Rita Marcotulli: Ne ” I Caravaggianti” il jazz si addolcisce, si veste di seta, scalda e coinvolge.

E’ la first lady del jazz nostrano, la figlia piena di talento ben curato che siamo fieri di avere e che ci riempie di orgoglio e commozione. E’ un monumento della musica internazionale. Eppure nulla si coniuga meglio con Rita Marcotulli del termine “semplicità”.
Oddio, non lo è la sua musica, “semplice”, come ci dimostra l’ambizioso progetto ispirato alle opere di Caravaggio che ha presentato il 20 novembre all’ Auditorium Ennio Morricone di Roma, al cospetto di una platea numerosa ed attenta, e che prende appunto il nome di “ I Caravaggianti”: un nome dalla sonorità itinerante, come itineranti sono i musicanti. Ma la parola musicante, spesso impropriamente accostata ad un’accezione riduttiva, contiene anche in sé l’essenza dell’aspetto squisitamente figurativo della musica e di chi la esegue. E così, se il Beato Angelico ha i suoi angeli, Caravaggio vanta un ensemble musicale di livello elevatissimo: oltre alla madre del progetto, Mieko Miyazaky (koto e voce), Israel Varela (batteria e voce), Tore Brunborg al sax, Michel Benita al contrabbasso, Marco Decimo al violoncello e l’impareggiabile Michele Rabbia alle percussioni. E, a incorniciare il tutto, la voce di Stefano Benni che con parole sospese tra la narrazione e la poesia, racconta di luci ed ombre, di amori e odi, di turbamenti onirici e contenuti deliri: pennellate verbali che accarezzano le immagini e le note di questo straordinario concerto.
Più che un concerto, una vera e propria esperienza, che nulla deroga alla semplificazione o alla superficialità, e nonostante ciò risulta accessibilissima e coinvolgente.

ph Roberta Gioberti

ph Roberta Gioberti

Le immagini si intrecciano con le note, si scompongono e si ricompongono, prendono vita, ci parlano ben oltre la già più che esaustiva comunicativa del genio che ha rivoluzionato il mondo della pittura e non solo.
Un’esperienza multisensoriale, quindi, che fonde musica, arte e parole, per condurci in un’immersione totale attraverso le note del pianoforte, intrecciate con sonorità jazz, classiche e contemporanee, senza soluzione di continuità: fatto che porta alla nascita di un linguaggio unico, qualcosa che appartiene a Rita e solo a Rita.
Caravaggio è sempre stato considerato il pittore delle tenebre, per quella sua capacità di gestire in maniera così suggestiva il chiaroscuro, e per la peculiarità della sua biografia così avvolta nel torbido, così vicina a quel substrato umano che spesso viene calpestato perché invisibile. Ebbe il coraggio di entrarci dentro al lato oscuro delle persone, di abbracciare la genuina espressione popolana, più che popolare e di vestirla di bellezza, incanto, purezza e dignità. Caravaggio non mise il colore sulla luce, ma al contrario, tirò fuori la luce dalle tenebre tanto in senso pittorico quanto umano, e con la luce il colore, e l’intensità dei sentimenti.
Lo scambio di sguardi tra la Zingara e il bel Giovine de “La buona Ventura”, diventa così intenso e espressivo, mentre corrono vellutate le note del Sax di Brunborg, da farci dimenticare che in realtà si tratta di un sotterfugio: sembra quasi amore, e poi alla fine l’amore, spesso, è un sotterfugio.
Medusa è la rabbia, ma anche tanta umanità per quella figura femminile violata, che ha pagato per tutti lo scotto dell’affronto.
E ancora il fiotto di sangue che sgorga dalla gola di Oloferne nel momento in cui una sdegnata Giuditta affonda la lama, momento reso quasi catartico dall’incessante susseguirsi di note sincopate, e per finire un ritorno all’armonia e all’equilibrio nel rendere omaggio al celebre Canestro, con sottolineature musicali distese e descrittive. Sono solo alcuni dei tratti salienti di un progetto che convince e vince.

Attraverso le note, Rita Marcotulli dipinge con i suoni le atmosfere cariche di contrasto e di emozione delle opere del grande maestro del baroccco.
Ogni brano è un omaggio a un quadro, una luce che illumina un dettaglio, un’ombra che cela un mistero. La musica diventa così un’estensione della pittura, un’interpretazione sonora che ci permette di penetrare più a fondo nell’anima delle opere.

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Ora, sappiamo tutti come il jazz possa essere ostico a volte anche al pubblico più raffinato. Lo sa anche Rita Marcotulli, come ha sottolineato durante il bel concerto che ha tenuto questa estate nel Palazzo dei Priori di Perugia, nell’ambito della rassegna di Umbria Jazz, a cui abbiamo avuto il privilegio di assistere.
Ma l’incanto di questa Donna straripante di talento consiste proprio in questo. Con la sua semplicità, con la capacità che ha non solo di articolare pentagrammi perfetti e suggestivi, ma di farli arrivare sotto forma di musica ed energia al pubblico, quel jazz si addolcisce, si veste di seta, scalda e coinvolge.
E il pubblico, il suo pubblico, la ama proprio per questo.
Grazie Rita.

Roberta Gioberti

Free Love: i Negramaro raccontano il nuovo album che soffia su un vento di libertà

I Negramaro pubblicano il nono album “Free Love” e ancora si emozionano come la prima  volta.

