Niccolò Agliardi presenta “Resto”. Un’antologia per brani non stagionali. Intervista

Niccolò Agliardi foto di Francesca Marino

Niccolò Agliardi foto di Francesca Marino

Venerdì 14 settembre uscirà l’antologia di Niccolò Agliardi, intitolata “Resto”. Al suo interno due album “Ora” e “Ancora”, che racchiudono tutti i brani più importanti del percorso artistico del cantautore, più tre inediti che portano valore aggiunto ad un progetto che, anche dal punto di vista grafico, ha molto da raccontare con un origami pensato per ogni brano incluso nella raccolta. Chiacchierare con Niccolò è sempre fonte di ispirazione, ecco cosa ci raccontato questa volta.

Bentrovato Niccolò, come mai ti è venuta l’idea di ripristinare il tuo percorso artistico e riproporlo in questa nuova veste e con quali obiettivi?

Nessun obiettivo principale se non quello di riascoltare le mie canzoni, anche quelle meno riuscite, che avevano qualcosa che io consideravo fosse giusto da rivedere, da riascoltare in questo momento. Avevo la sensazione che alcune canzoni fossero frizzate in un’epoca che non era quella che stavo vivendo. Quindi con i miei musicisti abbiamo scelto di divertirci per un tempo nemmeno così breve. Abbiamo riascoltato le canzoni che ci piace suonare dal vivo per capire che cosa non funzionava nei dischi e capire invece cosa funzionava dal vivo per poi vestire questi brani come li vestiremmo oggi. Un po’ come se quelle canzoni avessero dei dettagli, degli accessori molto identificanti di un’epoca musicale. Io credo che le mie canzoni abbiamo forse un unico merito: non sono stagionali. Abbiamo quindi cercato di dargli un vestito molto sobrio all’interno di un percorso bello, divertente, stimolante e molto sereno. Adesso ascolto le mie canzoni e le sento tutte molto vive, pulsanti, come se fossero state scritte un mese fa. Mi piacciono molto.

Come si fa a non perdere l’incanto? Dalle tue canzoni, così come da altri fronti, si percepisce tanta emotività. Qual è il tuo segreto?

Beh quello è un rischio. Io sono disincantato in realtà, purtroppo. Quando accendo la radio o la faccio o quando accendo la tv un po’ mi preoccupo e mi chiedo: “Dove sono finite quelle cose che io amavo tanto?” Non sono passatista, non mi piace dire che quello che ho ascoltato 10 anni fa sia più bello di quello che ascolto oggi, mi chiedo però come mai il sistema della diffusione, della divulgazione della canzone che genera il sistema mediatico dell’intrattanimento abbiano scelto di trasmettere contenuti davvero troppo leggeri. So benissimo che “Resto” è un progetto di un’ambizione oltreconfine, basta guardare la cura con cui abbiamo realizzato anche la parte grafica di questa antologia, con un origami pensato per ogni canzone. Siamo più di 100 persone ad aver lavorato a questo disco. Come si può far cadere una cosa fatta con così tanta passione in un mare magnum di cose miste?

Il singolo “Johnny” prende ispirazione dalla tua avvenuta di affido monogenitoriale ma sfocia in un testo molto significativo. “Ti mangi il mondo e fai pure scarpetta con quel che rimane perchè la vita è bastarda ed il cuoco migliore è la fame”…. è un frase molto impattante. Che messaggio intendi trasmettere a tuo figlio e chi ascolterà il brano?

In questo racconto c’è il mio Johnny ma in realtà è un Johnny qualunque, un ragazzo italiano o non, che si trova ad ascoltare molte promesse fatte in questo paese e si accorge che non tutte possono essere mantenute. A Johnny io do l’ultima piccola spinta prima che egli prenda la nave, il battello, la zattera per attraversare il mare e raggiungere una destinazione per una ripartenza.

Parto dal titolo dell’inedito “Di cosa siamo capaci” prodotto da Corrado Rustici, per chiederti: Di cosa vorresti essere capace tu adesso?

Io vorrei essere capace di non aggrovigliarmi, di non entrare nel solco che ognuno di noi ha nei momenti di difficoltà. Ognuno di noi ha il suo labirinto, io sto cercando ancora la strada per non cadere in questo solco anche se vivo un momento della mia vita molto sereno, gioioso con un tante cose bellissime. A volte mi domando addirittura se merito tutto quello che ho, non sono mai stato abituato ad avere tanti sensi di colpa ma a volte mi chiedo chissà cosa abbia innescato il fatto che io potessi avere tante cose belle. Anche la felicità impaurisce, allora i pensieri, il solco,tornano a farsi vedere. Vorrei avere una forza centrifuga e non centripeta.

Niccolò Agliardi_cover RESTO

Niccolò Agliardi_cover RESTO

“Io vorrei piacerti, intanto piaccio a me” Come si fa a trovare la forza di inserire un’ammissione così importante nel terzo inedito “Colpi forti”?

Un giorno ho guardato mio padre negli occhi e non ero più interessato a sapere se gli piacessi o meno. Ho pensato che era importante in quel momento piacere a me stesso in primis. D’altronde se non mi piacessi, non saprei nemmeno bene cosa offrire e per cosa essere giudicato. In questo senso ho preferito dire, con grande amore e affetto, io mi piaccio, prenditi quello che piace a te di me, questo è quello che posso offrire.

Com’è andata l’avventura radiofonica con il programma su Radio Rai 2 “Week up” con Paola Gallo?

Benissimo, mi sono divertito un sacco in questo primo esperimento super riuscito. Abbiamo finito proprio ieri con tantissimi ospiti che sono venuti a trovarci ieri. Fare la radio è la cosa che più mi piace insieme a scrivere , spero di rifarla presto e poi con Paola ci conosciamo da tanti anni è andato tutto a gonfie vele. Andiamo molto a braccio, accendiamo il microfono e partiamo.

Con la scrittura e la letteratura come sei messo?

Due anni fa ho pubblicato una storia importante “Ti devo un ritorno”. Adesso questo libro sta per diventare un’altra cosa quindi ci stiamo lavorando, questo adattamento visivo vedrà arrivare tanti nuovi personaggi, è stranissimo, sto riprendendo in mano le tracce di Vasco, di Pietro, il romanzo è stata una matrice, una cellula. Ora la storia si allarga. Non sono più da solo, stiamo scrivendo in tanti, siamo tornati dai protagonisti, vediamo cosa che ne verrà fuori.

Tra tutti questi progetti c’è spazio per i concerti?

Lo dico sempre, concerti ne farò molto volentieri quando sentirò che questo disco è arrivato e la gente avrà voglia di venirlo ad ascoltare dal vivo. Inutile organizzare adesso un tour quando il mio impegno principale è che queste canzoni diventino parte della vita di chi le ascolta. Solo più avanti andrò a bussare nelle varie città e sarò fiero di consegnare Ora e Ancora. In ogni caso, adesso, non avrei nemmeno il tempo di lavorarci come si deve.

Come ti interfacci con le persone che ti seguono e come cambia l’approccio rispetto al fatto che sono diversi i canali di contatto con il pubblico?

 Dico con fierezza che non ho tanti haters. Mi seguono delle persone molto simili a me, molto garbate, mi scrivono cose sempre carine, mi fanno qualche domanda. Quello che mi fa un po’ paura è quando la gente mi manda canoni e mi chiede un parere, io lì sono un po’ in difficoltà perchè non sono sicuro di essere all’altezza. Non perchè io non sappia giudicare, l’ho fatto tante volte per lavoro in un contesto legittimato. Il fatto è che se una persona ti manda una canzone è perchè vuole solo sentirsi dire che è bella e delle volte io ricevo cose brutte e questo è l’unico aspetto della possibilità di accesso che noi oggi tutti abbiamo che mi inquieta.

