprio come l’amore che Pallante nutre per ogni forma di espressione artistica.

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L’intervista

Perché il tuo album s’intitola “Ufficialmente pazzi” ? Dove hai trovato la forza, la tenacia, il coraggio di rifare il disco da zero per la seconda volta?

Ancora me lo sto chiedendo… in realtà dopo averlo azzerato e rifatto da capo ho dovuto fermarmi e ricominciare molte volte. Sono accadute cose impreviste durante il percorso ma anche cambiamenti di idea. Sai a volte capita che il risultato di un lavoro non sia esattamente quello che pensavi e allora puoi accettarlo così oppure ricominciare. Io ho ricominciato e oggi sono pienamente soddisfatto, so di aver fatto bene e anche se ho dovuto faticare un po’ di più ho esattamente il disco che pensavo, nel bene e nel male. “Ufficialmente pazzi” prende le mosse dalla poesia che ho avuto in regalo da Helèna, una mia amica. Contiene delle esperienze reali e delle riflessioni personali di grandissimo impatto e volevo che fosse chiaro che l’energia vitale di questo disco parte proprio da lì. In fondo chi decide cosa è folle o cosa è normale?

In una recente intervista hai dichiarato “non so suonare senza parlare e  non so parlare senza suonare”…potresti approfondire questo discorso spiegandoci questo tuo rapporto viscerale con la musica e con la chitarra, più nello specifico?

Sono sempre stato un chitarrista, un amante della musica e dello strumento ma poi mi sono accorto che mentre suonavo avevo voglia di parlare, di raccontare. Molti anni fa, mi ricordo, avevo un gruppo rock e già avevo preso il vizio di “condire” le canzoni con racconti, parodie, improvvisazioni parlate mentre giocherellavo con la chitarra. Un giorno un mio “collega” musicista, molto meno propenso alla parola detta o ascoltata, dopo un concerto mi disse: “ ma che te parli, la gente te vo senti sonà, mica ragionà”. Chissà, forse aveva pure ragione, ma da quel momento non ho mai più smesso di parlare. Quello che vuole il pubblico è la verità, la purezza, vuole che un’artista ci metta la faccia e non finga, scimmiottando le star d’oltreoceano che scorrazzano sul palco. Per il resto, non può essere certo il pubblico a decidere cosa devo fare o non fare.

Pallante

Pallante

Nelle 12 tracce che compongono l’album hai inserito ballate, swing, canzone popolare ed un lungo assolo nel finale. Quali sono le storie, le visioni, le suggestioni, i sogni e le speranze che hai racchiuso in questo lavoro?

Wow! Potrei dire che se c’ho messo così tanto a fare questo disco, potrei metterci sei anni a rispondere alla domanda. Cercherò di condensare: In questo album c’è un mucchio d’amore. Tutto qua. Veramente tanto. L’amore è stata la chiave di svolta non solo del disco ma anche della mia vita. Ho dovuto ricostruire tutto il modo che avevo di guardare fuori, di vedere gli altri. C’ho messo tanto e ho cominciato ben prima di questo disco. Devo dire che anche il mio essere vegano ha influito molto. La capacità di un artista di guardarsi intorno e trasformare in emozione ciò che vede è il fulcro dell’essere artista. In questo senso sono idealmente vicinissimo a Yodorowsky e al suo pensiero sull’arte. Artista è colui che crea emozioni, in ogni istante, con il linguaggio che in quel momento gli è adatto allo scopo. Un artista non replica e non cerca di replicare emozioni, non ripete delle cose perché funzionano. In questo lavoro è racchiuso ciò che ho visto in questi anni, con le sue continue trasformazioni che mi hanno costretto a ricominciare più volte affinchè trovassi una forma che potesse almeno per un po’ superare il tempo, che potesse essere guardata oggi o domani ottenendo lo stesso risultato. Non mi sono posto il problema del “quanto ci metterò” o del “funzionerà in radio”. Non me ne importa un fico secco. Ho cercato di fare del mio meglio e questo lavoro è un buon compromesso fra ciò che vorrei io da me stesso e ciò che me stesso può darmi oggi. Sono soddisfatto.

