Intervista a Fabrizio Bosso: l’omaggio a Duke Ellington e l’idea di un disco con dei rappers

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

Abituato ad ammaliare il pubblico sui palchi di tutta Italia, Fabrizio Bosso è uno dei trombettisti italiani più amati dal panorama musicale internazionale. In occasione della pubblicazione del suo ultimo album “Duke” , omaggio al grande Ellington, l’abbiamo intervistato per conoscere più a fondo una personalità artistica così vivace e così ricca di spunti.

Il tuo ultimo album “Duke”, pubblicato lo scorso 26 maggio, nasce da un preciso input: la rinascita dello swing…
L’idea è partita dal Festival Jazz di Roma di un anno fa. Mi fu proposto di mettere su un progetto ad hoc pensando al tema dello swing e da lì è partita l’idea di fare un tributo a Duke Ellington, uno dei più importanti compositori del ‘900. Già da piccolo ascoltavo i suoi dischi ed è quindi uno degli autori che ho assimilato meglio. Suono spesso suoi brani e durante i miei concerti “In a sentimental Mood” è nei bis.

Come hai lavorato con Paolo Silvestri per gli arrangiamenti?
L’idea di allargare l’organico viene dal presupposto che non avevo mai fatto qualcosa con i fiati. Ne parlavo da un po’ con Paolo Silvestri, ho scelto la musica che avevo voglia di suonare, i brani che sentivo più vicini a me, li ho proposti a Paolo e lui ha iniziato a lavorarci senza che dovessi dirgli praticamente nulla. Sono molto felice del risultato perché Paolo è riuscito a mettere a proprio agio tutti i musicisti e a valorizzare il loro contributo.

Perchè “In a sentimental Mood” suscita in te particolare emozione? E’ vero che se avessi avuto occasione di suonare insieme al “Duca” ti sarebbe piaciuto suonare proprio questo brano?
Si tratta di una melodia così forte che, ogni volta che la suono, a prescindere dalla location in cui trovo, mi emoziono. Sento che questo brano arriva in maniera diretta alle persone e penso che questa sia la forza dei grandi. Riuscire a comunicare così tanto con della musica strumentale è una cosa incredibile. Tra l’altro quando ho proposto a Paolo Silvestri di riarrangiare questo brano, lui era un po’ terrorizzato all’idea di dover andare a toccare della musica praticamente perfetta, invece io penso che sia riuscito a darci modo di esprimerci al meglio.

Per suonare la tromba ad un certo livello c’è bisogno di orecchio, studio, emissione, muscolatura, respirazione e… cos’altro?
Tanta pazienza! La tromba è uno strumento lento! Prima di riuscire a fare qualcosa di accettabile o di piacevole all’ascolto ci vuole un bel po’. Chiaramente anche la predisposizione ed il talento incidono molto però non si tratta di uno strumento immediato. Un’altra cosa fondamentale è la continuità: se stai una settimana senza suonare, quando riprendi lo strumento in mano non suonerai certamente come prima; i muscoli facciali si indeboliscono, il diaframma lavora meno bene per cui dopo due o tre giorni qualcosa la si deve fare…

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

La tua ricerca del suono è ancora un alternarsi di amore e odio?
Penso che sarà così per sempre! E’difficile che si possa essere appagati dal proprio suono, è importante cercarlo sempre, ascoltare altri suoni, lasciarsi ispirare da altre cose. Ci sono giorni in cui magari ci si sente più vicini al suono ideale, altri in cui ci si allontana molto.

La tua matrice è jazz ma porti il tuo linguaggio in tanti generi e contesti. Come hai acquisito questo tipo di versatilità e come cambia di volta in volta il tuo approccio allo strumento?
È stato tutto abbastanza naturale perchè, pur essendo cresciuto con il jazz, ascoltavo anche Mina, Ornella Vanoni, Fabio Concato e tutti i grandi cantautori. Forse l’unico genere musicale che mi sono un po’ perso è il rock, magari perchè non mi ha mai veramente appassionato e non l’ho mai approfondito. Alla prima occasione di collaborazione con un cantautore, il primo è stato Sergio Cammariere, è stato subito tutto molto naturale. Mi veniva da ridere quando mi veniva chiesto se i jazzisti puristi potessero giudicarmi per questo tipo di collaborazioni. Io sono un musicista e penso sia importante valutare la qualità delle cose, preferisco fare un bel concerto pop piuttosto che fare un brutto concerto jazz.

Qual è la formula della miscela musicale che hai creato con Julian Oliver Mazzariello?
Io e Julian abbiamo un background comune; anche lui è un jazzista appassionato di vari generi musicali, ha studiato bene la tecnica del pianoforte quindi cerca di sfruttare il più possibile tutto il range del suo strumento e questa cosa si sente quando suoniamo insieme. Riusciamo entrambi ad utilizzare tutte le dinamiche dei nostri strumenti, proponiamo musica da film, brani italiani, standard jazz, brani inediti. Quando abbiamo messo su il duo non ci siamo preoccupati di quale direzione intraprendere, abbiamo deciso soltanto di suonare la musica che ci facesse stare bene e che ci divertisse.

E’ vero che ti sei fatto costruire una nuova tromba?
Il cambio degli strumenti testimonia un po’ l’irrequietezza che contraddistingue noi musicisti. A volte cerchiamo un certo tipo di suono, altre volte siamo solo stanchi e con poche idee. La scusa dello strumento, a volte può sembrare un po’ stupida però magari racchiude un reale stimolo. Un suono leggermente diverso o anche una forma diversa possono aiutarci a superare piccoli momenti di crisi. In questo periodo sto usando uno strumento artigianale che fanno vicino a Milano, il suono che esso produce mi appaga e mi fa avvicinare un po’ a quello che ho in testa però la ricerca dello strumento perfetto non avrà mai fine…

Lo sanno ormai tutti: hai iniziato a suonare con tuo padre, è stato il tuo primo modello e ancora oggi suonate insieme…
Sì, ogni tanto vado a suonare in qualità di ospite nella Big Band in cui sono cresciuto e dove ho iniziato a suonare quando avevo nove-dieci anni. Ogni volta è davvero emozionante suonare con un gruppo in cui si vede una fortissima passione per la musica e lo faccio sempre molto volentieri.

Ti piacerebbe che anche tuo figlio suonasse un giorno?
L’importante è che lui ami la musica e l’arte in generale; se vorrà fare qualcosa seriamente, io lo appoggerò però di sicuro non lo forzerò mai! Dovrà essere lui ad avere veramente questo desiderio.

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

Se a qualcuno venisse l’idea di lanciare un talent show per musicisti, che cosa ne penseresti?
Sarebbe carino, perché no! A me la cosa che non piace sono le liti, trovo che ci sia una dispersione inutile di energia. Sarebbe bello fare vedere ai giovani quanto impegno serve per arrivare a raggiungere un traguardo e imparare a suonare per bene. Se abituiamo il pubblico a dei contenuti seri e importanti, penso non ci sia neanche bisogno di tutto il resto per fare audience.

Sei direttore artistico del Festival Note d’Autore.Con quale spirito hai vissuto l’edizione di quest’anno?
L’obiettivo è sempre quello di portare un po’ di buona musica a Piossasco coinvolgendo anche gente che viene da altrove. L’idea è quella di dare la possibilità a giovani musicisti di stare sul palco con artisti più importanti e farsi conoscere da un pubblico più vasto. La finalità generale è quella di far respirare musica tutto il giorno per tre giorni.

Nell’ambito del Progetto Etiopia Onlus Lanciano, hai partecipato all’inaugurazione di una scuola in una località a pochi chilometri di distanza da Addis Abeba…che ricordi hai delle tue esperienze africane?
Ho molta voglia di tornare in quei luoghi, lo farò presto! Questo è un tipo di emozione che va al di là della musica, quando arrivi in questi posti e vedi com’è la situazione, la dignità e la voglia di vivere di queste persone ti fa riflettere sui valori della vita. Presto andremo anche ad inaugurare un acquedotto, anche questo frutto del lavoro della Onlus di Lanciano e già penso all’emozione che troverò negli occhi dei bambini e dei capo villaggi che, non hanno niente, ma che sembra abbiano tutto.

Sei molto seguito anche in Giappone…come cambia il tuo approccio sul palco e con il pubblico?
Quando suono penso prima di tutto a creare la giusta sinergia sul palco con i miei musicisti per arrivare al cuore degli spettatori. I Giapponesi sono un pochino più riservati ma se riesci a coinvolgerli possono diventare anche caciaroni. La cosa bella di lavorare lì è che funziona tutto alla perfezione, puoi pensare davvero a fare solo il musicista senza magari doverti mettere a fare il fonico come accade ogni tanto dalle nostre parti. Lì arrivi e suoni. Un’altra cosa che mi sorprende che è che sei giapponesi sono tuoi fan, ti mettono allo stesso livello di qualsiasi altra star.

Che cosa suoneresti se avessi la possibilità di incontrare Stevie Wonder?
Certamente “Overjoy”…

Cosa stai ascoltando in questo periodo?
Quando viaggio ascolto spesso musica brasiliana, mi piace molto Nana Caymmi e, in particolare, “Sangre de mi alma”. Il suo timbro mi fa stare bene, il suo modo di cantare, malinconico e speranzoso al contempo, mi avvolge.

Cosa ci racconti del progetto “Shadows. Le memorie perdute di Chet Beker” con Massimo Popolizio?
Si tratta di una sintesi di”Come se avessi le ali” , un libro di memorie di Chet, che va dal periodo del militare fino a poco prima che morisse. Popolizio è un grande attore e si immedesima veramente bene in questo ruolo. Abbiamo già fatto 4-5 repliche di questo spettacolo ed è andato molto bene.