Raffaella Sbrescia

Ernia presenta il primo album ufficiale “68″. Quanti di voi conoscono davvero il rap? Intervista

Ernia

Ernia

Esce Venerdì 7 Settembre il nuovo progetto discografico del rapper Ernia“68”, album contenente  12 brani inediti su etichetta Thaurus/Island Records.

Tra i più apprezzati rapper della nuova generazione, Matteo Professione, in arte Erniaa distanza di un anno dal precedente progetto Cuuu/67”,già certificato disco d’oro,  e dopo il successo del “Come uccidere un Usignolo/67 tour” che ha contato oltre 50 date in giro per l’Italia, torna con un album prodotto per la maggior parte insieme a Marz e registrato a Milano negli studi di Thaurus.

Checchè se ne dica, il rap è di fatto il trend musicale principale in Italia ormai da qualche anno. C’è chi lo nega, chi si divide tra categorie di genere, chi invece si interessa solo alla trap, la più spinta dai riflettori. All’interno di questo marasma si muove Ernia, un giovane che, dalla periferia di Milano si muove a piccoli passi verso il centro con il suo album primo album ufficiale “68″.
“Nell’universo rap si tende a citare i propri luoghi di origine. Per questa ragione il titolo “68″ nasce dal nome della linea di autobus che dalla periferia giunge a una delle nuove zone centrali di Milano QT8. Allo stesso modo io stesso sono passato dall’essere un emergente a uno dei meglio considerati in ampito rap. Non resta che stare a vedere se salendo su questo 68 arriverò in centro o dovrò tornarmene indietro con la coda tra le gambe“. All’interno della tracklist ci sono pezzi leggeri alternati a brani attraversati da uno stream of consciousness che unisce le fila di un discorso personale più stratificato: “Nel disco mi rifaccio un po’ allo stile di Kendrick Lamar, il suo modo di veicolare  messaggi è immediato e ricercato al contempo, mi piacerebbe ripetere questo discorso all’interno del mercato italiano”. Per capire più a fondo che tipo di corrente e in quale contesto c’è da inserire Ernia, bisogna pensare alla musica black con un piglio cool: Mattafix, Black Eyed Peas, 50 Cent: “Quando ero piccolo ero molto più difficile da raggiungere il rap, i media pare se ne siano accorti soltanto da poco ma il problema è più radicato. La radio, che avrebbe il potere di decidere cosa va e cosa no, arriva sempre un passo dopo sulle tendenze. Di base nessuno parla la lingua dei ragazzi, ecco perchè li troviamo come cani pazzi che si ritrovano a cercare in giro le cose senza comprenderle. Ecco come nascono gli “antivaccinisti del rap” che non capiscono nulla di questo genere. Per quanto mi riguarda svolgo il mio ruolo di “mediatore culturale” tenendo vive le radici, usando diverse citazioni musicali, al limite del livello di citazioni scolastiche. Sono un ascoltatore pigro, mi diverte l’autocelebrazione, cerco di continuare la linea artistica di Marracash e Gue Pequeno. I nuovi della scena rap/trap si sono distaccati da questo filone io invece resto vicino al mondo dei miei miti mantenendo un equilibrio”.

Non dimentica dunque le origini Ernia che, in questo album ritrova anche l’amico d’infanzia Tedua: “Io e Mario eravamo vicini di casa prima che si trasferisse a Genova, abbiamo anche frequentato le scuole materne insieme, ci piaceva soprattutto il free style e prenderci in giro. In questo mio album non ci poteva essere nessun altro che lui. Trattandosi di un featuring chiamato, ci siamo cimentati in un puro esercizio di stile per spiazzare il pubblico”. Per stupire il pubblico non possiamo non parlare della struttura musicale di questo album che si presenta piuttosto variegata e ricca: “Premevo per fare un richiamo alla musica black old style. “Tosse” e “Sigarette”, ad esempio, sono prese da campioni jazz, all’interno di “Simba” ho inserito la base di pezzi club degli anni 2000. “King QT” cita King Kunta di Kendrick Lamar. Nello specifico abbiamo risuonato e cambiato i giri dei campionamenti che avevamo scelto”. Tecnicismi a parte, Ernia è uno che ama darsi completamente sul palco: “Mancano due mesi al tour e ho in mente di mettermi a studiare un mese a Bologna per prepararmi al meglio. Non sono un fan del rapper con la band, il rapper deve avere il dj dietro, adoro il one man show. Il mio obiettivo è sempre e solo il live. Se non arrivi al pubblico, resti zero. Puoi fare tutte le views del mondo ma senza i risultati reali non ci sei, non esisti. Non mi chiedere di singoli e di video, io presento il disco nella sua interezza, sarà chi lo ascolterà a dirmi quale traccia preferisce. Il mio pubblico non è giovanissimo ma non mi sento un pesce fuor d’acqua, mi piacciono tanti altri rapper, li ascolto tranquillamente. Quello che viviamo adesso è un trand, uno o due al massimo sopravvivranno, tutti hanno copiato il numero 1 che è Sfera Ebbasta. Se il trend finisce, sarà la fine di molti, io che non faccio parte di questo giro, se cadrò lo farò solo per colpa mia”.

Raffaella Sbrescia

Da venerdì 7 Settembre Ernia sarà impegnato nel “68 instore tour” che lo vedrà protagonista nelle principali città italiane per la presentazione del nuovo album d’inediti e per l’atteso incontro con i fan.

68 instore tour partirà Venerdì 7 Settembre con un doppio appuntamento prima a Varese presso Varese Dischi e poi a Milano presso il Mondadori Megastore di Piazza duomo per poi proseguire Sabato 8 settembre a Monza e poi a Brescia, il 9 Settembre a Padova e Bologna, il 10 Settembre a Genova e Torino, l’11 Settembre a Firenze e Roma, il 12 Settembre a Napoli e Salerno, il 13 Settembre a Bari e Lecce, il 14 Settembre a Mestre e Verona, il 15  Settembre a Modena e Forlì, il 16 Settembre a Lucca e Massa, il 17 Settembre a Frosinone e Caserta, il 18 Settembre a Palermo, il 19 Settembre a  Messina e Catania, il 20 Settembre a Como e Arese e il 21 Settembre a Cagliari.

 

Alvaro Soler: “Il mio Mar de Colores vi dimostrerà che c’è ben altro oltre i tormentoni estivi. Intervista

Alvaro Soler - Mar de Colores

Alvaro Soler – Mar de Colores

Arriva venerdì 7 settembre il “Mar De Colores” di Alvaro Soler. Il giovane cantante e musicista cosmopolita ormai gode di ampio affetto da parte del pubblico italiano grazie alle sue canzoni fresche e allegre. Anche questo album nasce dall’idea di mettere insieme visioni, pensieri, colori e tradizioni con l’intento di unire le persone tra loro in un’epoca martoriata da conflitti di svariata natura. Si fa presto a definirlo “One hit man” e in effetti l’obiettivo dell’artista è quello di scrollarsi finalmente questa etichetta non veritiera dalle sue spalle.

“In questo disco ho messo in luce diversi lati del mio carattere e del mio modo di pensare. Ho esaltato il gusto di viversi la vita in modo semplice, autentico e senza fretta. Non dimentichiamoci di goderci il momento. Io stesso l’ho fatto con il repentino successo di “Eterno Agosto”, un album nato come un esperimento e che invece si è rivelato essere il primo passo per costruire le fondamenta di un percorso che mi ha portato davvero lontano”. Quella che emerge in questo album è, dunque, la filosofia di vita di Alvaro che ha vissuto il periodo di preparazione del progetto come una leva per fare di più e meglio, per reinventare delle idee rock e addolcirle con uno stile più vicino a testi più maturi e più pensati. “Molti si chiedono come una persona così cerebrale come me possa scrivere cose allegre, io invece penso che abbiamo già abbastanza canzoni per piangere. Questo mestiere mi ha insegnato a trovare un equilibrio tra momenti in cui sento di volermi identificare con canzoni felici, altri in cui sento la necessità di isolarmi e riflettere”.

