Il duo torinese The Sweet Life Society, composto da Gabriele Concas e Matteo Marini, considerato pioniere di una nuova declinazione del genere electroswing, contraddistinto da una commistione fra strumenti acustici ed elettronici, presenta “Swing Circus”, l’album pubblicato lo scorso 15 luglio 2014 su etichetta Warner Music. Partito nel 2009 dal quartiere San Salvario di Torino, il duo piemontese si è affermato sulla scena musicale internazionale attraverso un ibrido di swing, electroswing e spettacoli circensi. “Swing Circus” racchiude, dunque, il loro modo di vivere la musica. Grandi ospiti hanno preso parte a questo interessante progetto discografico; tra gli altri spiccano Estel Luz nel brano “Holding My Breath”, la cantante soul britannica Hannah Williams – leader della band Hannah Williams and The Tastemakers – che valorizza la cover dello standard jazz “St. James Infirmary”, i concittadini Incomprensibile Fc nella traccia “Criminale”, La Mattanza e le Sorelle Marinetti in “My Sound”. Ospiti e musicisti sono stati coinvolti in session libere in cui essi hanno potuto esprimere il proprio talento e le proprie idee con la massima spontaneità. In questa intervista Gabriele e Matteo ci raccontano, in maniera approfondita, non solo la genesi di “Swing Circus” ma anche l’essenza del proprio universo musicale.
“Swing Circus” è il titolo del vostro album d’esordio: tante storie, tante sfumature e tante collaborazioni in un progetto fresco e ambizioso…
Abbiamo iniziato facendo remix, quindi restando chiusi in uno studio e producendo a testa bassa. In quattro anni abbiamo messo su la nostra realtà. Il disco è stato lavorato con tante persone e tanti musicisti, sia dal punto di vista puramente strumentale (sezione fiati, fisarmoniche, contrabbassi) sia dal punto di vista vocale. Questa scelta è dovuta soprattutto alla nostra inclinazione sperimentale. I featuring vocali sono stati fatti tutti da persone che, in qualche maniera, hanno lavorato con noi e con cui c’è stato un percorso umano.
Nella cover di “St. James Infirmary” la voce di Hannah Williams dà nuova vita ad un bellissimo brano jazz. Come vi è venuta l’idea e la voglia di ripensare questo brano a modo vostro?
Siamo innamorati di una versione di questo brano suonata da Louis Armstrong. Il brano è un traditional jazz, una marcia funebre, interpretata da svariati musicisti… Grazie a questa nostra infatuazione abbiamo deciso di riarrangiare il brano e farlo un po’ nostro, anche grazie ad Hannah Williams, la cui interpretazione pensiamo sia incredibile. Ogni ascolto di questo brano ci dà i brividi; forse anche perché esso è stato trattato un po’ diversamente rispetto agli altri…tutta la parte strumentale è stata registrata senza editing, suonata in una session unica, proprio come si faceva una volta…
Cosa ci dite di “Castelli di tweet”?
Questo brano racchiude il tentativo di mischiare una sonorità molto british, con tratti più vicini al reggae e all’hip hop, ad un cantato in italiano. A livello musicale volevamo raggiungere un risultato con un accezione più marcatamente pop. Per quanto riguarda il contenuto, invece, si tratta di una piccola riflessione sul mondo dei social network e su come essi portino paradossalmente ad isolarsi dalla realtà. Noi siamo molto legati ai live, suoniamo tantissimo e per noi la realtà tangibile è molto importante. Ci siamo resi conto, però, che c’è tutto un ramo musicale, ad esempio quello relativo ai rapper che, di base, esiste molto di più sul web. Noi ogni settimana siamo su un palco, ogni settimana abbracciamo le persone e ci piaceva reiterare il fatto che la ricerca della verità non debba essere soltanto compiuta attraverso uno schermo; bisogna imparare a stare insieme per davvero e ad utilizzare il proprio corpo.
Nel vostro swing contaminato “fate scratch sul grammofono”… questa frase può sintetizzare l’essenza della vostra musica?
Lo swing contaminato è solo una parte di tutto ciò che ci rappresenta. Diciamo che siamo sicuramente appassionati di musica vintage e ci piace mischiarla con le sonorità moderne. Allo swing aggiungiamo il blues, il jazz, il gospel, il calypso, il raggae. Questi generi rappresentano tutti dei grossi stimoli da cui partiamo per la creazione delle nostre canzoni. In “Gran Balon” c’è il mambo, in “ Soul Chef” ci sono i cori bulgari, insomma c’è tutta una serie di elementi legati alla tradizione popolare e al vintage. In conclusione,“faccio scratch sul grammofono” rappresenta comunque molto bene la nostra attitudine.
Che riscontro avete avuto all’estero? Negli Stati Uniti in particolar modo?
Abbiamo da poco concluso un giro lungo e interessante. Abbiamo macinato tanti chilometri arrivando a Montreal, facendo tutto il giro degli Stati Uniti in senso antiorario. Abbiamo ottenuto molto dal punto di vista anche umano che, come diceva prima Matteo, per noi è molto importante. Parlarsi, toccarsi, abbracciarsi, ballare insieme… questo e tanto altro è stato possibile a Vancouver, su una piccola isola con 1000 persone, così come in situazioni più da dancefloor e da clubbing a New York . La cosa importante da sottolineare è che in quei contesti eravamo noi a portare il suono. In America sono un po’ indietro da questo punto di vista. Per noi è stato piuttosto paraddossale perché di solito siamo abituati a percepire gli Usa come un posto in cui nascono le cose. In questo caso, invece, siamo stati visti come precursori. Abbiamo anche avuto la fortuna di stare 3 giorni a New Orleans, per noi la patria dell’immaginario. C’erano tante persone che suonavano per strada, abbiamo sentito da subito un fortissimo feeling con questo posto e l’idea di tornare lì e di lavorare, magari, alle pre-produzioni di un nuovo lavoro rappresenta un sogno. Ci siamo anche accorti che, a differenza nostra, i musicisti lì sono ancora legati all’attività live. Per i nordamericani è importante avere sul palco delle persone che suonano, cosa che invece non è riscontrabile in Europa. I live trovano sempre più ostracismo e difficoltà, soprattutto per un discorso legato ai soldi.
Vi siete definiti una factory di grafici, videomaker, animatori, musicisti…che prospettive avete per il futuro in questo senso?
Questo è quello che facciamo a livello personale sia io che Matteo. Io sono fotografo, lui è grafico e ci siamo conosciuti in un laboratorio a Torino in cui si faceva grafica, fotografia, musica. Sperimentando insieme è venuto fuori questo suono che ci caratterizza. Ci definiamo factory perché crediamo che con le nuove tecnologie si possa lavorare insieme e fare rete. Non a caso quello che facciamo si basa su contenuti video e grafici creati da noi e da altri amici e collaboratori con cui condividiamo questo tipo di filosofia, che riteniamo vincente. Ci riteniamo esportatori dell’immaginario…
Dove e quando potremo ascoltarvi dal vivo?
Suoneremo in Sicilia, in Umbria, in Puglia e torneremo anche Oltre Manica, in agosto, per una replica al BoomTown Festival. Ad inizio settembre, invece, saremo in concerto al Bestival sull’isola di Wight.
Raffaella Sbrescia
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