C’è un progetto che prima o poi vorresti realizzare?
Ogni tanto mi torna in mente l’idea di fare un disco con dei rapper. Non ho ancora le idee molto chiare a riguardo, devo ancora capire bene se portare loro nel mio mondo o se immergermi io nel loro… Non è semplice trovare un equilibrio per creare un buon prodotto però ci proverò; jazz e rap non sono neanche tanto lontani, c’è un modo di diverso di improvvisare ma sarebbe carino fare incontrare questi due mondi musicali…

 Raffaella Sbrescia

Madh presenta “Madhitation”: un esordio internazionale tra flussi orientali e correnti elettroniche

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 Marco Cappai, in arte Madh, è un giovane artista sardo che, a pochi mesi di distanza dalla sua partecipazione all’ultima edizione di X Factor, presenta “Madhitation”, un album che  non solo segna il suo esordio discografico ma decreta, a tutti gli effetti, l’affermazione di un nuovo filone musicale in cui la parola chiave è contaminazione. A caratterizzare ogni singola traccia contenuta nell’album sono le ispirazioni musicali di cui Madh ha tratto l’essenza da connettere ai suoi testi decisamente eterei, astratti e concettuali.  Muovendosi dal pop al rap, dall’Hip Hop al Reggae, dalla Drum and Bass alla Dancehall, Madh ha lavorato all’album in tempi ristretti senza, tuttavia, rinunciare alla ferma di intenzione di realizzare un lavoro di respiro internazionale. Aperto a mille interpretazioni e fluide immedesimazioni, “Madhitation” si presta ad un ascolto ludico e sorprendente. Melodie lineari e complesse si alternano ad intense incursioni di drum & bass finalizzate alla metaforizzazione di contrapposti stati d’animo. Durante l’incontro con la stampa, negli uffici Sony Music a Milano, Madh ci ha raccontato nel dettaglio le fasi di realizzazione di un lavoro che rappresenta soltanto il primo passo di un percorso artistico decisamente più articolato.

 Durante la tua partecipazione ad X Factor ti sei distinto per la scelta di brani molto diversi tra loro, anche per genere. Potremmo considerare questo album come la continuazione di un percorso che avevi già intrapreso con “Experimental”?

Sì, già in quel periodo cominciavo a scrivere a prendere ispirazione da tanti generi diversi e ho mantenuto la voglia di contaminazione anche in questo album.

Come spieghi la presenza di tanti elementi di rimando al mondo e alla musica orientale?

 Sono sempre stato affascinato dalla cultura orientale. Già durante i primi anni dell’adolescenza ho maturato una forte passione per il Giappone, sono un disegnatore, mi piace l’arte orientale e ho studiato lingua giapponese da autodidatta. Successivamente ho ampliato questa passione interfacciandomi anche con le altre culture orientali soprattutto quelle di Cina e India che rappresentano appieno il mio modo di pensare le cose. Mi piace il fatto che questa passione si rifletta all’interno della musica che creo.

Il discorso riguarda anche quello religioso?

Da poco più di due anni mi sono avvicinato al buddhismo anche se intendo questa religione più come una filosofia di vita. Non pratico, però molti aspetti di questa filosofia rappresentano il mio modo di pensare.

Recentemente sei tornato in Giappone e hai conosciuto anche Justin Bieber. Ci racconti questa esperienza?

Sono stato invitato a un evento organizzato da Calvin Klein a Hong Kong in qualità di influencer, in rappresentanza dell’Italia. Ho conosciuto diverse persone importanti tra cui anche Justin Bieber ma è stato un incontro molto veloce.

Madh ph.  Iconize

Madh ph. Iconize

Cosa è successo da X Factor ad oggi? Come hai lavorato al disco?

In verità non ho mai avuto una vera e propria pausa perché ho iniziato subito un club tour con 50 date da gennaio a maggio. In quei mesi non ho avuto tanto tempo per lavorare al disco, ho potuto lavorarci seriamente solo dopo la fine del club tour, da maggio a giugno. Al suo interno ci sono brani che avevo già scritto prima di X Factor, parte dell’album era già stata scritta però ho rivisitato tutto.  A mettermi pressione sono state le tempistiche di realizzazione perché chiudere 13 tracce in 2 mesi non è stato semplice, soprattutto visto il gran numero di collaborazioni presenti.

Come mai i featuring inseriti sono tutti con artisti sardi?
Una delle motivazioni principali è sicuramente la mancanza di tempo sufficiente. Avrei ugualmente ingaggiato questi artisti ma, con più tempo a disposizione, forse avrei potuto lavorare anche con persone non sarde. In ogni caso penso che la Sardegna sia molto valida a livello musicale e ho scelto coloro che secondo me potevano dare un tocco di originalità all’album.

Fedez è supervisore artistico del disco.

Sì ma non mi ha mai imposto nulla, mi ha lasciato esprimere al 100%, così come successo all’interno del talent, d’altronde. Devo molto a lui perché tra l’altro mi sta aiutando a promuovere il mio progetto ove e quando possibile. Di questo progetto ha sentito tutto e, anche se lui appartiene a un ambito musicale molto diverso dal mio, è interessato a tantissimi altri generi. Mi dà sempre molti consigli, primo tra tutti quello di scrivere sempre a prescindere dal giudizio degli altri.

Qual è il tuo sogno in questo momento?

Vorrei condividere la mia arte con il resto del mondo. Proprio ad Hong Kong ho fatto ascoltare parte del materiale a un po’ di persone e nessuno credeva fosse stato prodotto in Italia. Non rinnego di essere italiano ma ciò che voglio fare si addice di più al mercato internazionale, quindi spero di promuovere l’album anche al di fuori dell’Italia

A quale target di pubblico si rivolge la tua musica?

Sui miei social noto la presenza di persone di diverse fasce d’età. Non credo di avere un target univoco, sono più i giovani a seguirmi, senza dubbio, ma penso che anche gli adulti possano essere interessati a ciò che propongo.

Madh durante l'incontro con la stampa a Milano

Madh durante l’incontro con la stampa a Milano

Per diversi brani mi sono affidato al mio produttore storico Mitch (Michele Figus, ndr) che aveva già lavorato con me all’EP del 2013 Experimental.  Ho scelto di essere affiancato da Mitch perché è con lui che ho iniziato a fare musica e mi capisce artisticamente. La cosa più bella di questo disco è che ho fatto quello che volevo realmente fare.

A cosa leghi la scelta di  aver voluto inserire nell’album anche un brano in italiano?

“Vai” nasce da una sfida personale: non avendo mai proposto al pubblico un pezzo in italiano volevo ci fosse. Scrivere in italiano è molto più complicato rispetto all’inglese sia a livello di metrica sia per quel che riguarda il dare un senso a ciò che si dice, soprattutto per me che ho una scrittura decisamente astratta. Sono abbastanza soddisfatto del risultato ma per adesso non ho in mente di realizzare un disco completamente in italiano.

Stupisce, ed è stata spesso oggetto di critiche, la tua singolare pronuncia inglese…

La mia passione per l’inglese è nata durante il percorso scolastico, ma non ho mai seguito corsi specifici, sono un autodidatta. Mi è capitato di svegliarmi pensando in inglese a volte, è la lingua con cui mi esprimo meglio. La mia pronuncia nasce dalla contaminazione. I miei ascolti partono dal british soul, in particolare Amy Winehouse, una musa per me, passando poi per l’elettronica, il reggae. Il mio accento è un mix fra quello british e quello giamaicano, ma ci tengo a sottolineare che non sono un’eccezione, ci sono molti artisti che ascolto che fanno il mio stesso lavoro sulla lingua. Voglio che il mio inglese si faccia notare, voglio che si capisca che sono io a pronunciarlo.

In “Triangle” due flussi contrapposti completano un concetto unico…come ti è venuta questa idea?

Ho unito due generi distanti seguendo l’idea di un processo compensativo. Nel caso specifico di questo brano la parte iniziale è molto più calma e rilassata: l’obiettivo è capire cosa sono e dove voglio arrivare. Nella seconda parte il brano si evolve fino ad arrivare alla drum & bass, che rappresenta la propria realizzazione individuale .

Come mai hai inserito nel disco due versioni di “Sayonara”?

Ho inteso “Sayonara” come l’inizio di qualcosa, in quanto inedito di lancio. Visto che si tratta del brano rimasto maggiornamente impresso nella mente del pubblico, ho voluto realizzarne una versione acustica perchè molti non ne hanno inteso il senso. Se ascoltato con un altro mood, è più facile percepirne il più profondo significato.

Che farai nell’estate 2015?
Parto con gli instore. Poi ho date ad agosto e punto a un club tour invernale.

Raffaella Sbrescia

Video: Gong ft. The Strangers

La tracklist

Tracklist “Madhitation”

1 – Sayonara

2 – Boomerang

3 – Triangle

4 – Gong feat. The Strangers

5 – River

6 – Tree feat. Anna Tifu

7 – Eyes On You

8 – Powa-Faya

9 – Kyoto Mind feat. Train To Roots

10 – Vai

11 – She feat. ArpXP

12 – Madhitation feat. The Strangers & Lukra

13 – Sayonara (acoustic version)

Natalia Lafourcade presenta Hasta la raíz: “Il mio disco più intimo”

 

Natalia Lafourcade

Natalia Lafourcade

Natalia Lafourcade, tra le voci femminili più apprezzate del mondo latino, presenta per la prima volta in Italia il suo nuovo album da solista, il sesto in studio, intitolato “Hasta la raíz”, pubblicato lo scorso 9 giugno per Sony Music. Scavando a fondo tra le emozioni della propria anima, Natalia ha innescato un processo compositivo intimo, eppure in grado di stabilire un’immediata connessione con il pubblico. Definito l’album più viscerale dell’artista messicana, “Hasta la raíz”, testimonia concretamente l’ autenticità di una musica che è il frutto di una profonda ricerca interiore.