Per tornare al suo ultimo successo “La Cintura”, Alvaro ha voluto alzare la posta in gioco con un featuring che ha visto la partecipazione di Flo Rida e Tini: “Non sai mai che valore aggiunto puoi dare ad un brano che è già stato suonato parecchio, con “La cintura” si è presentata questa opportunità e l’ho sfruttata per compiere un altro importante passo verso l’apertura e la condivisione tra generi musicali diversi. In quel periodo Tini faceva un po’ di promozione a Madrid e abbiamo girato il video divertendoci molto e sentendoci davvero a molto agio”. A proposito di colori, inevitabile chiedergli quale sia quello dominante in questo album: “Non c’è un colore predominante, si tratta di sfumature che predono vita dai colori primari che si mixano tra loro. Questa cosa rispecchia perfettamente me stesso che parlo tante lingue ma nessuna in modo perfetto, faccio tante cose ma nessuna al meglio (ride ndr)”.

A un artista così attento al concetto di integrazione e cosmopolitismo non si può non chiedere inoltre un’opinione su quanto stia accadendo in Catalogna, a proposito del movimento indipendentista: “Non sono perfettamente informato sugli ultimi sviluppi visto che vivo anche a Berlino. Mi baso molto su quello che mi raccontano i miei genitori e mi rattrista vedere il mio popolo scisso. Ho visto i miei nonni avere paura di uscire in strada, non so come andrà a finire ma spero davvero che si possa trovare una soluzione pacifica”. Con numeri così importanti alla mano, cosa si porrà come obiettivo un giovane artista come Alvaro? Ecco la risposta: “Visto che la gente conosce soprattutto le canzoni che passano in radio, vorrei riuscire a portare avanti tutto l’album, fare in mondo che il pubblico possa affezionarsi al mio repertorio in modo più ampio. Vorrei che le persone venissero ai miei concerti per sentire tutto e non solo i singoli più famosi. Conservo un ottimo ricordo di X Faxtor e di tutte le persone che ci lavorano, la tv è interessante ma ora come ora voglio concentrarmi sulla mia carriera da musicista. A novembre metterò in piedi il nuovo show e sono felice di anticipare che ho già delle idee molto creative che non vedo l’ora di mostrarvi. Vi aspetto!”

Raffaella Sbrescia


ALVARO SOLER incontrerà i fan italiani per presentare ad autografare il suo nuovo album durante 3 esclusivi appuntamenti: il 15 settembre a la Feltrinelli Libri e Musica Stazione Garibaldi di NAPOLI (Piazza Giuseppe Garibaldi, ore 18:00), il 16 settembre al Mondadori Megastore di MILANO (via Marghera 28, ore 17:30) e il 17 settembre alla Discoteca Laziale di ROMA
Questa la tracklist completa: “La cintura”, “Histerico”, “Te Quiero Lento”, “Ella”, “Puebla”, “Au Au Au”, “Fuego” feat. Nico Santos, “Veneno”, “Bonita”, “No Te Vayas”, “Nino Perdido”, “Yo Contigo Tu Conmigo”, “La Cintura” featuring Flo Rida & Tini.

Alvaro Soler - Assago

Alvaro Soler – Assago

Prezzi biglietti:

Parterre in piedi: 25,00 € + diritti di prevendita

Tribuna numerata A: 50,00 € + diritti di prevendita

Tribuna Gold Numerata: 50,00 € + diritti di prevendita

Anello B non numerato: 35,00 € + diritti di prevendita

Biglietti in prevendita esclusiva per gli iscritti My Live Nation dalle ore 10 di mercoledì 5 settembre

Biglietti disponibili su ticketmaster.it, ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati dalle ore 10 di giovedì 6 settembre

L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali.

Intervista a Luca Carboni: il mio nuovo tour sarà “Una grande festa”. Provare per credere!

Con il dodicesimo album intitolato SPUTNIK,  Luca Carboni si mantiene in vetta alla classifica musicale Made in Italy. Il primo singolo “Una grande festa” ha celebrato l’universo pop attraverso una sintesi artistica ironica e concettuale al contempo. Abbiamo approfittato di uno dei suoi ultimi Firmacopie in vista del tour che partirà in autunno per approfondire la conoscenza dell’album e del pensiero che c’è alla base di questo lavoro.

Luca Carboni

Luca Carboni

Luca parliamo subito di questo nuovo splendido album “Sputnik”. Già il titolo da l’idea di partenza. Una partenza che però fa tesoro delle esperienze passate. Un album che è molto coerente, e che è il proseguimento ideale di “Pop Up”…

Intanto ti ringrazio per l’aggettivo “splendido” perché i complimenti fanno sempre piacere. Sono felice di presentare questo nuovo album; per me è una grande festa, per parafrasare il titolo del primo singolo estratto. Come dicevi tu, il titolo ricorda anche molto della mia storia. Io sono nato negli anni ’60, cresciuto nell’epoca della guerra fredda; lo Sputnik è stato il primo satellite lanciato dai sovietici, che erano in gara con gli americani per la conquista dello spazio; però se ci pensiamo bene, questo satellite ha inaugurato anche l’era moderna in cui viviamo oggi; senza i satelliti vivremmo una vita sicuramente diversa, sapremmo meno cose. Questo simbolo, nella traduzione italiana significa anche compagno di viaggio, quindi è una parola dura che però ha un significato dolce, e mi piace pensare che le canzoni siano compagne di viaggio delle persone. E’ così anche per me; sono legato a tutte le canzoni che ho cantato e che ho scritto in questi anni. Mi auguro che anche le canzoni di questo nuovo lavoro possano essere compagne di viaggio…

In questo album c’è un pezzo molto interessante, che è anche una bella dichiarazione di intenti, “Io non voglio”, e una frase che dice “Voglio un cambiamento radicale”. Se Luca Carboni si guardasse intorno oggi, quale cambiamento radicale vorrebbe?…

Il cambiamento radicale nella canzone è legato al tema dell’amore, al fatto che nell’amore di coppia vissuto in profondità, ci deve essere la capacità di amare anche l’errore dell’altro, di perdonarsi, di non drammatizzare ogni situazione, quindi in questo caso la canzone parla di un cambiamento all’interno di un amore, di una coppia, di una storia. In generale i cambiamenti che vorrei sono davvero tanti, da quelli legati all’ambiente, a quelli legati all’apertura nella nostra società. Il discorso diventerebbe davvero lungo e complesso. Sicuramente ognuno di noi ha dentro di se’ un desiderio da realizzare, un cambiamento da attuare…

Video: Una grande festa

Nel disco hanno collaborato anche noti artisti della scena indipendente come Calcutta, Gazzelle e Giorgio Poi…

Sì, la scena indipendente mi piace molto. Negli ultimi anni, nella musica italiana, c’è stato il pop, il rap, e il rap che si trasformato in trap. Mancava da tempo una generazione che facesse anche la canzone d’autore in una chiave nuova e che rubasse un po’ di spazio al pop più banale presente da anni nella musica italiana, perciò ben vengano queste nuove generazioni che hanno un punto di contatto con cantautori come me, che hanno cominciato negli anni’ 80. Loro “rubano” un po’ la scena al pop, si stanno staccando dalle cose più alternative e stanno arrivando pian piano nelle radio, non rimanendo isolati. E questo mi fa molto piacere; un po’ come noi che negli anni ’80, volevamo uscire dalla canzone ideologica e politicizzata dei cantautori anni ’70. Noi volevamo raccontare l’uomo al di là dei partiti, delle divise, delle bandiere. Secondo me questa nuova generazione è interessante. Con Calcutta e Giorgio Poi, ci siamo incontrati a Bologna, girando spesso per il centro. Ho scoperto che erano venuti a vivere a Bologna. E’ nata prima un’amicizia, e da lì l’idea di collaborare in quest’album. Gazzelle invece è un cantautore di Roma; mi era piaciuto il suo disco, sono andato a sentirlo in concerto sempre a Bologna, in un club dove tra l’altro io faccio spesso le prove con i miei musicisti, e così è nata l’idea di provare a fare qualcosa insieme.