Come descriveresti gli anni durante i quali hai forgiato, attimo per attimo, ogni nota, ogni parola, ogni dettaglio della tua creatura musicale?

Splendidi, di ricerca, di pausa e rumore, di neve e colline assolate. E’ stato un tempo magnifico che ho goduto fino in fondo, sapendo che sarebbe stato unico e che non tornerà.

“King, un nome da re” narra delle vite di chi prova a sopravvivere nell’ordinaria irregolarità. A cosa ti sei ispirato e che messaggio vorresti trasmettere al pubblico?

King è un uomo, uno dei tanti, che, venuto nel nostro paese per scappare alla guerra, si trova a vendere calzini. Dieci anni qui, da fantasma, anche se ormai regolare, ma da fantasma. La sua storia è quella di altri mille e non contano i particolari, conta la sofferenza, l’umiliazione, il dolore. Eppure c’è una cosa di King che mi ha sempre colpito: il suo magnifico sorriso, anche nei momenti più faticosi, anche quando il padre era morto e lui non poteva tornare a casa e a casa non avevano neanche i soldi per seppellire quest’anziano uomo. Ecco, il suo sorriso è così illuminante per me, così pacifico e pieno di speranza che ogni volta che sto con lui tutto riassume i contorni giusti e le giuste prospettive. Il messaggio è speranza. Il messaggio è capire che non siamo il centro del mondo, anzi non siamo il centro di un bel niente e le nostre “tragedie” quotidiane sono quasi sempre dei piccoli, inutili e miseri vezzi di bambini egoisti.

Pallante

Pallante

Blues, jazz, musica sinfonica e musica napoletana hanno rapito il tuo cuore…in che modo inglobi questi generi nel tuo mondo musicale quotidiano?

L’arte è una forma espressiva, non credo che contempli un “genere”. E’ una scatola inventata da chi ha bisogno di etichettare ogni cosa. Nel mio mondo musicale quotidiano c’è musica, poesia, libri, dipinti…c’è arte.

Che valore ha la “parola” nel tuo microcosmo personale e professionale?

Amo la parola, credo nella parola, come diceva Gianni Rodari non perché tutti siano poeti o scrittori ma perché tutti siano liberi.

Come mai hai scelto i disegni di Manuel De Carli per il libretto che accompagna l’album?

Conoscevo e a apprezzavo il suo lavoro da un po’ di tempo. Poi ci siamo conosciuti e mi è sembrata la persona giusta a cui chiedere questo tipo di lavoro artistico. Ne abbiamo parlato per mesi, seduti davanti a un buon vino e poi è venuto tutto come desideravo. Quando gli artisti con cui ti confronti hanno determinate sensibilità, lavorare è facile e porta sempre a buoni risultati.

Nel tuo lavoro figurano diversi colleghi…come ti rapporti al contesto musicale italiano contemporaneo?

Non saprei… io mi rapporto con delle persone, in questo caso fantastiche. Sono degli amici, gli stessi con cui vado a prendere una pizza e sono anche grandi musicisti. Il contesto musicale italiano non lo conosco granchè, non riesco ad ascoltare la radio perché mi sembra che passino sempre la stessa orrenda canzone e non ho la televisione. Compro dischi e ascolto tutto quello che mi piace e mi sento felice quando trovo artisti capaci. L’Italia ne è piena. Ma non riescono a esser ascoltati.

In che senso ti “batti per il diritto alla vita”?

