Three Letters from Sarajevo: Goran Bregovic racconta la frontiera.

Goran Bregovic

Goran Bregovic

Il suono che unisce le frontiere, che intende coniugare gli animi esiste? Un mistero che non ha ancora una risposta ma che sopravvive, fiammante ed energico, nel cuore di Goran Bregovic. Emblema dello spirito gitano, il musicista giramondo rompe il silenzio discografico durato cinque anni con “Three Letters from Sarajevo”: un album simbolico con cui Bregovic rompe il tabù della guerra e mette in primo piano il tema della convivenza tra religioni diverse. Il suo intento è nobile, il modo per veicolare il messaggio è sublime. L’incedere voluttuoso degli arrangiamenti corposi, ricchi e maestosi si accompagna a testi che trasudano pathos e sofferenza, tentativi di conciliazione e altrettanti furiosi fallimenti. Quasi dieci anni di guerra nei Balcani, l’assedio di Sarajevo dal 1992 al 1996, gli accordi di Dayton, la fine delle ostilità, il lento ritorno alla normalità.

Un uomo di frontiera che la racconta come nessun altro e che attraverso la musica e la poesia si trasforma in un demiurgo di bellezza. Come? Ideando un concerto per tre violini solisti, orchestra sinfonica e la Goran Bregovic Wedding and Funeral Orchestra. L’idea delle tre lettere prende simbolicamente vita grazie a tre assoli di violino suonati rispettivamente da Mirjana Neskovic (Serbia), Zied Zouari (Tunisia), Gershon Leizerson (Israele).

La vera curiosità di questo disco è che in realtà esso rappresenta il primo capitolo di un doppio album, di cui la seconda parte vedrà la luce nel 2018: la connotazione pop di questo progetto sarà completata da quella propriamente orchestrale concepita per orchestra sinfonica.

Ad arricchire ulteriormente i contenuti di “Three Letters from Sarajevo” sono gli ospiti: l’israeliano Asaf Avidan, l’algerino Rachid Taha, la spagnola Bebe. Le storie da loro raccontate esulano dal tema centrale ma a loro modo completano la panoramica secondo cui dovremmo riuscire a mettere insieme gli elementi necessari per convivere pacificamente.

 Le contraddizioni, le imperfezioni, la volatilità dei sentimenti e dei pensieri, l’instabilità dell’equilibrio umano sono modellate da voci e suoni trascinanti. L’irresistibile fascino di una festa tragica rapisce l’inconscio, capace, a sua volta, di trarre forza dalle cose più infime e terribili.

Atmosfere scure, neoromantiche e sanguinarie cedono il passo alla richiesta urgente di vita, di cultura, di compartecipazione. Quasi un invito a buttarsi verso il futuro come degli scavezzacollo. Il marchio di fabbrica è sancito da “Made in Bosnia”: la vita gipsy è tutta qui; a noi le istruzioni per l’uso.

Raffaella Sbrescia

Video: Three Letters From Sarajevo

Colapesce sfida se stesso con “Infedele”. La recensione del disco

Colapesce - Infedele

Colapesce – Infedele

Un disco breve e quanto mai vario. “Infedele”, il nuovo album di Colapesce (etichetta 42 Records) è una digressione musicale di tipo alto, un progetto strutturato su più livelli in cui l’artista si mette in gioco lasciandosi avvincere dalla fascino stimolante della sfida. Proprio così, Colapesce mette sul piatto i suoi ascolti trasversali travasandoli in otto canzoni che profumano di moderno e antico al contempo. La sua vita prende forma attraverso metafore, sottili giochi di parole, strofe e ritornelli che, muovendosi a cavallo tra la Sicilia e Milano disegnano in maniera nitida i contorni di un’anima inquieta, curiosa, turbinosa quindi “infedele”.

Il disco si apre con “Pantalica”, un brano ispirato ad una necropoli vicina a Solarino, un luogo atavico che da secoli trasuda fascino. Il brano, venuto fuori di getto, riassume a grandi linee la vita di Colapesce e rapisce subito l’ascolto grazie ad una chiusura strumentale ossessiva e ancestrale sulle note free jazz del sax di Gaetano Santoro.  La tracklist prosegue con “Ti attraverso”, primo nato del disco, basato su una frase che ha fatto da input per tutto il resto: “Ho fatto come volevo, erano strade diroccate piene di Buttane e va bene così”. Acclamata come hit del disco “Totale”, scritta insieme ad Antonio di Martino, pone Colapesce sul piano del cantautore che sa scrivere un godibilissimo pop in grado di scardinare ogni certezza. I richiami ancestrali proseguono con “Vasco da Gama”: un suggestivo arpeggio introduce un racconto nostalgico, a tratti onirico: il protagonista fa da tramite con il mondo marino, da sempre fonte di sogni.