Un pezzo di quest’album che amo molto è “2”. Tu descrivi una verità assoluta, ovvero, “Tutta la gioia, tutto il dolore, tutto quello che hai è due…”

Questa è una canzone a cui tengo davvero tanto anche io; faccio un po’ di confusione con la matematica, perché il due sarebbe divisibile, e io dico invece che è indivisibile. In ogni storia d’amore ci sono due vite, due differenze, due culture, due mondi da cui arrivi e quando si ama non si deve pretendere di cancellare le differenze, che magari sono proprio quelle che ci hanno attratto della persona, e quindi mi piaceva questo concetto, viviamo una unità su due elementi che possono stare insieme per sempre…

Lo Sputnik Tour parte il 12 Ottobre da Nonantola, ed approda a Napoli, alla Casa Della Musica, il 26 Ottobre. Che tipo di concerto sarà?…

L’album è uscito l’8 Giugno, ma io ho voluto spostare il Tour volontariamente ad Ottobre perché mi piaceva che le canzoni di questo nuovo disco fossero conosciute bene, visto che faranno parte della scaletta del concerto, insieme ai successi che ci si aspetta e ad altre canzoni che solitamente non faccio dal vivo. Voglio fare un tour con la consapevolezza di cosa racconta questo album, delle idee che ci sono dentro. Ho lavorato tanto anche al progetto visuale, che gioca un po’ anche con i disegni della copertina, lo spazio, la spazialità, l’ironia, e anche momenti commoventi di un lavoro video che accompagnerà un po’ tutto il concerto…

“Cosa rimarrà dei nostri tentativi di rimanere umani”?…
Questa è una bella domanda… io sono da un lato un po’ fatalista, dall’altro anche ottimista e penso che l’umanità possa venire anche da un solo uomo, un po’ come dicevano le Sacre Scritture. Anche se c’è un solo uomo che porta dentro questa umanità, il mondo si può salvare…

Giuliana Galasso

Sputnik – Tracklist
Una grande festa
2 (Due)
Amore Digitale
Io non voglio
Ogni cosa che tu guardi
I film d’amore
L’alba
Prima di partire
Sputnik

Sputnik Tour
12 Ottobre – Nonantola (Vox Club)
13 Ottobre – Cesena (Vidia Rock Club)
16 Ottobre – Bologna (Estragon)
18 Ottobre – Padova (Gran Teatro Geox)
20 Ottobre – Venaria Reale (Teatro Della Concordia)
22 Ottobre – Firenze (Obihall)
23 Ottobre – Perugia (Afterlife)
25 Ottobre – Modugno (Demodè)
26 Ottobre – Napoli (Casa Della Musica)
28 Ottobre – Roma (Atlantico Live)
29 Ottobre – Milano (Fabrique)
31 Ottobre – Genova (Politeama Genovese)
3 Novembre – Brescia (Gran Teatro Morato)
4 Novembre – Parma (Campus Industry Music)

 

Dalia delle Fate: amore, fede e fantasia in musica contro il cinismo e il disincanto

Dalia delle Fate

Dalia delle Fate

In TV dallo scorso 11 giugno, la serie Dalia delle Fate (Dalia de las Hadas), l’inedito musical teen creato, scritto e prodotto da Anna Mirabile è stata girata tra Roma e Buenos Aires. Abbiamo incontrato alcuni membri di un cast internazionale, amato dal mondo dei teenager e non solo per capire come e perchè stanno cambiando i gusti dei ragazzini. Protagonista della serie (che conta 175 episodi) è Dalia (Miriam Planas) una ragazzina che sogna di diventare una cantante. Dalia è stata cresciuta dal padre Walter, ma sua madre adottiva, che lei crede sia la sua vera madre, l’ha abbandonata all’età di 4 anni.

Dal 2 giugno è disponibile la compilation”Dalia de las Hadas” che raccoglie le musiche originali dei 20 episodi. Dieci brani cantati dagli attori protagonisti della serie, ovvero: Miriam Planas, Ian Lucas, Tiziano Colabucci, Nicolas Maiques, Sol Moreno e Florencia Ortiz. È in radio “Stops the Tears”, primo singolo estratto

La serie Dalia de las hadas è stata girata tra Roma e Buenos Aires. Questo concetto di cosmopolitismo si evince anche dalle puntate della serie tv? 
L’abbiamo girata in forma neutrale come se ogni città del mondo potesse essere il regno delle Fate, ma ad un sguardo attento non sfuggirà la meravigliosa Buenos Aires. La telenovela del resto è argentina e volevamo rendere omaggio alla capitale dei sogni e delle fiction più interessanti del mondo, senza dimenticare la Colombia, il Messico e il Venezuela. Il cast è infatti internazionale.
 
Cosa significa trasmettere il sogno di diventare una cantante a degli adolescenti?
È importante dedicarsi a ciò che più amiamo senza perdere di vista la realtà ma senza rinunciare alle proprie aspirazioni. Lotta per i tuoi sogni è lo slogan della serie
.
Quali sono, secondo voi, gli elementi vincenti di questa serie?
Il cast, attori straordinari, e l’amore che ci abbiamo messo dentro per realizzarla. La creatività che vive in noi e l’audacia di crederci per migliorare la vita, il rispetto per la sacralità del femminile e la lotta per sconfiggere i prepotenti.
 
Quali i messaggi che intendete trasmettere?
Che per chi ha fede tutto è possibile, che la vita è più di ciò che appare.
 
Il ruolo del sogno e della fantasia è ancora rilevante in un mondo così cinico e disincantato?
La favola esiste dentro di noi, basta crederci per attivarla. Il cinismo è una difesa dei razionali, ma in fondo crediamo che anche loro vogliano sognare.
 
Cosa può fare la musica per tenere intatta la dimensione umana di chi, adolescente, si approccia ai primi programmi tv?
La musica può più delle parole, è vibrazione e arriva al cuore. Il cd di Dalia de las Hadas che si può trovare sulle piattaforme digitali come itunes o spotify o su www. daliadelashadas.com, lo dimostra. È un toccasana contro la malinconia.E i giovani hanno bisogno di credere, come si dice nei testi delle canzoni.
Dalia delle Fate

Dalia delle Fate

 
Che rapporto c’è tra voi protagonisti della serie?
C’e’ feeling, solidarietà, stima e amore. Mai visto un cast più unito. Sul set sono nate molte storie d’amore…
 
Cosa vi aspettate da questa avventura professionale?
Di continuare con tante nuove stagioni della serie perché l’avventura continui.
 
