John De Leo in concerto al CarroPonte: “La mia musica è immaginazione ed evita approdi consolatori e telefonati”

John De Leo ph Elisa Caldana

John De Leo ph Elisa Caldana

Unicità, talento, sperimentazione sono le parole in cui è racchiusa l’essenza di John De Leo, una delle voci più particolari della scena musicale italiana. Il poliedrico musicista-cantante-compositore-autore è da ascriversi a pieno titolo in quella scia di grandi pionieri della strumentazione e della sperimentazione della voce. L’artista sarà questa sera sul palco del CarroPonte (Sesto San Giovanni) per presentare “Il Grande Abarasse”, il disco che segna il ritorno di De Leo sulle scene a sette anni di distanza dal suo ultimo progetto discografico,  un concept album ambientato in un ipotetico condominio all’interno del quale ogni brano corrisponde ad uno dei suoi appartamenti.

Intervista

Nel 2014 pubblicavi “Il Grande Abarasse”, un lavoro che ha richiesto molto impegno ed una lunga gestazione. Qual è il percorso che questo album ha compiuto fino ad oggi?

Se parliamo di viaggio, posso dire che “Il Grande Abarasse” ha percorso quanto meno l’Italia. Siamo inaspettatamente riusciti, io e i ragazzi della banda, piuttosto cospicua, a portarlo in giro in diversi concerti. Dico inaspettatamente perché questi ultimi tempi  di crisi consigliano di ridurre sempre di più le formazioni e i relativi costi. Come antidoto a questa crisi, ho pensato di premere l’acceleratore in senso opposto, soprattutto riflettendo su esigenze musicali che implicavano un numero importante di musicisti.

Come è stato possibile portare avanti questo tipo di discorso live così complesso e chi ti accompagna in questa avventura?

In effetti sono tutti musicisti molto bravi, in tutto siamo nove e siamo anche affiatati aldilà delle scene. Ho sempre pensato che dovesse essere necessario poter condividere qualcos’altro aldilà del lavoro; forse sono invecchiato però ho bisogno anche di una certa tranquillità dal punto di vista umano.

La scelta di una band numerosa in qualche modo vuole rendere merito ad un lavoro che ha richiesto uno  sforzo creativo importante?

Senz’altro. Questa formazione vorrebbe restituire il suono del cd, in cui ha collaborato un’orchestra vera e propria composta da una trentina di elementi. L’occasione è stata possibile grazie al contributo di Arci che ha supportato tutta l’operazione sia dal punto di vista economico  che promozionale. Per restituire quella massa sonora, tutti gli arrangiamenti e tutti i contrappunti che sono stati pensati,  ho scelto di portare più persone in tour, riducendo comunque il tutto all’osso con una piccola rappresentanza delle varie sezioni.

Per quanto riguarda il Ghost album, cosa hai pensato per valorizzarlo?

Sono lieto del riferimento a questo lavoro. Ai tempi della presentazione credetti che con questo album nascosto, che si può sentire dopo le tracce ufficiali, avrei potuto spaventare i giornalisti. Questo è il mio lato più sperimentale, limito la mia vocalità, che forse fino ad oggi è stata anche la mia fortuna, proprio per misurarmi con quella che forse è la mia passione parallela ed identica all’aspetto vocale che è, per l’appunto, la musica. Più che cantanti io ascolto soprattutto composizioni strumentali.

Quali?

Ascolto molti compositori di musica classica del ‘900. Di certo non mi metto minimamente a confronto però posso dire che rappresentano un grandissimo stimolo per me. Cito Musorgskij, un compositore che trovo ancora geniale perchè tende non spettacolarizzare una musica comunque densa di esplosione.

A proposito di questo, tempo fa hai dichiarato: “Non canto quello che la gente si aspetta, il rispetto per il pubblico non sta nell’accontentarlo”. Un punto di vista in netta controtendenza con l’attualità…

Questo non è solo il mio motto, è il mio credo. Credo di aver parafrasato il discorso del pittore Baziotes che in altri termini ha detto qualcosa di simile. Da ascoltatore, mi piace essere sorpreso da quello che ascolto ed essere traghettato dove non prevedevo sarei finito. La mia musica va verso questa direzione: evita approdi consolatori e telefonati.

Infatti uno degli obiettivi che si pone la tua musica è proprio quello di innescare domande…

Mi metto sempre nei panni dell’ascoltatore, essendo io stesso tale, nonché un grande appassionato di musica. Mi piace poter ricreare l’opera che sto ascoltando e fantasticare in modo arbitrario e personale rispetto alle volontà del compositore. Quando il compositore dà l’opportunità di fare questo esercizio in modo naturale per me la composizione è perfetta.

È vero che molte idee che dovevano confluire in questo album compiute o quasi?

Nonostante siano passati sette anni dall’ultima pubblicazione, di cui quattro sono stati necessari per il compimento di questo album, tante idee sono rimaste fuori mentre altre cose che ho pubblicato le vedo ancora come incompiute. Menomale che c’è qualcuno che dice basta ed evita che si esca  direttamente con un disco postumo (ride ndr). Altre idee incompiute, o che non sono confluite qui, serviranno certamente  per un prossimo album perché “Il mercato vuole che si sia sempre presenti con dei prodotti nuovi”.

John De Leo ph Elisa Caldana

John De Leo ph Elisa Caldana

Per quanto riguarda la dimensione live, come presenteresti un tuo concerto? Per esempio quello che terrai questa sera al CarroPonte di Sesto San Giovanni (Mi)?

Al CarroPonte si cercherà di portare a casa il concerto nel senso che non siamo in un teatro e lo dico anche felicemente.  Sarà bello misurarci con un pubblico diverso da quello che ci si aspetta in teatro. Di contro la scaletta sarà più misurata verso l’impatto anche se non tradirò me stesso e cercherò di immettere tra i brani più facilmente ascoltabili, anche delle inserzioni astruse.

La tua è anche arte estemporanea…

Sì, ci sono diversi momenti di improvvisazione, cerco di condensare alcuni aspetti di due linguaggi come quello del jazz e della psichedelia nel rock. Apro delle parentesi  improvvisate sempre nuove che cambiano in base alla location e al pubblico che, in questo senso, ha in mano le redini del concerto.

Tutto parte dell’amore per il dettaglio?

Senz’altro. Spesso l’idea narrativa nasce proprio da un dettaglio, altre volte la canzone stessa parla di un dettaglio. Quello che mi indigna è che la cultura è pregna dei linguaggi modificati dalla crisi del mercato.  Per quel che mi riguarda cerco di non mortificarmi, non posso e non ci riesco, in virtù  dell’amore delle cose che ascolto, aldilà delle mie. Non so posso suonare o raccontare qualcosa il cui fine sia semplicemente quello di accattivare qualcuno.

Raffaella Sbrescia

 

“Arrivano gli alieni”, Stefano Bollani non smette di stupire e diventa cantautore. L’intervista

stefano-bollani-arrivano-gli-alieni

“Volevo fare il cantante. Ho iniziato a suonare il piano a sei anni per poter un giorno accompagnare la mia voce. Oggi invece è la mia voce ad accompagnare il pianoforte”. Con queste parole Stefano Bollani introduce “Arrivano gli alieni”, il terzo disco in solo dopo “Smat smat” (2003) e “Piano solo (2007), in uscita venerdì 11 settembre, per Universal Music. Realizzato in completa autonomia al pianoforte e al fender Rhodes e composto da 15 brani molto variegati, questo album racchiude quella che è l’essenza di Stefano Bollani oggi: libero, coraggioso, disinvolto, ironico e genuino.  Spaziando dagli evergreen “Quando quando quando”, Jurame”, “Aquarela Do Brasil” agli inediti assoluti “Microchip”, “Un viaggio” e la titletrack “Arrivano gli Alieni”, Bollani mette subito le cose in chiaro: non ci sono preconcetti. Ed è così che l’artista si cimenta per la prima volta come cantante, autore di testi e musiche. “Gli alieni quando passano di qua mica prendon le abitudini di quaggiù, mica fanno scambio case house exchange, mica utilizzano car sharing o internet. Solitamente ci oltrepassano, non li guardi e non ti guardano e stanno a controllare se il pianeta è in asse con il blu, è in tono con il verde, è pieno di caucciù, e se la sua energia è annoverabile tra i più”, canta Bollani, concentrando l’attenzione su temi importanti, senza mai abbandonare una sottile leggerezza di sottofondo.

