Luca Carboni torna ad emozionarci con “Pop Up” (Sony Music), un album di inediti figlio del nostro tempo ma che mette in risalto tutta la bellezza e la profondità di una sensibilità ancora forte, vivida e potente. Seguendo il filo conduttore dell’amore, il cantautore bolognese si concede lo sfizio di un album «tecnologico» avvalendosi della produzione di Michele Canova Iorfida e, dopo il successo trasversale ottenuto dai duetti di “Fisico e politico”, è interessante scoprire quanti spunti autobiografici siano presenti in queste undici canzoni intrise di pop, ironia, amore e qualche immancabile frecciata su temi d’attualità. In questo nuovo viaggio che affonda le radici negli anni ’80, Luca Carboni volge lo sguardo verso il futuro con grazia, carisma e perseveranza perché se magari un disco non può fare la felicità, almeno può regalarci tanti momenti felici.
Ecco cosa ci ha raccontato Luca Carboni in occasione della presentazione del disco alla stampa.
Chi è oggi Luca Carboni?
Nasco come autore, sognavo di farlo per altri non avevo la priorità di salire sul palco. Ci tengo che quel che faccio possa arrivare senza etichette e senza barriere ma non ho mai lottato per essere primo della classe. Anche a scuola ero tra gli ultimi.
“Luca lo stesso” potrebbe essere interpretato come una sorta di rivendicazione del tuo ruolo di cantante di successo?
No, la canzone non è nata per esserlo, non ne sentivo l’esigenza. Nel corso della mia carriera ho fatto la scelta di farmi da parte e di fare dischi meno diretti di questo.
Quali fasi hanno scandito la gestazione di “Pop-Up”?
Questo è il mio undicesimo album di inediti in 30 anni di carriera. In passato sono sempre partito con cinque pezzi realizzando gli ultimi in studio, non sono mai partito con tutto pronto. Stavolta ci ho lavorato per due anni e, tra tutto quel che avevo a disposizione, ho portato a termine solo le cose che avessero più senso. Michele Canova l’ho cercato io due anni fa perché avevo in mente di fare esattamente un disco come questo. All’inizio abbiamo subito scritto “Fisico e politico” e abbiamo poi deciso di realizzare una raccolta. Quello è stato il primo step che ha portato a questo disco. Mi piace Michele quando fa cose elettroniche e lavora di programmazione: in questo album hanno suonato soltanto tre musicisti. Sotto questo aspetto è un disco molto simile a quello del ‘92 (“Carboni”). Abbiamo completato un pezzo alla volta. Poi ho scoperto la bellezza di Garage Band e mi ci sono dedicato spessissimo, soprattutto di notte.
Cosa pensi del fatto che Michele Canova abbia prodotto tanti dischi negli ultimi tempi?
Canova è un grande produttore perché entra in sintonia con la personalità di chi quel disco lo sta facendo.
Come spieghi la scelta del titolo?
Cercavo un titolo simile a “Forever”, qualcosa che facesse solo intravedere album senza spiegarlo. Ho scelto “Pop-up”, come i libri magici per bambini che hanno elementi ritagliati che aprendosi diventano tridimensionali o come le finestre nel web. Altri titoli non rispettavano la parte musicale delle canzoni che vale quanto quella autorale.
“Chiedo scusa” nasce da un componimento della poetessa polacca Wislawa Szymborska ed è uno dei brani più belli di tutto l’album.
Grazie. Quando scrivo un disco mi viene voglia di leggere poesie e lavoro su quelle che mi affascinano di più. Così era stato con Prevert per “Persone silenziose”(il brano era “I ragazzi che si amano”), così è stato anche con “Chiedo scusa”. Mia moglie mi ha fatto scoprire la poetessa Szymborska ed è scattata la magia mentre lavoravo su Garage Band. Il ritornello esce completamente da lei e dalla sua poesia e diventa una canzone completamente mia, anche come testo.