Sono antispecista, per me la vita è vita, sia la mia, sia la tua, sia quella di un fenicottero che quella di un riccio. Non faccio differenze. Battersi significa agire, improntare la propria vita e le proprie scelte a questa visione. Significa anche combattere, non solo sventolare la bandiera della pace ma agire concretamente nella direzione della pace. Non sono certo il primo a farlo. Ciò che mi conforta è che i più grandi pensatori e uomini della storia abbiano avuto gli stessi pensieri. Tolstoj scriveva che “Il cibarsi di carne è un residuo della massima primitività; il passaggio al vegetarismo è la prima e più naturale conseguenza della cultura”. Credo sia una palese verità e credo che sia una palese verità l’assenza totale di cultura nel nostro paese.

Cosa vuol dire “essere indipendente, sul serio”?

Vuol dire che ho prodotto, scritto, arrangiato, suonato, cantato, missato e gestito questo disco dalla a alla z. Per scelta. Non perché la Sony mi ha detto che il disco non voleva produrlo. Del resto non lo so neanche, visto che alla Sony non ci sono mai entrato. Per scelta.

Ci anticipi qualcosa sull’idea di “Ufficialmente pazzi a casa tua”  e del veg-tour?

Sarà un tour condominiale, per le case, con le famiglie allargate, gli amici. Suoneremo spesso in duo, io e Pino Forastiere, scegliendo solo i posti che davvero vorranno ascoltare la nostra musica. Non suoneremo accanto a banconi del bar o club-ristoranti mentre la gente chiede un piatto di penne al pesto. C’è una dignità da rispettare in quello che uno dei mestieri più difficili al mondo, quello dell’artista. Vogliamo azzerare la distanza tra il pubblico e il musicista, creare un vero rapporto di fiducia. Inoltre abbiamo superato il concetto di genere musicale, come dicevo all’inizio e suonare insieme con Pino, così diverso da me è un completamento, non un banale ostacolo. Usiamo la musica per comunicare e anche se la usiamo in modo diverso l’importante è comunicare, non conta la lingua che scegliamo. Sarà vegano perché non suonerò in posti che non assicureranno mangiare sano per me e per i miei ospiti. Sarà un bel divertimento.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Kwabs: La mia musica racconta emozioni eterne al passo coi tempi”

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Il suo canto è un verace e genuino, la sua voce è un prisma multisfaccettato, un lamento blues  in grado di  trasmettere emozioni a tutto tondo, il suo nome è Kwabs e, dopo aver conquistato la critica con gli Eps, rispettivamente intitolati “Pray For Love” e “Wrong or right”, il giovane artista, tra i più quotati del momento, si prepara alla pubblicazione del nuovo atteso album “Love + War”, prevista per maggio 2015, nella cui tracklist sarà inserita anche la cliccatissima “Walk”. L’abbiamo incontrato a Milano lo scorso 9 marzo.

Kwabs, quali sono gli elementi che caratterizzano la tua musica?

Le tappe del mio percorso rispondono ad un unico obiettivo: fare un tipo musica in grado di mantenere intatta una certa profondità emotiva. Ho studiato jazz ma questo non  influenza direttamente la mia musica, si tratta di un elemento che fa parte della mia formazione, ho una voce soul con un timbro retrò eppure riesco a tenere vivo un quid contemporaneo.

Youtube e i social media hanno avuto un ruolo importante per lo sviluppo della tua carriera, come interagisci con queste realtà virtuali? 

I social rappresentano una parte importante del motivo per cui oggi sono qui. Sono grato a  SoundCloud, Twitter, Facebook, mi hanno consentito di raggiungere molte più persone di quante la mia mente avesse mai potuto immaginare eppure mi rendo conto che c’è sempre un doppio lato della medaglia, a volte vorrei tenere qualcosa per me ma mi rendo conto del fatto che man mano questo diventerà sempre più difficile.

Com’è essere in tour in Europa insieme a Sam Smith, quale sono state le prime impressioni sul palco? 

La prima sera che ci siamo esibiti, sono rimasto davvero senza parole quando, giunto il momento della ballata, tutto il pubblico, che a stento mi conosceva, ha alzato cellulari ed accendini accompagnandomi a tempo di musica… Quella  è stata un emozione stupenda, sicuramente il momento più bello per me!

