Graham Candy presenta “Plan A”: un album privo di etichette ma colmo di sogni

Graham Candy ph. Michèl Passin

Graham Candy ph. Michèl Passin

Graham Candy è un giovane cantautore proveniente dalla Nuova Zelanda, di recente ha abbracciato la cultura europea trasferendosi a Berlino, sempre più punto d’avanguardia in fatto di musica e non solo. “Plan A” è il suo primo lavoro discografico, prodotto da BMG e registrato con il duo di produttori tedeschi Feeling Valencia con i quali ha già collaborato per l’EP “Holding Up Balloons” uscito a marzo 2015 per BMG Rights Management (Italy). Proprio grazie all’ascolto delle tracce che lo compongono possiamo scoprire la fame, la grinta e l’entusiasmo con cui questo ragazzo lavora. Scoperto in un piccolo bar di Auckland, Graham Candy osanna la cultura del lavoro sodo in nome della realizzazione dei sogni, odia le etichettature, ama circondarsi di collaboratori che sono innanzitutto amici e nelle sue canzoni narra in primis di se stesso e dei propri trascorsi. Che sia attraverso un arrangiamento dance o una performance acustica, la voce di Graham Candy, riesce a fare esattamente tutto ciò che vuole. Parallelamente alla sua carriera musicale, il giovane artista ha trovato il tempo per la sua altra passione, ovvero la recitazione; tra tutte le sue esperienze citiamo il remake di Footloose, in “Spring Awakening”, e la prova con Keisha Castle-Hughes nel film “Queen of Carthagening”.

 Tornando a parlare di “Plan A”, citiamo subito “Home”, un brano decisamente intimo: «L’ho composta da solo al piano, per dire che sono andato via ma non dimentico da dove arrivo. Anche se adoro l’Europa, la Nuova Zelanda non è certo un posto facile da dimenticare. In questa canzone parlo della mia famiglia e di un momento particolarmente vulnerabile. Tutta la storia di “Plan A”, in effetti, è figlia delle pressioni che ricevevo dagli insegnanti e dei sogni che facevo in quel periodo. Questa è la mia rivincita nei confronti di tutti quelli che dicevano che non ce l’avrei mai fatta», spiega Graham. Carica e seducente è la ritmica di “Back Into It”: «Il ritmo è sempre molto presente. Questa canzone intente essere la spina dorsale del disco, parla di farcela e riuscirci nella vita, quindi anche se è molto ritmata, occupa un posto speciale nel mio cuore».

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A determinare un ruolo rilevante all’interno del progetto è anche la permanenza berlinese di Graham: «Vivo stabilmente a Berlino, in Nuova Zelanda per me era troppo facile rilassarmi. Mi ci voleva una città che favorisce l’incontro tra gli artisti. Il più delle volte ci si trova a Kreutzberg, il posto dove sono concentrati molti dei 45 studi di registrazione in città. Da quando vivo a Berlino sono molto più concentrato, posso dire di aver lasciato a casa il ragazzo ed essere diventato un uomo», racconta Graham Candy. Decisamente originali anche la copertina ed il booklet del disco: «La copertina dell’album è, in realtà, un lunghissimo poster che raffigura un torciglio di mille oggetti come orologi, vulcani in eruzione, piante, chitarre e mongolfiere. Il disegno ha richiesto moltissimo tempo ma ci tenevo a dare qualcosa di fisico a chi comprerà il disco, proprio come se si trattasse di una sorta di dono, una piccola opera d’arte che si possa toccare». Graham Candy sarà in tour in Europa fino a fine 2016, i live saranno divisi in due parti, la prima parte con la band e la seconda in versione acustica: «Voglio portare la mia stanza sul palco e ricreare un’atmosfera intima che mi porti ad un contatto vero con il pubblico», puntualizza. Se a qualcuno di voi la sua voce ha ricordato quella di Asaf Avidan, aspettate di ascoltarlo dal vivo e vi accorgerete che si tratta solo di una fugace apparenza, Graham Candy è  inetichettabile.

Raffaella Sbrescia

Video: Back Into It

Folfiri o Folfox: gli Afterhours tornano con un disco prezioso. La recensione e l’intervista

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«…Io sono fortunato perché posso usare la musica per cercare di spiegare a me stesso come mi sento, reagire, buttare fuori le tossine, riconoscere l’energia e, soprattutto, non andare in panico. Parlandone agli altri ho scoperto che nel gruppo stavamo passando tutti attraverso lo stesso sconvolgimento. Ognuno a modo suo, naturalmente, perché sono cose molto private. Così eccolo qua un disco sulla morte e sulla vita, sulla malattia e sulla “cura”, sulle domande senza risposta, sull’egoismo che ci fa sopravvivere, sulla rabbia e sulla felicità, sulle chiusure di cerchi che ci permettono di aprirne altri». Con le parole estratte da uno stralcio del comunicato scritto dallo stesso Manuel Agnelli in persona, scegliamo di presentarvi “Folfiri o Folfox”, il nuovo album degli Afterhours destinato a diventare un’opera antologica per eccellenza. Giunto al pubblico dopo una lunga gestazione, questo disco racchiude una scalata esistenziale intima, privata, singola eppure ampiamente condivisibile. Il titolo del progetto prende il nome da due cicli chemioterapici ponendoci subito di fronte ad una realtà da cui non si può prescindere: il cancro. “Folfiri o folfox” nasce dalla penna di Agnelli subito dopo la scomparsa di suo padre, passa per altri lutti che hanno colpito i membri della band e diventa, traccia dopo traccia, un cammino verso la ricerca della felicità. L’intensità di questo disco è data sicuramente dai testi ma anche da arrangiamenti veramente carichi di suggestioni sperimentali. “Grande”, gridata, sofferta e squarciata è un significativo punto di partenza, l’effettiva base che permette all’album di crescere ed evolversi. Struggente “L’odore della giacca di mio padre”, dolorosa e consapevole “Lasciati ingannare (ancora una volta)”, esemplificativa, dissacrante ed imponente la title track “Folfiri o Folfox”.  Ricche e preziose le tracce strumentali, da evidenziare, in particolare, l’ipnotico contributo di Rodrigo D’Erasmo in “Ophyx” e le contorsioni di Cetuximab”. Lascive sono le distorsioni racchiuse in “Fa male solo la prima volta”, curiosa e perturbante la ballata rock “Né pani né pesci”. Originale ed impattante la litania di “San Miguel”, un riuscitissimo gioco a due tra Agnelli e Iriondo. “Se io fossi il giudice” chiude, infine, il disco in modo deflagrante, emozionale, poetico, totale.

Intervista

Finalmente arriva “Folfiri o Folfox”

Abbiamo pubblicato questo disco dopo 4 anni cercando di raccontare non solo quello che è successo a me ma anche quello che è successo a molti di noi. Non facciamo un disco ogni anno, lo facciamo semplicemente quando abbiamo qualcosa da dire e questo, purtroppo, non succede ogni sei mesi. La funzione del nostro gruppo è quello di dire le cose con un linguaggio che gli altri faticano ad usare. Questo è un disco a tratti ostico, un disco che ha senso in questo momento. Abbiamo sfruttato il nostro studio, ci siamo andati tutti i giorni, ci siamo dati la libertà di sbagliare, eccedere, sperimentare. Con noi ha lavorato anche Tommaso Colliva, il top mondiale e ne siamo molto orgogliosi.

I due nuovi innesti nella band (Stefano Pilia, chitarrista dei Massimo Volume, e Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35, ndr) hanno generato una grande energia. Come sono cambiate le sonorità, gli arrangiamenti e la scrittura dei testi?

Il cambio della line up ha influenzato non poco la musica, ha innescato un ricambio d’energia in una sorta di circolo virtuoso. Una direzione, quest’ultima, che avevamo già conquistato con “Padania” e che intendiamo mantenere salda. Nel frattempo lo stravolgimento della forma canzone vive un passo in avanti, sia in termini di suono che di scrittura.

A proposito di scrittura: com’è cambiato il tuo modo di scrivere in questo lavoro?

C’è un ritorno ad una comunicazione più scoperta, più aperta, una messa a nudo che ci ha coinvolto tutti. Ciò rende il disco più immediato e comunicativo proprio come sentivamo noi di dover essere. “Padania” era congelato così come lo era la sua estetica, questo disco è più caldo, ci tocca in modo più profondo e speriamo possa farlo anche con chi lo ascolterà.

