Tribal/Classic: una raffinata fusione di brani celebri di musica classica, quella che è nelle orecchie di tutti, con sessioni ritmiche e percussioni che provengono dal mondo intero. Il report del concerto di Tony Esposito a Roma

Che la musica sia un linguaggio universale, è un assunto. L’uomo ha, per sua natura, necessità di comunicare, e lì dove le parole non arrivano, la musica riesce sempre a farlo.
La musica non ha bisogno necessariamente di testi per essere trasferita da persona a persona, è una vibrazione.
E chissà, il primo uomo che ne ha compreso il potere comunicativo, avrà messo in partitura il percuotersi di due pietre, poi di due canne di bambù…poi avrà pensato “chissà che succede se picchio su un sasso con una canna di bambù”. A me la nascita della musica, non quella che ascoltiamo in natura, ma quella replicata dall’essere umano, piace immaginarla così. E penso sia proprio per questo motivo che il Tribal rappresenti la forma più pura di espressione musicale che esista, quella più vicina al flusso di coscienza e, spesso, anche la più ostica, perché richiede catarsi più che generarla: ci devi arrivare puro, predisposto all’essenzialità.
Dalla prima percussione pietra su pietra a Ghali, beh, di note ne sono passate sotto i ponti dei millenni. E sicuramente oggi è più difficile approcciare al Tribal di quanto lo fosse e lo sia ancora per le culture più primitive, intese nella miglior accezione del termine, e questo per il semplice motivo che sono esistiti un Mozart, un Beethoven, un Bach.

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

La musica classica per noi uomini del millennio lunare è un fatto quasi scontato. Ci accompagna con tutta la sua complessità, ad ogni passo della vita, senza che ce ne rendiamo conto. Basti pensare alla ninna nanna di Brahms, all’Ave Maria di Schubert, o al requiem di Verdi.
Il Tribal nei secoli si è evoluto, si è arricchito, sembrerebbe appartenere a un altro mondo, ma altro non è che l’origine del nostro mondo sonoro più tradizionale.
Tony Esposito è stato tra i primi, se non il primo, ad andare alla ricerca di parametri di connessione tra l’originaria forma espressiva e quella molto più complessa e articolata attraverso cui la musica nel corso dei secoli si è manifestata. Lo ha fatto da subito, sin dal primo album, “Rosso Napoletano”, che ha rappresentato una vera e propria pietra miliare nella storia della musica italiana.
Già il progressive, negli anni ’70 , ci aveva piacevolmente abituato a questo genere di contaminazione, facendo rabbrividire i puristi: la Bourrée di Ian Anderson o i Quadri da un’esposizione di Emerson, Lake e Palmer sono i primi esempi che mi vengono in mente, ma se ne possono fare all’infinito.
Tuttavia l’idea di prendere il Tribal nelle sue dinamiche comunicative essenziali, un ensemble di fiati come nella più aulica delle forme espressive della musica classica, una voce di una particolarità e bellezza incredibili e farli dialogare direttamente tra loro, riuscendo a coinvolgere e divertire, beh, è un’idea complessa da tradurre in realtà, e il bello è proprio questo: a Tony Esposito riesce perfettamente naturale, come se quest’urgenza la portasse nel DNA.

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Prende vita così il progetto Tribal/Classic, una raffinata fusione di brani celebri di musica classica, quella che è nelle orecchie di tutti, con sessioni ritmiche e percussioni che provengono dal mondo intero. E’ uno spettacolo che Tony Esposito ha già proposto, ma che torna ora in una forma rinnovata e partirà a breve in tournée.
L’intento, lo abbiamo già detto, è quello di creare un dialogo interculturale attraverso la musica: il risultato, un’esperienza sonora coinvolgente e ricca di sfumature che trasporta l’ascoltatore in un viaggio musicale senza precedenti. Le percussioni, elemento centrale del progetto, dialogano con gli ottoni e le voci, creando un tappeto sonoro ipnotico e trascinante.
L’altra particolarità di questo progetto è l’assoluta assenza di staticità, una sorta di work in progress in continua evoluzione, che arricchisce il suo repertorio nel tempo con brani sempre più suggestivi.
In un mondo globalizzato ma paradossalmente sempre più frammentato, Tribal Classic rappresenta un messaggio di unione e dialogo interculturale: la musica che abbatte le barriere e ci invita ad apprezzare la bellezza e la ricchezza della diversità.
Oggi la tecnologia è entrata di prepotenza nel mondo musicale, e lo è anche il suo abuso. Le scuole di musica chiudono, l’artigianalità, come in qualsiasi altro settore, è diventata qualcosa di raro, da tutelare. Per questo Tribal Classic non si limita a essere un semplice concerto, ma rappresenta un vero e proprio progetto culturale a 360 gradi che si sviluppa anche attraverso l’organizzazione di workshop e seminari finalizzati a diffondere la filosofia da cui trae origine, e trovare rinnovate collaborazioni con artisti di diverse discipline per creare nuove forme espressive.
Al concerto che si è tenuto a Roma, al teatro Olimpico il 23 maggio, hanno dato il loro contributo i fiati del Neapolitan Brass Quintet, e la Banda del Sol, in un evento unico.
Giuseppe Calabrese al corno, Vincenzo Valenti e Sergio Vitale alle trombe, Marco Ferrari al trombone e, alla tuba, Arcangelo Fiorello hanno dialogato con Berg Campos dal Brasile, El Hadji N’Diaye dal Senegal, Lisa Bassotto, Paki Palmieri, Sasà Flauto.
Oltre a loro, Irina Arozarena da Cuba alla voce e percussioni e tutto il sole dei caraibi, e il maestro Ruggero Artale che ha fatto del Tribal e della sua divulgazione, attraverso encomiabili progetti di mediazione interculturale, una ragione di vita.