Kwabs

Kwabs

Nel 2010 ti sei esibito a Buckingham Palace, cosa ti ha colpito in quell’occasione?

Avevo preso  parte a un documentario su giovani musicisti in UK e l’ultima tappa era stata organizzata in un grande spazio a Londr;a; quando ho scoperto che si trattava di Buckingham Palace sono rimasto basito! Ho anche conosciuto il principe Harry, davvero gentile e molto simpatico.

Quali sogni custodisci nel cassetto?
Mi piacerebbe suonare nelle line up di grandi festival e poi, perché no, anche agli Oscar o ai Grammy … Nella vita penso sia positivo avere dei sogni! Per quanto riguarda le collaborazioni vorrei semplicemente lavorare con chiunque faccia musica che mi emozioni.

Chi sono i tuoi eroi?

Adoro  Aretha Franklin, Stewie Wonder, The Strokes, Artick Monkeys ma anche altri artisti. Non posso dire che uno sia più importante dell’altro, devo ringraziarli tutti perchè mi hanno ispirato ognuno allo stesso modo.

Quali sono le tre canzoni che descriverebbero al meglio la tua vita in questo momento?

 “Best Friend” di Brandy, perchè gli amici sono importanti, poi la mia “Walk”, che mi descrive benissimo, e per concludere la carica energetica di “It’s not right but it’s ok” di Whitney Houston.

Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes “Love + War”

Video: “Kwabs”

Intervista ai KuTso: “Musica per persone sensibili” e non…

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Kutso sono  un gruppo musicale italiano, attivo da diversi anni all’interno dello scenario indipendente nazionale, composto da Matteo Gabbianelli (voce), Donatello Giorgi (chitarre, cori), Luca Amendola (basso, cori) e Simone Bravi (batteria). In seguito alla loro particolarissima partecipazione alla Sezione Giovani del 65° Festival di Sanremo, i quattro musicisti hanno pubblicato l’album intitolato “Musica per persone sensibili”, pubblicato da IT.POP, etichetta indipendente di Alex Britti su licenza di Universal Music. Ritratti di note li ha incontrati ed intervistati in occasione dell0 showcase che il gruppo ha tenuto lo scorso 25 febbraio alla Feltrinelli di Milano.

Con la vostra musica offrite un momento di riflessione e di ascolto che va aldilà dell’entusiasmo dettato dalla musica caciarona. Cosa vorreste comunicare con “Musica per persone sensibili”?

Abbiamo scelto questo titolo per il nostro album  semplicemente per invogliare il pubblico a leggersi i testi e ad ascoltare  le canzoni con più calma. Vorremmo incoraggiarvi a scoprire che c’è anche dell’altro, un’urgenza espressiva.

Un’urgenza  che nasce dei testi e si sviluppa attraverso la musica….quali sono i temi di cui trattate?

Le canzoni sono essenzialmente autobiografiche, si tratta di sfoghi, invettive, ragionamenti, elucubrazioni, “pippe mentali”, lamentazioni varie. Dietro una canzone c’è sempre un disagio, così come succede ogni qualvolta ti ritrovi a scrivere; il gioco sta nel reagire a questa negatività interiore con una musica che è completamente l’opposto, solare e giocosa. Il risultato finale è un contrasto tra buio e luce.

E se non si capta subito la vostra intenzione comunicativa?

A noi va bene  comunque perché la nostra musica ha due livelli d’ascolto.

La vostra formula racchiude l’istrionismo di Bowie, il cinismo di Gaber, il no sense di Gaetano… come è venuto fuori questo mix e come avete pensato di sviluppare questi riferimenti all’interno della vostra dimensione che va avanti ormai già da un po’?