Cosa raccoglie la compilation e con quale spirito è stata pubblicata?
La compilation disponibile dal 2 giugno, è la sintesi dei temi affrontati nella serie. Concepita fra Buenos Aires, musica e testi in spagnolo di Nicolas Maiques, e Los Angeles, musica e testi in inglese di Rich j Dickerson e Simone Sello, è il punto di forza di Dalia. Si rivolge ai bambini e agli adolescenti, ma parla a tutti. 
Raffaella Sbrescia

Umbria Jazz 2018 è alle porte. Il benvenuto lo dà il leggendario Quincy Jones

Quincy Jones ph JR

Quincy Jones ph JR

E’ un Quincy Jones provato nel fisico, ma non certamente nello spirito quello che fa il suo ingresso nella gremitissima sala del Bristol Hotel Barberini di Roma, ad incontrare la stampa, in previsione del concerto di apertura che lo vedrà protagonista a Perugia, Venerdì prossimo, in occasione del 45° anniversario della manifestazione icona del Jazz in Italia, ovvero l’Umbria Jazz. Ad introdurlo un visibilmente emozionato Renzo Arbore, che ricorda il coraggioso esperimento di trasmettere un suo concerto alla Rai, nel 1976. Arrivato ieri da Zurigo, ha subito voluto stupire la Capitale, esibendosi a sorpresa a Fiumicino, come solo un vero passionale cultore del Jazz sotto ogni sua forma può osare, mostrandosi in tutta la sua disponibilità e generosità nel rapportarsi con un pubblico che lo ha oramai da tempo consacrato alla Storia della Musica, quella con la “S”.

Ottantacinquenne di Chicago, autodidatta, cresciuto musicalmente e fisicamente di fianco al poco più che coetaneo Ray Charles, a diciotto anni parte per la sua prima tournée ; e da allora non si è mai fermato. Arrangiatore, compositore, trombettista, produttore discografico ed attivista, rappresenta un vero monumento della musica contemporanea, per le collaborazioni più prestigiose, a partire dalla Dizzy Gillespie Band, passando attraverso nominativi del calibro di Count Basie, Henri Salvador, Aznavour, Sinatra, Barbra Streisand, Tony Better, nonché per la composizione di colonne sonore che hanno fatto la storia del Cinema, oltre che della musica. Sue le note che accompagnano film come “La vita corre sul filo”, l’indimenticabile interpretazione di Walter Matthau in “Fiore di Cactus”, l’emozionante colonna sonora de “La calda notte dell’Ispettore Tibbs” ; Quincy Jones è patrimonio dell’esistenza di ciascuno di noi. Spesso in maniera inconsapevole. Dagli anni ’60 importante anche la sua attività nell’ambito della produzione discografica: attività che trasformerà in maniera radicale il percorso della musica moderna, grazie al supporto dato a geniali musicisti, come Miles Davis, Dinah Whashinton, e, non ultimo, Michael Jackson. La collaborazione tra i due sarà importantissima nelle rispettive vite e carriere, e porterà alla realizzazione del progetto “We are the World”, brano scritto da Jackson e Lionel Richard, ed ancora impresso nella memoria di tutti noi. Sarebbe lunghissimo esporre tutte le vicende musicali ed artistiche di Jones: tutti argomenti su cui la stampa Romana e Nazionale non ha indugiato ad esporre domande. Dal We are The World, appunto, alla collaborazione con l’amico Ennio Morricone, consistente nella produzione di due brani, (ci tiene a precisare), all’aneddotica, che culmina con il ricordo della visita a Giovanni Paolo Secondo, che accolse lui e Bono a Castel Gandolfo, sfoggiando scarpe rosse, che i due apostrofarono come “da pappone”, ignari che il Santo Padre li stesse ascoltando. E tutto si concluse con una risata, che scoppia nuovamente, al ricordo, fragorosa sul suo volto, solare e disponibile come pochi artisti riescono ad essere. Soprattutto artisti di tale calibro.

Quincy Jones ph JR

Quincy Jones ph JR

E’ nell’accattivarsi i consensi della platea il segreto del suo fascino, mentre risponde alle più svariate domande, esprime il suo apprezzamento per giovani virgulti musicali, come Jacob Collier, di cui è anche produttore, ma il cui talento è indiscutibile, ed ha fatto da protagonista alle due ultime edizioni di Umbria Jazz.

La musica è divertimento. La musica è libertà espressiva. La parola Jazz non ha cambiato significato, è sempre la stessa: Jazz è la possibilità di scegliere dove andare. Jazz è libertà. Nel corso della sua carriera ha vissuto tutte le fasi di cambiamento del Jazz, ed ha frequentato qualsiasi genere di musica, senza preclusioni, anche grazie ad una formazione a 360 gradi.

L’impegno delle Nazioni più potenti del mondo a ridurre il debito verso i paesi più poveri, per 22 miliardi di dollari, il suo fiore all’occhiello nell’ambito dell’attivismo e dell’impegno sociale.

Con un volto rilassato e divertito, Jones si accomiata dalla platea, diretto verso l’Umbria Jazz, dove fa presagire che venerdì sera ci sarà da divertirsi e non poco. Per il suo 45° anniversario, Perugia sceglie grandi nomi: Quincy Jones, Gilberto Gil, Massive Attack, Chainsmokers, Pat Metheny, David Byrne, Gregory Porter. Il tutto nella cornice di una grande Kermesse che rimane un evento di indiscutibile fascino e importante coinvolgimento e prestigio, per gli artisti e per il pubblico.

JR.

Il ritorno di Briga: “Cantare non è un business semestrale e non è per tutti”. Intervista

Briga

Briga

Ritratti di Note ha incontrato Briga durante la tappa campana degli Instore di presentazione del nuovo album “Che cosa ci siamo fatti”, un concept-album ispirato dal suo secondo romanzo “Novocaina”. Un disco nel quale si parla d’amore, di insicurezze, delle difficoltà relazionali delle nuove generazioni, e che segna un cambiamento importante per questo giovane e talentuoso artista, cambiamento già palpabile nella scelta del suono, che dà preponderanza alle chitarre e regala al tutto un tocco British. Un album sincero e coerente che mostra un Briga nuovo, che a noi piace molto.

Mattia, “Che cosa ci siamo fatti” è un album che si ispira al tuo romanzo, ma in realtà, all’interno ci sei tu a 360 gradi, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, i viaggi che hai fatto. Questo è un disco da ascoltare ma anche molto da “leggere”…

Sì, è un disco, come le mie cose solite, da leggere tra le righe, perché ci sono tante storie su di me, tanto quotidiano, tanto di quello che ho vissuto io, che mi sono lasciato alle spalle e anche tanto di quello che ho da vivere, in relazione alle prospettive, alle ambizioni, ai sogni che ho. E’ un disco di cui sono molto orgoglioso, perché rispecchia in pieno il carattere e la persona che sono, uno che va controcorrente. E’ un disco molto “anti” rispetto ai tempi che corrono, va controtendenza; me ne sono un po’ fregato delle dinamiche del marketing, e di ciò che il mercato musicale impone agli artisti. Io credo che debbano essere sempre gli artisti ad imporre qualcosa; del resto c’è chi nasce per “seguire” e chi per “osare”…

In questo disco si parla molto di errori. La parola “errore” viene anche citata più volte. Gli errori sono i nostri primi maestri di vita…

Gli errori fanno parte della vita. Forse dirò una banalità, ma gli errori servono davvero per migliorare e migliorarsi, quindi ben vengano. Nel singolo “Che cosa ci siamo fatti” dico “Di errori potrei non farne più e ognuno dei miei comunque sei tu”… Io guardo sempre con un grande sorriso a tutti gli enormi errori che ho fatto perché sono stati gli errori giusti nei momenti giusti. Ho sicuramente bruciato molte tappe, ma di sicuro tutti questi errori, tutti questi passaggi a vuoto sono stati simpatici. Io guardo sempre con grande ironia al passato; Forse ho un po’ di preoccupazione per quelli che farò perché già so quali errori commetterò, ma questo è un altro discorso…

Mattia in questo disco si parla anche di mancanze, di quelle che lasciano “un buco nello stomaco”. C’è una canzone che mi ha toccato nel profondo, e immagino che anche tu ne sia legato ,“Ciao Papà”.