Ecco quello che l’artista ci ha raccontato durante la presentazione dell’album.

Come hai selezionato le canzoni che hai inserito nell’album e da quanto tempo le avevi in testa?

In realtà da poco tempo, in un primo momento ho  pensato a chi avrebbe potuto cantarle ma nessuno mi sembrava adatto; alla fine ho deciso di cantarle io stesso. Gli inediti sono nati di getto, ne avevo solo tre ma non volevo aspettare che ne arrivassero altri otto per fare un album intero. Quando ho un’idea mi piace lanciarla subito e così è successo.

Come motiveresti i richiami a Carosone in “Microchip” e a Bruno Martino in “Arrivano gli Alieni”?

Sinceramente è un caso ma il parallelo ci sta tutto. Sono due autori che fanno parte del mio background.

Quali sono i tuoi autori preferiti?
I Beatles, anche se musicalmente siamo lontanissimi, e molti brasiliani, su tutti cito Jobim e Chico Buarque. Tra gli italiani potrei usare molti nomi scontati come Jannacci, Gaber, De André ma sento vicine anche alcune canzoni di Capossela e Silvestri. Ecco, io mi innamoro delle singole canzoni non delle intere discografie. A questo aggiungo di non essere preparato sugli autori più recenti, quelli che non hanno cognome.

Chi sono gli alieni di cui parli?
L’alieno può essere usato come metafora, è quello che ci può salvare provenendo dall’esterno, qualcuno che è estraneo da noi e che guardando la nostra situazione ci viene a salvare. Mi immagino alieni che passano sulla terra di tanto in tanto per controllare cosa stiamo facendo e se abbiamo imparato a rispettare la natura, cosa che purtroppo non accade tanto spesso.

In una tua vecchia intervista hai detto che da bambino volevi diventare come Celentano
Era il mio sogno quando avevo sette anni. Lo imitavo allo specchio, sapevo a memoria tutte le sue canzoni, lo ammiravo perché era in grado di fare qualsiasi cosa, cantare, scrivere, stare sul palco, recitare, fare teatro e programmi tv. In effetti è quello che ho cercato di fare nella vita.

Quanto è stato difficile scrivere ?

All’origine del progetto c’è il desiderio di raccontare qualcosa di personale per cui, o scrivevo un libro o cantavo le mie canzoni, ho optato per la seconda opzione. Mi ha stupito la facilità con la quale scrivevo: ammetto che avevo solo me stesso a giudicare e io sono molto indulgente. In tutto.

Quanto ti rispecchi in questo album?

Di solito mi rispecchio sempre nell’ultima cosa che ho fatto. Sono grato alla Universal per aver stampato subito il disco, ci sono ancora parecchio dentro.

Hai mai avuto problemi con i cosiddetti “puristi”?

Il contrario di puro è sporco e, dato questo presupposto, rifuggo fortemente da questa contrapposizione. Quello che mi obbliga a stare dentro una struttura mi mette in difficoltà.

Come mai l’utilizzo del Fender?
L’ho riscoperto negli ultimi anni, soprattutto quando ero in tour con Irene Grandi. Mi sono divertito a suonarlo perché permette di creare sfumature diverse , è uno strumento vivo sotto le dita, mi mette a disposizione una notevole tavolozza di colori.

Nella canzone gli alieni danno un comandamento, quale?

Non lo dico, ognuno deve elaborarsi il proprio.

Come è nato il brano Microchip?
Negli Stati Uniti è possibile acquistare online dei microchip e darli ai propri figli così che possano sempre esser controllati. Questa cosa l’ho trovata  a dir poco raggelante e lo dico dal punto di vista di un genitore. È pericoloso far passare che possa essere utile l’idea di un mondo di persone controllate, penso che siano molto meglio le differenze e che il mondo in realtà sia solo pieno di paura.

A cosa ti sei ispirato per un’interpretazione del napoletano così simile all’originale?

Mi sono ricordato di una scena che ho visto di recente ad Ischia, c’era una signora che si comportava in modo da tenere tutta la famiglia sotto controllo senza muovere un muscolo. Tirerei in ballo la cosiddetta “socialità ricorsiva”, un modus operandi molto diffuso in certi contesti e che si sposa perfettamente con il mood di “Microchip”.

Quanto hai modificato le cover che sono nell’album?
Tantissimo. Sono partito dal ricordo che avevo di quelle canzoni, dalla loro ossatura e ho trasfigurato il tutto

Parteciperesti al Festival di Sanremo?

Rifuggo l’idea di gara, potrei andarci però come ospite super pagato (ride, ndr)

Quali saranno i tuoi prossimi passi?

Non c’è nessun progetto di classica all’orizzonte, anche se mi piacerebbe tirare l’orchestra dalla mia parte. Ho un tour in arrivo e la trasmissione su Raitre, anche se per il momento è tutto un work in progress.  Suonerò live per il MiTo il 15 settembre all’Auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, in particolare eseguirò la “Rapsodia in Blu” di Gershwin con l’Orchestra Haydn di Bolzano mentre il 16 settembre sarò agli Arcimboldi di Milano per presentare per la prima volta in assoluto “Arrivano gli alieni”.

Cosa pensi dell’evento “Il jazz italiano per l’’Aquila”?

Non c’ero ma non so se sarei andato; tra l’altro ero anche impegnato per un altro concerto. So che c’era tantissima gente e che è stato un grande evento però non ho ben capito quale fosse il senso ultimo. In pratica il governo ha organizzato una cosa per ricordare che il governo doveva fare qualcosa che non ha fatto.

Che rapporto hai con la sua etichetta discografica?

Non abbiamo nessun contratto di esclusiva, di volta in volta rinnoviamo la nostra sintonia. Cambiano gli interlocutori in base ai progetti.

Tornerai anche a recitare?

A marzo sarò nel cast de “La Regina Dada” e gireremo i teatri. Siamo in fase di riscrittura. In passato avevo partecipato al drammatico provino del film “ E la chiamano estate”, fui chiamato dallo stesso regista e per questo convinto che alla fine sarei stato preso; alla fine il provino mi ha provato a tal punto che, quando mi hanno scartato, ho tirato un sospiro di sollievo.

 Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes

Tracklist

Alleanza

Quando quando quando

Sei là

Aquarela Do Brasil

The preacher

Matilda

Gato

Microchip

Mount harissa

Aural

Vino Vino

Un viaggio

Jurame

Arrivano gli alieni

You don’t know what love is

La Crisi di Luglio presenta l’ep di esordio, In Netta ripresa: “Le nostre canzoni sono stati d’animo”

La Crisi di Luglio

La Crisi di Luglio

La Crisi di Luglio è il duo pop composto da Daniele Ardenghi e Andrea Podestani. Entrambi bresciani, i due hanno pubblicato il loro primo Ep, “In netta ripresa” lo scorso 4 settembre per Warner Music. Il lavoro contiene il primo singolo “Vacanze a Rimini” e altre cinque canzoni inedite attraversate da un unico denominatore comune: la voglia di divertire e di divertirsi. Anche se il nome del duo è frutto di una fortuita ricerca su Wikipedia e si rifà al periodo immediatamente antecedente alla Prima Guerra Mondiale, la Crisi di Luglio è una realtà musicale che non si propone come band impegnata, le  canzoni del duo sono figlie di stati d’animo estemporanei e rappresentano delle composizioni da cui è possibile attingere diversi significati.
Abbiamo raggiunto Daniele Ardenghi al telefono, ecco cosa ci ha raccontato:

Le vostre canzoni sono figlie del vostro tempo e del modo in cui siete cresciuti. Partendo da questa considerazione, entreresti nel dettaglio delle canzoni che compongono l’ep “In netta ripresa”?
Siamo due ragazzi del Nord Italia e cresciuti vivendo momenti più e meno belli. Non ci sentiamo un gruppo socialmente impegnato, anche se parliamo di temi che hanno una portata storica importante. Raccontiamo di quello che siamo stati, includendo immagini anche contrapposte; quello che abbiamo vissuto ha impresso un marchio preciso non solo nei testi ma anche nel nostro modo di fare musica.

Il senso che avete dato alla vostra musica è quello di scrivere con la voglia di divertire e divertirvi senza risultare pesanti. Allo stesso tempo, però, avete definito la vostra forma canzone come una commedia al cinema: chi vuole, dopo, può anche riflettere. C’è una sorta di multistrato all’interno dei brani?