Registrato a Los Cabos, Veracruz, Colombia, Cuba e Las Vegas, luoghi dove Natalia ha trovato la pace e l’ispirazione necessarie per scrivere canzoni che esprimono i suoi stati d’animo con grande schiettezza, il nuovo lavoro giunge dopo l’album tributo al compositore e poeta Agustín Lara, in seguito al quale Natalia ha avvertito fortemente il desiderio di tornare a comporre un repertorio originale. Una carriera varia e multiforme, quella di Natalia LaFourcade che ha suonato in diverse band: “ho iniziato con in gruppo perché non sapevo come affrontare la musica da sola. Ma ora sono troppo irrequieta, cambio progetti troppo spesso per stare in una band”. Intesa come un mix di esperienze, con stili musicali diversi, la musica di Natalia è un linguaggio, con cui la cantautrice inseguire le proprie inquietudini.  “Hasta la raiz” si avvicina ad una particolareggiata forma di latin pop, raffinato e piacevole. Tra i dodici brani inseriti nell’album troviamo la title track “Hasta la raíz”, primo singolo tratto dall’album, di cui Lafourcade firma parole e musica insieme a Leonel Garcia,  affrontando il tema dell’amore e della riconciliazione con se stessi, con le proprie radici e con la propria essenza: “In quest’epoca in cui il mondo va a mille all’ora e tutto cambia nel giro di un attimo, credo sia importante ricordare chi siamo e da dove veniamo. In questa canzone ho ricordato le mie origini e confermato il mio indirizzo, per ribadire da dove vengo e dove vado”.

Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione dell’intervista che le abbiamo fatto negli uffici italiani di Sony Music a Milano.

Com’è hai lavorato alla realizzazione di “Hasta la raíz”?

Le canzoni di quest’album sono tutte molto spontanee. Quando lavoravo sui brani di Lara ero in un periodo di fermo, non riuscivo a fare null’altro per cui mi sono imposta un esercizio di composizione quotidiana e di tecnica di scrittura musicale; in questo modo ho iniziato a scrivere di tutto e a lasciarmi andare. A volte mi sedevo secondo il tipico cliché: una tazza di caffè, una penna e un pezzo di carta…ma non veniva fuori niente. Altre volte, invece, improvvisamente arrivava un’ispirazione immediata in cui musica e parole nascevano da sole,  le registravo sul cellulare o le scrivevo su un foglio di carta, mettendo in un quaderno le canzoni una volta finite.  Dopo diversi mesi le ho riprese, ho riascoltato i pezzi che avevo composto e i più belli li ho registrati. Così è nato questo disco, che è molto personale e intimo.

Quali sono state le difficoltà maggiori in questo percorso di ricerca e riscoperta di te stessa?

La cosa più difficile è stata la sfida anzitutto con me stessa nel tornare a fare un nuovo album dopo il tributo ad Agustín Lara, che io ritengo un genio della musica. Il mio obiettivo principale era tornare a comporre: ti chiedi tante cose quando componi una musica, attraversi momenti di grande sicurezza e altri in cui tutto sembra brutto. Questo disco mi ha aiutato a ritrovare me stessa, la mia musica e le mie canzoni che, soprattutto in quest’album, sono state un canale di guarigione completando un percorso di forte crescita personale.

Nelle tracce del disco c’è tanto struggimento affiancato da una grande forza d’animo. Quanto Messico c’è in questo album?

Ho cercato di riconnettermi con la mia terra natia anche sul piano musicale e devo dire che mi sento fortunata nel fare musica per un pubblico che mi accompagna da tempo e che conosce i miei dischi. Il Messico è un centro importante per la musica latina, molti artisti partono proprio da lì per arrivare in tutto il Sud America.

NATALIA LAFOURCADE_cover HASTA LA RAIZ

Nel tuo Paese sei famosa, qui in Italia sei considerata un’emergente…come ti senti a riguardo?
Per quanta fama si possa avere, ogni disco è come ripartire da zero. Nessuno ti garantisce che funzionerà e che la gente lo gradirà. La speranza è quella di connettermi con le emozioni delle persone che mi ascolteranno.

Quali sono gli artisti che hai ascoltato in questi anni e che ti hanno influenzato di più?
Ce ne sono diversi: Billie Holiday, Bjork, Fiona Apple, Nina Simone e anche la grande cantante messicana Toña la Negra. In ogni caso l’artista che mi ha dato più di tutti è stato Agustín Lara; lui mi ha insegnato a cantare con il cuore, con le emozioni. Prima di lavorare con le sue canzoni, cantavo e basta.

Sei molto impegnata anche nel sociale a sostegno di associazioni benefiche, sei ambasciatrice di Save the Children, sostieni la SIVAM  e hai composto l’inno di un movimento giovanile  che si batte per la libertà di espressione. Qual è il tuo ruolo in questo tipo di contesto?

La musica ha un forte potere, sveglia la coscienza delle persone e proprio per questo avverto una grande responsabilità per ciò che canto. Anche ai giovani, attraverso le mie piccole collaborazioni, mando questo messaggio: quello di tornare alle origini, di connettersi con se stessi.

Raffaella Sbrescia

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Video: Nunca es suficiente

“Eterno Agosto”: dopo il boom de “El Mismo Sol” Alvaro Soler presenta l’album d’esordio

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Dopo aver saldamente conquistato la vetta delle classifiche con il super tormentone “El Mismo Sol”, il cantautore Alvaro Soler  pubblica “Eterno Agosto”, l’album d’esordio registrato tra Berlino e Barcellona in cui il giovane artista cosmopolita riversa le sue esperienze personali attraverso una miscela musicale che unisce la solarità mediterranea, la ritmica metropolitana berlinese e la poesia minimalista di stampo orientale. Naturalmente predisposto all’uso delle lingue, curioso e aperto alla sperimentazione, Alvaro che è cresciuto tra Spagna, Giappone e Germania, ha concentrato le proprie energie nella ricerca di un sound inedito che potesse in qualche modo rappresentare l’essenza della sua personalità così ricca e complessa. Se il singolo di lancio “El Mismo Sol” lancia un preciso messaggio di fratellanza e accettazione dell’altro, tra allegri xilofoni e riff contagiosi, la title track “Agosto” prende ispirazione dalla fine di una storia d’amore che Alvaro ha affrontato cercando di venire a patti con il dolore e si sviluppa attraverso una tastiera d’epoca arpeggiata e una melodia contemplativa e compiacente. Scanzonata ed ottimista la trama di “Tengo un sentimiento”, brano caratterizzato da un arrangiamento distante dai primi due e leggermente più metallico. Versatile e sperimentatore, Alvaro spazia tra temi e ritmi, sogni, ricordi e speranze. Divertente il brano up-tempo “Lucia” , dedicato alla sorellina da difendere, delicato il testo ispirato al canto popolare intitolato “Cuando volveras”, trascinanti le percussioni esotiche in “Esperandote”. La tracklist si chiude con “El Camino”, una canzone di forte impatto emotivo in cui la voce di Alvaro si fonde perfettamente con il suono della sua chitarra e il ritmo del basso spagnolo.  Il testo parla dei diversi ostacoli nella vita che portano a pensare se si è ancora sulla strada giusta e rappresenta il momento d’ascolto più intenso di tutto l’album che, in quanto opera prima, convince per freschezza e attenzione al dettaglio.

 Ecco cosa ci ha raccontato l’artista negli studi di Universal Music a Milano, in occasione dell’ospitata a The Voice of Italy

Alvaro, complimenti! “El Mismo Sol” ha letteralmente conquistato l’Italia…

Grazie mille, sono contentissimo! In effetti questo è il Paese in cui la canzone sta avendo maggior successo. Il brano è salito in vetta alle classifiche in pochissimo tempo, ora stiamo lavorando affinchè possa uscire anche negli altri Paesi.

Cosa ci racconti nell’album “Eterno Agosto”?
È un disco che parla di esperienze personali. Nella canzone “Lucia” dico a mia sorella (Paola, ndr) che deve stare attenta ai ragazzi; sta diventando una donna e io che sono il fratello grande devo proteggerla! Nella canzone “Tengo Un Sientimento si parla del divertirsi con gli amici, c’è un verso molto divertente che ripete i numeri 4, 7 e 20: «4 amici mi portano al bar, 7 volte uno shot di gin e 20 ragioni per festeggiare». Altre canzoni parlano di relazioni d’amore che ho avuto e di rotture sentimentali. Ci sono poi brani più «filosofici» come “El Camino, che parla dei momenti in cui ti accorgi che le cose non sono come le avevi immaginate ma che, ad ogni modo, fanno comunque parte del tuo cammino. Questa è la mia filosofia di vita: tutto ciò che accade, accade per una ragione. Spero che le persone quando ascolteranno il disco potranno staccare la spina da tutto e rilassarsi.

Alvaro Soler

Alvaro Soler

Sei di Barcellona ma sei vissuto molti anni a Tokyo, e adesso vivi a Berlino… c’è un posto che ti fa sentire davvero a «casa»?
Barcellona è ancora la mia casa, ogni volta che prendo l’aereo per tornare provo questa bellissima sensazione di appartenenza.

Come hai iniziato a fare musica?
A 10 anni, quando vivevo a Tokyo, i miei genitori mi regalarono una tastiera elettronica, poi a scuola cantavo in un coro e avevo una band. Verso i 16 anni ho iniziato a scrivere e registrare, ho formato un’altra band con mio fratello quando siamo andati in Spagna e abbiamo scritto due album. In seguito ho deciso di fare le cose da solo per vedere come sarebbero andate…

Come ti sei trovato quando vivevi in Giappone?
In realtà frequentavo una scuola tedesca quindi non ero completamente immerso nella cultura giapponese. Ricordo però che andavamo spesso al karaoke perché, essendo troppo giovani, io e i miei compagni non potevamo avere accesso alle discoteche. Passavamo intere serate a cantare e il giorno dopo non riuscivamo neanche a parlare.