“Ciao Papà” è una canzone molto nostalgica, che parla di una mancanza, sebbene non sia la mancanza di mio padre, perché fortunatamente lo ho ancora con me, ma visti gli strumenti che ho, carta e penna, rivoluzionari per i tempi che corrono, perché non dedicare una canzone ad un genitore?… Penso sia una delle cose più belle che ho fatto. In questo brano parlo di mancanza della normalità, della voglia di tornare indietro nel tempo con una maturità diversa. Alla soglia dei trent’anni, mi guardo indietro e riapprezzo i piccoli e meravigliosi gesti che ho ricevuto nella mia vita da parte delle persone che amo e che mi vogliono bene, che ci sono state e ci saranno sempre per me. Voglia e ritorno alla normalità. Faccio parte di una generazione che in qualche modo ha dovuto sempre “uscire dalle righe”, sballarsi un po’ per sentirsi viva, mentre adesso invece ripenso a quando da piccolo andavo a vedere la partita con papà o a quando lui mi comprava la coca cola, mentre camminavamo per il Lungotevere. Una cosa meravigliosa che mi rimarrà per sempre dentro, e un giorno vorrò fare la stessa cosa con mio figlio.

Video: Che cosa ci siamo fatti

Mattia c’è una canzone che amo in questo disco e che si intitola “Stringiti a me”. C’è anche molta Napoli in questo pezzo, perché hanno collaborato con te il Maestro Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, ex chitarrista di Pino Daniele…

Sì vero… penso che Napoli e Roma siano le città che hanno fatto un po’ la storia della canzone italiana e secondo il mio punto di vista sono le uniche due città che hanno sfondato nel mondo della musica nazionale con una loro identità. E’ chiaro che ogni regione ha la sua identità musicale, ma le uniche scuole musicali e cantautorali che hanno fatto da pioniere sono state quella napoletana e quella romana. Essendo io un melodico, c’è sempre un po’ di Napoli, oltre che Roma, nelle mie canzoni. Con il Maestro Campagnoli c’è un legame molto forte perché è stato il mio maestro di canto ad Amici, quindi quando posso, gli chiedo sempre di collaborare alle mie produzioni. Per me è un grande onore e lui è uno di quei musicisti che alza il livello delle mie canzoni.

Proprio in “Stringiti a me”, canzone d’amore, dici una grande verità: “Quante decisioni provvisorie disegnano le storie”. Spesso succede proprio così…

Sì, perché noi ci creiamo delle aspettative ed in base a quelle ci facciamo dei film. E continuo dicendo “Sopra i muri di un quartiere, da scoprire ancora…”. Quando uno scrive una cosa su un muro è perché vuole lasciare un segno e dire anche questa è un po’ casa mia. A proposito di quartieri, Io conosco molto bene il mio, ma per alcune strade e vicoli del centro di Roma ancora mi perdo. Questa è una cosa bellissima e lascia intuire anche perché mi piaccia così tanto Roma e perché ne sia così legato, perché è una città tutta da scoprire, sebbene non stia attraversando un periodo facile; il livello affettivo però è una cosa che riesce ad andare oltre i problemi e la realtà delle cose.

Questo è un album molto coerente dal punto di vista dei suoni. C’è una forte presenza delle chitarre. Molto bello anche il giro finale in “Mi viene da ridere/Trastevere…

Sì, io ho la fortuna di avere una band meravigliosa, siamo tutti amici, tutti professionisti e tutti under 30. Siamo molto legati e questo è importante; per un lavoro delicato come quello del musicista, prima di tutto vengono i rapporti umani e, oltre ad Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, che sono musicisti fondamentali ma occasionali nelle mie produzioni, ci sono i miei musicisti di sempre, Nico D’Angiò il bassista, Giuseppe Taccini, che è un polistrumentista e si occupa soprattutto della fase di mix and mastering, e del recording dei miei dischi; Danilo Menna il batterista e Fabrizio Dottori, il sassofonista. Poi c’è Mario Romano, che a detta di tutti gli addetti ai lavori, a livello europeo, è il miglior chitarrista under 30. Potendo godere di un chitarrista del genere, che è anche un mio grande amico da anni, non posso non utilizzare queste sue grandi doti e il fatto che sia un chitarrista formidabile. La preponderanza della chitarra, che tra l’altro è uno strumento che amo moltissimo, è dovuta proprio alla sua presenza. Tra l’altro Mario Romano ha composto la musica di “Sei di mattina”, la mia canzone più famosa…

Citiamo anche Boosta dei Subsonica. Il suo sound è particolarmente evidente nel brano “Overlay”…

Boosta è stato un musicista importante per la produzione di questo album, si sente sicuramente il suo tocco e lo ringrazio per avermi regalato pezzi di grande spessore. E’ un cultore della musica ed un musicista con il quale ho legato molto all’interno della Nazionale Cantanti. Ci tengo a dire che con la Nazionale Cantanti non facciamo solo partite di calcio, ma c’è tutto un mondo dietro che va oltre la partita che facciamo in tv. E questo è importante. Siamo amici, facciamo spogliatoio e molti di noi collaborano anche musicalmente. E’ un’associazione di cui vado molto orgoglioso e speriamo di fare sempre più del bene.

Prendo spunto dall’ultima traccia di quest’album “Volevo essere per te”, per chiederti… in questo momento della propria vita cosa vuole essere Briga per se stesso e per la musica?…

Io vorrei tornare ad essere come quei cantautori degli Anni 70, che stanno nell’aria, di cui si percepisce l’anima ma che non si vedono e non si toccano. Questa è un’idea un po’ anacronistica per tempi come questi che invece richiedono sempre di più l’apparire, la presenza dell’artista. Prendiamo ad esempio gli instore; oggi se non fai gli instore rischi magari di non vendere nemmeno un disco. C’è questa cosa di farsi firmare l’album e di fare la foto per invogliare il pubblico a comprare l’album. Non voglio essere frainteso, non che io non ami il rapporto con il pubblico perché è una delle cose che mi rende più orgoglioso, ma mi piacerebbe che tornasse questa versione e visione dell’artista come se fosse qualcosa di astratto. Ti dico una cosa, io a Roma abito nello stesso quartiere di De Gregori, ma lo avrò visto massimo due volte nella mia vita, mentre tornava a casa con la spesa. Ecco io vorrei vivere in una dimensione in cui l’artista fosse quasi una forma di “super partes”, che sta nell’aria, e di cui si percepisce solo l’essenza e il punto di vista. Questo mi auguro di essere per il pubblico, poi nei rapporti personali, spero di essere capito, ed è quello che ho cercato di esprimere nel disco. Io in quest’album inizio subito con la mia voce, senza intro, senza musica, dicendo “Se ti sbranassero gli squali” e così via, come per dire hai comprato il disco, hai speso dei soldi e adesso mi ascolti dalla prima all’ultima traccia. Hai fatto questa scelta e adesso mi devi stare a sentire… Spero che il musicista ritorni a non essere un lavoro possibile a tutti, come la società sta cercando di far succedere adesso. Sembra che fare il cantante e comunicare sia possibile a tutti, in realtà non lo è. Spero che questo lavoro torni ad avere la stessa importanza di una volta. Oggi non è così. E’ puro business semestrale, non c’è niente di valore, niente di etico e non mi piace la piega che sta prendendo…

Giuliana Galasso

“Che cosa ci siamo fatti – Tracklist
Se ti sbranassero gli squali
Che cosa ci siamo fatti
Ciao Papà
Negli occhi tuoi
Mi viene da ridere/Trastevere
Dopo di noi nemmeno il cielo
Overlay
Stringiti a me
Mi sento strano
Ti piace ancora, qui?
Volevo essere per te

 

Pitagora pensaci tu: Renato Caruso presenta la sua anima latina. Intervista

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

“Pitagora pensaci tu” rappresenta un’opera omnia in cui racchiudi le sfaccettature del tuo suono. Come nasce questo titolo e a chi si rivolge questo lavoro?