Quello che non vogliamo assolutamente fare è spiegare alla gente cosa deve fare e cosa ascoltare. Raccontiamo cose quotidiane in cui è possibile riconoscersi ed eventualmente facilitare un ragionamento. Il nostro obiettivo è che la gente possa fruire in maniera immediata delle nostre canzoni, certo, con un ascolto reiterato, è possibile andare oltre e cogliere qualcosa di più particolare. Ad esempio nel brano “Elicottero”, che chiude il disco, si parla di situazioni in cui magari si preferisce restare a guardare alla finestra quello che accade. In questo caso non intendiamo giudicare se sia giusto o meno tenersi fuori dalle situazioni, si tratta dell’espressione di uno stato d’animo, esattamente come avviene in tante altre nostre canzoni.

Vicinanza e scambio ma anche separazione e litigio caratterizzano il tuo rapporto con Andrea. Parlaci di questo amore-odio…

Escluderei la parola odio, più che altro possiamo dire che durante tutto il percorso che ci ha portato a convincere una realtà importante come la Warner Music, se qualcuno ci immagina a braccetto e con una bella unione di intenti, sbaglia. Purtroppo ci siamo scontrati parecchie volte, in ogni caso questo attrito ci ha dato ancora più forza e ha innescato una nuova energia.

In effetti siete stati molto prolifici durante quest’anno di lavorazione. Dei trenta brani che avete registrato ne riutilizzerete qualcuno per un progetto più legato alla vostra territorialità?
In realtà la cosa bella è che Brescia, la nostra città, è rimasta molto presente nonostante la forte scrematura in fase di lavorazione dell’Ep, durante la quale ci è stato chiesto di produrre canzoni che fossero più “generiche”. Scriviamo cose che vediamo intorno a noi, cose molto semplici.

la-crisi-di-luglio-in-netta-ripresa-ep

Il Lago di Garda è il vostro posto del cuore?
Sì, è un posto bellissimo. Quando si arriva qui sembra di essere al mare, soprattutto nella zona Sud dove quasi non vedi l’orizzonte. Per me questo è un grandissimo regalo della nostra terra ed è a due passi da casa… è un po’ la nostra parola magica. Non a caso la canzone che si riferisce a questo posto è quella che ha richiamato l’attenzione della Warner Music un anno fa, è il nostro talismano.

Parli di “Buongiorno Morea” che, tra l’altro, è nata da un sogno che hai fatto tu l’anno scorso…
In generale non sono particolarmente credente nel destino, in questo caso però la sensazione con cui mi sono svegliato quella mattina era veramente bella. Ho come pensato che il subconscio mi volesse fare una carezza, ero così contento che quella parola significasse amore che mi ha ispirato una canzone, proprio quella che ha segnato il nostro arrivo alla nostra etichetta.

Visto che non avevate intenzione di creare un vero e proprio gruppo, ad oggi, con un progetto ben definito, che sta già ottenendo dei buoni riscontri, come vi sentite e che tipo di prospettive avete?


Siamo un pò frastornati. Non possiamo parlare di grande successo ma ci stanno arrivando un po’ di risposte e siamo molto contenti, potremmo definirci “Confusi e felici”, per dirla alla Carmen Consoli. Malgrado ciò le diversità tra me e Andrea sussistono, le buone cose che stanno succedendo non hanno fatto in modo che si smettesse di far volare pugnali però siamo in preda ad una forza positiva. Per quanto riguarda il futuro, così come canto in “Elicottero”, restiamo a guardare dalla finestra. Non so davvero cosa accadrà, spero solo che le nostre canzoni, in qualsiasi modo e in qualsiasi forma, possano entrare nelle orecchie del maggior numero di persone possibile.

Perché sei fan della band I Cani?

La cosa bella de I Cani è che hanno fatto un disco su Roma, la Roma che conoscono in pochi, non quella da cartolina. Anche io che ci sono stato solo in veste di turista, attraverso le loro canzoni ho potuto conoscere delle cose e mi sono sentito attratto dal mondo che loro hanno disegnato. Questo modo di trattare la loro città con amore, ma anche con schiettezza, mi ha fatto scattare qualcosa dentro, mi hanno fatto capire che per essere vero e autentico al 100% dovevo partire dal posto in cui ero, cioè Brescia.

Immaginando un ipotetico concerto de “La Crisi di Luglio”, cosa inserireste in scaletta?
Al momento vorremmo far ascoltare al pubblico solo musica nostra, sarebbe un concerto di due ragazzi di 30 anni, ma che ne dimostrano molti di meno, mediamente piacenti, che racconterebbero la loro musica con chitarre roboanti e con tanta voglia di godersi il momento.

Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes

Video: Vacanze a Rimini

Nesli presenta il dvd live ed il suo primo libro intitolato “Andrà tutto bene”. L’ intervista e la recensione

COVER_NESLI

Incontriamo Nesli nel megastore della Mondadori in Piazza Duomo a Milano per la presentazione di “Andrà tutto bene – live edition” ( pubblicato per Universal Music) e del suo primo libro “Andrà tutto bene” (sottotitolo: quel che ho imparato dai momenti più difficili), in uscita il prossimo 8 settembre. Emozionato, felice, leggermente teso, entusiasta ma soprattutto umile. Francesco Tarducci dice di non non essere un vero scrittore, lui che della scrittura ne ha fatto uno strumento terapeutico,  è, in verità,  un “cacciatore di parole belle per spiegare quello che non si può dire”. In questo suo primo libro, l’artista ha portato avanti un lungo processo di autoanalisi, coadiuvato da Valentina Camerini. Si scrive anche a comando, scrive Nesli, ma più di tutto si scrive ciò che si prova; ed è esattamente così. Francesco si racconta  a cuore aperto, senza filtri e butta fuori tutto il suo dolore, quasi esorcizzandolo proprio mentre lo consuma, una catarsi personale a cui assistiamo rapiti ed emozionati.  Francesco scrive tanto e bene, cura i dettagli, inserisce dei distinguo tra maiuscolo e minuscolo dei versi tratti dalle sue canzoni, che tante volte sono più simili a delle poesie. La parola che ricorre più spesso in “Andrà tutto bene”  è “onesto”: Onesto: sentirti dire che non funzioni è dura. Onesto, a quel punto comincio a cedere. Onesto. Dovrebbe essere il periodo più brutto della mia vita. E invece. Mi sento libero in maniera selvaggia, circondato da vita. E felice, nonostante tutto.  Ecco, l’onestà è lo strumento chiave attraverso il quale Nesli rilegge se stesso, stimolando anche noi lettori a fare lo stesso. Senza dire di no a nulla, senza negarsi nulla, Nesli racconta di come ama perdersi nelle esperienze, avanzando seguendo semplicemente il proprio istinto, perennemente in conflitto tra parti diverse. Andando avanti per tentativi e sensazioni, l’artista è riuscito a scrollarsi di dosso i drammi del passato ma soprattutto ha sconfitto il pregiudizio, la dannata bestia nera con cui il cantante ha imparato a misurarsi per tutta la vita e che oggi rappresenta la base per una nuova e ferma consapevolezza.

Intervista

Come è nata l’idea di pubblicare il dvd live?

Sono reduce da una tournée pazzesca che mi ha permesso di cantare in location prestigiose con diversi sold out.  Abbiamo deciso di pubblicare questo album per la band che c’era, per il suono, per la location e proprio per come è stato strutturato. Si tratta di una finestra sul mio mondo musicale.

 E la scelta di pubblicare il libro?

Scrivere un libro è difficile, è un processo lungo, di elaborazione e bisogna avere un minimo di nozioni di narrativa e di ordine. Per me si è trattato di un bel processo di analisi che mi ha richiesto un anno di scrittura, poi l’ho lasciato in un cassetto per una serie di problematiche, e solo in seguito l’ho ripreso aggiungendovi l’ultimo capitolo. Non c’è un ordine cronologico, racconto la mia vita attraverso i passaggi chiave. Ci sono anche stralci di pezzi inediti, che probabilmente vedranno presto la luce. Il racconto è affrontato in maniera cinematografica, l’ho scritto in maniera diretta, la lettura è come quella di un dialogo.

Qual è la stata la parte più difficile da scrivere?

Il capitolo più intenso è quello sulle famiglia, ritengo che al suo interno sia racchiusa la parte formativa del libro: il rapporto con i figli, la vita in provincia e le relative prospettive; è la mia storia e mi emoziona.

Che rapporto hai con il pregiudizio?