Come mai in diverse canzoni appare la parola odio?
Odio è una parola che generalmente non uso. Questo album è un insieme di canzoni d’amore, esse rappresentano la mia arma per combattere l’odio, purtroppo ancora vivo e vegeto.
Perchè hai lanciato l’hashtag, #undiscopuòdarelafelicità?
L’ho fatto perché a me ha dato felicità fare questo album e provo felicità ad ascoltarlo. Il concetto che sta dietro questo slogan è che un disco ha una funzione sociale, agisce sull’anima e sul cuore di chi lo ascolta. Oggi questo aspetto è sminuito, invece un disco è una cosa importante.
Parlare d’amore ha segnato un cambio di tendenza importante nella tua produzione
Vent’anni fa mi vantavo di avere successo con singoli che non erano d’amore, oggi dico che la vera forza è questa. Mi piaceva l’idea di fare un grande album d’amore. L’ultimo brano,“Invincibili”, riassume un po’ tutto il disco, anche se musicalmente è più nudo degli altri. Il filo conduttore è che tutto alla fine viene ricondotto all’amore.
Nel brano “10 minuti” a un certo punto dici ‘spazio rap’. Perché?
Era un appunto. Inizialmente pensavo che mi sarebbe piaciuto avere una parte rappata (il rap italiano mi piace molto), ma alla fine non ero più così convinto dell’idea. E’ rimasto come invito a rappare quando ascoltate il brano.
In caso a chi avresti proposto di farlo?
Il mio rapper italiano preferito è Lorenzo, che non fa più rap. In realtà non ho nemmeno pensato a un nome, direi J-Ax, Clementino. Fabri Fibra no perché abbiamo già lavorato insieme (per “Fisico e politico”).
L’amore per Bologna è rimasto intatto?
Il mio amore per Bologna non è diminuito nel tempo. Ho parlato molto di Bologna, tanto che quando stavo scrivendo un’altra canzone sullo stesso tema l’ho messa da parte per paura che fosse una ripetizione di “La mia città”. Poi invece ho scritto “Bologna è una regola” con Alessandro Raina che mi ha spinto a parlarne ancora. Forse questa è la canzone migliore che abbia fatto su Bologna.
E “Milano”?
Questa canzone si ispira ai miei pensieri di ragazzo ed è dedicata a una mia cugina che non c’è più e che da Bologna si è trasferita a Milano. Bologna è magica ma Milano è stata a lungo il centro del mondo. Ho pensato di andarci a vivere, per noi di provincia era la meta per antonomasia. La canzone parla di andare in fondo a se stessi, cercare la propria vera realizzazione e il senso della vita consapevoli che ci sono posti da cui scappare e altri dove restare e realizzarsi.
Intensi gli interrogativi che poni in “Dio in cosa crede”.
Potrebbe sembrare una canzone teologica e complessa, ma in realtà la immagino come una domanda infantile: noi crediamo in Dio ma lui crede in noi?
Sanremo?
Ho pubblicato il disco adesso, ormai è andato. Avrei dovuto partecipare nell’84. Per questo era stata posticipata l’uscita del mio album. Poi al Festival presero Ramazzotti con “Terra promessa”. Io con il mio disco partecipai al Festivalbar e vinsi. Ho preso questa vicenda come un segno: non dovevo passare da Sanremo.
Cosa ascolti?
Di tutto, anche se mi piace di più ascoltare un pezzo rap che un pop tradizionale. In ogni caso quando scrivo non ascolto niente anche per evitare similitudini.
Cosa hai pensato per il tour?
L’ho posticipato all’anno prossimo perché voglio avere il tempo di pensarci bene. Lo voglio molto figlio di questo album e con questo suono. Ho anche idee estetiche di racconto che vorrei elaborare bene… vi racconterò tutto più avanti!
Raffaella Sbrescia
Video: Luca lo stesso