La trasversalità poliedrica di Stromae incanta Milano. Il report del concerto

Stromae si è esibito sul palco dell’Ippodromo SNAI San Siro, nell’ambito del Milano Summer Festival, per l’unica data in Italia del 2022. On stage alle 21.30, con mezz’ora di ritardo, due opening acts di Rhove e Margherita Vicario, una area vip ricca di colleghi musicisti e cantanti, l’artista belga catalizza l’attenzione del pubblico con la sua consueta eleganza. Lo show è curato nei minimi dettagli sia da un punto vista tecnico che coreografico. Una serie di bracci robotici cambia gli schermi ai led creando scenari sempre diversi, un avatar formato cartoon dello stesso Stromae ricostruisce la storia di Stromae fornendo la possibilità all’artista di rivivere ciò che ha scritto e al pubblico di conoscerne la più intima essenza.

 

stromae

In un’ora e mezza di concerto, Stromae parla spesso con il pubblico, prova a cimentarsi con qualche parola di italiano, chiede spesso al pubblico come sta, si lascia andare a cantare su una poltrona mostrandosi a completo agio. L’artista alterna le super hit FormidableTout Les Memes e Papaoutai a brani che toccano corde molto delicate; su tutte L’enfer, testimonianza di una “sindrome da burnout”. Si va dagli ultimissimi brani di Multitude, a quelli del celeberrimo Racine Carrée. Sulle note di Santè, l’artista si concentra sugli addetti ai lavori ringraziandoli, a memoria, uno ad uno, così come accadrà anche nei titoli di coda. Il gran finale arriva con Alors on Dance ma prima di congedarsi, Stromae regala al pubblico una versione di Mon Amour cantata a cappella con i suoi musicisti testimoniando una volta di più un animo gentile e una trasversalità poliedrica che abbraccia l’arte a tutto tondo.

 Raffaella Sbrescia

 

 

Setlist

Invaincu

Fils de joie

Tous les mêmes

Mon amour

La solassitude

Quand c’est ?

Mauvaise journée

Bonne journée

Papaoutai

Ta fête

Pas vraiment

Formidable

Riez

L’enfer

C’est que du bonheur
Play Video

Santé
Bis:

Alors on danse
18. Mon Amour

“I concerti nel Parco – Summer Time”: le suggestioni di Suzanne Vega

Gli anni ‘80 hanno rappresentato un momento particolare nel panorama musicale mondiale. Sono stati sicuramente anni in cui proporsi alla maniera cantautoriale, raccontando storie malinconiche con l’aiuto di una chitarra e poco altro richiedeva coraggio. Un coraggio che Suzanne Vega ebbe, e vide giustamente premiato.
Nata in California, ma cresciuta nei sobborghi portoricani di New York, sarebbe stato forse più facile per lei restare suggestionata e influenzata da un sound di rottura. Punk, Rock, Rap. Invece questo non accadde, e quella esile e diafana ragazzina riuscì ad imporre all’attenzione del mercato il suo modo di fare musica, essenziale, da folksinger un po’ in ritardo sui tempi.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Sicuramente molto influì nelle sonorità la prima Joni Mitchell, mentre per quello che riguarda la poetica, prevalse una visione abbastanza descrittiva degli aspetti della vita di tutti i giorni. Il racconto di quello che ci circonda, dei momenti più ordinari e apparentemente insignificanti del quotidiano, trasformato in poesia, attraverso versi essenziali e minimalisti. Gli sguardi di Tom’s Diner, la storia nascosta e dolorosa di Luka, gli oggetti che riflettono le anime delle persone in Night Vision. La solitudine, una specie di spettro, un’ombra sulla porta, pronta a voltarsi se qualcuno arriva, in Solitude Standing.
Qualcosa di fuori moda, piatto, privo di fronzoli, essenziale, molto lontano dai luccichii, dal glam, dal divismo, dal pompaggio spesso voluto dalle case discografiche in quegli anni, eppure qualcosa che seppe farsi apprezzare al punto da arrivare a ottenere una visibilità internazionale di considerevole impatto: un’oasi di pace in mezzo a tanto rumore.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

E’ un poco questa la Suzanne Vega che ritroviamo sul palco della Casa del Jazz, ospite della rassegna “I concerti nel Parco – Summer Time”: 63 anni meravigliosamente portati, in versione acustica, voce e chitarra, accompagnata da un ottimo Gerry Leonard (già collaboratore di David Bowie), intrattiene incantevolmente una platea accaldata ma attenta, con il timbro di voce magnetico che da sempre la caratterizza.
Poca coreografia, molta empatia, una lieve brezza emotiva che va a toccare i cuori, e in qualche maniera porta serenità.
A Ottobre del 2020, per dare il suo contributo al mondo della musica, messo così duramente alla prova dalla pandemia, la cantautrice Statunitense si è esibita in streaming dal Blue Note Jazz Club di New York. Un evento importante, simbolico, durante il quale è riuscita a riunire circa un centinaio tra musicisti, operatori, e organizzatori mondiali, ed ha presentato il suo album più recente, An Evening of New York Songs and Stories che ripropone i suoi grandi successi. E’ da questo album che è tratta la scaletta proposta al pubblico romano, con una piccola sorpresa sul bis: una Walk on the Wild Side, che commuove tutti.
Mentre Ultimo al Circo Massimo richiama circa 70.000 persone, in un piccolo spazio sonoro, si fa musica in delicatezza. E mai suggestione fu più evocativa di un incipit di carriera su cui avrebbero scommesso in pochi.

Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

 

Simple Minds live all’Auditorium Parco della musica di Roma: il report del concerto

Un tour attesissimo, quello dei Simple Minds in Italia. E attesissimo il concerto di Roma, penultimo del tour.
A distanza di quattro anni, uno dei gruppi che hanno segnato la storia musicale degli anni ’80 torna a esibirsi in Italia. Un tour purtroppo in ritardo sui tempi a causa delle ben note vicende sanitarie che hanno coinvolto il mondo intero, causandone il rallentamento in termini di attività, e anche parecchi cambiamenti epocali. Ma di questi cambiamenti epocali, ieri sera il pubblico romano per un paio d’ore ha perso memoria.
Fa caldo e nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, almeno tre generazioni attendono impazienti di scoprire cosa accadrà su quel palco. E, alle prime note di Act of Love risulta immediatamente chiaro: un salto di 40 anni indietro nel tempo.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Il gruppo, formato in Scozia a Glasgow da Jim Kerr e dal chitarrista Charlie Burchill, ha una caratteristica non comune: non ha mai ceduto al trasformismo. Nel corso di una lunga carriera fatta di successi internazionali, ha sempre mantenuto tanto in termini di contenuti quanto di sonorità, una linea coerente che non delude e non stanca: un evergreen. Quando si affacciarono alle soglie del successo internazionale, i Simple Minds rappresentarono per un’intera generazione una sorta di punto di svolta sotto il profilo dell’interpretazione musicale: poter portare sulla scena contenuti importanti, alleggerendoli grazie a un sound decisamente pop, ma altrettanto sofisticato.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Un sound caratterizzato dalla valenza compositiva di Burchill, e dall’estro interpretativo di Jim Kerr, che a distanza di tanto tempo è rimasto intatto. Generoso, empatico, Kerr entra immediatamente in contatto con il pubblico, scendendo dal palco e cantando tra la folla in delirio: un concedersi preannunciato dalla frase “Roma, è da tanto che manchiamo, non ci risparmieremo”.
Prende così vita uno spettacolo coinvolgente e intenso che ripercorre buona parte dei brani di successo della band: Colours Fly and Catherine Wheel, Waterfront , Book of Brilliant Things , Mandela Day, First You Jump, She’s a River, Let There Be Love, si susseguono a ritmo incalzante, incoraggiando cori e danze sottopalco, in origine non previste, ma assolutamente inevitabili.
Ne è passato di tempo da quel 15 marzo del 1983, quando, al teatro Lido di Roma, che li ha visti spesso protagonisti, proposero un nuovo sogno dorato a un pubblico che, in buona parte, era presente anche ieri sera: tuttavia sembra proprio di essere tornati a quel concerto a quella dimensione, a quegli anni, così diversi da quelli che stiamo vivendo oggi.
Il momento di maggiore intensità si ha sui nove minuti di Don’t You (Forget About Me), con un coro ininterrotto del pubblico di ben quattro minuti, durante il quale Kerr gigioneggia, gioca, dirige, fa scemare le voci, per riportarle ad un’esplosione finale che è una sferzata di energia incontenibile.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Quasi due ore di entusiasmo euforico, nessuna retorica verbale, nessun accenno o presa di posizione politica relativa alle attuali vicende, solo musica, come è nel loro stile. Un sentito Mandela Day, considerato anche il fatto che il giorno successivo, 18 luglio, è il compleanno di Nelson Mandela, e un finale Sanctify yourself, sanctify, che sintetizza tutto: liberati, è l’amore ciò di cui hai bisogno.
E mai come in questo momento questo vecchio brano conosciuto in tutto il mondo ci indica la strada per ritrovare un equilibrio e una serenità che vacillano.
Se la musica ha un potere catartico, sicuramente il concerto dei Simple Minds di ieri sera lo ha dimostrato.

Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

 

 

Mario Venuti presenta “Tropitalia”. Intervista

Ritratti Di Note ha incontrato il cantautore siciliano Mario Venuti per una breve intervista sul suo ultimo progetto “Tropitalia”, un disco di canzoni italiane rivisitate in maniera originale e in chiave “bossanova”…

OIF

Mario, prima di parlare dell’ultimo disco, torniamo agli inizi della tua carriera da solista. Che ricordi hai riascoltando l’album “Un po’ di febbre” e il tuo singolo d’esordio “Fortuna”?