C’è un’attenzione più viva e dettagliata ai testi…

Sì, i testi sono più centrali che in passato, parliamo di cose precise che non volevamo citare in modo oscuro, abbiamo condotto diverse ricerche per rapportarci con certi termini, c’è stato un bel lavoro di complicità e compartecipazione. Abbiamo composto prima le musiche, se avessi scritto prima i testi, ci sarebbero state solo ballate ed il disco sarebbe stato un’elaborazione del lutto e nessuno voleva questo. In questo album c’è voglia di reagire, parliamo di chiusure di cerchi…

Afterhours

Afterhours

Che rapporto c’è con Dio, nominato così spesso in questo disco?

C’è parecchia mancanza di Dio nel disco, lo cito perché c’è un continuo interrogarsi, quando ti manca una persona cara ti fai molte domande, Dio viene chiamato in causa perchè non lo si trova. Il disco parla di un passaggio di energia, la figura di Dio è la razionalizzazione di questo passaggio all’interno di una ricerca spirituale.

A 50 anni ti scopri vulnerabile nel bel mezzo di un’operazione di introspezione…

Mi sono ritrovato bambino abbandonato e, al contempo, definitivamente adulto una volta per tutte. Non pretendo che questa cosa venga condivisa da qualcun altro, ci sono voluti 4 anni per lasciar maturare questo disco, la musica rappresenta la possibilità di sublimare quello che è successo, una forma di autoanalisi utile per espellere le tossine, un modo per liberarsi dal dolore.

“Grande” è il brano più intenso del disco

Racchiude un grido di dolore ma anche un riscatto, una voce che va oltre, un pezzo che sarà difficile riproporre con la stessa intensità dal vivo. Finchè avrà un effetto terapeutico lo farò, poi smetterò, così come del resto avviene con gli altri brani.

Come è nato il brano “San Miguel”?

L’abbiamo improvvisato in sala prove, rappresenta il denominatore perfetto di chi non ha paura di fare tante cose diverse. Questo brano rompe gli schemi, definisce un’intenzione chiara con sonorità forti, una litania che non teme sfide nuove. Ci sono diversi modi di argomentare la superstizione: quella più volgare che detestiamo, una forma di violenza sociale mostruosa, poi c’è quella bianca che cerca energia oltre la scienza. Ecco, nel disco ci sono due o tre modi per affrontarla, “San Miguel” è uno di questi.

Afterhours ph. Magliocchetti

Afterhours ph. Magliocchetti

Da dove arriva l’idea della copertina?

Si tratta di un’idea di mia figlia. Recentemente ho curato una pianta che ha prodotto un nuovo getto di fori, le ho scattato una foto, leggermente mossa e mia figlia mi ha suggerito di usarla. Solo in un secondo momento abbiamo scoperto che l’orchidea si nutre di materiali in decomposizione, in quanto corrispondente botanico del cancro ci è sembrata perfetta.

Cinque anni fa eravate politicamente schierati… cosa è cambiato nel frattempo?

I politici non sono cambiati ed è per questo che molte cose non si sono realizzate, il cambiamento c’ è stato in ogni caso. Nel nostro piccolo abbiamo appoggiato i teatri occupati, continuiamo a portare avanti il nostro cammino senza fare cose per forza appariscenti, mi sono accorto che senza un certo tipo di visibilità si è limitati. La visibilità può essere di grande aiuto per portare avanti certe tematiche, mi sono impegnato per i diritti d’autore, la definizione professionale del musicista, voglio portare questi discorsi a buon fine.

Come si convive con la paura della felicità?

Ho sempre voluto essere felce ma forse ho sbagliato strada. Nel nostro ambiente ci sono tanti che fanno i maledetti al centro di un sistema di cose che non ci riguarda in ogni caso. Noi facciamo musica in modo libero, non dobbiamo rendere conto alle tavole della legge, facciamo le cose istintivamente perché ci piacciono, perché ci sembra il modo migliore per raccontarci al meglio. Abbiamo lasciato fuori dal disco, il più grande singolo della nostra storia perché non c’entrava nulla, siamo coerenti, siamo liberi di fare cose che non rientrano nell’immaginario, non vogliamo essere prevedibili, la prevedibilità è la morte di un gruppo rock, abbiamo più attenzione per il discorso estetico che per l’efficacia dei risultati; in ogni caso facciamo sempre quello che vogliamo, poco ma sicuro.

Afterhours ph. Magliocchetti

Afterhours ph. Magliocchetti

La musica è una trasposizione della società che rappresenta?

Negli anni ’60 e ’70 c’era una società in fermento, c’era gente che viveva nelle comuni, personaggi che non avevano paura di sperimentare, con l’arrivo delle tecnologie la gente ha cominciato ad impigrirsi e a viziarsi. Ci sono molti musicisti bravi ma troppo precisi, non ci sono più i freaks, quelli che non riesci a catalogare, ci sono piccoli circuiti, ognuno con la propria divisa, ogni più piccola realtà vuole avere il controllo sulla cultura ma non per difendere la gente. Pasolini andava tra la gente, tra gli operai, trai ragazzi di strada, portava la cultura tra la gente sporcandosi le mani. Oggi invece viviamo una situazione veramente pallosa. Il ruolo di chi fa rock non può essere fare la cultura per sé. La nostra missione è quella di portare la nostra visione della vita a quanta più gente possibile, la difficoltà sta nel portarla con un linguaggio molto preciso che non venga distorto senno facciamo avanguardia e sperimentazione.

Ad X Factor queste cose le dirai?

Mi hanno chiamato per questo, il motivo per cui sono lì è portarvi la mia visione della musica. Hanno avuto le palle di chiamarmi, io sono un’incognita, un rischio…

Cosa pensi delle polemiche che ci sono state?

Fa parte del gioco, in parte è anche strategia. In tante situazioni la polemica ha portato attenzione, non mi spaventa la contestazione, anzi, tuttavia non vi sono indifferente. Con la paura del rischio non avremmo fatto un cazzo negli ultimi anni, non me ne frega se sarò una scimmietta in gabbia, alla fine l’importante è far passare un messaggio preciso: “Le mani vanno sporcate, bisogna fare gesti piccoli ma farli tutti, non si possono fare le cose solo per il risultato, bisogna farle e basta”.

Il ricambio nella line up ha portato un cambio di energia nel gruppo?

Ci troviamo in un momento particolarmente felice, questi due innesti non sono né casuali né transitori. Questo ricambio ha avuto un impatto emotivo molto forte, con Giorgio andavo in giro per il mondo da 25 anni, ci guardavamo in modo sclerotico, non avevamo un dialogo modificabile. Dopo lo strappo non sapevamo se gli Afterhours sarebbero andati avanti, abbiamo funzionato ma navighiamo a vista, ecco perché in ogni disco ci mettiamo tutto il sangue possibile, pensiamo sempre che possa essere l’ultimo.

Cosa cambierà nel live?

Mentre “Padania” aveva delle sovrapproduzioni necessarie per riprodurre quell’urgenza, questi nuovi brani questa carica ce l’hanno da sé, la scaletta estiva proporrà un 50/50, sarà un live molto energico.

 Raffaella Sbrescia

Il tour:

 8.07 - Genova, Goa Boa Festival - NUOVA DATA
10.07 - Avezzano (Aq), Kimera Rock Festival
14.07 - Milano, Market Sound
15.07 - Torino, Flower Fest
19.07 -Roma, Rock In Roma
06.08 -Treviso, Suoni Di Marca
8.08 - Lignano Sabbiadoro (UD), Beach Arena - NUOVA DATA
13.08 -Lamezia Terme (Cz), Colorfest
27.08 -Empoli (Fi), Beat Festival

I biglietti sono in vendita su www.ticketone.it

 

Intervista ad Arisa: dopo “Guardando il cielo” arriva il “Voce d’Estate Tour”

arisa

Ritratti Di Note ha incontrato Arisa, occasione per riparlare dell’ultimo bellissimo progetto discografico dell’artista, intitolato “Guardando il Cielo” (Warner Music)

Arisa, il tuo ultimo album si intitola “Guardando il cielo”, proprio come la canzone che hai portato al Festival di Sanremo lo scorso Febbraio. La canzone è una delicata preghiera rivolta al cielo ma tutto l’album offre una chiave di interpretazione della realtà che ci circonda.