Io sono figlio del pregiudizio. So già che molti mi aspetteranno al varco e lo trovo avvincente. Anni fa vivevo malissimo il mio rapporto coi preconcetti, oggi invece rappresentano uno stimolo, qualcosa da sconfiggere. Quello che mi aspetto è che questo libro venga capito e che le mie parole non vengano travisate.

Quanto coraggio ci è voluto per raccontare te stesso ?

Ho imparato ad essere follemente ancorato alle mie idee contro tutto e tutti.

Credi che la scrittura del libro possa influenzare quella delle tue canzoni?

La scrittura e la musica vanno di pari passo, ho sempre fatto un tipo di musica che parla tantissimo di me, ho scritto un libro che parla di una persona che fa proprio quella musica. Il mio modo di scrivere canzoni ha influenzato la scrittura e viceversa.

4750491_MINTPACK_4_1COL.indd

Ti è mai capitato di essere preda della sindrome del foglio bianco?

Mi è capitato quando facevo rap. Oggi non scrivo se non ho almeno un quarto di strofa figa in testa. L’aver ammesso di non fare più rap è stato utile in questo senso, sento di avere maggiore libertà creativa, il mio tipo di musica mi rendeva meno efficace nel mondo rap e capirlo mi ha aperto nuove prospettive.

Cosa rappresenta per te la farfalla? L’hai scelta per la copertina del libro ed era presente anche nella scenografia del tour…

Preferisco lasciare libera interpretazione… Posso solo dire che per me ha una doppia valenza: da un lato rappresenta una rinascita, dall’altro mantiene insita in sé il mio lato più dark.

Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes

Intervista a Gloria Bennati: “Vortice” mi ha liberato dalle angosce che mi portavo dentro”

10389024_897923790268033_1426269346377874280_n

Oggi vi presentiamo una giovane cantante toscana di venticinque anni. Il suo nome è Gloria Bennati e il suo brano d’esordio, “Vortice”, composto da Domenico “GG“ Canu, Sergio Della Monica, Sandro Sommella, con i testi di Roberto Angelini e di Marracash, è stato prodotto dai Planet Funk. Gloria Bennati ha iniziato la sua preparazione musicale frequentando l’Accademia di canto di Luca Jurman a Milano e di Luca Bechelli a Firenze, poi ha perfezionato gli studi seguendo lezioni di canto lirico, come soprano lirico puro, con Maria Luisa Bettarini, moglie del compositore italiano Luciano Bettarini (a suo tempo insegnante di Andrea Bocelli) e partecipando a numerosi concerti. Ha lavorato anche con il maestro e compositore Fio Zanotti. Attualmente è impegnata in studio, tra la Toscana e Londra, alla realizzazione di nuovi brani prodotti da Gigi Canu (P.Funk), con la collaborazione di Marco Baroni (P. Funk) e Roberto Angelini. Ecco l’intervista con cui avrete la possibilità di conoscerla meglio.

“Vortice” è il titolo del tuo singolo d’esordio. Una canzone che racchiude un punto di svolta dei tuoi ultimi anni e che vanta collaborazioni importanti come quella di Roberto Angelini per la stesura del testo, il featuring con il noto rapper Marracash e la produzione dei Planet Funk.  Ci racconti in che modo hai vissuto l’approccio con questa canzone sulla tua pelle e i dettagli delle singole collaborazioni?

Questo brano è stato un fulmine a ciel sereno. Dopo diversi anni che lavoravo dietro le quinte provando, da interprete, a cantare canzoni scritte da altri, mi è arrivato questo pezzo tra le mani ed stato come se da un certo punto di vista avessero conosciuto la mia storia e quella esperienza che nel mio piccolo avevo  vissuto. Ho conosciuto i Planet Funk tramite il mio manager Marco Marati, sono sincera, prima di conoscermi erano titubanti a lavorare con un ragazza alle prime armi come me, poi dopo un provino pianoforte e voce, per fortuna, sono riuscita a conquistarli. Così abbiamo iniziato a lavorare su “Vortice” dandole un’ impronta pop elettronica e ne sono felice perché adoro il loro tipo di musica. Dato che mancava ancora il testo,  è stato proposto a Roberto Angelini di scrivere il testo; le sue parole hanno creato una sorta di magia. Quando ho letto il testo per la prima volta mi sono commossa profondamente, vivevo esattamente quelle emozioni, quel grigiore, quella speranza di vivere in modo migliore, la mia vita. La canzone può avere varie interpretazioni, può essere un amore finito male, una dipendenza da farmaci, la rincorsa verso un sogno difficile da realizzare. Alla fine ci ritroviamo nella speranza comune di uscire da questo vortice di sofferenza, che molto spesso ci creiamo da soli, con le nostre insicurezze e con le nostre paure. Cantare questa canzone per me è stata una liberazione da tutte quelle angosce che da tempo mi portavo dentro. A livello artistico penso che non mi potesse capitare occasione migliore, mi piace la produzione che i Planet Funk hanno fatto sul pezzo ed insieme siamo riusciti a creare un mondo nuovo che spero incuriosisca anche gli ascoltatori.

Hai studiato canto lirico ma hai frequentato anche l’accademia di canto di Luca Jurman a Milano e quella di Luca Bechelli a Firenze. In che modo questa miscela di studi ha forgiato la tua espressione vocale?

Studio canto da quando avevo 11 anni, sin da bambina ho avuto tanta voglia di imparare e di migliorarmi. I miei primi fan sono stati i mie nonni, le mie sorelle e i miei genitori che stavano ore ad ascoltarmi cantare. Mia madre mi portava a tutte le lezioni di canto, ai concerti gospel in chiesa, ad iscrivermi i concorsi, a spronarmi a studiare canto lirico, non ce l’avrei mai fatta senza di lei. Sono state tutte queste esperienze a portarmi dove sono oggi. Jurman mi ha aiutata in un momento della carriera dove la mia voce non era al massimo e mi ha insegnato come usarla al meglio, con Luca Bechelli, a Firenze, ho cantato più di 100 provini capendo davvero per quale genere musicale fossi portata. Poi c’è Fio Zanotti, senza di lui non sarei mai riuscita a comportarmi in uno studio di registrazione come si deve ed infine Maria Luisa Bettarini, che strano a dirsi, mi ha insegnato ad usare il cuore, il canto lirico mi ha dato più di qualsiasi altro studio abbia fatto fino ad ora. Tutte queste infarinature mi hanno portata ad avere le sfumature vocali che ho e molto probabilmente ad esaltare quello che già avevo dentro ma che non sapevo di avere.

Ci racconti il tuo insolito legame artistico con i Planet Funk?

 Con i Planet ho conosciuto un mondo che non sapevo potesse esistere, fatto di luci psichedeliche, solo con loro sono riuscita a crearmi un mia vera identità, hanno tirato fuori qualcosa in me che nemmeno sapevo di avere. Penso che il rapporto umano che si viene a creare con il tuo produttore artistico sia fondamentale, quando sei studio deve esserci serenità ma soprattutto fiducia. Con Gigi Canu dei Planet Funk, che tra l’altro sta producendo i miei prossimi pezzi, si è creato un rapporto di amicizia e di stima reciproca; insieme sperimentiamo moltissime cose ed io imparo ogni giorno qualcosa di nuovo, non smetterò mai di ringraziarlo per la mia crescita umana ed artistica.

Come è avvenuto il passaggio da interprete a cantautrice?

Le prossime canzoni le canterò da interprete, sempre con i testi di Roberto Angelini. Ho iniziato da poco a prendermi in considerazione come cantautrice, voglio essere brava a fare ciò faccio e Gigi mi sta aiutando anche da questo punto di vista.

I tuoi riferimenti musicali sono leggende della musica mondiale ma chi senti veramente affine alla tua sensibilità e al tuo modo di interpretare la musica?

Ho sempre ascoltato musica internazionale: adoro Florence and the Machine, London Grammar, Jessie J e tanti altri. Di cantanti storiche a cui mi sono sempre inspirata ce ne sono molte, citerei Etta James. Nina Simone, Janis Joplin. Ho sempre cercato di captare da questi grandi artisti tutto quello che potevo percepire, la sofferenza, il modo di cantare ma soprattutto la libertà con cui si esprimevano.

Qual è la formula musicale alla quale stai lavorando e cosa vorresti comunicare al tuo pubblico?