Parlando dei nostri gusti musicali, a noi piace ciò che sembra vero, che comunica sincerità, che implica l’andare fino in fondo alle cose. Il no sense di Rino Gaetano è verace, molto vissuto, sofferto. Il cinismo di Gaber è lucido, una visione che non fa sconti alla vita. L’istrionismo di Bowie proviene dal fatto che gli anglosassoni possiedono un’ingenuità un po’ infantile che li fa agire spesso senza filtri. Noi, a nostro modo, abbiamo cercato di fare tutte queste cose…

Le vostre esibizioni al Festival di Sanremo hanno destato parecchio scalpore…

Eravamo coscienti del fatto che Sanremo fosse la più grande vetrina musicale italiana. Allo stesso tempo, però, quel palco rappresenta anche un contesto ufficiale che ci ha istigato ad assumere un atteggiamento sovversivo. Quando tutti ci dicono di dover fare le cose in un certo modo, in noi scatta la voglia di fare il contrario. La nostra è un’arroganza sorridente! L’idea della doccia, ad esempio, non era dovuta al fatto che volessimo fare i comici, quanto soprattutto all’idea di poter fare una cosa inopportuna sul palco di Sanremo.

E  per quanto riguarda l’aspetto tecnico delle esibizioni?

Matteo: La prima serata ho cantato male, mi sono riascoltato e ho visto che ho cantato il brano tutto in crescendo. Questo avviene quando sei affannato e sei teso, quindi tendi a spingere e vai troppo su. La seconda sera sono convinto di aver cantato meglio di tutte e tre le performances, che non ho ancora rivisto, proprio per rimanere con questa illusione. Dalla semifinale in poi eravamo comunque molto più tranquilli, noi viviamo sul palco quindi eravamo più che altro intimiditi dalla diretta e dal dover fare bene subito. “Elisa” è una canzone tutta sparata, non c’è il tempo di arrivarci con calma, si tratta di un brano veloce, pieno di movimenti, che richiede una grande precisione.

Donatello: Suonare con la maschera per me è stato difficilissimo, non vedevo nulla e ad un certo punto l’ho sollevata. Sono entrato sul palco alla cieca, è stata una gag non premeditata e Carlo Conti si è prestato davvero bene.

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Come si è sviluppato nel tempo il vostro rapporto con Alex Britti?

Matteo: Il rapporto con Alex è un rapporto amicale, quasi fraterno. Le nostre famiglie si conoscono da prima che lui fosse famoso, io e mia madre andavamo nei locali e vederlo suonare, la prima batteria me l’ha fatta comprare lui. La sua figura, per quanto riguarda la mia infanzia, è stata sempre una costante, ho visto il suo percorso, ho fatto il tifo per lui, poi agli albori di questo progetto, quando c’era soltanto Donatello di questa attuale formazione, cominciammo la nostra attività di concerti e composizioni e feci sentire delle cose ad Alex. In seguito quella collaborazione s’interruppe, ci siamo separati, lui ha fatto le sue cose, noi le nostre e dopo 5 anni e ci siamo reincontrati. “Musica per persone sensibili” è il nostro secondo album ma, sia in questo, che in quello precedente, ci sono brani in cui avevamo originariamente collaborato con Alex quindi la coproduzione non è mai mancata. Si tratta di un rapporto che ha dato dei frutti nel corso degli anni e in maniera variegata. Anche in questo album ci sono brani in cui abbiamo lavorato con Alex, altri che invece sono di pochi mesi fa. “Elisa”, nello specifico, è un brano che possiede un’azione compositiva di Alex al suo interno. Avevamo composto questa canzone con lui in una versione completamente diversa, il brano era dance, cassa in quattro, il “parapappà” era una chitarra, non c’era la voce. Il problema stava nel fatto che non riuscivamo a trovare uno special (la parte diversa della canzone che ti introduce all’ultimo ritornello) e dopo un pò di smanettamento alla chitarra l’ha trovato lui. Quando lo scorso settembre, Alex mi chiamò chiedendomi se per caso avessimo pensato di partecipare a Sanremo, dopo che, nel frattempo, gli avevamo chiesto di fare un assolo su “Spray Nasale”, un altro pezzo presente nel disco, quella è stata l’occasione che ci ha fatto ravvicinare.  Gli dissi che tra tutti i nostri brani avrei scelto “Elisa”, lui ricordava il brano, dato che ci avevamo lavorato insieme, quindi abbiamo provato, l’abbiamo inviata alla commissione, ci hanno preso tra i 60 e da lì abbiamo cominciato a fare sul serio.