“Guardando il cielo” è una preghiera laica. Mia nonna mi ha insegnato che l’entità alla quale chiedo aiuto nelle preghiere è Dio, ma a 33 anni sono arrivata alla consapevolezza che questa entità è l’universo. L’universo regola i miei stati d’animo. Anche attraverso le credenze popolari possiamo capire quanto l’universo giochi una parte importante nella nostra vita e sulla nostra strada. A proposito delle credenze popolari, penso a quando aspettiamo che ci sia la luna crescente o calante per fare qualcosa, ad esempio tagliarci i capelli. “Guardando il cielo”e’ una canzone che mira a sensibilizzare l’uomo ad affidarsi all’universo, e a cercare di mantenere sempre un atteggiamento positivo nei confronti dei giorni. Non serve svegliarsi e dirsi che qualcosa non andrà, è troppo presuntuosa la previsione di una verità. Non possiamo cambiare le cose, tanto vale essere positivi e andare avanti…

In quest’album si respira un atteggiamento positivo e propositivo nei confronti del futuro, ma un futuro migliore passa necessariamente attraverso il rispetto della propria terra e dell’ambiente. Tocchi un tema delicato, caro a tutti noi…

Ti ringrazio per quello che mi dici. E’ un tema molto caro anche a me. Gli esseri umani fanno del male alla terra pensando che la terra non chiederà mai il conto, ma in realtà questo conto lo paghiamo tutti i giorni. Se avveleniamo la terra in cui seminiamo, i frutti di quella terra nasceranno malati e noi ci ammaleremo. Dobbiamo rispettare la terra perché la terra ci nutre, e quindi salvaguardandola facciamo del bene prima di tutto a noi stessi…

Arisa

Arisa

Questo è un album che parla molto anche d’amore. Ci sono amori che finiscono e amori che continuano per tutta la vita. Nel disco c’è una bellissima canzone che si intitola “L’amore della mia vita” e che tu hai dedicato ai tuoi genitori, a quell’amore che non finisce mai…

Sì, l’amore per i genitori davvero non finisce mai. Questa canzone l’ho ascoltata la prima volta quando mi sono fatta male ad una mano e mio padre mi ha portato al Pronto Soccorso. In sala d’attesa ero con il telefonino in mano e mi è arrivata questa canzone. Ascoltandola, ho guardato gli occhi di mio padre e ho visto lo sguardo di un genitore che guarda la figlia un po’ mattacchiona… in quel momento mi sono detta che io la dovevo cantare quella canzone perché io ce l’avevo gli amori della mia vita. MI ritengo molto fortunata per questi amori. I miei genitori sono fondamentali per me.

In quest’album sei anche autrice in due pezzi:  “Una notte ancora“ e “Io e te come fosse ieri”.  In quest’ultima canzone hai ricordato un grandissimo artista tuo conterraneo, che è Mango.

Secondo me, Mango è un’artista che non è mai stato ricordato abbastanza. Nella sua originalità, è rimasto un po’ di nicchia, soprattutto nella sua personalità tipicamente lucana, di grande cuore ma di poche smancerie. Noi lucani siamo un po’ così. Quando ho scritto “Io e te come fosse ieri”, mi sono ispirata un po’ a lui, al suo canto, alle inflessioni vocali di un pezzo come “Bella D’Estate”. Mango è stato un grande artista.

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Arisa, che cosa, oltre l’arte, può aiutarci a cambiare la vita?

L’amore. L’arte in generale può aiutarci a cambiare il mondo, ma l’amore ci cambia la vita, e anche quello è arte. Ogni tanto sento in giro qualcuno che dice che l’arte non può cambiare il mondo. Non sono d’accordo. L’arte è sempre stata al centro di grandi cambiamenti culturali. Credo molto in questa cosa.  Nel mio piccolo, con le mie piccole possibilità e con la mia musica, cerco di dare messaggi importanti, che possano illuminare le persone.

Oltre alla promozione del disco, ci sono i Live…

Cercherò di impegnarmi al massimo per dare a quest’album quello che merita e per presentarlo in maniera esaustiva. Ci ho lavorato tanto tempo, e con me, hanno partecipato al progetto tante persone. Ci sono brani che aspettano di essere cantati da cinque anni e anche di più.  Io non mi arrendo alla legge che oggi i dischi non si vendono più!

Giuliana Galasso

‪#‎Arisa‬ ‪#‎VoceDEstateTour‬ 2016
Tour organizzato da International Music And Arts

• 25.06 Teatro Romano di Verona
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>> su TicketOne http://bit.ly/277abFx

• 12.07 Parco del Celio Roma [i concerti nel Parco]
Infoline 06.5816987 – 339.8041777
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>> a breve su Ticketone, Ciaotickets e BoxOffice Lazio

• 14.07 Teatro Carcano di Milano [La Milanesiana]
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>> su TicketOne http://bit.ly/1Ve8XDB

• 29.07 Piazza del Sole di Santa Margherita Ligure (Ge)
Infoline: 0185286033
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>> su TicketOne http://bit.ly/24zVpDh

• 31.07 Pian Pilun Colle di Gilba (Cn) [Suoni Dal Monviso]
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>> su TicketOne http://bit.ly/1WMJp2j
>> su VivaTicket http://bit.ly/1TWtL3A

EXTRA TOUR
• 26.06 Chiesa di San Marco – Milano (evento benefico a pagamento all’interno del Festival La Milanesiana)
Concerto di Antonio Ballista Hit Parade per Umberto Eco – Arisa ospite con una canzone

Intervista ai Black Violin: musica classica e hip hop contro gli “Stereotypes”

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Will Baptiste (viola) e Kev Marcus (violino) sono i Black Violin, un duo che nel giro di pochi anni ha saputo affermarsi all’interno dello scenario musicale internazionale grazie alla potenza strutturale e scenica della propria formula basata sul curioso connubio tra musica classica e hip hop. Numeri alla mano, il recentissimo tour dei due musicisti afroamericani, che si sono esibiti in concerto anche all’Arci Bellezza di Milano, ha dimostrato un continuo crescendo di consensi, destinati a moltiplicarsi sulla scia della pubblicazione di “Stereotypes”, l’album uscito lo scorso 27 maggio per Universal Music.

Intervista

Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la vostra miscela musicale?

Da piccoli abbiamo studiato musica classica poi fuori scuola ascoltavamo soprattutto musica hip hop. Le nostre strade si sono incrociate al college in Florida e da lì è iniziato il nostro cammino che si fonda sull’unione di due generi così distanti. Per noi si è trattato di un processo naturale, abbiamo semplicemente unito le nostre più grandi passioni, un po’ come quando cerchi di creare un cocktail perfetto…

Come avete scelto il nome del duo?

Ci siamo ispirato al titolo dell’omonimo disco del violinista jazz Stuff Smith, un luminare che, con il suo esempio, ci ha dato la forza, il coraggio e l’entusiasmo di continuare a perseguire la nostra carriera musicale all’insegna della sperimentazione.

Cosa ci potete raccontare in merito alla genesi di “Stereotypes”, un album che vi espone anche al “giudizio” del pubblico di tanti artisti che hanno collaborato con voi come Melanie Fiona a Robert Glasper, da Daru Jones a Rob Moose…

Il processo creativo che sta alla base del disco è stato molto naturale. Spesso ci siamo trovati in studio ad improvvisare dei brani e a suonare seguendo l’istinto fino a quando non trovavamo il suono che ci piaceva. Solo in un secondo momento abbiamo aggiunto gli altri strumenti dando una struttura più complessa ai brani.

“Stereotypes” è una dichiarazione d’intenti per rompere le barriere? Quale ruolo pensate possa svolgere la musica in questo senso?

Partendo dall’ovvio presupposto che i pregiudizi sono frutto di congetture mentali, la musica riveste un ruolo di primaria importanza. Per quanto ci riguarda, la usiamo per far capire a tutti coloro che ci ascoltano che non bisogna mai fermarsi alle apparenze. In quanto musicisti afroamericani, noi stessi siamo l’esemplificazione di questo ragionamento. Quando camminiamo per strada con le custodie dei violini, la gente crede che facciamo jazz, non c’è niente di più divertente che sorprendere tutti stravolgendo cardini e certezze.

Che futuro prevedete per la musica classica?

La musica classica spesso viene percepita come un genere d’élite, con cui i giovani faticano ad interfacciarsi Vorremmo colmare questo gap tra presente e passato, speriamo di riuscirci.

Quali sono i vostri riferimenti musicali?

Oltre a Stuff Smith ci ispiriamo ad autori diversi che vanno dall’hip hop di Jay-Z e Kendrick Lamar, alla musica classica di Paganini, Bach, Beethoven, Vivaldi, Verdi ma anche a Stevie Wonder e Miles Davis.