Sto cercando di  entrare in una fetta di mercato che in Italia viene a mancare. Come dicevo sopra, se prendiamo il brano “Vortice” in considerazione, possiamo evidenziarne un indirizzo pop elettronico che stiamo provando a mantenere anche nei prossimi pezzi. Spero di riuscire a crearmi una mia identità e ad esprimermi nel modo più limpido possibile.

Quali sono le tematiche di cui ti piacerebbe cantare nelle tue canzoni?

 Sono una ragazza di 25 anni come tante altre, con le sue paure i suoi sogni e i suoi dolori. Sarebbe meraviglioso se le persone che mi ascoltano, potessero ritrovare in quello che canto dei frammenti della propria vita, un ricordo o magari un’ emozione. Vorrei cantare di libertà, di spensieratezza e di emozioni semplici, quelle che tutti noi ogni giorno, anche senza accorgercene, viviamo.

In una recente intervista hai spiegato che vorresti scrivere una canzone che sia incentrata sulla storia di una donna combattiva e vincente…che idee hai a riguardo?

Sì, in effetti stiamo già lavorando su questa tematica. La donna è vista spesso come un personaggio più debole o forse troppo sensibile. Io vorrei raccontare la storia di una donna che, nonostante la sofferenza subita, lotta per una rinascita interiore in nome dei propri valori.

Parlaci di te, dei tuoi hobby, dei tuoi passatempi preferiti, le ultime letture e qualche curiosità di cui finora non hai mai avuto occasione di parlare.

Una mia grande passione sono gli animali! Ho sette cani, sono i miei bimbi e adoro prendermene cura. Quando sono giù di morale, mi basta stare un po’ di tempo con loro per sentirmi subito meglio. Non c’è cosa più bella dell’amore incondizionato di un animale. Adoro anche  leggere: in camera ho una grande libreria, è il mio piccolo tesoro! Non ho idea di quanti romanzi possano esserci al suo interno, ormai ho perso il conto. Uno degli ultimi libri che ho letto è ”Il miniaturista” di Jessie Burton.

Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes

Video: Vortice

http://vevo.ly/pNNB8a

Appino: “Il palco è un non luogo, un punto di verità”

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

A distanza di due anni da “Il testamento”, Appino, leader dei Zen Circus, torna sulla scena musicale con un album completamente diverso dal precedente intitolato “Il grande raccordo Animale”.  Nel nuovo disco, il cantautore compie un viaggio senza meta tra testi intimi e solari, ballate risolute e beat taglienti. “Grande raccordo animale” (Picicca Dischi / La Tempesta / Sony Music), scritto quasi interamente nelle isole del Nord Africa, risente dell’influenza mediterranea, in un alternarsi tra metropoli e deserto, avvalendosi, tra l’altro, della produzione di Paolo Baldini (già con Africa Unite, TARM e tanti altri). In questa intervista Appino ci racconta questo suo nuovo lavoro senza trascurare delle interessanti osservazioni relative al proprio percorso artistico e alla scena musicale contemporanea.

Come nasce il “Grande raccordo animale”?

L’anno scorso ho avuto la voglia e la fortuna di viaggiare per piacere, cosa che non facevo da un bel po’, visti gli impegni con gli Zen e varie altre cose. Ho girato il mondo in 12 mesi  e l’album è nato in maniera molto leggera. Mi sono immaginato questa grande infrastruttura che collegava tutti i posti in cui ero stato, compresa Roma. In  fondo il Grande raccordo anulare circonda la città ma se non si esce, si gira in tondo per sempre…

Hai definito questo disco un carnevale di emozioni e persone, in che senso?

Rispetto a “Il Testamento”, che era un disco con un concept molto preciso, ovvero la famiglia italiana partendo dalla mia esperienza personale, questo è un disco libero, scritto in viaggio, quindi non ha un’argomentazione specifica se non il viaggio in sé. Ogni canzone ha una storia, c’è l’autocitazionismo classico anche degli Zen Circus e c’è l’amore, un tema che non avevo mai toccato. In verità tutto il disco è una cosa che non avevo mai fatto: le voci, la musica, i testi, è tutto diverso. Anche se sembra più leggero de “Il Testamento”, ho ancora più voglia di approfondirlo perché non c’è una linea guida generale.

Entrando nel dettaglio delle scelte stilistiche e degli arrangiamenti, come hai lavorato all’album?

Negli ultimi due anni, soprattutto l’ultimo, ho vissuto dei momenti personali molto forti, c’è stata la musica africana accanto a me, a tirarmi fuori un sorriso anche quando non avevo niente per cui sorridere. A questo aggiungerei anche tanto dub,  ho ascoltato pochissimo rock ed è forse anche naturale; sono 25 anni che suono e lavoro sul rock,  ho sentito l’esigenza di abbracciare la vita con un po’ più di solarità. Credo che i dischi vadano fatti non tanto per piacere al pubblico, quanto per portare avanti il proprio viaggio personale. La differenza sostanziale è che ho fatto sì che le cose andassero come dovevano andare senza  preoccuparmi del possibile riscontro.

Tu che vivi il pubblico sulla tua pelle come vivi l’uscita del disco?

Ho deciso di uscire d’estate perché è un disco dedicato al sole; una cosa per me poco convenzionale. Lo sto portando in giro con una band fatta di amici con un live molto bello che mescola sia “Il Testamento” che “Il grande raccordo animale” senza preferire l’uno all’altro; questo crea una scaletta continuativa veramente interessante. Mescolare le carte ci fa divertire da matti e questo si percepisce.

Grande raccordo animale_cover_b

Quali sono le differenze tra i tuoi progetti da solista e quelli con il gruppo, peso massimo della musica indipendente italiana?

Abbiamo un immaginario forte, veniamo dal punk e da una serie di ascolti nonchè da un tipo di etica che abbracceremo sempre. Siamo un po’ come dei personaggi dei cartoni animati che hanno sempre lo stesso vestito ma vivono avventure diverse. Raccontiamo cosa vuol dire vivere in questo paese oggi dai 16 ai 70 anni. Quando sono da solo tendo ovviamente a lasciarmi andare anche verso altri lidi. La cosa migliore che si può fare, sia nei confronti del pubblico, che di se stessi e fare quello che ci si sente. Quando sono negli Zen è come stare in una congrega di supereroi, una fortezza inespugnabile; sono con loro da quando avevo 16 anni, gli Zen sono famiglia.

Sei una delle penne più originali della scena musicale contemporanea, come ti inserisci all’interno di un contesto che dà sempre più spazio ai talent?

Non riesco ad immaginarmi come possa essere la vita di un musicista senza una storia fatta di scelte difficili, di gavetta, di passione e che non sia figlia di una scatoletta ridicola e finta come la televisione. Da qualche parte c’è del talento, della vera e pura voglia di fare, però mi fa pena che il suddetto talento debba essere giudicato da un mezzo così lontano dalla verità, quale è la televisione. Sono veramente pochi quelli che poi realmente escono con un bagaglio culturale tale da poter portare avanti un discorso musicale bello e interessante.

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Un bellissimo elenco di date live affolla la tua estate… faresti il punto sulla situazione sulla musica indipendente italiana e, più in generale, sui Festival?

La musica indipendente ha cambiato molto le direttive generali attraverso i social mentre mentre prima era un vero e proprio porta e porta. Anche adesso è così ma c’è molta discrepanza tra le realtà più piccole e quelle più grandi, non c’è più una via di mezzo, se non c’è un gruppo noto,  non si va a vedere il concerto e questa è una cosa che mi dispiace molto pur facendo parte dei cosiddetti “big”. Ci sono tanti Festival che hanno deciso di puntare su nomi non conosciuti; un esempio su tutti e il MIAMI, che quest’anno ha completamente rinnovato la line up. L’anno scorso si festeggiava il decennale e c’eravamo veramente tutti, quest’anno, invece, si è scelto di cambiare. Quello che farei io è cercare di smuovere un po’ il pubblico verso altri ascolti, nel frattempo io continuo a suonare, mi sento a mio agio sul palco che, per me,  è un non luogo, un punto di verità.

C’è qualche contesto musicale in cui avresti voglia di esibirti ma non ci sei ancora riuscito, per esempio all’estero?

All’estero è sempre bello andare, anche se andiamo sempre per  un pubblico italiano. Non è detto che un giorno possa tornarmi la voglia di tornarci facendo qualcosa di non italiano, questo non lo so…In realtà non ho grandi aspettative, anche perché le aspettative di solito sono fatte per essere mancate quindi mi limito a fare quello che mi piace! Ci sono tante cose che vorrei fare ma non mi metto lì con l’ansia a pensarci su. Una cosa è sicura: i teatri non li sento miei, quell’esperienza lì non la voglio ancora fare perché da noi la gente viene soprattutto per ballare…

Hai mai pensato di mettere nero su bianco quello che hai vissuto fin’ora?