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

A impreziosire ulteriormente la coreografia, direttamente dai cofani delle automobili trasteverine su cui ha l’abitudine di volteggiare come una farfalla, la danzatrice Dea.
Ho deciso di lasciare per ultima la voce di Elisa Nocita, definita da Tony Esposito, a ragione, “una delle voci davvero importanti della Sicilia”. Io non la conoscevo, e ne sono rimasta letteralmente folgorata. Un’estensione atipica e una modularità che tolgono il respiro, qualcosa di veramente unico, anche per chi la musica in qualche maniera la bazzica da più di mezzo secolo. Invito chi ne avesse voglia ad ascoltarla, ne resterà incantato. A mio avviso una voce assolutamente importante senza confini territoriali.
A precedere il concerto di Tony Esposito, la performance della band “Musicanti Ensemble” che ha raccontato in versione melodica, attraverso le belle voci di Noemi Smorra e Francesco Viglietti, la storia musicale di Pino Daniele: se la musica è, giustamente, contaminazione, un Pino Daniele melodico e appassionato ci sta tutto.
E poi, chi ha fatto un percorso analogo al mio, sa che Tony Esposito con Pino Daniele ha condiviso praticamente tutto. Una piccola considerazione di carattere squisitamente personale: ai concerti di Pino Daniele la bellezza anche fisica di Tony Esposito e tutto il suo armamentario di pentole, pentolini, tubi e tutto ciò che, percosso, produce musica, era particolarmente apprezzata, come lo erano l’intensità del rapporto con il contrabasso di Rino Zurzolo, l’eleganza alle tastiere di Joe Amoruso, il sax unico di James, e la batteria esplosiva di Tullio de Piscopo.

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Tribal classic -Tony Esposito ph Roberta Gioberti

Diciamo che questo concerto è stato in qualche maniera anche l’espressione di un dialogo tra un passato e un presente che, magicamente, ha risolto il nodo della soluzione di continuità.
Il suggerimento che ci sentiamo di proporre è di non farsi assolutamente mancare la data più vicina di questo progetto, che partirà in tour dal 27 giugno in Calabria e si estenderà a tutta la penisola.
Bach, Mozart, Monteverdi, Pachelbel, Ravel e molti altri aspettano con impazienza di mostrarsi al mondo in questa tanto insolita quando sofisticata veste.

Roberta Gioberti

A Roma la celebrazione della giornata mondiale del jazz. Un vorticoso tuffo nella magia.

“Tutti quanti vogliono fare il Jazz” è forse la citazione cinematografica più nota, perché ci è entrata nelle orecchie sin da bambini, grazie a una simpatica e folle band disneyana.
Ma per fare il Jazz ci vogliono tante tante note sulla punta delle dita, note studiate e sudate, regole, impegno, tecnica che, alla maniera picassiana serve per inventare linguaggi musicali diversi, emotivamente diversi ma mai meno intimi, anzi.

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A casa mia il jazz non si ascoltava: un poco di swing, forse, ma jazz niente.
A me però piaceva, rapiva, ipnotizzava, e così me lo sono circoscritto ad un ambito personale, l’ho rinchiuso in un walkman e ci ho trascorso momenti di costruzioni fantasiose, pensieri e dialoghi che assecondavano le note e le speranze che erano sogni a quell’età.
Il Jazz o lo senti o non lo senti, e se lo senti, lo senti da subito, ti entra sottopelle come le proteine del latte materno e si aggiunge a quanto sviluppa le ossa, la pelle, i muscoli ma, soprattutto, il cuore.
Visto che oramai qualsiasi cosa ha diritto alla sua giornata di commemorazione, si è deciso nel 2011 che il 30 aprile sarebbe stata la giornata mondiale del Jazz.