“Running” chiude l’album ma mette anche un sigillo sulla vostra cifra stilistica…

Abbiamo arrangiato questo brano in due ore e, in effetti, riteniamo sia quello che rappresenta in maniera più esaustiva il nostro stile.

Black Violin durante l'intervista a Milano

Black Violin durante l’intervista a Milano

Esiste una ricetta perfetta per quella che definireste “buona musica”?

Lavorando in questo settore abbiamo imparato a rispettare tutto. Se l’artista si esprime in modo sincero e arriva a chi lo ascolta non si può certo parlare di cattiva musica. Per noi esiste la musica che ascoltiamo volentieri o meno, indipendentemente dal genere. Una canzone deve trasmettere delle emozioni, saperci smuovere dall’interno, generare una reazione.

Vi siete esibiti davanti a più di 100 mila ragazzi nell’ambito di un progetto educativo realizzato assieme alla VH1 Save the Music Foundation. Qual è il bilancio di questa esperienza?

Ogni anno suoniamo davanti a migliaia di ragazzi per insegnare loro a credere in se stessi e fare al meglio quello che più gli piace.In questo senso  ci sentiamo in parte  responsabili perché vogliamo condividere con questi ragazzi il nostro dono e fargli capire l’importanza dello studio, della costanza, della disciplina ma anche della curiosità e della fantasia. I bambini non sono stati educati ad apprezzare la musica classica ma non è colpa loro, c’è bisogno di stimolarli ed invitarli ad incuriosirsi.

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Avete suonato anche in occasione di alcuni concerti dei 2Cellos, il duo di violoncellisti croati che hanno unito la musica classica al rock. Con la vostra musica avete completato l’offerta di generi. Come è andata?

I 2 Cellos sono molto bravi, hanno pubblico pronto a lasciarsi coinvolgere, per noi è stata un’esperienza molto stimolante.

Nel 2013 Barack Obama vi ha invitato al ballo inaugurale del suo secondo mandato presidenziale. Cosa vi è rimasto nel cuore?

Quello è stato sicuramente il punto più alto della nostra carriera. Avevamo suonato per sua moglie Michelle e le loro due figlie qualche mese prima, durante una cerimonia per l’infanzia, ed è stata proprio la First Lady a richiamarci per il ballo inaugurale del secondo mandato di Obama. Eravamo insieme a grandi star come Alicia Keys, Jamie Foxx, Usher, non ci sembrava vero. La cosa difficile sarà capire cosa fare da adesso in poi! (ridono ndr).

Raffaella Sbrescia

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Video: Stereotypes

Stefano Bollani “scugnizzo” folk jazz in “Napoli Trip”. Intervista e recensione

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«Napoli è una città che emana un’energia sotterranea incredibile. Ho cominciato ad amarla con i dischi di Carosone, un artista che sapeva fare tutto restando una persona seria». Questo lo spirito con cui Stefano Bollani, eccellente pianista italiano, presenta “Napoli Trip”, il suo ultimo lavoro discografico (Universal Music), in uscita in tutto il mondo il 17 giugno, dopo la pubblicazione europea. Ispirata alle maschere, ai vicoli, alle sette di Partenope, la sfida di Bollani prende le mosse da un’attrazione fatale: «A Napoli c’è un’energia che arriva da sotto, un flusso che i napoletani stessi faticano a gestire vivendo di estremi, tra grandi difficoltà e grandi gioie. Una spinta quasi esoterica che differenzia Napoli da qualsiasi altra città», spiega Bollani, che aggiunge: «Quando ho scoperto Carosone, sono rimasto folgorato, mi ha traghettato verso il jazz, non volevo dedicargli un intero disco, ho quindi allargato il discorso. In questo album non c’è la mia visione di Napoli, ci sono diversi punti di vista. Insieme a Daniele Sepe, un napoletano decisamente atipico con l’anima e l’orecchio rivolti sempre altrove, abbiamo eseguito delle composizioni originali ispirate a Napoli. Daniele mi ha riempito di dischi partenopei, che mi hanno fatto confrontare con personaggi straordinari; su tutti cito Ria Rosa, “la nonna del femminismo” che cantava in maniera forte e volgare canzoni attualissime. I brani sono strati scelti insieme a Sepe, quelli in piano solo sono melodie che mi piacciono, ho risolto l’imbarazzo della scelta affidandomi come al solito al cuore».

Stefano Bollani

Stefano Bollani

 Partendo da “’Nu quarto ‘e luna”, Bollani snoda le sue vie strumentali lungo i sentieri di un folk jazz in continua evoluzione. La chiave di lettura del disco è insita nel fondamentale contributo del polistrumentista etno jazz Daniele Sepe, del clarinettista Nico Gori e del batterista francese Manu Katchè, che Bollani porterà con sé anche in tour a luglio e agosto, con l’aggiunta di diverse novità.  La commistione tra folclore e avanguardia si riveste di reminiscenze e pulsazioni nuove: si va da “Putesse essere allero” di Pino Daniele a “’O sole mio”, passando per “Caravan Petrol” al piano e “’O guappo ‘nnamurato” di Raffaele Viviani per flauti e legni. La chicca del disco è “Reginella” di Libero Bovio, registrata a Rio con bandolim di Hamilton de Hollanda: «Ero a Rio a registrare il di disco De Hollanda con Chico Buarque – racconta Bollani – Una sera Chico se n’è andato perché voleva vedere una partita così  lo studio  rimasto a disposizione, già pagato, e ho colto l’occasione per chiedere ad Hamilton di registrare questa versione molto particolare di un brano sempre affascinante».

Stefano Bollani

Stefano Bollani

Tra le curiosità segnaliamo Bollani cantante in “Guapparia 2000”, dell’amico Lorenzo Hengheller, ed il contributo del producer norvegese Jan Bang in “Sette”. La forza di Bollani sta, dunque, nel giocare con la musica all’insegna della più totale libertà, proprio come uno “scugnizzo”: geometrie, spazi, influenze e richiami si fondono in un’unica pozione in grado di ammaliare e divertire l’ascoltare senza alcuna forzatura.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Luca Seta: quando musica, poesia e recitazione coesistono nella stessa anima

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta è un attore e cantautore italiano. Dopo aver calcato per anni la scena del teatro ed essersi fatto conoscere dal grande pubblico televisivo recitando in serie di successo e come protagonista della soap “Un posto al sole”, esordisce nel 2013 come cantautore con l’album “In viaggio con Kerouac”, che presenta con una tournèe in Italia e all’estero. Fino al 5 giugno 2016 l’artista sarà in Kazakistan per tre date promosse dall’Ambasciata Italiana nel programma degli eventi musicali dell’Anno della Cultura Italiana in Kazakistan. L’abbiamo incontrato a ridosso della partenza per approfondire la sua conoscenza e del suo variegato immaginario.

 Intervista

Raccontaci della tua natura girovaga, immagina di trovarti di fronte ad una platea raccolta che ha voglia di conoscere Luca mentre compone, lavora e si immagina cose…

L’atto creativo è inconsapevole, vivo normalmente fino a quando una canzone o una poesia arrivano da me; a quel punto mi fermo e le traferisco su carta. Il processo creativo è sempre in atto dentro di me, non devo far altro che ascoltarlo bene per fermare l’attimo.

Che tipo di energia hai raccolto durante il live all’Auditorium Parco della Musica di Roma dello scorso 20 maggio?

Suonare lì è stato veramente fantastico, già durante il soundcheck eravamo molto emozionati perché quel posto è stato costruito apposta per fare musica, ha un’acustica meravigliosa e ci va a suonare gente di straordinario livello artistico. Il pubblico che viene lì lo fa per ascoltare con un’attenzione ed un’energia tale da farti sentire a tuo agio fin dai primi secondi di performance.

Come si è evoluta dal vivo la musica contenuta nel disco “In viaggio con Kerouac”?

Il live è diventato qualcosa di completamente diverso, un viaggio musicale, testuale ed emozionale che vive una continua evoluzione grazie all’importante contributo dei musicisti che mi accompagnano, visto che si tratta di jazzisti (Gabriele Buonasorte, sassofonista e arrangiatore dell’intero disco, Simone Maggio al pianoforte, Mauro Gavini al basso, David Giacomini alla chitarra, Saverio Federici alla batteria.) Ci sono tanti momenti dedicati all’improvvisazione, in questo senso mi sento un po’ jazzista anche io. Infine, oltre alle improvvisazioni, ci sono le mie poesie e i miei racconti che, in quell’occasione sono state lette ed interpretate da Massimiliano Varrese.