In questa occasione sono dodici le tracce che compongono il disco con tanti duetti che sono figli di amicizie di lunga data e di stampo fraterno. Tra tutti segnaliamo i duetti con Niccolò Fabi, Fabri Fibra, Malika Ayane, JJ Julius Son e quella con Aiello, frutto di una sintonia nata dietro le quinte del Festival di Sanremo del 2021.

Il disco è stato registrato a Berlino negli Hansa Studios ma le musiche e i testi sono di Giuliano Sangiorgi la cui produzione artistica si è avvalsa della  collaborazione di diversi decani del settore come Taketo Gohara, Andro, d. whale (Davide Simonetta). Il file rouge che accompagna il lavoro trova efficace espressione nella cover del disco  in cui è riprodotta l’opera originale “Narciso” di Jago in cui vengono rappresentati l’uomo riflesso in una donna e il suo contrario. L’intento è quello di rispecchiare la simmetria dei sentimenti narrati dai Negramaro che, partendo da racconti personali, rivendicano la  libertà di amare sé stessi e gli altri senza pregiudizi ma anche senza possesso o prevaricazione della libertà altrui.

“Questo disco è il frutto di una consapevolezza acquisita dopo anni e anni di lavoro nella band”,  spiega Giuliano Sangiorgi alla stampa. “C’è stata veramente una grande evoluzione, siamo noi all’ennesima potenza, ci ritroviamo in tanti artisti giovani, ritroviamo tante analogie di cose fatte all’interno della band. Essere liberi è determinante ma è una libertà che stiamo imparando ad avere. Siamo sempre stati liberi ma in una civiltà la libertà si impara, non è fare quello che vuoi e basta, si tratta di imparare a fare quello che vuoi rispettando gli altri; è un’ossessione bellissima quella di voler essere liberi, quell’ossessione che abbiamo dentro non è mai negativa, ti spinge a fare le cose migliori, significa voler mostrare l’animale migliore di sé, è un disco quindi che impara ad essere più libero e senza la parola però accostabile accanto.

Anche i feat. rispettano la libertà con cui sono arrivati,  con ognuno di essi è stato così. Impariamo anche dagli errori, senza rimanere nel pregiudizio.

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Amore è tutto quello che sta dentro l’essenza dell’umanità stessa, noi crediamo che ci sia amore in ogni manifestazione di vita, nell’arte soprattutto. Stiamo cercando di non smussare più gli  angoli ma di incastrarci in essi, facendone la nostra grandezza; sono passati 24 anni ed è stupendo essere qui a raccontare di dischi, concerti, stadi e palasport. Ci siamo quindi concessi di amarci per come siamo stati in questi anni e per come saremo nel futuro.

Produrre un disco con più produttori ci esponeva al rischio di avere diversi suoni invece questa cosa non si è verificata. Questa volta, racconta Giuliano, ho preso in mano un po’ il lavoro, non voglio fare il producer, ma tutto ciò che sentite ha molti provini che si mantengono fedelissimi all’originale. Per me la prima cosa che faccio è sempre quella sbagliata,  in realtà quello che arriva  e traspare dal suono  dell’album è l’istinto, salvato dai produttori. Questo disco aveva quindi già la chiave corretta, sono stati bravi i produttori intorno a tenere viva quella cosa che io di base avrei trasformato, questo ci ha consentito di andare dritti in studio e fissare la magia. Il tempo è stato stato fondamentale, eravamo a Berlino a marzo -aprile ed eravamo già pronti con il disco, abbiamo però chiamato da Berlino Filippo Sugar, chiedendogli di uscire con il disco nel momento in cui eravamo pronti a incontrare le persone, era un nostro desiderio che ci ha spinto a programmare l’uscita in questo periodo in cui eravamo liberi per farlo. Non è solo questione di tempo che passa ma di rispetto per gli altri; i nostri dischi non hanno mai avuto una data di scadenza.

Quello dei tre minuti è rimasto un claim perfetto della mia vita, io rimango sempre affezionato a quelle canzoni che arrivano in meno di tre minuti, sono tagli sulla tela, sono quelle cose che restano appiccicate anche alla band altrimenti non ce la farebbero. Mi fido solo quando una canzone arriva e strazia il sereno, è una gioia quando una canzone racconta di qualcosa di felice, in qualche modo una  canzone è sempre un errore del sistema, è un momento della quotidianità in cui si apre un varco spazio-temporale in cui essere totalmente libero. Vorrei essere sempre in grado di trovarmi pronto per quei tre minuti, è sempre quello l’approccio e quando succede ti senti in pace con te stesso, senti di nuovo quell’animale che ti porti dentro.

I dischi, in generale, sono delle occasioni, a partire da un emergente fino a un artista navigatissimo. Aldilà del nostro percorso, si sta perdendo il concetto di occasione per comunicare, lanciare dei messaggi. Ogni album per noi è stata una foto del periodo che abbiamo vissuto, l’aspettativa è quella di continuare a vivere di musica ma rimanendo slegati da vendite e streaming.  Che siano passati 24 anni insieme, va già oltre ogni aspettativa. Ecco perché Free Love soffia su questo vento di libertà senza preoccuparci e senza voler sapere fin dove ci spingerà. Free love, do you feel the same?”

Raffaella Sbrescia