Chi sono i tuoi riferimenti musicali a cui ti ispiri? Conosci e ascolti musica italiana? Se sì, chi apprezzi tra i cantanti italiani?
Mi piace ascoltare tanta musica, in macchina con i miei genitori ascoltavamo i dischi di Juanes e Phil Collins. Poi Linkin Park, Maroon 5, John Mayer, ecc. Tutti artisti molto differenti, in effetti: non ne ho uno preferito in particolare. Per quanto riguarda la musica italiana, da piccolo ascoltavo molto Andrea Bocelli ed Eros Ramazzotti. Ultimamente ascolto Tiziano Ferro e Laura Pausini.

Cos’è per te la musica?

A me la musica ha sempre fatto bene, al suo interno c’è qualcosa che disattiva per un attimo i miei pensieri e che mi fa sentire meglio: è come una medicina. Quando le cose si mettono male, è meraviglioso buttarsi di testa tra le note.

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 Raffaella Sbrescia

Video: El Mismo Sol ( Live Acoustic Version)

Grand Romantic: Nate Ruess presenta il primo album da solista. L’intervista al frontman dei Fun.

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Nate Ruess, frontman dei seguitissimi Fun., pubblica “Grand Romantic”. Questo suo primo album da solista nasce dall’esigenza di raccontare un forte cambiamento interiore ed un nuovo approccio all’amore  racchiudendo al suo interno un mix tra pop, elettronica e influenze black. Oltre alla collaborazione con il produttore  Jeff Bhasker e con il musicista e produttore Emilie Haynie (Lana Del Rey) alle percussioni, questo lavoro vanta la partecipazione di  Lykke Li nei cori di “Nothing without love” , di Josh Klinghoffer, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, di  Jeff Tweedy dei Wilco in “Take It back” e di Beck in “What This World Is Coming To”. Anche la copertina del disco è il frutto di un’idea precisa che nasce dalla mente della pittrice Teresa Oaxaca, che Nate ha scoperto sul web durante le ricerche per la sua idea di realizzare un ritratto che illustrasse la sua idea di “romanticismo”. Carico ed entusiasta di questa nuova avventura professionale, il cantante ha incontrato la stampa a Milano; ecco quello che ci ha raccontato.

Nate, sei finalmente pronto a liberare il gran romantico che è in te?

Per alcuni anni ho messo da parte le mie emozioni. Non mi piaceva essere vulnerabile, poi, crescendo, mi sono reso conto che molte persone si sentivano esattamente come me e questo mi ha dato coraggio. Grazie alle esperienze della vita  ho imparato a lasciarmi andare e ad amare senza troppe aspettative, questo mi ha  permesso di poter essere anche romantico.

Cosa racconti in “Nothing without love?

Ho scritto questo brano per descrivere un sentimento di forte solitudine. Ci sono periodi in cui ti pesa essere single e hai paura di non incontrare la cosiddetta anima gemella, poi, un giorno, come per magia, tutti questi pensieri svaniscono. Nothing without love mi ha portato fortuna, perchè adesso sto con una ragazza di cui sono molto innamorato.

Il tuo primo album solista Grand Romantic è prodotto e scritto insieme a Jeff Bhasker. Come mai hai scelto lui?

In verità lavoriamo insieme da anni.  Jeff ha dato un contributo significativo al successo del singolo We are young e dell’album Some nights. Coautore e un produttore brillante,  Jeff mette tutto se stesso in quello che fa e che ama le canzoni che crea.

Il duetto con Pink nel singolo “Just give me a reason” ti ha portato davvero fortuna…

Lavorare con P!nk, al di là del successo che il brano ha ottenuto, è stato molto gratificante. Lei è un’ artista che si fa condizionare da quel che pensa la gente, è sempre se stessa. Abbiamo scritto il brano ma io mi sarei dovuto limitare al ruolo di co-autore, poi lei mi ha detto: “Voglio che diventi un duetto” ma io non avevo nessuna intenzione di accettare. Poi però con uno stratagemma mi ha fatto entrare in studio a cantare e quando abbiamo ascoltato il risultato mi ha detto che la canzone sarebbe dovuta rimanere così. Ora sono molto contento di aver partecipato anche vocalmente al brano ma al momento non ci sono altre collaborazioni in vista. Adesso sono concentrato sulla mia carriera solista, se ci saranno le condizioni e soprattutto se dovesse uscire fuori una canzone interessante, perchè no, mai dire mai!

Che effetto ti fa a ritrovarti da solo sul palco dopo tanti anni in un gruppo?

Mi piace avere più tempo per me ed essere solo ogni tanto. Da solista ti senti più responsabilizzato e libero di creare la musica che vuoi, senza dover mediare con altre persone.

E i Fun.?

Non ho avuto tempo di parlare molto con loro negli ultimi mesi, sono stato molto impegnato. Penso che qualche membro della band abbia solo ascoltato dei provini quando le canzoni erano ancora solo abbozzate.

Nate Ruess

Nate Ruess

Cosa hai provato a duettando con Brian Wilson in “Saturday night?

Lavorare con Brian è stata l’esperienza migliore della mia vita. Circa 10 anni fa ho letto di tutto su di lui, ho ascoltato in modo ossessivo tutti i suoi album per cercare di carpire i suoi segreti e non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovato a cantare insieme a lui. Quando ci siamo incontrati in studio gli ho chiesto di cantare God only knows, una delle mie canzoni preferite;  un momento che non dimenticherò mai.

Com’è stato lavorare con Beck per “What This World Is Coming To”?

Ho sempre guardato a lui per la sua capacità di evolversi costantemente e saper fare incursione in diversi generi musicali. Dopo il duetto con P!nk volevo collaborare con qualcuno che avesse una voce più bassa della mia. Prima che vincesse il premio come ‘Album of the year’ ai Grammy di quest’anno aveva accettato di lavorare con me ma poi pensavo che non avrebbe voluto più farlo; invece mi ha chiamato e ci siamo incontrati per registrare in California. Lui ha scritto la parte delle chitarre, io avevo un testo pronto che mi era venuto in mente in doccia, ma gli ho detto che se avesse voluto avrebbe potuto tranquillamente cambiarlo.

Hai dichiarato di essere romantico ma anche cinico: come convivono questi due aspetti?
Il cinismo non mi abbandonerà mai, è forse l’unica cosa che ho davvero, il romanticismo invece è l’unica cosa che voglio.

Qual è la cosa più romantica che hai fatto?
Ho fatto un disco per la mia ragazza!

Raffaella Sbrescia

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Video: Nothing without Love”

No place in Heaven, Mika presenta il nuovo album di inediti. L’intervista e la recensione del disco

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“No Place in Heaven”, il nuovo lavoro discografico di Mika  è un album artigianale e leggero al contempo (Virgin/Emi per Universal Music). Le  melodie dolci e sinuose si sposano con sonorità che riecheggiano di pop vintage ma che non dimenticano la chanson  d’amour.  La dolcezza pungente e la disarmante onestà con cui Mika ha cesellato le  17 tracce (nella versione deluxe) che compongono il suo quarto album sono il risultato di due anni intensi di lavoro creativo, in collaborazione con Gregg Wells. Registrato a Los Angeles, prima in uno studio con accanto Pharrell Williams, poi in una grande casa degli anni ‘50 dove Mika si è rinchiuso per qualche mese, “No Place in Heaven” elenca il pantheon del cantautore anglo-libanese che, se da un lato abbandona il ben noto falsetto, dall’altro mischia colori, suoni,e sentimenti contrastanti  e lo fa attraverso un sottotesto ispirato agli anni ’70, il primo Elton John, il primo Billy Joel, Carole King e il Laurel Canyon. Il basso pulsante e ritmico di “Talk about you” introduce il cantato dolce ed ovattato di “Good guys” in cui Mika cita i suoi punti di riferimento, a seguire la dance bohemienne di “L’amour Fait ce qui’il veut” . Intensamente intimo ed incredibilmente trasparente “All she wants”, il brano in cui l’artista mette a nudo i pensieri reconditi ed il rapporto con sua madre. Tra brani ritmati e ballate malinconiche “Hurts”, “Last party”, Les baisers perdus”, “No place in heaven” è la preghiera senza filtri in cui Mika si apre al mondo con una deliziosa delicatezza: “For ever love I had to hide and every tear I ever cried. J’m down on my knees, I’m begging you please cos there’s no heaven for someone like me”. Suadente e calda la melodia di “Boum boum boum”, corale e coinvolgente il ritmo di “Oh girl, you’re the devil”, disincantato ed estroso il country pop di “Rio”. Questo nuovo album è, in sintesi, una sorta di definitiva liberazione per Mika. Una libertà che gli è servita per affrontare temi importanti nel disco come la sessualità, la paura di come gestirla e l’amore.  Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione dell’incontro con la stampa a Milano, prima delle prove del concerto sold-out al Fabrique.

Mika, come sei arrivato a “No place in Heaven”?

Volevo liberarmi da tante paure. Ogni cd ha rappresentato un passaggio importante nel mio percorso. L’ultimo, “The Origin of Love, è stato un punto di rottura, ha segnato un solco che mi ha permesso di cambiare e ripartire da zero e lavorare in totale libertà. Così è stato anche  in questo disco, attraverso queste canzoni sono andato dritto al punto, senza giri di parole o metafore. Insomma, non mi nascondo più.

Perché hai scelto questo titolo?

Il titolo non rappresenta una frase triste, al contrario, è gioiosa. Se troverò posto in paradiso, bene, altrimenti non c’è problema, io non voglio andarci a tutti i costi. Questa affermazione in realtà va contro la cultura orientale con cui sono cresciuto. La parte libanese che c’è in me include una buona dose di paranoia nell’affrontare le faccende personali, solitamente considerate volgari. Ora che sono riuscito ad abbattere il muro, esco finalmente  dal guscio. Adesso ho capito che la vera vergogna è tenerle dentro certe cose. Anni fa parlavo di niente, tenevo tutto a distanza. Ora è il momento del coming out dell’anima. Per di più il momento in cui un disco viene pubblicato è quello in cui una cosa personale e intima, che finora è stata mia, diventa di tutti.