Metterai in atto anche un progetto in duo…

Sì, sarò in giro insieme a Gabriele Buonasorte per un progetto chitarra, voce e sassofono. Si tratterà di un mix tra reading e concerto, incentrato verso una direzione più intima, le canzoni saranno rivisitate e  ci saranno più letture di miei racconti.

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Luca Seta ph. Michela Fradegrada

Di cosa parlano questi tuoi racconti?

Vorrei pubblicare due volumi: uno che racchiuda le mie poesie, l’altro sarà un vero e proprio un libro e si chiamerà “Diario di un vagabondo”: Si va dall’incontro con una donna ad una giornata di surf in Brasile, passando per un semplice viaggio in treno fino a singoli momenti che fermano un attimo. Scrivo di quello che mi emoziona e che la vita mi offre.

Che rapporto hai con il dialetto piemontese?

Ho voluto includere due canzoni in dialetto nel disco ma non è stata una scelta, piuttosto mi è venuto spontaneo farlo. Durante la prima parte della mia vita sono cresciuto con mio nonno paterno Giuseppe che, non avendo studiato a scuola, preferiva parlarmi in dialetto invece di usare un italiano non corretto. Ho scritto il brano intitolato “Con il fucile in mano” quasi come se fossi al suo fianco, il dialetto è assolutamente parte di me.

Cosa ti aspetti dalla tua avventura in Kazakistan?

Sto bene attento a non avere aspettative, preferisco vivere l’attimo e vivermelo fino in fondo, abbiamo un programma fittissimo e voglio godermi ogni istante di questa opportunità.

Tra le canzoni del disco, soffermiamoci su “La canzone di Marinella (parte seconda)”; efficace l’idea di riprendere un punto cardine della nostra storia musicale quale è Fabrizio De Andrè con  un seguito che si sposa con le drammatiche vicende dei nostri giorni…

La canzone di De Andrè nacque dopo aver letto un articolo in cui si narrava della triste vicenda di una ragazza ritrovata senza vita sul letto di un fiume. Nessuno ne aveva reclamato il corpo o la scomparsa, forse si trattava di una prostituta. De Andrè le regalò un nome, una storia, un amore. A me è capitato di ascoltare al telegiornale l’annuncio di una vicenda simile con il ritrovamento di una donna uccisa, nei pressi del Lago d’Orta. Quella vicenda mi rimase tanto impressa da indurmi a scrivere un pezzo in piena notte, il titolo è ovviamente venuto da sé.

Infine un accenno alla tua carriera di attore. Cosa bolle in pentola?

Sto lavorando alla nuova fiction di Marco Giallini, sarò il protagonista di una puntata. La serie è poliziesca e uscirà nel 2017. Marco è una persona fantastica, ha un’umanità non comune e merita tutto il successo che sta avendo; sono felice di averlo incontrato e di lavorare con lui.

 Raffaella Sbrescia

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“Se avessi un cuore”: la svolta elettronica di Annalisa. Intervista e live report dell’anteprima milanese

Cover Annalisa_Se avessi un cuore

“Se avessi un cuore” (Warner Music) è il titolo del nuovo album di Annalisa e vedrà la luce il 20 maggio 2016. In questo nuovo progetto discografico l’artista ha scelto di mettersi in gioco a 360 gradi, sia per quanto riguarda la scrittura, in qualità di autrice in tutti i 12 brani contenuti nell’album, sia per quanto riguarda gli arrangiamenti intrisi di sonorità elettroniche, frutto del lavoro di ricerca operato insieme a Fabrizio Ferraguzzo, Luca Chiaravalli, Diego Calvetti e l’emergente MACE.

Live report del concerto al Teatro Nazionale di Milano

Due ore piene, intense, sorprendenti. Annalisa cambia volto e si reinventa con un concerto innovativo, ricco di spunti e contaminazioni al passo con le migliori realtà musicali internazionali e lo fa presentando i brani del suo nuovo album in anteprima. Un modo tutto speciale di raccontarsi e raccontare i nuovi passi della sua carriera in divenire. In effetti l’aspetto più sorprendente sta proprio nell’ aver saputo creare uno show audio-visivo compatto e solido, merito non solo dell’ormai conclamato talento di Annalisa ma anche della sua ottima band. Ecco perché abbiamo scelto di chiedere a Lapo Consortini, chitarrista e direttore musicale della band, di spiegarci tutti i passaggi che hanno portato a questa nuova vincente formula: «Il mio compito è stato quello di riuscire a tradurre dal vivo tutto quello che c’è in “Se avessi un cuore” senza stravolgere nulla. Il nuovo album di Annalisa non è un classico disco pop con basso, chitarra, batteria, pianoforte e archi: gli arrangiamenti sono molto contaminati, c’è tanta elettronica e, proprio per questo, meno strumenti acustici. Grazie ad un ascolto attento noterete tanti elementi evocativi come cori, brusii di voci, elementi ambient. La più grande sfida che abbiamo cercato di vincere è stata quella di suonare e riprodurre in tempo reale ogni singola sfumatura delle molteplici pulsazioni tipiche della musica elettronica. Tra uso misto di batteria acustica ed elettronica, uso di chitarra tradizionale e suoni super effettati, abbiamo cercato, in sintesi, di unire l’anima delle canzoni vecchie e nuove di Annalisa con l’obiettivo di creare un sound omogeneo». Un risultato che, a nostro dire, è stato ampiamente raggiunto.

 Intervista ad Annalisa

Come mai hai scelto di pubblicare questo album un po’ di tempo dopo il Festival di Sanremo e perché?

Si tratta di una scelta ragionata. L’idea è sempre stata quella di portare a termine un’operazione di passaggio. “Il diluvio universale” rappresenta il perno di collegamento tra il passato e “Se avessi un cuore”. Il brano sanremese ha sempre avuto un’accezione di opera unica perché ha il peso e l’importanza necessaria per esserlo. Per questa ragione considero “Se avessi un cuore”, il primo vero singolo del disco.

Cosa ti ha portato a sviluppare questo cambiamento di sonorità?

 In verità le ho sempre amate, fin dall’inizio ho spinto in questa direzione, ho fatto un percorso graduale con due punti di approdo: il primo è quello relativo alla scrittura e al mio ruolo di autrice, il secondo è relativo all’immersione in un mondo sonoro non facile, ho fatto un passo alla volta cercando di non fermarmi mai.

Quanto senti tuo questo lavoro?

Tutte le cose che ho fatto le sento mie ma è altrettanto vero che l’ultima cosa che fai è quella a cui vuoi più bene. Mi sono sempre sentita cantautrice, fin da quando mi sono avvicinata alla musica, l’ho sempre fatto seguendo l’idea di scrivere le mie canzoni. Ho provato tante strade e ho trovato la prima occasione di venir fuori attraverso un talent, da lì in poi ho imparato tante cose, ho preso coscienza di avere tanto lavoro da fare e di dover migliorare. Anche quando ho fatto l’interprete non sono mai riuscita a cantare cose che non fossero totalmente affini al mio modo di comunicare, ho sempre usato questo tipo di sensibilità. Sono molto orgogliosa di queste canzoni, ne vado fiera, mi rappresentano appieno e andrò sempre di più in questa direzione.

Tra le parole chiave del disco c’è “leggerezza”. Come declini questa parola all’interno della tua quotidianità personale e artistica?

In effetti la leggerezza è un punto chiave e arriva da un brano presente nel disco, intitolato “Leggerissima”. Il mio intento è cercare di dare valore alla leggerezza in quanto capacità di lasciarsi alle spalle qualcosa, mollare la presa senza smettere di lottare. La leggerezza pervade tutto il disco perché anche quando dico cose importanti e dal contenuto forte mi piace usare l’ironia.

Come sei cambiata in questo ultimo anno?

Non me rendo mai conto. Crescendo ti succedono delle cose che ti fanno cambiare, trovare nuovi modi di reagire, diventare più consapevole. Dal mio canto posso dire di essere più decisa e più focalizzata su quello che faccio. Dal punto di vista lavorativo sono in grande fermento, scrivo tantissimo e, dato che con questo album mi sono avvicinata molto a quello che intendo fare, sono galvanizzata.

Cosa ascolti di solito?