Lo farò sicuramente, è una cosa a cui io e gli Zen pensiamo spesso  ma che, allo stesso tempo, ci spaventa un po’… forse perché è qualcosa che attesta che sei un vecchio, quindi aspettiamo di esserlo davvero! (ride ndr)

Raffaella Sbrescia

Acquista su iTunes

La tracklist di “Grande raccordo animale”: “Ulisse”, “Rockstar”, “Grande raccordo animale”, “New York”, “La volpe e l’elefante”, “Linea guida generale”, “L’isola di Utopia”, “Nabuco Donosor”, “Buon anno (Il guastafeste)”, “Galassia”, “Tropico del Cancro”.

 Video: La volpe e l’elefante

Intervista a Peter Truffa: “Vi presento Art School, il mio Ep da solista”

PeterTruffa&PandaEXP

PeterTruffa&PandaEXP

Dopo anni di tour e pubblicazioni in Italia con Giuliano Palma & The Bluebeaters e negli Stati Uniti con la New York Ska Jazz Ensamble, Peter Truffa si mette in gioco con “Art School”, l’Ep che segna il suo debutto da solista sulla scena internazionale. Il cantante e pianista newyorkese ha registrato il lavoro tra il Buffalo Stack Studio e il Mamma’s Place Studio a Woodstock, area settentrionale di New York. Le tracce che compongono la tracklist hanno come filo conduttore un autentico rocksteady corretto dal gusto tipicamente rock ‘n roll all’ americana. L’Ep offre, perciò, degli spunti indie reggae, con accenni di piano boogie e ska tradizionale. Il risultato è un viaggio a tappe all’interno delle varie evoluzioni che la musica giamaicana ha incontrato durante il suo lungo pellegrinaggio fra le diverse culture musicali occidentali. Abbiamo incontrato Peter Truffa per farci accompagnare per mano al centro di questo coinvolgente percorso musicale e umano.

Dopo un lungo ed articolato percorso artistico, ti stai avventurando in un’avventura in veste di solista. Perchè? Cosa ti ha fatto scoccare la scintilla?

La scintilla c’e’ sempre stata dentro di me. Io ho avuto la fortuna di lavorare con Andy Stack, chitarrista dello  NY ska jazz ensemble. Lui mi ha influenzato molto artisticamente e ha prodotto il disco con me. Andy è un musicista molto noto e influente, infatti a NY tutti conoscono il suo progetto Buffalo Stack.

Parlaci di “Art School”: perchè hai scelto questo titolo? Quali idee, prospettive, influenze,  storie, persone, ispirazioni racchiude questo album?

Art School racconta di come voglio vivere. Voglio sentirmi libero nel fare delle scelte per  non avere in futuro rancori o rimpianti. “Arte” per me significa essenzialmente la libertà assoluta nel creare qualcosa che ti piace e che ti fa stare bene, senza costrizioni imposte da altri.  Se non ti piace, perché devi farlo ?

Nella bio c’è scritto che questo progetto nasce esattamente nel luogo in cui hai conosciuto la musica quando eri soltanto un bambino. Potresti approfondire questo discorso, magari facendo un parallelo con allora?

In realtà penso che NY sia una città come tante altre. Sono le persone che rendono il luogo unico. Personalmente ho avuto la fortuna di essere fin da piccolo circondato da persone che mi hanno sempre stimolato molto. Lo scorso anno è morto mio nonno, si chiamava Pietro Truffa, ed era della provincia di Asti. Per me era il migliore. Una certezza e un importante punto di riferimento. Nel 1938 si è trasferito a NY e li ha vissuto il resto della sua vita. Lui credeva che i sogni potessero diventare realtà e, grazie ai suoi racconti, ci credo anche io.

“So Natural” è la traccia che si distanzia di più dalle altre, grazie al suono degli archi il risultato è veramente particolare. Qual è il tuo commento a questo brano?

“So Natural” è nata in modo molto naturale. Molte delle mie canzoni sono influenzate dal mio stato d’animo che determina il mio gusto in un determinato momento e fa si che una cosa mi piaccia e che l’altra no, non saprei spiegarlo in maniera razionale.

PeterTruffa&PandaEXP

PeterTruffa

Potremmo definire il sound di “The limit to your love” un “epic reggae”?

Sì direi proprio di sì, anche se mi auguro che il brano venga ricordato non tanto per  una fantomatica definizione stilistica quanto per le emozioni che è capace di trasmettere.

Come sintetizzeresti la tua decennale collaborazione con Giuliano Palma & Bluebeaters?

E’ stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano e professionale.

Che rapporto hai con Alberto Bianco?

Alberto è un mio amico e sono contentissimo del suo successo. Considero la sua musica molto speciale, il suo talento va al di là di ogni categorizzazione o definizione.

Come presenteresti la musica di “The Sweet life society” a chi non la conosce?

I Fratelli Sweet Life (Gabri, Matteo e Theo Melody) hanno saputo ricreare un suono che li distingue da tutto il resto. Io ho collaborato con loro nel 2009 quando il progetto stava nascendo ed ho capito che la musica è al secondo posto, prima viene il cuore.

PeterTruffa_foto2

In cosa consiste il progetto ska-boogie italiano?

Sappiamo che lo Ska in Giamaica arriva prima del reggae e del rock steady. Boogie è quando balli per sfogarti. Boogie boogie invece è un particolare modo di suonare il pianoforte legato all’immaginario Blues di New Orlenas. Lo ska – boogie è quindi un miscuglio di queste cose.


Che tipo di concerto offri al tuo pubblico?

Mi auguro di riuscire a trasmettere tantissima energia ma soprattutto cuore. Il pubblico è ovviamente sempre il ben venuto soprattutto se si lascia trasportare dalla musica. E come dico sempre: “se mi vedessi morire sul palco prendi il mio corpo e fammi ballare”…

Raffaella Sbrescia

Video:

Intervista a Dodicianni: “Ora c’è spazio solo per me, la mia band e migliaia di km davanti!”

 

Andrea Dodicianni

Andrea Dodicianni

“Piccadilly Line” è il nuovo singolo di Andrea Dodicianni e anticipa l’album da poco ultimato a Los Angeles sotto la guida di Howie Weinberg (Nirvana, Muse, Metallica, Jeff Buckley ecc.). Diplomato in Pianoforte al conservatorio e laureando in Storia della musica, Andrea ha all’attivo più di 400 concerti. In questa intervista  il cantautore ci ha spiegato che, dopo aver vissuto studiando qualcosa, ora vuole semplicemente dedicarsi alla musica e percorrere tanti, tanti chilometri…

 ”Piccadilly Line” è il titolo del brano  che anticipa il tuo album. Di cosa parla questa canzone? Come e con chi ci hai lavorato e cosa intendevi esprimere?

Questo pezzo è nato a Londra proprio nella Piccadilly Line alle 18 di una sera di qualche mese fa ed è stato l’osservare l’incedere frenetico e noncurante delle persone a farmi chiedere come sarebbe stata una storia d’amore nata lì, come sarebbe potuta andare insomma. Ci ho poi lavorato col produttore di questo lavoro Edoardo “Dodi” Pellizzari mentre il tocco magico finale l’ha dato Howie Weinberg con un master che mi ha davvero spiazzato.

Quali saranno i temi, le strutture musicali e gli obiettivi espressivi contenuti nel tuo lavoro discografico?

Principalmente sono un cantastorie perciò le canzoni sono appunto piccole storielle che non richiedono strutture musicali incredibili, anzi, cerco sempre di usare il minor numero di accordi possibili con melodie molto semplici, la musica non è una gara.  Ci sarà, invece, un grande lavoro concettuale nell’artwork e nelle scenografie che già portiamo in palco con noi nei live.

Sei laureando in storia della musica. Su cosa incentrerai la tua tesi di laurea e quali sono le scoperte che, più di altre, hanno segnato il tuo percorso di studi?