“L’amore è” eleva Donatello al ruolo di “seconda voce”?

Donatello: La mia carriera lirica è nata in furgone quando, durante i viaggi, cominciavo a fare dei gorgeggi quasi credibili. Abbiamo introdotto questa cosa all’interno dei nostri concerti con dei momenti dedicati ad hoc, sempre molto apprezzati dal pubblico. A forza di cantare per ridere forse ho imparato un po’ (ride ndr). In questo brano canto con la tonalità di Matteo, che è altissima, quindi vi lascio immaginare la sofferenza!

Cosa vi ha spinto a reinterpretare “Why Don’t We Do It In The Road” dei Beatles?

Abbiamo stravolto un blues molto semplice in chiave electro. In questo brano canta Daniele Cardinale, il cantante dei Viva Lion, un gruppo indie di Roma con cui abbiamo collaborato. Forse questo brano farà storcere il naso ai puristi ma a noi non importa.

Come funziona la composizione dei vostri testi? Ci sono aneddoti che vorreste svelarci?

Per noi funziona così: Matteo avvia i pezzi con la chitarra, arriva in sala, ascoltiamo l’idea primordiale in finto inglese prima di mettere giù il testo, ognuno aggiunge il suo e alla fine viene fuori un pezzo dei Kutso. Tutto è molto funzionale alla musica: il testo, la metrica, le parole devono suonare bene. Il momento finale del “labor limae” è quello clou in cui magari notiamo una parola che non va bene e che ci fa trascorrere notti intere a mandarci messaggi con idee, sinonimi e parole che fanno rima tra loro fino a  quando, alla fine, lasciamo intatta l’idea originaria.

E i titoli?

Gran parte dei titoli partono dai testi: così come per i sonetti il titolo era il primo verso, noi scegliamo la parola che secondo noi  le persone canteranno di più. Ci piace essere molto diretti, odiamo le intro, siamo i primi a romperci le scatole sia a suonarle che ad ascoltarle, infatti i nostri pezzi durano tra i 2 e i 3 minuti e il disco dura mezz’ora in tutto.

 “Ma quale rockstar” è la sintesi del disfattismo?

Il brano descrive la dura realtà delle cose. L’immagine comune della rockstar piena di soldi e donne è solo fittizia. Adesso con i reality, con i talent si vuole tutto e subito, dall’oggi al domani diventi una star per caso, spesso anche senza merito. Noi veniamo da una lunga gavetta, c’erano momenti in cui si suonava in situazioni precarissime, davanti a gente distrattissima e lì ci veniva da dire “Volevo fare la rockstar, ma quale rockstar , qui tocca trovarsi un altro lavoro!”. In realtà suonare ovunque ci fosse una presa per la corrente ci ha dato modo di esser più sicuri sul palco di Sanremo. L’esperienza fa la differenza e noi possiamo dire di averne parecchia.

Quali sono le idee per i live che verranno?

Il nostro intento è portare avanti quello che abbiamo iniziato da un po’ di anni, arrivare a livelli sempre più alti e suonare in posti sempre più ambiti, in condizioni sempre migliori. Il nostro concerto è pensato per funzionare in tutti i tipi di contesto. Il nostro show  è sempre improvvisato, il nostro scopo è quello di fare una festa.

A proposito del live inteso come festa, Jovanotti sta cercando delle band per aprire le date del suo prossimo tour…voi cosa ne pensate?

Cogliamo l’occasione per dire a Jovanotti: Lorenzo, noi ci siamo!