Ascolto parecchio e di tutto. Le cose che produco io non le ascolto mai da sola, in ogni caso il tentativo è quello di porre l’accento sui testi, ho cercato un universo sonoro moderno, vicino alla scena pop mainstream americana eppure ci sono tante sfaccettature da tenere in considerazione. La peculiarità di questo progetto è il contenuto.

Come ti vedi nelle vesti di autrice per altri colleghi?

Nel momento in cui scrivo lo faccio per una mia esigenza e in modo personale. Non è semplice fare in modo che la propria sensibilità incontri l’istinto di qualcuno altro. Bisogna trovare il momento e la concentrazione giusta.

Come sei riuscita a collaborare con Dua Lipa?

Ci siamo incontrate in Warner ed è nata subito una forte sintonia; ci siamo trovare e raccontate diverse cose. In un secondo momento lei mi ha mandato questa canzone, scritta insieme al suo team, me l’ha fatta ascoltare e da lì è partita la collaborazione. In seguito ho rivisto la produzione, ho scritto il testo in italiano, Dua Lipa nel frattempo seguiva da lontano tutte le fasi ed è stata felice del risultato che abbiamo ottenuto.

Cosa ci dici della copertina del disco e del relativo booklet?

Partiamo dal presupposto che a me piace tenere tutto sotto controllo. Mi piace che niente venga lasciato al caso. Questo progetto grafico è stato realizzato insieme a Laura Battista, in copertina guardo in basso perché osservo la zona intorno al cuore. Il percorso prevede che ogni canzone rappresenti un tassello per costruire una coscienza in grado di affrontare la diversità dagli altri.

E la partnership con Mace?

Lui è un autore Warner Chapell come me, organizziamo spesso delle writing sessions in cui ci ritroviamo, fin da quando l’ho incontrato avevo capito che poteva succedere qualcosa di interessante. Quando gli ho proposto il pezzo “Le coincidenze” ho voluto che lui vi imprimesse la propria impronta, si tratta di una sperimentazione che mi ha entusiasmato.

Annalisa

Annalisa

“Quello che non sai di me” è il tuo brano più intimo….

Questo pezzo è una sorta di confessione. Cerco di raccontare quei momenti in cui sono da sola e nessuno mi vede, mi sono resa conto che nessuno conosce quell’insieme di piccole cose che sono solo mie per cui deciso di provare a raccontarle in una canzone speciale.

Qual è la tua concezione di tour?

Ho scelto di proporre i brani del nuovo album in due anteprime (una a Roma e una a Milano) operando in controtendenza. Questa scelta è dovuta a una ragione precisa: credo nell’esperienza della musica, vorrei che la musica raccontasse una magia che è sempre difficile trasmettere, le prime due date sono decisamente singolari, le altre arriveranno tra l’estate e l’autunno e avranno come obiettivo quello di avvicinare le persone alla musica.

Come hai vissuto i giorni di allestimento del tour?

Sono stati giorni davvero molto intensi, seguo tutto, ci tengo che ogni cosa possa fare la differenza, sono molto soddisfatta dal lavoro svolto dal mio staff e non vedo l’ora che tutti possano apprezzarlo e condividerlo con noi.

Raffaella Sbrescia

Ecco la tracklist dell’album “SE AVESSI UN CUORE”: “Se avessi un cuore”, “Leggerissima”, “Noi siamo un’isola”, “Coltiverò l’amore”, “Uno”, “Potrei abituarmi”, “A cuore spento”, “Inatteso”, “Le coincidenze”, “Quello che non sai di me”, “Il diluvio universale”, “Used to you”.

Annalisa incontrerà poi i fan negli store delle principali città italiane. Ecco le date:

20 maggio ROMA – Feltrinelli Via Appia, 427 – ore 17.30

21 maggio  MILANO – Mondadori Duomo – ore 17.00

22  maggio BOLOGNA – Mondadori Via D’Azeglio – ore 17.00

23 maggio MARGHERA – Mondadori c. c. Nave de Vero – ore 17.00

24  maggio FIRENZE – Galleria Del Disco – ore 17.30

25 maggio CURNO (BG) – Mediaworld – ore 18.00

26  maggio GENOVA – Mondadori Via XX Settembre- ore 17.30

27 maggio TORINO – Lingotto Mediaworld – ore 17.30

28  maggio NAPOLI - Mondadori – Piazza Vanvitelli ore 17.30

29  maggio BRINDISI - Feltrinelli ore 18.00 – LECCE Feltinelli ore 20.00

30  maggio – RIMINI – Mediaworld Shopping Center Romagna – ore 17.30

31 maggio – VILLESSE – cc Tiare Shopping – Mediaworld – ore 17.30

1 giugno-  BASSANO DEL GRAPPA – Mediaworld – Shopping center Il Grifone– ore 17.30

Dopo le due anteprime di Milano e Roma del SE AVESSI UN CUORE TOUR, Annalisa partirà con un tour durante l’estate che toccherà tutta Italia. Queste le prime date confermate: 11 giugno al Festival Amore di Stabio (Svizzera), l’ 8 luglio alla Sala Roof Casino di Sanremo(Imperia), il 31 luglio a Cava di Roselle (Grosseto), il 7 agosto in Piazza Kennedy a Pagliare del Tronto (Ascoli Piceno), l’ 11 agosto alla Beach Arena di Lignano Sabbiadoro (Udine), il 16 agosto in Piazza Ara dei Santi di Collelongo (L’Aquila).

I biglietti sono disponibili su Ticketone, punti vendita e prevendite abituali (info: www.fepgroup.it).

 

Marco Carta: in “Come il mondo” ci sono tutte le mie sfaccettature

thumbnail_Cover Carta_Come il mondo

“Come il mondo” è il nuovo album di inediti di Marco Carta in uscita il 27 maggio anticipato dal singolo “Non so più amare” subito ai vertici delle classifiche di vendita. Ritratti Di Note ha intervistato il cantante in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Non so più amare”, pubblicato lo scorso 22 Aprile.

Marco, parliamo subito di questo nuovo singolo “Non so più amare”. E’ on line anche il video della canzone, girato da Claudio Zagarini. Non basta una vita per imparare ad amare, ma uno dei compiti dell’amore, come tu dici nella canzone, è quello di accendere ed equilibrare, così come riaccendere e riequilibrare…

Sì certo, l’amore non ha solo il compito di accendere ed equilibrare, ma dopo un periodo di tempo, anche quello di riaccendere e riequilibrare. Il pezzo poi inneggia proprio alla carica e alla positività.

Il 27 Maggio sarà pubblicato il tuo nuovo album “Come il mondo”. So che all’interno c’è anche un pezzo dedicato al tuo pubblico e ai tuoi fans che ti seguono da sempre con grandissimo affetto e che ad ogni tua intervista affollano i Social.

Sì, la canzone è “Anche Quando”. E’ un pezzo al quale sono molto legato perché racconta la storia d’amore tra me e i miei fans, una storia che dura ormai da otto anni, una storia direi molto solida. Amo molto anche “Non so più amare” e l’ho voluta fortemente come primo singolo dell’album. L’ho amata immediatamente, al primo ascolto. Poi c’è  “Lasciami adesso”, forse la canzone più bella dell’album. Mi piacerebbe tanto che fosse il secondo singolo ma so che dovrò discuterne parecchio con la mia casa discografica. Alcuni miei ascoltatori mi hanno chiesto quale canzone dell’album si adatterebbe bene ad un film, ecco, “Lasciami Adesso” sarebbe perfetta per un film d’amore alla Muccino tipo “L’ultimo bacio”. In questo momento sto sognando…

Marco cosa ci dobbiamo aspettare musicalmente da “Come il mondo”?

L’album, composto da dieci canzoni, ha delle tracce “rock” come “No so più amare” e “L’ultima cosa vera”. Ho voluto inserire nel disco anche “Ho scelto di no” e “Splendida Ostinazione”, canzoni già conosciute al pubblico. Accanto a pezzi più veloci non mancheranno le ballad, nello stile che mi ha reso famoso. In quest’album c’è Marco in toto, la vena rock e la vena pop. Secondo me sarà interessante ascoltarlo…

Dopo l’uscita dell’album inizierà il tour di instore…

Sì, tra l’altro si stanno aggiungendo date che poi saranno pubblicate sui miei social. Molti fans mi scrivono perché magari non vedono ancora pubblicata la propria città. Cercherò di fare il possibile per accontentare tutti…

Dopo l’estate ci sono progetti di Live?

Il live richiede un lungo lavoro quindi preferisco dedicarmi adesso agli instore e alle radio e poi in autunno partire con i concerti in teatro.