All She Wants” è un testo autobiografico?

Certo, la madre che sogna per il figlio una moglie, un buon lavoro e una posizione sociale, come nella tradizione più classica, è proprio la mia. Invece, altro che casa e nipoti: mia mamma si ritrova a organizzarmi il guardaroba per gli show. Si è trasformata in una zingara senza accorgersene! (ride, ndr)

Tante tracce in francese ma nessuna in italiano…

Ci ho provato ma i tentativi sono stati tutti bocciati: la pronuncia è troppo difficile! Il francese lo parlo da una vita e, a dire il vero, mi ha aperto le porte all’italiano. Senza il francese non avrei mai potuto imparare questa lingua così velocemente.

Tra le canzoni spicca “Good Guys” in cui citI artisti e intellettuali come Andy Warhol, James Dean, Arthur Rimbaud, Walt Whitman, Ralph Waldo Emerson, Rufus Wainwright. In che cosa ti hanno delle personalità così diverse tra loro?
Erano tutti profondamente controcorrente. Anzi, hanno cambiato la direzione del vento, avevano una spinta culturale ed emozionale quasi punk.

Aggiungeresti qualche italiano?
Senza dubbio, Dario Fo. Poi c’è Morgan, quando è di buon umore, quando non lo è, lo toglierei (ride ndr).

È vero che farai un disco con Morgan?

Siamo stati in studio assieme durante il periodo di X Factor. In quel contesto ho visto un ragazzino che, lontano dalle pressioni dei media, giocava con gli strumenti con gioia pura. Qualcosa con lui mi piacerebbe farla, prima o poi accadrà. Intanto ha preso una canzone che ho scritto con Guy Chambers, l’ha sistemata e l’ha trasformata in “Andiamo a Londra” (la prima nuova canzone dei Bluvertigo).

Ti occupi di tante cose per poter fare quello che desideri in musica. Questo discorso vale anche per il libro che stai scrivendo per Rizzoli?
Io sono prima di tutto un musicista, quasi tutto il resto lo faccio per potere fare il disco che voglio io, senza vincoli. Il libro sarà un diario intimo, divertente e duro. In un capitolo parlo della mitologia siriana di mio nonno, in quello dopo della mia frustrazione in un supermarket…

Mika

Mika

Cosa ti piace del nostro Paese e cosa no?
Da evitare le spiagge perché ovunque ci sono teleobiettivi pronti a riprenderti e gli aeroporti sono veramente pessimi. Amo invece il Piemonte, con le sue colline verdi e misteriose e la sua gente che si nasconde un po’ per poi rivelarsi cordiale. E poi c’è il vino, non solo quello piemontese.

Cosa ci anticipi del tour?

La copertina del cd dà un’idea del progetto: mi sono ispirato al Futurismo italiano. Sarà uno show fatto a mano, nel senso che non ci saranno effetti speciali; nessun ledwall, per intenderci. Mi piace sempre creare con la fantasia ma attraverso oggetti reali, che recupero dalla strada. Insieme al mio team sto realizzando i disegni, adopereremo la carta. Anche la mia musica è fantasiosa, spesso si tratta di un modo tutto mio per reagire al dolore. A questo proposito, ho scritto “Relax” a Londra quando ci hanno fatto evacuare dalla metropolitana per gli attacchi terroristici; sono andato a casa e ci ho scritto una dance song!

Raffaella Sbrescia

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Le date del tour italiano

23 luglio – Taormina (Teatro Antico)

25 luglio – Cattolica (Arena della Regina)

27 settembre Assago (Mediolanum Forum)

29 settembre Roma (Palalottomatica)

30 settembre Firenze ( Mandela Forum)

Intervista a Conchita Wurst: il debut album “Conchita” e l’autobiografia di una nuova diva

Conchita Wurst cover album Conchita

La tenacia, la sicurezza e l’intraprendenza di Conchita Wurst ( all’anagrafe Tom Neuwirth) rappresentano un importante barlume di speranza per tutti coloro che nel cuore hanno un sogno da realizzare ma anche un fitto percorso ad ostacoli da affrontare. Accolta con clamore dalla stampa italiana, Conchita ha presentato il libro Io Conchita. La mia storia, uscito il 15 maggio per Mondadori Electa e il suo disco di debutto “Conchita”, pubblicato da Sony Music lo scorso 19 maggio, nella Sala Reale della Stazione Centrale di Milano. Un album molto variegato, forse troppo, che spazia dalla dance alle ballate drammatiche senza farsi mancare spruzzate di swing. Un lavoro sicuramente impegnato, ricco di importanti messaggi ma che parla anche di cuori spezzati e storie d’amore dal triste epilogo. Con il suo allure da gran diva, Conchita dimostra di essere in realtà una persona semplice e affabile, nonché un’intensa interprete dalla voce potente e carismatica.

“Conchita” è il tuo album d’esordio. Come hai lavorato a questo progetto così importante per te?

Ho realizzato questo album in modo egoistico, perché volevo che prima di tutto piacesse a me. Ho ricevuto più di 300 canzoni da vagliare e ascoltarle tutte ha richiesto non poco tempo. Non mi importa chi scrive le canzoni, sono molto precisa e quando si tratta di scegliere una canzone da cantare, deve esserci subito almeno una parte di me nel brano, di solito mi colpisce la melodia, poi passo al testo. “The Other Side of Me”, ad esempio, è stata scritta da un autore svedese, Erik Anjou, a cui l’ispirazione è venuta guardandomi sul palco dell’Eurovision. Questa canzone per me è speciale perché Eric è rimasto così ispirato da mandarmi la canzone, senza pensare ad altro.  Più in generale sono felice che il disco sia così colorato e sfaccettato, ‘Conchita’ abbraccia tutti i miei generi musicali preferiti e per questo spazia dalle ballate drammatiche ai brani dance.

Quando hai capito di voler fare musica nella vita?
A 7 anni giocavo a fare la cantante e sognavo di essere famosa, perché – credetemi – essere famosi è divertente. Sono sempre stata molto determinata nel perseguire i miei scopi e, dato che il mio sogno è vincere un Grammy, non ci sono scuse, quando si ha un obiettivo bisogna lottare per raggiungerlo!

E che cosa cantavi a 7 anni?
Shirley Bassey era il mio punto di riferimento. Non conoscevo la lingua l’inglese ma in una compilation di mia madre c’era “Goldfinger “, un brano che cantavo in continuazione cercando di imitare la voce di Shirley che mi ha inconsapevolmente dato lezioni di canto.

A cosa attribuisci il tuo successo? Non hai paura che il clamore creatosi intorno al tuo personaggio possa presto esaurirsi?

 La cosa più importante per me è essere autentici. Ho creato questo personaggio e porto sul palco una mia verità. Sono a mio agio, mi diverto, sono la persona che avrei sempre voluto essere. All’Eurovision ci sono stati diversi fattori che mi hanno aiutato: la canzone, la performance, certamente anche il look, ma soprattutto persone che hanno creduto in me. La scelta che ho fatto è di essere felice nella vita, quindi so che se anche tutto questo dovesse finire troverei ugualmente il modo di esserlo.

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Oltre al disco è uscita anche una biografia. Com’è nata l’idea di raccontare la tua storia in un libro?
Dopo la mia vittoria all’Eurovision un editore mi ha fatto questa proposta ma all’inizio ero del tutto contraria! Ho 26 anni, mi sembra un po’ prematuro scrivere le mie memorie. In seguito mi hanno chiesto di ripensarci e mi sono detta: “Se proprio devo farlo allora deve essere il genere di libro che comprerei”. A me piacciono quelli con molte foto e, proprio per questa ragione, in questa biografia ce ne sono tante. In quattro giorni ho raccontato la mia vita ad un ghostwriter  ed ho avuto la possibilità di  scoprire e riscoprire tante cose di me.

Che rapporto c’è tra Tom e Conchita? Che cosa hanno imparato l’uno dall’altra?
Conchita ha imparato da Tom a essere più rilassata e orgogliosa di quel che fa, mentre Tom ha imparato da Conchita a lavorare sodo per riuscire nella vita ed avere successo.

Cosa faresti se avessi modo di incontrare Putin?
Vorrei incontrare Putin per capire cosa vuol dire essere Putin. Potrei imparare tanto da lui anche se ha preso decisioni che non mi hanno reso felice. Discutendo con lui vorrei capire i suoi ragionamenti per poi provare a fargli cambiare idea.

 Com’ è Conchita nella vita di tutti i giorni?
Ho una vita privata normale e non mi prendo troppo sul serio. Senza ciglia finte e parrucche non mi riconoscereste. Vado al supermercato, prendo i mezzi pubblici e nessuno sa chi sono.

Quando potremo ascoltarti dal vivo?
Al momento sto promuovendo l’album e il libro in tutto il mondo. In fondo non sono Madonna, perciò non posso aspettarmi un pubblico di migliaia di spettatori ad un mio show, però ho la possibilità di cantare nel corso della promozione. Andrò in Australia, Giappone, Stati Uniti e poi farò qualche concerto: non sarà un vero e proprio Conchita Tour, però un giorno ci sarà!