Verterà su una comparazione tra l’originale e una rilettura in chiave moderna di un manoscritto inedito di una stampa Petrucci, cose noiose insomma, sinceramente il mio percorso universitario non mi è stato di grande aiuto per la mia crescita musicale, fortunatamente è corredato di altri corsi di storia dell’arte e storia pura che hanno stimolato molto il mio interesse. Vado fiero invece della mia laurea al conservatorio di Adria in pianoforte. Paragono questo percorso ad un parto, il dolore credo sia simile tra l’altro…

Che rapporto hai con il pianoforte? In quali momenti e in quali contesti ti senti più a tuo agio con i tasti dello strumento?

Ho un rapporto di amore/odio. Dopo dodici anni di studio si crea un rapporto simbiotico ma anche di sincera repulsione. Purtroppo nel percorso creativo non riesco a far uso del pianoforte, preferisco la chitarra che suono amatorialmente, mi da più stimoli. Considero il mio rapporto col pianoforte come quei matrimoni della durata di quarantanni:  sì ok, c’è e ci sarà sempre stima e rispetto, ma in quanto a stimoli… scarseggiano.

Tu che hai all’attivo centinaia di concerti, come vivi la dimensione live?

La parte live è quella che preferisco di questo lavoro. Che brutta la parola lavoro, la sostituisco subito, viaggio. Ho la fortuna di condividere il palco con persone che sono diventati fratelli: in primis Jack Barchetta, bassista ma anche capobanda, quello che detta impegni ed orari insomma; poi il bimbo della band Daniele Volcan, batterista, e Francesco Camin, cantautore trentino col quale divido palco e tour da un anno, davvero un grande amico e artista. Il suo unico difetto? Finiti i live fa “il trentino”, per l’appunto, e vuole subito andare a dormire in furgone, mentre io e Jack…

Hai composto il tuo Ep “Canzoni al buio” tra le tende dei terremotati in Emilia… cosa hai provato in quella situazione e perchè hai scelto di comporre lì?

In verità non l’ho scelto, mi sono trovato calato in una situazione emotivamente molto intensa, ero volontario tra i campi tenda come musicista, avevo una Opel Zafira, un cuscino e una chitarra e la notte da dedicare a me, è successo insomma.

Come in una sorta di diario, parlaci di te, dei tuoi hobby, dei tuoi ascolti e di quello che più di ogni altra cosa vorresti realizzare nonostante tutto e nonostante tutti…

Sono nato in un paesino della provincia di Venezia di nome Cavarzere e ho moltissime manie! Ve ne svelo qualcuna: mangio solo pesce e pizza, amo l’arancione, l’arte concettuale, il baseball e la California, mi fa schifo lavare i piatti, in compenso lavo una ventina di volte al giorno le mani, ho paura degli aghi e ho una decina di paia di scarpe tutte uguali.
Non sogno nel mio futuro di riempire gli stadi, non è nelle mie priorità, sogno invece di continuare a fare per vent’anni la vita che sto facendo ora, ho passato tutti i miei primi vent’anni a studiare qualcosa, prima il diploma da geometra, poi pianoforte, poi contrabbasso, poi l’università, ora basta, c’è spazio solo per me, la mia band e migliaia di km davanti!
Ah, abbiamo un paio di sedili in più in furgone se qualcuno volesse aggregarsi.

E dimenticavo… in furgone si ascoltano solo Tom Petty e Kid Rock!

Raffaella Sbrescia

Video: Piccadilly Line

Intervista agli Zois: “Le nostre creazioni seguono l’istinto”

Zois

Zois

 

Nato dall’incontro di Valentina Gerometta e Stefano di ChioZois è un gruppo musicale nato a Bologna e condensa l’esperienza maturata sul campo dai propri componenti in un progetto caratterizzato da una forte vena  sperimentale.
Il linguaggio musicale degli Zois mescola con leggerezza generi apparentemente anche molto distanti tra loro con un risultato sempre degno di considerazione.
Per l’album d’esordio gli Zois hanno coinvolto anche il chitarrista Alessandro Betti e il batterista Ivano Zanotti e, tra le tracce che lo compongono, spicca l’illustre collaborazione con il prematuramente scomparso artista Pino Mango, sia per la realizzazione di una originalissima cover del suo famoso brano “Oro” che per la scrittura a quattro mani di un brano inedito. Grazie a questa intervista, abbiamo avuto modo di conoscere da vicino il modus operandi degli Zois e la grande passione che li spinge a sperimentare per offrirci nuove esperienze di ascolto.

Zois in greco vuol dire “vita”; quali sono gli elementi che contraddistinguono questa forte connotazione dinamica della vostra musica e della vostra compagine più in generale?

La creazione di una cosa nuova, sia essa un essere vivente o una canzone, parte sempre da un’altra cosa che le è preesistente e il rapporto che lega questi due elementi è di appartenenza e indipendenza allo stesso tempo. Forse è questa l’idea che meglio spiega il nostro modo di intendere la musica: creare le nostre canzoni e contaminarle con tutto il patrimonio genetico musicale che siamo riusciti ad mettere da parte nella nostra esperienza. Ci piace rendere espliciti i nostri riferimenti, giocare con gli arrangiamenti e accostare elementi che solitamente appartengono a mondi separati. E’ così che catturiamo un suono dal mondo esterno e lo facciamo diventare un suono Zois. E, cosa più importante, cerchiamo di farlo seguendo l’istinto. Il risultato a cui arriviamo deve essere la strada naturale che quella canzone ci ha indicato, non un complicato esperimento fine a se stesso. Se ci si pensa, la vita, la “creazione” è la cosa più semplice che ci sia, nonostante porti dentro se processi complessissimi e ancora a sconosciuti.

Contaminazione e sperimentazione attraversano il vostro modus operandi… quali sono i vostri modelli e riferimenti?

Di musica ne abbiamo ascoltata davvero tanta e l’elenco dei grandi musicisti a cui ci ispiriamo, da questo punto di vista, è veramente lungo. Abbiamo cercato di attingere dall’esperienza di tutti quegli artisti che nei decenni hanno contaminato il pop e il rock: i Beatles, Bowie, i Talking Heads, Bjork, i Radiohead.

Quali, invece, le prospettive più specificamente legate alle vostre prossime creazioni musicali?

Ci stiamo spingendo più a fondo lungo la strada che abbiamo intrapreso con questo nostro primo album. Con questo disco abbiamo imparato a fidarci più delle canzoni e a seguirle senza timore anche in territori sconosciuti, mantenendo sempre le orecchie aperte su quello che ci accade attorno musicalmente. Personalmente mi piacerebbe approfondire il rapporto tra la voce utilizzata come strumento e l’elettronica…ma è tutto un percorso in via di sviluppo, chi può dire dove ci porterà!

La vostra originale rilettura di “Oro” ha incontrato il favore e la collaborazione di un grande artista come Mango. Potreste parlarci del vostro rapporto con lui e con sua moglie?

Con Mango è subito scattata un’empatia speciale. Dobbiamo dire che lui ha reso tutto facile, perché ci ha accolto con un affetto e un calore che non ci saremmo mai aspettati da un grande della musica. E questo affetto lo ha dimostrato anche con i fatti, non solo a parole, perché si è prodigato in ogni modo e con massimo entusiasmo per permettere a questo progetto di uscire. Quando provi a muoverti nell’ambiente musicale, speri sempre che arrivi qualcuno che creda in te, che ti prenda per mano e ti aiuti a capire, a imparare. Mango per noi ha rappresentato la grande conferma che aspettavamo e, per il poco tempo in cui abbiamo potuto stargli vicino, abbiamo cercato di assorbire come spugne tutti i consigli e le indicazioni che ci dava. Era un artista ed un uomo molto generoso, è stato un onore poter collaborare con lui.

Per descrivere il rapporto con Laura Valente ci riesce difficile usare parole più belle di quelle che lei stessa ci ha riservato, nella lettera in cui ha voluto presentare Oro. A Laura siamo particolarmente grati per averci sostenuto in un momento così duro della sua vita: è una donna dotata di una forza straordinaria e di una rara sensibilità. E poi lei è Laura Valente: potete immaginare cosa ha significato per noi ricevere quelle parole di apprezzamento da un’artista così?

A breve pubblicherete anche un album di inediti…cosa dovremo aspettarci? Quali saranno i temi e le linee guida con cui dovremo ascoltarlo?