Giuliana Galasso

Video:

“Come il mondo” Tracklist

1. Anche quando

2. Come il mondo

3. L’unica cosa vera

4. Lasciami adesso

5. Splendida ostinazione

6. Non so più amare

7. Ho scelto di no

8. Una semplice notizia

9. Guarda la felicità

10. Stelle

 Dal 27 maggio Marco Carta incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Queste le prime date confermate a cui si aggiungeranno presto altri appuntamenti: il 28 maggio  all’Entertainement center 45° Nord a  Moncalieri (TO); il 30 maggio al Mediaworld  (Shopping Center Shopville) a Casalecchio di Reno (BO); il 31 maggio allo Shooping Center le Due Torri a  Stezzano, l’1   giugno  al   Mediaworld  (Shopping Center Predda Niedda) a  Sassari,  il 2 giugno al  Centro Commerciale  Pratosardo a Nuoro e il 10 giugno al  Centro  Commerciale  Parco Leonardo a Fiumicino (RM).

Intervista a Max Pezzali: “La mia New Mission è saper cambiare le prospettive nel pieno di una fase incendiaria”

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Esce oggi “Astronave Max New Mission 2016”, il nuovo album di Max Pezzali che contiene tutti i brani di “Astronave Max” (uscito a giugno 2015 e certificato ORO per le vendite) più 2 inediti e 14 successi in versione live. Oltre al singolo “Due anime”, scritto da Max e Niccolò Contessa del gruppo I Cani, l’album contiene anche il secondo inedito “Non lo so” scritto con Zibba. Prodotto da Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni con Davide Ferrario, questo contiene molte cose nuove, sia in termini di suoni che di contenuti con l’aggiunta di brani in versione live di Pezzali che hanno fatto da colonna sonora di più generazioni. «In un’epoca in cui se non sei un super competitivo, sei un coglione e se segui delle regole e possiedi un’etica, spesso rimani indietro», il geometra della musica sceglie di raccontarsi a cuore aperto.

Intervista

Come nasce la collaborazione con Niccolò Contessa de I Cani?

Niccolò ed io siamo amici da un pò, sono un grande fan de I Cani dai tempi in cui li scoprii su Youtube delle versioni pazzesche electro punk di “Con un deca”. Inizialmente pensavo fosse una parodia, invece chiudevano così i loro concerti…Questa cosa mi ha spinto ad interessarmi a loro, ho fatto contattare il loro manager, abbiamo cominciato a frequentarci. La nostra è un’amicizia nerd, Niccolò è uno degli autori più forti, possiede la capacità di cambiare le prospettive.  Inizialmente avevo composto un pezzo come “Due anime” come un gioco ritmico-metrico, ero annoiato dal mio modo di scrivere, a volte quando scrivi le canzoni, ti viene una sorta di memoria muscolare, sono partito da una drum machine, ho seguito diverse metriche ma mi mancava comunque qualcosa, mancavano degli elementi che rendessero interessante il pezzo, che lo differenziassero dal mero esperimento. Pierpaolo mi ha incitato a sentire qualcuno che potesse darmi un punto di vista diverso, spesso si tende ad essere autoreferenziali, si perde lucidità, così ho mandato a Niccolò il file e nel giro di pochi gironi mi ha mandato un provino cantato da lui. Con poche mosse mi ha fatto capire cosa bisognava fare; la roba più geniale l’ha fatta nel bridge dove ha scelto di inserire il “vi”: per la prima volta si passa dal singolare al plurale, non sarebbe stato pensabile immaginare di parlare a terzi mentre si è in camera a parlare con la propria amata nel bel mezzo di un pezzo che parla d’amore.   Niccolò ha avuto il coraggio di andare oltre le regole del bravo compositore di ballads, un semplice cambio di lettera ha cambiato del tutto la prospettiva del pezzo, ha buttato giù la parete del teatro verso il pubblico.

Stesso discorso anche per “Non lo so”?

Il brano in questione avrebbe dovuto far parte di “Astronave Max” ma non c’è stato il tempo materiale per sistemarlo. Memore dell’esperienza vissuta con “Due Anime”, ho contattato Zibba con cui ho un rapporto di grande empatia. In breve tempo ha registrato una versione del pezzo chitarra e voce con una nota audio su Whatsapp. Con un cambio della melodia il testo ha subito acquisito una propria identità, ha preso un’altra via. Con questi presupposti se dovessi immaginare un album di inediti vorrei lavorarci così, questa è sicuramente la strada migliore da percorrere.

Come sono cambiate nel corso del tempo le regole del buon compositore?

Le regole cambiano ogni volta che succede qualcosa di deflagrante nella musica. Anni fa quando si aveva intenzione di pubblicare una ballad di successo ci volevano gli archi con la classica apertura sanremese, non si poteva uscire dai cardini. Oggi il pop è tornato ad una sorta di manierismo… Fino ad una certa età lo puoi anche accettare, si nasce incendiari, si diventa pompieri, poi però la senilità ti fa venire voglia di tornare a fare casino, se continui sulla stessa via e non trovi lo stimolo che ti dia un brivido nuovo, meglio smettere. Chiedere aiuto ha fatto scattare un ingranaggio assolutamente risolutivo.

Fare musica oggi è sempre più un lavoro di squadra?

Sì, assolutamente! Lo è soprattutto per ragioni tecniche, una canzone oggi è difficilmente identificabile solo per una linea melodica, per quanto un musicista sia ben preparato, il suono è quel qualcosa che solo un producer può fare ad un certo livello. Chi scrive canzoni spesso si ferma al pre-set, il lavoro di cesello è fondamentale; l’identità delle canzoni pop contemporanee è data dal suono, la canzone in sé non è il punto di arrivo, è il punto di partenza.

Cosa succede quando ti affidi al gusto e alla sensibilità di un’altra persona?

Significa dargli fiducia, è un procedimento che puoi adoperare solo se non ti senti un fenomeno, se non sei autoreferenziale. Con Niccolò si è creato un connubio nerd in cui a divertirci è stato il gioco di parole, un vero e proprio lavoro di manifattura. Siamo due facce della stressa medaglia, viviamo la musica con il gusto di farla, siamo piccoli operai delle note, geometri della musica, non c’è sacralità in quello che facciamo, il godimento sta nel gusto di averlo fatto.

Cosa cambierà nei tuoi nuovi concerti?

Il mio approccio nei riguardi delle canzoni è il seguente: quando un brano è fatto e finito, rimane quello. Chi viene ai miei concerti sa che il suono rappresenta l’identità della canzone, toglierlo significa privarlo di gran parte della propria peculiarità. Certo, puoi suonarla meglio ma quando una canzone viene memorizzata in un certo modo rimane tale. Sono quelle ancora da fare che rischiano di annoiare di più chi le fa. Il nuovo tour recupererà delle canzoni che periodicamente lascio in tribuna, le altre rimangono l’architrave principale dello show, sono lì e ci rimangono, il pubblico se le aspetta.

Quanto questo album è figlio dell’esposizione televisiva?

Dopo un ottimo tour, la mentalità discografica ha sicuramente intravisto nell’esposizione mediatica settimanale una buona opportunità di rilancio.

Max Pezzali

Max Pezzali

Stai lavorando ad un nuovo album?

Sto buttando giù delle idee, i classici mattoncini che spesso poi buttiamo via. Vorrei lavorarci per bene dopo il tour estivo anche se il vero nerd aspetta di avere la scusa perfetta per usare i giocattolini nuovi…

Tu non sei di quelli che si fermano al pre-set delle canzoni…

In effetti in genere arrivo un po’ oltre l’idea di pre-set, cerco di caratterizzare il brano per dare al producer un’idea precisa di quello che sarà il brano, il livello embrionale deve già indicare la strada sennò si rischia di perdere tempo.

Di cosa ti piacerebbe parlare oggi che sei nel pieno di questa tua fase incendiaria?

Oggi la più grande difficoltà è data proprio dalla scelta degli argomenti. Bisogna capire se avere un approccio prosaico e materiale o più aulico. In mezzo ci sono diverse sfumature che possono rendere il risultato incredibilmente variabile. Tra i temi più complessi c’è la quotidianità: il rap ha esaurito questa tipologia di argomento sia in termini di metrica che di credibilità. Se fosse fatto da uno della mia età suonerebbe triste perché di fatto lo è. Bisogna inventarsi qualcosa di diverso, procedere per istantanee, essere brevi senza essere troppo descrittivi. Un’ ottima cosa sarebbe usare l’amore come pre-testo, bisogna divertirsi con le parole, focalizzarsi più sul significante che sul significato. La canzone ideale che vorrei scrivere dovrebbe sembrare un pezzo d’amore ma parlare evidentemente di qualcos’altro; un gioco di lavoro sul testo.