 Raffaella Sbrescia

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Video: You are Unstoppable

Intervista a Giorgio Moroder: dagli allori degli anni ’80 alle hits del nuovo album “Déjà Vu”

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Eleganza, gusto e raffinatezza contraddistinguono Giorgio Moroder, creatore della disco music e pioniere dell’elettronica. Tornato in auge all’alba delle 75 primavere, grazie alla sua partecipazione in “Random Access Memories” dei Daft Punk con il brano “Giorgio by Moroder”, il dj e producer originario di Ortisei pubblicherà il prossimo 16 giugno  il nuovo attesissimo disco solista “Dèjà vù”, a ben 30 anni di distanza dal suo ultimo lavoro di inediti. Dodici canzoni e una serie di importanti featuring da Sia a Charli XCX, da Mikky Ekko a Kylie Minogue, da Matthew Koma a Britney Spears, da Foxes a Kelis fino a Marlene racchiudono l’essenza di un lavoro che ha richiesto ben due anni di preparazione. In attesa del suo ritorno in Italia per due live djset : il 24 luglio sarà a Roma a Villa Ada, a “Roma incontra il Mondo” e il 25 luglio a Milano, all’Estathé Market Sound, ecco tutto quello che Mr Moroder ci ha raccontato in occasione della presentazione del nuovo album.

Negli anni 70-80 è diventato una star mondiale, oggi  la digital generation impara a conoscerla dopo aver collaborato con i Daft Punk…

I Daft Punk mi chiesero di partecipare al loro progetto nel 2013 ma non avevo idea di quello che avessero in mente, pensavo di andare in studio e creare un brano. Invece no, loro volevano solo che parlassi della mia vita. Non ho più sentito niente per mesi  poi mi hanno fatto sentire il pezzo e mi è piaciuto subito.

Da lì, l’idea di tornare sulla scena musicale?

Normalmente un artista che non lavora più da anni non decide di punto in bianco di pubblicare un disco nuovo. Io non sono un cantante, compongo solo le musiche, devo avere qualcuno che canta sulle mie basi e poi, senza l’aiuto di una casa discografica non sarei riuscito a realizzare niente. Subito dopo il successo del brano con i Daft Punk mi sono arrivate delle offerte e alla fine ho scelto Sony perché ho pensato che avrei potuto fare delle belle canzoni con gli artisti del loro catalogo; è stata una selezione piuttosto complessa, ho impiegato quasi due anni per la realizzazione del disco.

Che cosa stava facendo  prima di quel momento?
Avevo progettato una macchina a 16 cilindri, la Cizeta Moroder (per la casa automobilistica che inizialmente si chiamava proprio così, per un progetto suo e di Claudio Zampolli ndr), una macchina che costava 600mila dollari, di cui io possiedo il prototipo. Giravo molto, giocavo a golf e poi mi dedicavo a qualche progetto speciale come, ad esempio, il pezzo per le Olimpiadi di Pechino, al quale ho dedicato due anni di lavoro.

“Déjà Vu” racchiude un perfetto mix tra pop ed elettronica; com’è stato innestare le sonorità degli anni 70-80 nei giorni nostri?

Per quanto riguarda i suoni è stato facilissimo, ne ho fatti a centinaia negli anni. Il problema si è presentato quando mi sono reso conto di dover realizzare qualcosa di nuovo, magari con un tocco retrò, un po’ come hanno fatto i Daft Punk con “Random Access Memories”. Quindi ho realizzato un album che è una combinazione tra suoni retrò e genere EDM (Electronic Dance Music, come viene chiamata la musica dance nel mondo, ndr.).

Come avere lavorato alle collaborazioni presenti in questo disco (Britney Spears, Sia, Kylie Minogue, Charli XCX)? Avete lavorato in studio assieme?

No, ormai c’è un sistema totalmente nuovo. Sia, per esempio, non l’ho mai incontrata ma spero di farlo prossimamente. Le ho mandato la base, lei ha scritto le parole, ha cantato e mi ha rimandato il tutto. Io poi ho riarrangiato e finito la canzone.

Com’è stata scelta Tom’s Diner per il duetto con Britney?

Britney è venuta a sapere che la Sony voleva farla collaborare con me, e lei mi ha chiesto se volessi fare Tom’s Diner di Suzanne Vega, pezzo che mi è sempre piaciuto. Con lei è stato ancora più complesso perché io ho realizzato la prima base, poi un amico l’ha rielaborata, poi lei l’ha cantata, dopodiché io l’ho ripresa e rivista, l’ho mandata in Germania da due ragazzi bravissimi che l’hanno cambiata un po’ e poi è tornata da me. A quel punto l’ho rielaborata ancora e finalmente l’ho finita con un altro produttore. Insomma è stato un lavoro di sei, sette persone sparse per il mondo.

Invece con Kylie Minogue ha avuto un rapporto più diretto?

Si, ho lavorato alla base con un suo musicista, lei ha lavorato con un’altra cantante a Londra e ci siamo trovati a Los Angeles per finire il pezzo. Una volta lanciato il singolo, sono andato in tour con lei in Australia, è stato bellissimo. Lei è bravissima, gentile, balla e canta. ha proprio il senso della comunicazione con il pubblico.

È vero che sta lavorando a un nuovo progetto con Kylie e Garibay?

Garibay ha realizzato 4 pezzi, belli ma non troppo commerciali. Kylie mi ha chiesto se potessi scrivere qualcosa di sexy in italiano e lo includerà nel progetto. Adesso stiamo pensando di rifare quel pezzo rendendolo più commerciale. Ma è un’idea, non c’è niente di sicuro.

Kelis ricorda la “sua” Donna Summer.
Ha una voce molto rythm & blues: ad ascoltarla a occhi chiusi potrebbe essere lei. Donna era brava, proprio brava. Aveva cantato nel musical “Hair” e dopo aver concluso quell’esperienza, si esibiva in qualche locale dal vivo. Allora io l’ho invitata in studio per delle prove, mi è piaciuta moltissimo e abbiamo inciso subito due pezzi. Poi il successo è arrivato con la famosa “Love To Love You Baby” che è stata la numero uno in assoluto per me e per lei.

Per alcuni dei nuovi brani usciranno dei remix per poterli suonare in discoteca?

Si, due o tre remix di “Right Here, Right Now” sono già usciti. Ne abbiamo in arrivo qualcuno per “Déjà Vu”. Il primo sarà di Benny Benassi, poi uno con un nuovo ragazzo tedesco, Felix Jens e poi uno con Markus Schulz.

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Molte persone restano ancora sorprese scoprendo che le canzoni delle colonne sonore di film di successo quali “Scarface”, “Top Gun”, “American Gigolo” e “La storia infinita”  le ha composte lei..

Sì, infatti! Ci sono anche persone del mondo musicale mi chiedono ancora se ho fatto io la colonna sonora di “Top Gun”. L’altro giorno, per esempio, abbiamo parlato di “Call Me” (canzone cantata da Blondie e parte della colonna sonora di “American Gigolo”, ndr.) e mi chiedevano esterrefatti se l’avessi realizzata io. Adesso i giovani sono molto più informati di venti o trent’anni fa, ascoltano musica in ogni occasione e con qualsiasi mezzo. Una volta o compravi il disco o ascoltavi le novità alla radio. Ora grazie ai servizi online puoi ascoltare tutto quello che vuoi, quando vuoi.

Giorgio Moroder

Giorgio Moroder

Dei dj/produttori attuali, con chi le piacerebbe collaborare?

Mi piacciono Mark Ronson e Calvin Harris. Mi piace moltissimo Skrillex ma anche Tiesto e David Guetta, sono tutti bravi.

C’è qualche altro artista con cui vorrebbe lavorare?
Lady Gaga mi ha chiesto di comporre qualcosa per il suo album, per ora non siamo riusciti a incontrarci ma appena torno in America vediamo se sarà possibile. Mi piacerebbe lavorare anche con Rihanna, che è una delle migliori secondo me. C’era qualcosa in cantiere con Lana Del Rey, ogni tanto ci sentiamo e ogni volta mi ripete che le piacerebbe lavorare con me…vediamo che succede!

Per molti produttori lei è stato un maestro, ma ora che ha dovuto realizzare un disco nuovo ha preso in prestito qualche tecnica da altri?
Come tecnica elettronica sono al livello degli altri perché uso i loro stessi programmi, come Pro Tools, quello che devo imparare riguarda i suoni: è così difficile trovarne di nuovi se non hai gli ultimissimi sintetizzatori, perciò faccio dei demo con i suoni che ho, poi i miei musicisti trovano i sound più particolari. Quelli che si sentono all’inizio di Right Here, Right Now, ad esempio, sono stati abbastanza difficili da trovare anche per loro. Un mio amico produttore invece, Fernando Garibay, prende dei suoni, li lavora con quelli che ha già, li salva e così li tiene da parte, io invece non ho tempo di farlo ma neanche voglia…

Dopo questo disco che cosa la aspetta?
Sto finendo le musiche per il videogame del film Disney Tron, sto parlando con un regista per un film piuttosto importante, e poi farò un musical sullo stile di Mamma mia con 6 o 7 pezzi miei e 10 o 15 che comporrò ex novo: sarà tutto basato sui DJ e sulla dance music.

Raffaella Sbrescia

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 Video: Déjà vu

Max Pezzali presenta Astronave Max: “La vita è un gioco di prospettive ma c’è sempre spazio per la realizzazione personale”

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Max Pezzali sviluppa e sviscera i dettagli di quel “Il mio secondo tempo”, risalente alla pubblicazione di “Terraferma”, nel 2011, con un nuovo album di inediti metaforicamente intitolato “Astronave Max”, un luogo/non luogo da cui guardare il mondo da una nuova prospettiva, più consapevole, eppure possibilista. Max canta, scrive e descrive ciò che conosce meglio e, attraverso la descrizione puntuale e malinconica delle cattedrali dei giorni nostri, dei nuovi luoghi/non luoghi di aggregazione/disgregazione della società, repliche l’uno dell’altra, si addentra nei meandri del logorio della vita moderna. Il disco rappresenta, dunque, un viaggio gradevole nell’universo di Max, un universo che difficilmente tratta dei massimi sistemi ma che, proprio per questo, si presenta così vicino al nostro. Prodotto da Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni con Davide Ferrario, Astronave Max si compone di 14 tracce che lo stesso Max ci ha spiegato in occasione della presentazione dell’album. Una lunga chiacchierata in cui l’artista si è raccontato senza filtri mettendo tutti i presenti a loro agio in un contesto davvero amichevole e alla mano.