Dal punto di vista del suono, l’album seguirà la strada tracciata da “Oro”. Innanzitutto è un disco di canzoni, con un’anima rock e una melodia pop. Il consiglio è di farsi prendere per mano proprio da loro, dalle canzoni, ed attraversare tutto il disco come se fosse un viaggio attraverso tanti scenari diversi. Di fatto è un disco che si può anche “vedere” oltre che ascoltare. Ogni canzone è nata da un’esperienza reale e racconta il mondo attraverso le emozioni che quell’esperienza ha generato. Il disco non parla solo di fatti privati, personali, ma anche del momento sociale che stiamo vivendo. Noi abbiamo scelto, però, di farlo sempre attraverso gli occhio dell’individuo e dei suoi sentimenti, perché la soluzione parte sempre da se stessi e da un sereno contatto con il proprio mondo emotivo.

Che tipo di inedito è quello che avete realizzato con Mango?

Il brano che abbiamo scritto insieme a Mango si intitola “Stella Contraria”, ha una grande importanza per noi. Quando Pino Mango ci ha proposto di scrivere il testo per la sua musica e di arrangiarla, eravamo entusiasti della grande occasione che ci stava offrendo. Ne è uscita una canzone molto intensa, con una particolare fusione tra la melodia, che porta il marchio inconfondibile di Mango, e il nostro mondo sonoro.

Avete altre collaborazioni in corso?

Al momento no: negli ultimi mesi ci siamo concentrati sulla chiusura dal nostro disco. Speriamo però di poter ripetere presto l’esperienza di lavorare con altri artisti. La condivisione e il confronto sono sempre il teatro dei migliori spettacoli.

Per quando riguarda il live, qual è il vostro contesto ideale e che tipo di concerto proporreste al vostro pubblico?

Il contesto ideale è qualsiasi palco con un pubblico disposto a dedicarci la sua attenzione e che abbia voglia di emozionarsi. Il nostro live è molto energico, è un concerto in cui bisogna lasciarsi andare.

Raffaella Sbrescia

Video: Oro

Segui la tua stella: Mauro Brisotto presenta il suo progetto di sostegno al Nepal

Cover_Mauro Brisotto_b

 Musica per vivere, crescere, aiutare il prossimo e sentirsi vivi. Questo è il mantra del cantautore di Pordenone Mauro Brisotto che, con il nuovo singolo “Segui la tua stella”, ha dato vita a un progetto di solidarietà,volto ad aiutare le famiglie colpite dal terribile terremoto avvenuto in Nepal lo scorso 25 aprile.  

Tutti i proventi ricavati dalla vendita del brano  andranno ad alimentare la raccolta fondi per il progetto di costruzione di 100 shelter d’emergenza realizzati con materiali recuperabili sul territorio e riutilizzabili, poi, per la copertura delle abitazioni definitive. In questa intervista, l’artista ci ha raccontato tutti i dettagli di questa  meravigliosa avventura senza, ovviamente, trascurare tutte le news relative ai prossimi progetti musicali.

Quali parole useresti per spiegare il termine solidarietà?

Le parole per spiegare il termine solidarietà sono: Credere, Amare, Sacrificarsi, Imparare.

Perchè hai scelto di aiutare la popolazione del Nepal e cosa provi ogni singolo giorno pensando che la tua musica regala nuova speranza ad altre persone?

Ho scelto di aiutare la popolazione del Nepal in quanto sono già diversi anni che aiutiamo un nostro amico nepalese e, con quello che è accaduto lo scorso aprile, ci siamo sentiti in dovere di aiutare questa splendida popolazione che sorride continuamente nonostante la tragicità di quello che è successo. Pensare che in qualche modo una mia canzone possa aiutare questa popolazione mi rende veramente orgoglioso e fiero, mi dà un gran senso di serenità è perché vuol dire che molte persone hanno colto il messaggio e nel loro piccolo contribuiscono anche loro a rendere questo progetto ancora più speciale

In cosa consiste il progetto nello specifico e quali prospettive potrà dare alla popolazione locale?

Oltre al lato musicale che prevede che tutte le vendite di iTunes vengano destinate al popolo nepalese ci siamo attivati per una raccolta fondi e di vestiario. L’ultima volta che ci siamo recati in Nepal a fine giugno siamo riusciti a portare 4 quintali di vestiario per i bambini di una scuola e nell’ ospedale della capitale, inoltre abbiamo costruito 60 Shelter, delle strutture in ferro con dei pannelli di lamiera che servono per dare riparo a nuclei famigliari di circa 4/5 persone e in più ne abbiamo acquistati altri 50, i quali sono stati montati direttamente da abitanti stessi. Nella prima spedizione, invece, mia sorella ha acquistato generi alimentari per la popolazione, circa 3 tonnellate di riso, lenticchie e beni di prima necessità. Ora stiamo ultimando la raccolta degli indumenti che, nel mese di Settembre, se tutto va bene, spediremo in Nepal con un container, sono centinaia di cartoni di vestiario per bambini e adulti, oltre che alle coperte e i sacchi a pelo.

 Di cosa parla il brano “Segui la tua stella” e in che modo le immagini del video si legano alle parole della canzone?

La canzone vuole riassumere quello che è stato fatto per la popolazione nepalese e l’aiuto che abbiamo portato con tanta soddisfazione da parte nostra. Nel testo ho voluto sottolineare il fatto che il Nepal non deve sentirsi solo e che, nonostante tutto, c’è sempre qualcuno pronto a dare una mano con dei valori forti da trasmettere. Il testo si lega molto al video che ho girato con il mio telefonino, perché ho voluto creare un videoclip/documentario che serva a far riflettere un po’ di più la gente su quanto siamo fortunati rispetto ad altre persone che non hanno tutte le nostre comodità.

Mauro Brisotto in Nepal

Mauro Brisotto in Nepal

Anche tua sorella Claudia si è attivata per la stessa causa e presto tornerà sul posto….ci racconti nel dettaglio il suo contributo?

Mia sorella è stata la prima a partire e subito dopo il terremoto si è recata in Nepal da sola portando con sé qualche quintale di vestiario….è stata l’organizzatrice di queste due spedizioni in quanto si è attivata per avere dei permessi speciali aeroportuali e delle compagnie aere per riuscire a portar via più materiale possibile. Essendo comandante di linea per Air Dolomiti (Lufthansa) è riuscita ad avere degli aiuti nelle spedizioni. Ad ottobre si recherà nuovamente in Nepal per gestire il materiale che spediremo e provvedere per quanto possibile all’acquisto di altri Shelter in base ai soldi che riusciremo a raccogliere. Si è presa la responsabilità di contattare diversi artigiani della capitale per avere dei preventivi dettagliati e confrontare i prezzi per riuscire a costruire più Shelter possibili.

Come nasce la tua passione per la musica? A quale genere e a quali tematiche ti senti più affine?

La mia passione per la musica nasce quando avevo 10 anni circa. Ho iniziato subito con lo studio del pianoforte per poi passare al sax e alla batteria. Il mio genere preferito è lo Swing e il Rockn’roll. Mi piace molto la musica italiana degli anni 80’ anche se onestamente ascolto un po’ di tutto. Tra i miei artisti preferiti ci sono Elton John, Battisti, ultimamente Il Volo e Tom John.

Stai componendo nuovi brani?

Certo! Da settembre inizieremo a registrare in Studio un nuovo CD con i miei brani inediti; spero che per fine anno possa essere ultimato

Sul fronte live? Hai date in programma?

Abbiamo parecchie serate live dove proponiamo per l’Italia tutte le più belle canzoni Cover dagli anni 60’ ad oggi e alcuni miei brani. Per l’estero abbiamo un repertorio di canzoni classiche italiane che vanno da Ramazzotti, Ricchi e Poveri, Al Bano, Toto Cotugno oltre che brani internazionali.

Mauro Brisotto

 Cosa dovremo aspettarci dal tuo prossimo lavoro?

Stiamo lavorando bene con l’estero, infatti ad ottobre avremo due serate in Camerun sponsorizzate dalla moglie del Presidente dove proporremo un repertorio classico italiano ed internazionale. Portare la musica Italiana all’estero mi dà molta soddisfazione e orgoglio.

Hai pensato di coinvolgere qualche collega nei tuoi progetti?

Nella canzone “Segui la tua stella” ho coinvolto due carissime amiche che sono delle splendide cantanti, Mirna Brancotti (Amici con Maria de Filippi) e Silvia Smaniotto (ex corista di Elisa) In questa canzone ho voluto espressamente la loro collaborazione per dare più senso al brano, per fare sentire più voci e rendere l’idea che ci sono più persone che credono e hanno lavorato a questo progetto.

Raffaella Sbrescia

Video:

Previous Posts Next Posts