I nuovi brani sono figli di queste riflessioni?

Sì, “Due anime” lo è sicuramente.

Come vivi le dinamiche interne a The Voice?

Poterò in tour con me Claudio Cera, un talento che ho dovuto abbandonare mio malgrado. Le dinamiche televisive sono complicate, alcune cose si possono fare, altre è inopportuno farle. Claudio ha una voce straordinaria ma quando devi costruire, devi farlo sulle potenzialità del dopo, verificare che ci sia già un progetto pronto, capire se si può lavorare in maniera immediata sennò rischi di fare un doppio danno. Paradossalmente il programma si chiama The Voice ma la voce conta tra il 20 ed il 30%, gli autori bravi non ti danno canzoni buone, il mercato è molto ristretto e bisogna concentrarsi al massimo su tutti gli elementi concreti che si hanno a disposizione.

 Raffaella Sbrescia

Video:Due Anime

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In attesa di vederlo in concerto dal 26 giugno, Max Pezzali incontrerà i fan negli store delle principali città italiane, questi gli appuntamenti:

13 maggio  ROMA Discoteca Laziale – Via Giovanni Giolitti 263 h. 18.00

15 maggio  MILANO Mondadori Duomo – h. 17.30

19 maggio BOLOGNA Mondadori Via M. D’Azeglio 34/A – h.17.30

20 maggio TORINO MediaWord Lingotto – I Portici Del Lingotto Via Nizza 262 –  h. 17.30

26 maggio NAPOLI Feltrinelli Via Santa Caterina a Chiaia 23 – h. 17.30

Gianluca Grignani festeggia vent’anni di musica libera con “Una strada in mezzo al cielo”. Intervista

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Gianluca Grignani festeggia i 20 anni di attività artistica con un nuovo progetto discografico intitolato “Una strada in mezzo al cielo” (Sony Music). Si tratta di un originale unplugged semiacustico che raccoglie gran parte dei suoi successi, ovvero quasi tutte le canzoni dei suoi primi due album, “Destinazione Paradiso” e “La Fabbrica di Plastica”, completamente re-arrangiate e prodotte tra l’Italia e l’Inghilterra. Il disco coinvolge anche alcuni celebri colleghi che hanno preso parte a questo progetto così speciale insieme a Gianluca: Elisa, Carmen Consoli, Ligabue, Annalisa, Briga, Luca Carboni, Fabrizio Moro, Max Pezzali e Federico Zampaglione hanno voluto dare il proprio contributo impreziosendo ulteriormente il lavoro.

Intervista 

 Cosa ti ha spinto ad unire questi due album in unico progetto e qual è il tuo bilancio allo scoccare del tuo ventennale artistico?

Vorrei innanzitutto specificare che l’unica cosa che mi è sempre interessata è la musica. Non mi sono mai rispecchiato nell’immagine patinata che i discografici di allora intendevano darmi. “Destinazione Paradiso” è stato prodotto in modo più pop di quanto non avessi voluto fare io e rappresenta il frutto una mediazione tra me e il produttore. Per “La fabbrica di plastica” avevo chiesto di poter lavorare con il produttore di “The bends” dei Radiohead, John Leckie; ero alla ricerca di un professionista vero che potesse concretizzare quello che avevo in testa ma mi dissero di no. A quel punto feci tutto da solo e realizzai un album completamente diverso, ovvero “La Fabbrica di Plastica”. Chiaramente ho anche fatto degli sbagli, mi sentivo come un panettiere che voleva fare il meccanico. Mi sono più volte detto che dopo quel disco era probabile che non ne avrei fatti altri, ho lottato come un matto, volevo tirare fuori quello che avevo nella testa, ci dovevo credere, questa esasperazione è venuta fuori bene. All’epoca ero giovane, avevo i miei problemi e non mi rendevo conto di dovermi buttare fino in fondo; è un bene che oggi io sia consapevole di essere un artista, ho la maturità e la consapevolezza necessaria per non far danni.

“Una strada in mezzo al cielo”  un progetto nato nel 2015?

Sì, ci sto lavorando da molto. Da un anno e mezzo il mio staff è cambiato, sono stati fatti molti danni, ho dato tutta l’amicizia che potevo in cambio mi è stato fatto solo del male.

Chi è Gianluca Grignani oggi?

 Sono il Rock 2.0: sono l’uomo e l’artista, oggi i due aspetti in me sono inscindibili. Non sono una rockstar, Grignani è quel ragazzo che ha messo piede sul palco di Sanremo e mentre scendeva si rendeva conto che le rockstar non esistono, ecco perchè a volte ho un atteggiamento scostante in tv. Non sono mai stato uno showman, la gente quando mi conosce mi vuole bene. Sono più di un buon professionista, sono uno vero, non sono un preciso, voglio emozionare (sono battistiano in questo), mi fa fatto soffrire il fatto che abbiano messo in giro una voce secondo la quale sono totalmente ingestibile, tutti ci hanno creduto, questa cosa mi ha messo in difficoltà, per 20 anni ho vissuto molte situazioni difficili.

Gianluca Grignani

Gianluca Grignani

Tornando a questo progetto. Come è arrivata la collaborazione con Luciano Ligabue in “La Fabbrica di Plastica”?

Luciano ha dimostrato che si può fare del rock in Italia, e mi ha onorato cantando su una canzone che ha sempre voluto esprimere appunto questo concetto. Lui ed il suo manager Maioli mi hanno insegnato cos’è il metodo, hanno una capacità organizzativa incredibile.  Luciano è veramente un professionista, merita di essere dov’è, ultimamente l’ho frequentato, abbiamo parlato e ho imparato molto, mi ha aperto le porte a Campovolo. La sua presenza nel disco è importante, ha manifestato grande interesse verso di me, mi ha fatto scrivere 4 archi e alla fine ha scelto solo una strofa che sentiva particolarmente sua.

Bello anche il duetto con Luca Carboni in “Falco a metà”…

Conosco Luca più per la sua musica che personalmente, ho iniziato a cantare con le sue canzoni perché si avvicinavano al mio timbro vocale. La sua versione è la migliore, l’ha cantata anche meglio di me, all’inizio l’ avevo lasciato da solo nell’ inciso, gli sta proprio bene addosso, mi ha emozionato, vorrei che diventassimo amici.

E i live?

Le prevendite partono il 9 maggio alle 12 su Ticketone. Il tour si chiamerà “Rock 2.0”, i numeri richiamano il ventennale di un musicista e di un uomo che ha gridato al mondo che le rockstar non esistono. In estate farò dei live acustici che annuncerò su Facebook.  Il primo dicembre sarò all’Alcatraz di Milano mentre il 3/12 sarà all’Atlantico di Roma. Non voglio fare il fenomeno, voglio vedere cosa succede, voglio far vedere chi sono alla gente. I concerti metteranno insieme due dischi che sembrava impossibile mettere insieme, ci saranno moti ospiti, mi sono preso un anno per fare le cose per bene.

 Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist completa del nuovo lavoro: “Destinazione paradiso” (feat. Elisa); “Una donna così”; “L’allucinazione” (feat. Carmen Consoli); “Come fai?”; “La fabbrica di plastica” (feat. Ligabue); “La mia storia tra le dita” (feat. Annalisa); “Madre”; “Rok star” (feat. Briga); “Il gioco di Sandy”; “La vetrina del negozio di giocattoli”; “Solo cielo”; “Falco a metà” (feat. Luca Carboni); “Più famoso di Gesù” (feat. Fabrizio Moro); “Allo stesso tempo”; “Primo treno per Marte” (feat. Max Pezzali); “Galassia di melassa” (feat. Federico Zampaglione); “Una strada in mezzo al cielo” (il brano inedito che dà il nome al disco).

L’album sarà presentato anche durante gli Instore: tra i primi appuntamenti l’8 maggio, a Milano(Mondadori Megastore, piazza Duomo); il 14 maggio, a Napoli (Mondadori Bookstore c/o C.C. Vulcano Buono); il 21 maggio, a Torino (Mondadori Megastore); il 22 maggio, Roma (Mondadori Bookstore c/o C.C. Roma  Est). Tutti alle ore 17:00.

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