Max cosa rappresenta per te l’astronave che dà il titolo al tuo nuovo album?

L’astronave può avere una doppia interpretazione: da un lato è l’astronave madre che racconta quel luogo non luogo simbolo del nostro tempo, ovvero il centro commerciale. Astronave Madre”, ad esempio, è un pezzo psichedelico in cui parlo di questo luogo in cui vado spesso, un teatro in cui sono rappresentate le vicende umane di persone che diventano quasi degli automi. Da qui l’idea di intitolare l’album Astronave Max: il tema centrale è l’allontanarsi dalla Terra e vedere le cose in prospettiva. A 47 anni vedo ancora in un modo abbastanza simile a prima, ma l’età ti porta ad avere una diversa prospettiva, ciò che vedi è messo in un contesto più largo, da cui riesci a comprenderne la relatività. La vita è un gioco di prospettive e di allontanamenti, di rimettere tutto al proprio posto e l’età di dà un maggiore distacco, ma sempre con l’idea che le cose finiranno sempre bene. Tutto sommato la contemporaneità, con tutti i suoi difetti e limiti, rappresenta il punto più avanzato che l’umanità, fino a questo momento, ha raggiunto.

Sei stato il cantore della provincia degli anni ’90. Secondo te con internet e la tecnologia c’è ancora questo senso di comunità, di provincia?

Io credo di sì, ma ho notato che la provincia che conoscevo io è molto cambiata perché molte zone sono diventate aree dormitorio. La crisi ha colpito i piccoli centri più delle città e la gente ora lavora a Milano, le persone non sono più fisicamente lì in provincia, ci arrivano la sera tardi e se ne vanno la mattina presto, senza vivere i luoghi. La provincia negli anni ’90 aveva la consapevolezza di non sapere cosa succedeva altrove. C’era l’immaginazione, la provincia doveva creare una propria identità per immaginare cosa succedeva fuori. Chi arrivava in città dalla provincia il sabato sera, si riconosceva subito anche da come era vestito. I milanesi ci riconoscevano subito perché noi eravamo quelli sempre con la taglia sbagliata: se volevi il Chiodo, al negoziante ne erano arrivati due, una L e una XL. Se aveva già venduto la L, ti diceva che la XL ti andava bene, bastava metterci un maglione sotto. Così noi di provincia eravamo quelli con il Chiodo troppo grande. In più la provincia creava l’obbligo di coesistenza tra persone diverse. Se eri a Pavia e ascoltavi il punk, al massimo c’erano altre due o tre persone come te e non c’era un locale dove incontrarsi. Il ritrovo era insieme a tutti gli altri, paninari, metallari e vecchi che si bevevano il bianchino. Tutti allo stesso bar. Non potevi rivolgerti alla tua nicchia, dovevi sviluppare un linguaggio che ti permettesse di comunicare con tutti. L’alternativa era che venivi menato… o menavi! Oggi anche chi in provincia rimane comunque connesso con tutte le altre nicchie d’Italia e può creare un punto d’incontro digitale con chi la pensa come lui. All’epoca dovevi fidarti di chi non era come te, ma ti aiutava a non essere dogmatico, a mischiarti. Oggi internet, invece, permette ad una nicchia isolata di comunicare a distanza in luoghi non fisici.

Il tema centrale dell’album è connesso con questo discorso?

Osservare tutto a distanza è qualcosa legato al tempo, non allo spazio. L’allontanamento non è esprimibile in chilometri ma in anni. La relativizzazione delle cose è l’unica cosa positiva dell’età. In 47 anni di vita certi corsi e ricorsi li hai già visti 7/8 volte e così capisci che è un movimento circolare. Se non ci fosse l’esperienza di avere già visto il cambiamento avvenire e poi annullarsi, avvenire e poi annullarsi di nuovo, questa prospettiva non l’avresti. La canzone “Generazioni spiega proprio com’è arrivare in un club senza essere preparato. Io che ero abituato alla discoteca degli anni ’90, all’inizio mi sembrava un inferno in terra! Poi mi sono reso conto che infondo non è cambiato molto: gli atteggiamenti di quei ragazzi e quello che stanno cercando sono le stesse cose che volevi tu. Le generazioni di oggi non sono né meglio, né peggio di noi. Per quelli della mia età il casino era esattamente come oggi. Non c’è unicità nella sofferenza: il nostro disagio l’ha già provato qualcuno e qualcun altro lo proverà di nuovo dopo di noi.

 

Cos’è che aliena i giovani di oggi?

Penso sia più che altro un problema di comunicazione. È come se si fosse demandata la socializzazione a luoghi non fisici: la gente si conosce già prima e si mette d’accordo ancora prima di vedersi. Prima se l’appuntamento era alle 8 al bar e arrivavi tardi, eri fottuto, non avevi idea di dove fossero li altri e arrivavi all’1 di notte senza aver combinato niente.
Oggi i ragazzi arrivano in un posto che hanno già socializzato, arrivati nel club diventa importante solo l’esperienza sensoriale. I luoghi sono diventati posti per consumare beni e servizi e non per parlarsi e raccontarsi del più e del meno. Quello si fa dopo.

Max Pezzali

Max Pezzali

Nel disco c’è una netta maturazione nella scrittura. Sei riuscito a mantenere intatto lo stile ingenuo, passionale e sognatore che ti appartiene dai tempi degli 883, con quello di Max Pezzali uomo adulto e padre?

Penso ci sia un’evoluzione naturale. Mi sono trovato nella condizione di chiedermi che cosa scrivere e se ciò che canto interessa a qualcuno. È la sindrome del foglio bianco, quando vorresti scrivere tutto, poi ti rendi conto che l’unica cosa che sai fare è raccontare quello che conosci, quel tuo centimetro quadrato. Non puoi parlare di tutto, ma solo di ciò che conosci e ti è vicino. E questo sblocca il meccanismo, è la consapevolezza. Raccontare del mio immediato anche a 45/47 anni, non esistono argomenti da giovani o da vecchi, esiste la realtà, qualunque essa sia, ma è la tua che ora riesci a raccontare con la lente della tua età.

 

Hai mai pensato di prendere sotto la tua ala un giovane artista per produrlo e scrivere per lui e tramandare in questo modo lo “stile 883″?

Una volta ho scritto un testo, “100.000 parole d’amore, per un ragazzo di X-FactorDavide Merlini che ora fa musical. Mi piaceva molto l’idea. Sicuramente mi sarebbe più facile scrivere per un ragazzo giovane piuttosto che per uno della mia età o più vecchio. Non riesco ad entrare nell’immaginario di un cantante di mezza età!

Sergio Carnevale (batteria) e Luca Serpenti (basso) fanno parte della tua band. Come influenzano la tua musica?

Loro erano con me in tour già con Max 20. Sergio viene fuori dai Bluvertigo. La band con cui sono in giro penso sia veramente una benedizione di Dio perché oggi c’è bisogno di sonorità di questo tipo per uscire dalla dinamica del concerto scontato con musica perfettamente eseguita, ma priva di anima. Io voglio musicisti che siano anche autori, per perdere qualcosa in tecnica e precisione, ma guadagnare molto di più in impatto emotivo. Voglio comunicare ogni volta qualcosa di diverso. Tutti i musicisti arrivano da scenari diversi e, mettendo insieme queste cose, si riesce ad ottenere un suono moderno e contemporaneo. Già ascoltare un disco dall’inizio alla fine è dura, se poi c’è un suono scontato, roba vecchia… hai già perso la battaglia in partenza..

Il nuovo singolo “Sopravviverai rappresenta il proseguimento naturale di Odiare che hai scritto lo scorso anno per Syria?

Si, è come se lo fosse. Fino ai 35 anni siamo tutti convinti che, quando finisce una storia, non ci si rialza più. Invece ci si rialza sempre. Siamo come delle barche inaffondabili: anche se si ribaltano, tornano sempre dritte. Il vero problema della fine di una storia è l’autocompiacimento. Io non sopporto neanche me stesso quando mi compatisco! Tendo ad avere nostalgia di qualsiasi cosa. Basti pensare che a 27 anni ho scritto Gli anni… di che cosa avevo nostalgia, di quando avevo 15 anni? È un sentimento quasi di maniera, mi piace l’idea di rimpiangere qualcosa, ma devo dirmi “ma vaffanculo! Il continuo torturarsi è la ricerca del compatimento degli altri, mentre la voce razionale nel cervello ci dice di non rompere i coglioni, di smetterla di pensare alle immagini bucoliche del tempo che se ne è andato, la voce razionale ti dice di dormire che domani hai una giornata lunga. E più vai avanti, più la parte cinica diventa enorme e ti dice “ma sei scemo?!

Come stai lavorando al tour, quali canzoni ci saranno?

Dopo le 33 date tutte sold out del tour di due anni fa, mi piacerebbe che venissero rappresentati tutti i successi del passato, ma c’è abbastanza tempo per far ascoltare al pubblico le nuove canzoni. Cercherò di capire quali sono quelle che piacciono di più alla gente per individuare quali sono le 4/6 che si possono fare, ma voglio che il peso maggiore sia dato alle vecchie canzoni. Se fai un tour incentrato sull’album nuovo la gente si rompe le pa**e perché non conosce le canzoni. Non voglio però neanche un tour celebrativo. Voglio evitare il ‘Che pa**e’ e quindi in questi mesi voglio capire quali canzoni piacciono di più alla gente. So che è brutto a dirsi, ma ci sono canzoni che non posso non fare, altrimenti non scendo dal palco vivo. Il concerto è un evento collettivo e le persone vogliono cantare le canzoni che hanno rappresentato una parte della loro vita.