Beh, quegli anni sono irripetibili, scoprivo il magico mondo del Brasile e con “Fortuna” in qualche modo rendevo omaggio a questa cultura straordinaria. La canzone è anche una dedica ad una persona cara che è stata un po’ il mio Guru e mi ha fatto conoscere questa cultura affascinante.

A partire dalla collaborazione con i Denovo, hai attraversato con la tua musica tanti decenni. Cosa tenere secondo te oggi degli Anni ’80?

E’ cambiato tutto, ma al di là delle caratteristiche del mercato corrente e dei mezzi di fruizione, che ci sia il vinile, il cd o lo streaming. Credo che alla fine, l’essenza della creazione, dell’urgenza comunicativa dell’artista, che poi è la cosa più importante, non sia cambiata, perchè alla fine, alla base, ci deve essere il tocco, la magia della creazione: deve essere genuina, deve avere qualcosa che tocca il pubblico, cose che non si sono mai potute racchiudere con una formula. Non c’è un ricettario per fare la canzone perfetta, di successo. E’ sempre qualcosa di misterioso, un miracolo che avviene all’improvviso…

“Tropitalia” è il tuo ultimo progetto discografico. Cosa ti ha guidato nella scelta delle canzoni da rivisitare?

Nella scelta delle canzoni ho cercato di coprire un arco temporale molto vasto. Sono tornato anche agli anni Trenta. Poi gli anni ’50 con “Nel Blu dipinto di blu di Modugno”, che ha un rifacimento in portoghese; una versione percussiva che ha stupito chi l’ha ascoltata; è totalmente diversa dall’originale.Gli anni ’60 sono molto presenti, un’epoca d’oro di cantanti e canzoni. Poi gli Anni ’70 ed ’80. La cosa più recente del disco risale al 2000. Il criterio di scelta delle canzoni non è stato razionale ma istintivo. C’era davvero da perdersi tra migliaia e migliaia di canzoni e quindi si è andati un po’ a cuore e istinto.  Tutto il lavoro di scelta l’ho fatto con il produttore Toni Canto, che è stato un complice perfetto in questa operazione. Siamo andati avanti finchè non abbiamo raccolto il numero sufficiente di canzoni che potesse convincerci, perchè il gioco doveva essere interessante, divertente, stimolante. Se non aggiungi alle cover qualcosa di originale, non vale la pena rifare le canzoni; se invece una reinterpretazione aggiunge elementi nuovi e spiazzanti, offre all’ascoltatore anche una chiave di lettura diversa. In questo caso il gioco vale la candela…

Veniamo da due anni difficili per il mondo della musica. In questo tempo, oltre alla musica, quale è stata la tua ancora di salvezza?

La Pandemia ha minato tantissimi capisaldi della nostra vita; è stato uno sconvolgimento radicale. Il primo lockdown è stata una dimensione che ricordo con un po’ di nostalgia. L’isolamento totale, le città deserte. Qualcosa di poetico lo riconosco a quel periodo. C’era un sentire comune, la voglia di lottare insieme contro questo mostro e quindi c’era anche qualcosa di eroico. Poi i lockdown che sono seguiti dopo, anche per la gestione vaccini e green pass, hanno reso tutto più noioso e burocratico. Ora siamo tutti un po’ esausti, speriamo che possa essere vicina la fine di tutto, e di poter ricostruire sulle ceneri…

In quest’album duetti con con due artisti con i quali hai già collaborato: Joe Barbieri e Patrizia Laquidara…

Questi due artisti sono prima di tutto amici con i quali ho una storia da raccontare, che parte nel passato, ed è per questo motivo che li ho chiamati a cantare nel disco. Con Joe Barbieri duetto in “Vita”, il successo di Dalla e Morandi, con Patrizia Laquidara in “Maledetta Primavera”. Loro due sono stati gli artisti più nelle corde di questo progetto, quindi non ho davvero dovuto spiegare loro nulla. Il disco è nato nel pieno del primo lockdown e, nonostante le distanze, tutti i musicisti che hanno collaborato sono stati eccezionali. Molti hanno suonato da remoto, ma la musica è un linguaggio che riesce ad esprimersi benissimo anche a distanza, anche se non si è presenti tutti insieme in uno studio.

Rivedremo Mario Venuti a Sanremo?

Perché no, spero ci sia l’occasione…

GIULIANA GALASSO

“Tropitalia” Tracklist

1) Ma che freddo fa

2) Figli delle stelle

3) Quella carezza della sera

4) Maledetta Primavera

5) Xdono

6) Non ho l’età (Per amarti)

7)  Voar (Nel blu dipinto di blu)

8) Vita

9) Vivere

10) Il cuore è uno zingaro

11) Una carezza in un pugno