Il disco nasce per due motivi: per omaggiare la mia città, Crotone. Qui Pitagora si trasferì a 40 anni in questa cittadina per poi fondare la scuola pitagorica e tante altre meraviglie; fu uno dei primi musicologi, colui che si interessò alla musica come scienza facendo numerose scoperte. La seconda ragione è che forse un po’ mi ritrovo in lui, avendo una formazione sia scientifica che musicale. Il lavoro si rivolge semplicemente a tutti gli amanti della buona musica.

Da studioso, cultore e maestro di chitarra classica. Come vivi il tuo strumento giorno dopo giorno e come è cambiato il tuo rapporto con l’uso, sia compositivo che interpretativo, della chitarra?

Di sicuro sono cambiato nella scrittura, prima avevo un approccio molto più di getto che razionale. La cosa va anche bene, ma spesso bisogna pensare al futuro e al fine di una composizione. In questo disco c’è molto istinto ma anche tanta riflessione. La mia interpretazione è molto cambiata negli anni, forse sono diventato con l’età un po’ più dolce, romantico e meno virtuoso (ride ndr).

In questo album convergono i tuoi ascolti, i maestri di sempre e le aspirazioni del domani. Come sei riuscito a mettere tutte queste cose a fuoco?

Ho fatto una cernita di brani e stili che ho sempre suonato e depositato nella mia mente e nel cuore. Ho scelto questi perché forse mi rappresentano. In effetti sì, sono proprio i miei studi e i maestri di sempre come dici tu. Spero solo di non aver fatto un pasticcio e di aver messo troppa roba al fuoco!

Uno dei brani più suggestivi è “Aladin Samba”. Raccontaci la genesi e le visioni di questo brano.

Ero in un ristorante 8(di nome Aladin) con degli amici e sentivo questa musica arabeggiante… quasi non vedevo l’ora di andare a casa e mettere su qualche bella melodia e così ho fatto! Poi ho aggiunto un altro brano e così ho unito due stili, forse questa è la mia specialità.

Nel tuo viaggio musicale si va da Parigi al Brasile, da Milano al Portogallo, passando per l’Africa. Eppure “Napoli caput mundi”. Perchè?

Napoli per me rappresenta il centro di tutto, la musica, la poesia, l’arte, il cibo, ma soprattutto la melodia, l’armonia. A Napoli sono nati i primi conservatori, è stata la capitale tecnologica, lì è nata la prima stazione ferroviaria e tante altre cose belle che i partenopei ci hanno lasciato. Era d’obbligo lasciare una traccia del mio disco dedicato a Napoli. E poi non dimentichiamoci i grandi interpreti e maestri della scuola napoletana che ammiro come Carosone, Caruso, Paesiello, Scarlatti, Pergolesi, ecc Napoli è un’entità dalle tante anime, ecco perché il brano ha più generi. Rappresenta le tante anime di Napoli.

Chi è stato e cosa rappresenta Pino Daniele per te e per la tua musica?
Per me Pino è stato il mio Maestro Nascosto. Il Maestro che non ho mai avuto ma da lui ho imparato molto, soprattutto le ritmiche latine e bossanova, le devo solo a lui. Al conservatorio imparavo altro. Quindi, si può dire, che io sono musicalmente figlio di Pino.

Video: Pitagora Pensaci tu

Cosa significa possedere un’anima latina?
Forse è inteso più come avere un grande senso ritmico, cioè un’anima che ha del groove si direbbe oggi. Forse noi che siamo discendenti di una cultura greca e latina siamo un po’ filosofi ma anche un po’ ritmici, un po’ melodici e un po’ armonici.

Che rapporto hai con la Calabria?
Un rapporto come tutti quelli che, come me, vivono lontani dalla propria terra d’origine. Vado quando posso anche perché ho lì tutta la mia famiglia, la mia terra, la mia Sila che mi aspetta d’estate tra gli alberi, fuoco e vino. Quando posso scappo spesso. Ogni tanto bisogna staccare da Milano. Ci vuole un sentiero senza semafori, anche nel senso metaforico.

Raccontaci gli omaggi contenuti nell’album e il melting pot culturale che hai costruito.
Parto da ANTONIO’S CHORO. Il Choro è un termine portoghese che significa lamento e viene usato soprattutto nelle composizioni come dire minuetto, aria, tango, ecc. Antonio è un amico storico e ho voluto dedicargli questo brano perché ci accomuna la chitarra classica e i famosi Choro di Heitor Villa-Lobos studiati in conservatorio. Poi c’è BOSSA DE SHEILA La bossa, samba, ritmo latino fanno parte di me. Fosse per me suonerei tutto in chiave bossa! Questa piccola composizione è nata in campagna, in Calabria, dove io passo le vacanze estive. CARO MIO JOBIM invece è un brano molto particolare. Rimanendo sempre in tema latino, samba, ho voluto maggiore un brano al re del bossanova, Antonio Carlos Jobim è considerato uno dei padri insieme a Gilberto, il poeta De Moraes e tanti altri. Ho diverse opere in bossa e ho scelto questa perché poi ha una leggera influenza pop nel ritornello. Infine, CIAO ROLAND è dedicato Roland Dyens, chitarrista e compositore classico tra i più apprezzati al mondo. La sua musica va dalla classica al jazz, dal funk al reggae, da Frank Zappa a Edith Piaf. Colui che ha detto tutto quello che si poteva con il linguaggio della musica attraverso la chitarra. L’ha esplorata a 360 gradi. Quando suona la chitarra si deve solo tacere. Il minuto è dedicato a lui perché ci ha lasciati giovane. Dopo Segovia c’è Roland Dyens.

Sogni di comporre colonne sonore. Come lavori per coniugare immagini e note?
Sì, è proprio il mio sogno. Non so come faccio. Forse quando scrivo penso a qualcosa di dinamico. Ho delle immagini, dei pensieri, delle storie da raccontare. Ancora me lo chiedo anche io! Spero di non trovare mai la risposta o l’algoritmo risolutivo altrimenti è finito il gioco.

Raffaella Sbrescia

Adesso sì: Tiziano Gerosa si prende la sua rivincita. Intervista

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“ADESSO SÌ” è il nuovo album di inediti del cantautore comasco TIZIANO GEROSA. Il disco, pubblicato da Clapo Music/Marechiaro Edizioni Musicali e distribuito da Edel Italy/Believe, contiene 13 brani inediti dal taglio pop-rock, tutti scritti, arrangiati e prodotti dallo stesso Tiziano Gerosa con la partecipazione di tanti importanti musicisti.

Ciao Tiziano, cosa significa rimettersi in gioco con un album di inediti in questo contesto musicale?

Rimettersi in gioco dopo parecchi anni ed in completa autonomia, significa poter decidere con estrema liberta’ mettendo al centro il puro piacere di fare musica lontano da pressioni ed aspettative. Ho voluto fare il disco che vorrei comprare.

Quali sono state le tappe che hanno segnato il tuo cammino artistico?

Riassumendo posso dire che pochi hanno fatto ‘gavetta’ come me. Sono partito dalle classiche band giovanili cominciando a scrivere canzoni nell’adolescenza. L’incontro con molti grossi artisti che registravano i loro dischi nello Stone Castle Studios  lo studio più importante di allora, parlo degli anni 80. Poi molta anticamera presso case discografiche e decine di ‘aperture’ per artisti della scena americana , come Robbie Krieger dei Doors. Importante fu la vittoria al Premio Recanati con l’uscita di un mini cd verso la fine dei ’90. Un tour durante il quale aprivo i concerti di R. Vecchioni in una sua fortunata estate. La partecipazione al Rock fur den Frieden di Berlino e ad altri festival internazionali come il Festamajo di Maputo in Mozambico.

Cosa ti ha spinto a incidere questo album? 