Raffaella Sbrescia

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Video: “Elisa”

Kaligola: “Oltre il giardino c’è la verità che non vogliamo conoscere”

Kaligola

Kaligola ph Giorgio Amendola

Kaligola, all’anagrafe Gabriele Rosciglione, ha 17 anni e frequenta il quarto anno del liceo scientifico.  Dopo il grande successo di “Ego Sum Kaligola”, il pubblico italiano l’ha apprezzato durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo con “Oltre il giardino” il brano contenuto nell’omonimo album d’esordio del giovane rapperL’album contiene 11 canzoni scritte e composte dallo stesso Kaligola e vede la collaborazione, per gli arrangiamenti e la produzione, di Enrico Solazzo e Dario Rosciglione. In questa intervista proviamo  ad approfondire la conoscenza di questo giovane davvero promettente.

Gabriele cosa c’è “Oltre il giardino”?

“Oltre il giardino”, ci sono le verità che non vogliamo conoscere. La vita degli altri, che stentiamo a capire. Viviamo in un mondo fatto di superficie, e a volte non conosciamo nemmeno le cose importanti per la nostra vita.

Il protagonista del tuo brano sanremese è un uomo che vive il dolore ai margini della società, da cosa hai tratto ispirazione per questa storia?

E’ un uomo che si è in un certo senso autoemarginato. Ciò che prima aveva un senso per lui, non lo ha più, dopo aver perso suo figlio. L’ispirazione mi è arrivata incontrando spesso un uomo sull’autobus che mi porta a scuola: sorrideva sempre, aveva l’aria trasandata, sembrava vivere su un altro pianeta.

Cosa racconti nelle 11 canzoni contenute nel tuo album d’esordio?

E’ un progetto di cui vado orgoglioso. Ho curato quasi ogni aspetto, anche quello grafico. Ci sono varie influenze musicali, come il funk, la musica classica e il soul. Ci sono temi ironici, underground e sociali. Si tratta di una sorta di narrazione, di piccoli film (amo molto il cinema), che raccontano il mio aspetto giocoso (una canzone l’ho sviluppata partendo da alcuni scioglilingua) infine c’è anche il mio punto di vista sul mondo. Per fare una sintesi, c’è il rifiuto dell’omologazione, il desiderio di essere sincero con me stesso senza seguire troppo le mode e le frasi già fatte.

Cosa è cambiato da “Ego Sum Kaligola”?

Qualcosa è cambiato, nel frattempo ho fatto l’esperienza incredibile di Sanremo. Ma per il resto sono sempre io: Gabriele, o se volete, Kaligola.

Kaligola ph Giorgio Amendola

Kaligola ph Giorgio Amendola

Sei appassionato di cinema e poesia… quali sono i tuoi poeti e registi preferiti?

Tra i registi amo Spielberg, Kubrik e Hitchcock. Tra i poeti, sembrerà strano, metto in cima Pascoli per i suoi versi onomatopeici, molto musicali.

I tuoi ascolti più frequenti?

Ascolto molta musica hip hop americana anni Novanta ma anche musica funk e soul.

Alla luce del fatto che sei così maturo e ricco di interessi per la tua età, come vivi l’approccio con i tuoi coetanei?

E’ un rapporto normalissimo! Ho l’impressione che ci siano molti luoghi comuni su noi giovani…io ne conosco tanti anche molto più bravi di me, con belle passioni e sane aspirazioni. Ho compagni di scuola che sono delle eccellenze in latino e in matematica, delle belle teste pensanti. Il fatto è che spesso noi giovani restiamo inascoltati.

Hai già pensato a dove potrai esibirti dal vivo?

Stiamo organizzando qualcosa, magari per quest’estate (prima viene la scuola)!

Che sogni custodisci nel tuo cassetto?

Mi piacerebbe un giorno fare dei concerti negli stadi!

Raffaella Sbrescia

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Video: “Oltre il giardino”

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