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E Roma, con il suo spettacolare parco città dedicato alla Musica, beh, non poteva certo disertare la chiamata, trasformandosi in un vortice di note e ritmo per celebrare la musica ribelle cullata da New Orleans.
Niente più del Jazz si presta alla contaminazione: affonda le sue radici nelle tradizioni musicali africane, portate dagli schiavi nelle piantagioni del Sud degli Stati Uniti, e mescolandosi con elementi di musica europea ha tessuto l’arazzo musicale più affascinante e completo che esista al mondo: filamenti di dixieland, swing, bebop, free jazz, ragtime, blues, tutti materiali preziosi e sapientemente dosati.
A Roma, per questa celebrazione, si è puntato molto sui giovani, e devo dire a ragione, perché ci hanno regalato uno spettacolo entusiasmante che mai ci saremmo aspettati.
Organizzato dalla Fondazione Musica per Roma e l’associazione Nazionale IJVAS (Il Jazz va a scuola), con la direzione artistica di Gegé Telesforo e Paolo Fresu, e patrocinato dalla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco e dal Ministero dell’Istruzione, e dal Comitato internazionale per l’apprendimento pratico della Musica.

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L’inaugurazione, alle 11.30, si è tenuta alla Casa del Jazz con un concerto a ingresso gratuito di Danilo Rea con Oona Rea e alla voce recitante di Barbara Bovoli e la giornata è poi proseguita con una maratona di otto ore di musica, concerti, jam session, incontri, presentazioni e premiazioni. Tutto tra la Sala Sinopoli, i foyer e negli spazi esterni dell’auditorium Ennio Morricone, dove più generazioni di musicisti hanno raccontato di quanto sia viva e creativa la scena del jazz capitolino.
La mission, fondamentalmente, è di tipo didattico e si propone di coinvolgere in un tessuto a trama e ordito il mondo della scuola per diffondere i valori artistici e sociali del jazz e delle musiche improvvisate, ma non per questo prive di solide fondamenta culturali.
Paolo Fresu, con un intervento in diretta da Torino, e Gegé Telesforo, con la disinvoltura che oramai lo caratterizza, hanno coinvolto a titolo amicale ma soprattutto solidale, musicisti, artisti, docenti tutti impegnati nella divulgazione e costruzione di una cultura dell’ascolto e della partecipazione.
Lo spettacolo ha inizio intorno alle 17.00 nel foyer della Sala Sinopoli con gli Anoumanuche (che ritroveremo anche sul palco) e contestualmente negli spazi esterni con la P – Funking Band.
A seguire, la Jazz Campus Orchestra diretta da Massimo Nunzi, che riceve il premio Luigi Berlinguer, e l’esibizione dei suoi serissimi e preparatissimi ragazzi che fanno davvero ben sperare in un recupero generazionale della musica di qualità.
E’ poi la volta della Saint Louis Ensemble, diretta da Antonio Solimene, con special guest Umberto Fiorentino e ancora Andrea Molinari Quintet, Aliendee, Giorgio Cuscito Swing Band, special guest Nicola Tariello, che proseguirà lo spettacolo nel foyer, coinvolgendo nelle danze un nutrito numero di spettatori che non riescono a trattenere il ritmo nelle gambe. Una vera festa.

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Alle 21,30 dopo una breve interruzione, ad introdurre nuovamente la musica negli spazi della Sinopoli sarà la P-Funking Band, e a seguire ospiti veramente internazionali, a testimoniare quanto il nostro Jazz sia d’eccezione e apprezzato a livello internazionale.
Fabio Zeppetella e la sua incredibile chitarra accompagnata dalla Santa Cecilia Guitars Combo, Domenico Sanna, Paolo di Sabatino, Christian Mascetta con Tosca e Rita Marcotulli, Stefano Bollani e Valentina Cenni che ricevono il premio per la comunicazione “Adriano Mazzoletti”.
Momento davvero commovente della serata, l’ascesa sul palco di Renzo Arbore, che con Gegé Telesforo ha un rapporto realmente famigliare, avendolo di fatto scoperto, e i racconti divertenti e ironici intorno a tante avventure musicali che rapiscono il pubblico, come fa la narrazione affabulatoria di una bella favola.
Ma a farla da protagonista in questa serata speciale, un altro mito del jazz italiano: Gegé Munari, quasi novantenne, ma con la freschezza, la simpatia e lo spirito di un ragazzino, si intrattiene con Telesforo e ci regala i ritmi sostenuti e precisi della sua batteria a sostegno dell’esibizione del Cutello Quintet, a dimostrazione di quanto il Jazz possa essere non solo interculturale ma anche e soprattutto intergenerazionale.

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Sono tanti gli ospiti, giunti anche in extremis, che si raccolgono intorno a questa kermesse: Vittorio Solimene Quartet con Fabrizio Bosso,Franco Piana e Stefania Tallini, Gabriel Marciano Quartet, Sergio Cammariere, Rosario Giuliani e Saint Louis Saxophone ensamble.

A noi non resta che ringraziare tutti, che rinnovare il motto “la musica unisce”, e quando è Jazz lo fa di più.

Roberta Gioberti