Il desiderio di dare una forma al sogno che per tanto tempo ho inseguito e poi abbandonato.

Hai lavorato insieme ad alcuni dei più blasonati turnisti italiani. Che tipo di alchimia sei riuscito a creare? 

Avevo ben chiaro il suono che avrei voluto ottenere e a tale scopo mi servivano musicisti con personalita’ e caratteristiche ben definite. Una volta individuati ho quindi inviato loro i demo di alcuni brani ottenendo un apprezzamento immediato. Proprio per l’estrema libertà di cui parlavo prima, si è da subito creato un clima perfetto di lavoro dove al centro non c’era l’artista famoso per cui lavorare ma una canzone da ‘rivestire di musica’. Ed è questo il clima che si respira ascoltando i brani : il divertimento e la gioia di riempire lo spazio di musica. Voglio citare chi mi ha fatto vivere momenti veramente indimenticabili: Lele Melotti alla batteria, Paolo Costa al basso, Luca Colombo alle chitarre elettriche, Ernesto Vitolo al piano Rhodes e organo Hammond, Claudio Pascoli e Daniele Comoglio al sax, Daniele Moretto alla tromba, Alessio Nava al trombone e Marco Fadda alle percussioni + il Gospel Light Vocal Ensemble.

Video: Adesso sì

Il titolo del disco rispecchia il tuo momento personale?

La canzone ‘Adesso sì’ in realtà racconta di come la vita di ciascuno sia attraversata da molte persone e da qualcuna vieni solo sfiorato mentre con altre fai un cammino più lungo. E spesso il caso gioca un ruolo fondamentale. Ho però voluto adottare questo titolo proprio come mi chiedi, ovvero: questo è il momento. Alcuni dei brani in tracklist hanno un lungo periodo di gestazione.

Com’è stato metterli a punto e inciderli dopo tanto tempo?

Posso usare il termine liberatorio. Parlo soprattutto di ‘Notte fonda’ la cui linea melodica è stata scritta molti anni fa. Ha poi subìto nel tempo parecchie variazioni di testo fino alla versione definitiva scritta durante una notte ‘luminosa e nera’ su una pista di sci da fondo nell’alta Engadina.

Che significato ha per te il temporale?

Devo dire che le due canzoni che parlano del temporale non contengono, per me, nessuna metafora. Ho voluto soltanto cercare di descrivere in musica le sensazioni che precedono l’evento atmosferico puro nel primo caso e nel secondo, quella sorte di pace ritrovata dopo il nubifragio. Ma le canzoni non appartengono più a chi le ha scritte, quindi ognuno si darà il proprio significato.

In che senso “L’amore ti fa”?

Questa è una delle mie preferite, per due motivi. Il primo è che dopo circa 300 canzoni scritte, ho usato la parola Amore per la prima volta. Ho sempre pensato che questa parola vada ‘protetta’ e che abusandola facesse perdere il valore che essa ha. Quindi, adesso sì. L’amore ti fa perché tutto parte, o dovrebbe partire, dall’amore, nel senso più ampio possibile. L’amore è la benzina della vita ed è ciò che rende migliore l’essere umano. Fare le cose con amore fa sì che le stesse cose siano migliori e solo così saremo costruttori di bellezza. Il secondo motivo è strettamente ritmico/musicale dato che è esattamente così che me la sono sognata.

Quali prospettive hai per questo progetto e, più in generale, per la tua carriera artistica? 

Qualcuno mi ha detto che ascoltare queste canzoni è come bere acqua fresca di fonte. Se fosse così sarebbe bello condividere con il maggior numero di persone questa sensazione e per quanto riguarda il mio futuro vorrei al più presto tornare in studio per continuare con un altro progetto che bolle in pentola.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Federica Carta: La mia carriera è “Molto più di un film”

Federica Carta

Federica Carta

“MOLTO PIU’ DI UN FILM” è il progetto discografico che rilancia Federica Carta nel mercato musicale italiano. Prodotto da Dario Faini, Antonio Filippelli e Andrea Rigonat, l’album intende segnare il ritorno di Federica a poco meno di un anno dall’uscita dell’album di debutto. Reduce da diverse avventure televisive come il programma di Rai Gulp “Top Music, Federica Carta è nel pieno del suo tour in tutta Italia.

Cosa ci racconti in “Molto più di un film?
Questo è un disco un po’ vario. Ho lavorato con ben tre produttori, questo mi ha aiutato a fare uscire fuori più parti di me, sia dal punto di vista interpretativo che musicale. Ho rispettato i tempi necessari per pubblicare un lavoro che potesse soddisfarmi pienamente e così è stato. Rispetto agli altri ragazzi di Amici sono stata “ritardataria” ma è stato giusto così.

Sei ancora in contatto con Elisa, tant’è che hai lavorato con suo marito Andrea Rigonat…
Sì, mi piace molto il suo approccio al lavoro. Andrea è una persona molto semplice, non ti fa mai pesare che sia un grande, mi ha dato molto spazio anche se in fatto di arrangiamenti non ne so molto.

Il titolo del disco è autobiografico?
Partiamo dal presupposto che il programma “Amici” è una grandissima risorsa. Quello che so ora lo devo a Maria e a quel contesto. La mia vita sembra davvero un film, non ho familiari musicisti, ho questo sogno dentro di me sin da quanto ero bambina. Ho iniziato a cantare a 9 anni, poi ho cominciato a suonare il pianoforte. Quando sei piccolo, fai le cose con ingenuità, poi man mano inizia a palesarsi la tensione. C’è da fare i conti con il pubblico, con chi ti attacca. Per certi versi mi sento una bambina in un mondo di adulti. Non è facile muoversi e crescere in un mondo pieno di pregiudizi.

Quali sono le differenze tra primo e secondo album?
All’epoca ero dentro la scuola, ero limitata ed ero comunque distaccata dal mondo esterno. Le necessità televisive riducono i tempi di lavorazione, avevo poco tempo per scegliere i brani e impararli. Adesso, dopo un anno, sono riuscita a conquistare la possibilità di avere voce in capitolo, ho scelto i brani che volevo realmente cantare, ho potuto pensarci su e scrivere qualcosa anche io e ne sono fiera.

Il tema più gettonato è l’amore.
In effetti è vero. Non è una cosa voluta, sento semplicemente la necessità di parlare di queste cose. In questo album ci sono anche altre situazioni relative alla vita quotidiana. Anche se canto l’amore, credo di non essere mai riuscita a provarlo fino in fondo. Non mi è nemmeno andata così bene quando ho pensato di provarlo.

Sei percepita dal pubblico come Federica di “Amici”. Quali sono le tue ansie, le tue paure e le tue speranze?
Alla fine del programma avevo paura di essere dimenticata, ci ho scritto su e mi sono sfogata così. Quest’anno ho avuto modo di riflettere e capire chi voglio essere. Il mio obiettivo non è distaccarmi dal talent ma affermarmi come cantante.

Come hai strutturato il live?
Abbiamo arrangiato i brani in modo che rendessero al meglio dal vivo. Mi piace molto improvvisare, ci sono variazioni sulle melodie. Sul palco mostro più lati di me: c’è il lato grintoso ma non trascuro nemmeno quello più cupo. Sono contenta della mia band e, più in generale, sono felice di esibirmi dal vivo, mi dà carica e consapevolezza professionale.

Chi è, in sintesi, Federica Carta?
Vivo con i miei, non sono ancora pronta per andare via. Sono nostalgica, quando ritrovo una vecchia foto mi emoziono. L’emotività e la timidezza sono parte integrante di me ma, piano piano, sto trovando una mia dimensione comunicativa. A fine giornata mi capita di ritrovarmi arrabbiata e stanca ma, appena focalizzo l’attenzione su quello che sto realizzando, mi si riempie il cuore di soddisfazione.

 Raffaella Sbrescia

 

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