Quali concerti andresti tu oggi a sentire?

Vasco Rossi, Lorenzo Jovanotti negli stadi… mi piacerebbe vedere Nek e Cesare Cremonini.

Tu sei sempre stato molto avanti, la tua attitudine nello scrivere era simile in qualche maniera a quella dei rapper. Nel 2012 hai rifatto il tuo primo disco, Hanno ucciso l’uomo ragno rendendolo attuale nel sound con la collaborazione di diversi elementi della scena rap italiana. E’ un esperimento che avrà un seguito?

Mi piace la contaminazione. Ora è tutto rap + pop, è il momento in cui tutto è featuring di tutti. È la rapper mania senza costrutto, ed è un peccato. Bisognerebbe essere più cauti nelle uscite, perché si arriva facilmente alla saturazione, perché la gente si rompe le palle facilmente. Mi piacerebbe fare un discorso di collaborazione, ma non un featuring. Qualcosa che nasca insieme al rap, al rock indipendente, miscelare musicisti diversi e realtà diverse in un solo album,  ma non è ancora il momento.

Oggi ti senti di più un utente della rete attivo o passivo? E alla fine qual è la soluzione per sopravvivere in questo mondo?

Io sono uno dei primi utenti e sono sempre stato attivissimo nel trovare una connessione con il resto del mondo. Oggi cerco di essere attivo, ma mi sento un po’ come il metallaro… quello che ascoltava metal che scopre che la sua band preferita adesso la ascoltano tutti. Non è più il mio giocattolo! Internet è commerciale e ora mi sta sui coglioni, perché è diventato fruibile anche dai non tecnologicamente alfabetizzati. Cerco di essere critico nei confronti degli strumenti tecnologici: non tutto è figo, utile e divertente. La tecnologia non è solo Facebook e Facebook mi fa letteralmente schifo! Trovo sia un luogo dove la gente scarica addosso agli altri le proprie frustrazioni, c’è un traffico di roba inutile e tutta quella larghezza di banda è occupata da minchiate! Mi piace twitter, perché c’è un limite di caratteri. Ma l’italiano medio non lo ama perché in 140 caratteri non è neanche uscito di casa. Mi piace Instagram perché è una foto e basta. Internet mi piace quando è sintetico e arriva subito.

Quanta rete c’è nel tuo disco?

Non avrei mai potuto fare questo album senza l’utilizzo intenso della rete. Davide preparava le basi e me le mandava, io le cantavo e gliele rimandavo su dropbox. Questa è la figata! Essere liberi di trasmettere le cose. Abbiamo fatto un album in remoto e me ne vanterò sempre. Siamo all’interno di un frullatore mediatico in cui ci vengono fatte credere delle verità preconfezionate e ho paura che seguire troppo le regole e i consigli vengono dati sia una limitazione. Non bisogna credere troppo a quello che ci dicono, nel bene e nel male. Le spiegazioni troppo semplici di solito non sono vere perché la realtà è complessa. Bisogna seguire le proprie attitudini indipendentemente da quello che dicono gli altri. C’è sempre spazio per realizzare la tua strada. Non bisogna credere troppo al buonsenso comune.

Acquista l’album su iTunes

Le date del tour:

25 settembre– Ancona – Palarossini; 26 settembre – Rimini – 105 Stadium; 29 settembre – Mantova – Palabam; 2 ottobre – Firenze – Mandela Forum; 6 ottobre – Livorno – Modigliani Forum; 8 ottobre – Roma – Palalottomatica; 13 ottobre – Perugia – Palaevangelisti; 15 ottobre – Bari – Palaforio; 17 ottobre – Acireale (CT) – Palasport; 20 ottobre – Eboli (SA) – Palasele; 22 ottobre – Bologna – Unipol Arena; 24 ottobre – Torino – Pala Alpitour; 27 ottobre – Genova – 105 Stadium; 29 ottobre – Modena – Palapanini; 31 ottobre – Verona –Palasport; 1 novembre – Trieste – Palatrieste; 6 novembre – Milano – Mediolanum Forum; 7 novembre – Milano – Mediolanum Forum; 9 novembre – Montichiari (BS) – PalaGeorge; 12 novembre – Conegliano (TV) – Zoppas Arena; 15 novembre – Padova – Palafabris.

Raffaella Sbrescia

Più che logico (live): una finestra nel futuro discografico di Cesare Cremonini

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Vent’anni di musica costruita passo dopo passo, album dopo album, concerto dopo concerto. Oggi Cesare Cremonini rappresenta un punto di riferimento per la musica italiana e, a pochi mesi di distanza da un fortunatissimo tour, l’artista apre una finestra sul suo futuro con “Più che logico (live)”, un triplo album, un progetto curato nel dettaglio e molto ambizioso, contente la registrazione del concerto di Torino dall’ultimo tour e ben quattro canzoni nuove che lo stesso cantautore definisce come “Un passo avanti nel mio percorso”.  ”Più che logico, spiega Cremonini,  non è il classico live che prende tempo tra un progetto e l’altro. Certo, chi fa un disco dal vivo tende a non mettere canzoni importanti o troppo nuove che svelino  troppe cose, io, invece, ho voluto inserire  canzoni nuove ed importanti, che intendono aprire una finestra su quello che posso e voglio fare discograficamente.

Entrando nello specifico degli inediti si parte con la già nota “Buon viaggio (Share the Love), un brano dal sapore estivo con un refrain catchy, pensato per infonderci propositività e coraggio. Decisamente interessante è il sound di “Lost in the weekend”, un fedele affresco metropolitano di un modus vivendi difficile e complesso che Cesare ha definito “una preghiera elettronica” eleggendola  a colonna sonora del prossimo #PiùCheLogicoTour2015. Dolce e tormentata “Quasi quasi”¨”una canzone d’amore perfetta per essere bisbigliata all’orecchio di una ragazza”, come ha raccontato Cesare alla stampa, durante la presentazione del disco a Milano, aggiungendo, “Noi cantautori dovremmo ricordarci più spesso dell’esigenza di vivere un momento a due, senza condivisioni obbligatorie come, invece, avviene sempre più spesso per l’ influenza dominante dei social networks”. L’ultimo degli inediti è l’energica “46”, già inno per lo Sky Racing Team VR46, una canzone ispirata da Valentino Rossi, amico di Cremonini e dall’amore di Cesare per i motori: “Sono affascinato dal mondo dei motori e in particolare dai campioni delle due ruote”, ha spiegato, “Sono loro le vere rockstar: hanno una vita al limite e rischiano sul serio ogni volta che gareggiano. Il loro pubblico ha un sapore di festival rock (sembra un nuovo Woodstock) e quando sono con loro mi sembra di avere a che fare con i nuovi Mick Jagger e Vasco Rossi”.

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Un altro elemento importante di più “Più che logico” è il booklet: 60 pagine per raccogliere, spiegare, condividere l’essenza di un mutuo scambio di emozioni, quale è il concerto, un momento che Cesare vive con particolare trasporto, conseguenza di una naturale predisposizione: “Ho la presunzione di dire che so stare su un palco: è una cosa che amo fare da sempre”, racconta l’artista, che a ogni data propone un momento solo voce e piano perché :”È come se tornassi indietro nel tempo: mi ricorda quando avevo 6 anni e mia madre mi diceva: ‘Suona per noi!’. Sono 16 anni che ho iniziato a fare il musicista ma dopo i Lunapop la mia strada è ricominciata da capo. Sull’avambraccio ho tatuato Freddie Mercury quindi capite come sia naturale per me essere attratto dall’idea di cavalcare grandi palchi. In questo mestiere la passione è tutto e io ho quella di un ragazzino: quando hai la possibilità di incontrare dal vivo tanta gente ti dà grande energia”.  Nato da un’idea del produttore Walter Mameli, il booklet assume la valenza di vero e proprio valore aggiunto al progetto: “Pensavo fosse una fatica inutile, invece poi mi è venuta una voglia pazzesca di raccontare le mie impressioni e l’intera giornata di un concerto, da quando mi sveglio a quando arriva l’ora di pranzo e non ho per niente fame perché sono agitato. Questo libretto è come se fosse il pezzo in più, anzi il sangue in più, quella parte di passione che non sta dentro la pelle”.

“Ad oggi, ha aggiunto Cesare, mi sento finalmente dove voglio stare. Non è sempre stato così, a volte mi sembrava di avere un grande seguito di pubblico ma di aver poco da condividere con lo stesso. Ora non è assolutamente così. Io mi sento un intrattenitore, non solo uno scrittore di canzoni. Non ho preclusioni verso il cinema o la televisione. Mi piace giocare con il mio mestiere e il mio mestiere è meraviglioso perché concede una grande fortuna: puoi tranquillamente morire ma ogni concerto è un’occasione di rinascita, di ripartenza”.  Si tratta, quindi, di un periodo ricco di energia, entusiasmo e aspettative per Cesare, il giusto premio giunto dopo sei lunghi mesi di lavoro solitario e certosino che sfocerà nelle date del prossimo “Più che Logico Tour 2015”: “il secondo tempo del tour precedente, ma senza la sensazione di aver già vinto la partita”, ha concluso Cremonini.

Queste le date del Più che logico tour:

Ottobre
23 TORINO – Pala Alpitour
24 GENOVA – 105 Stadium
27 ROMA – Palalottomatica
30 PESARO – Adriatic Arena
31 BOLOGNA – Unipol Arena

Novembre
3 FIRENZE – Mandela Forum
5 EBOLI (Salerno) – Palasele
7 ACIREALE (Catania) – Palasport
10 BARI – Palaflorio
13 MILANO – Mediolanum Forum
17 MONTICHIARI (Brescia) – PalaGeorge
19 PADOVA – Palafabris
21 CONEGLIANO (Treviso) – Zoppas Arena
22 TRIESTE – PalaTrieste
24 VERONA – Palasport

 

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