Video: Totale

Si prosegue con l’impianto classico di “Decadenza e panna”: anche in questo caso si tratta di un brano pluridimensionale che parte dalle risate di una comedy e si evolve seguendo le linee del folk. Esilarante il testo di “Maometto a Milano”: qui la narrazione del disagio è di grande impatto, stona con il resto, disturba quasi l’ascolto costringendoci a fare i conti con una risoluzione individuale tutt’altro che compiuta.

Affascinante anche il contrasto sonoro di “Compleanno”: la fanfara va a braccetto con la musica da club, il passato pare ormai alle spalle ma ecco piombarci addosso la frammentazione spirituale di “Sospesi”: autoscatto cantautorale così indefinito e preciso al contempo da lasciarci praticamente senza fiato.

Raffaella Sbrescia

Alda Merini – Il concerto: il viaggio musicale di Giovanni Nuti preserva il patrimonio letterario della poetessa

Fabio Concato, Lucia Bosè e Giovanni Nuti @ Teatro Dal Verme

Fabio Concato, Lucia Bosè e Giovanni Nuti @ Teatro Dal Verme

Dentro, con e per Alda Merini. Il viaggio musicale concepito da Giovanni Nuti attraversa il corpo, lo spirito, la memoria, lo scopo della vita di una poetessa che saputo mettere nero su bianco contrasti, gioie e paure, amori, incubi, certezze e perplessità andando ben oltre la realtà contingente. All’interno del cofanetto “Accarezzami musica”, messo in scena per la prima volta lo scorso 20 ottobre al Teatro dal Verme di Milano, il repertorio poetico di Alda Merini si è trasformato in materiale musicato, acquisendo, di fatto, una nuova e, chissà, forse più ricca, veste. Il progetto, contenente quasi tutta la produzione di Alda Merini realizzata insieme a Giovanni Nuti con l’intervento di altri numerosi artisti, ha portato sul palco del teatro milanese numerosissimi ospiti: Fabio Armiliato e il coro dei Piccoli Cantori di Milano, Omar Pedrini, Grazia Di Michele, Daniela Poggi,  Lucia Bosè, Carla Fracci, Rita Pavone, Fabio Concato, Marco Ferradini, Andrea Mirò, Dario Gay e la bravissima Monica Guerritore, già affascinannte protagonista dello spettacolo intitolato “Mentre rubavo la vita”.

Nell’intento di celebrare l’arte, intesa come bellezza nella sua accezione più pura, l’emozionatissimo Giovanni Nuti ha messo più volte l’accento sugli aspetti più intimi e più preziosi della personalità e della vita di Alda Merini, lasciando vivo tutto l’impatto emotivo che certi racconti hanno lasciato nel cuore di chi ha partecipato alla serata benefica a favore dei City Angels.

Chissà quanto sarebbe stata amata Alda Merini oggi che i pregiudizi la fanno da padrone, oggi che si esalta tanto l’emancipazione ma i moralismi distruggono ancora la vita di molti. Lascia stupefatti pensare che lei ha anticipato i tempi di decenni, rincuora il fatto che ci sia ancora chi come Nuti, negli ultimi 16 anni, si è fatto fortunatamente carico di tramandare il suo tesoro letterario alle nuove generazioni così disabituate all’ascolto, alla conoscenza, alla fame di emozioni autentiche e durature.  La sensualità fascinosa di un tormento tanto profondo quanto prolifico ci lasciano con l’incanto di chi ha capito il valore di una sensibilità così rara e ne apprezza ogni singola sfumatura.

Raffaella Sbrescia

Dee Dee Bridgewater live al Blue Note Milano: il soul in carne e ossa

Dee Dee Bridgewater live - Blue Note Milano

Dee Dee Bridgewater live – Blue Note Milano

Che siate degli appassionati del genere o semplicemente conosciate Dee Dee Bridgewater per la sua fama ormai decennale, credo che pochi di voi hanno avuto la fortuna di assistere un suo concerto dal vivo. Reduce dalla partecipazione alla performance live della leggendaria Bridgewater al Blue Note di Milano, posso tranquillamente affermare che concerti così siano annoverabili tra le esperienze illuminanti della vita.

Perché dico questo? Ve lo spiego subito: Dee Dee Bridgewater è quel classico esempio di personalità iconica che è diventata tale perché fedele ai propri valori, ad un modo di concepire la musica, la vita e i rapporti umani in modo appassionato, autentico, verace; il tutto mantenendo uno standard qualitativo eccellente.

Seguendo la scia di successo riscontrato dall’album “Memphis I’m Ready”, ispirato alla città dove vive, Dee Dee Bridgewater ha portato sul palco la vibrante energia del soul e del blues, celebrando, tra l’altro, le più grandi leggende viventi che hanno fatto la storia di questi generi musicali brulicanti di fascino.

Per chi si era abituato ad ascoltarla nella sua veste jazz, il suo nuovo repertorio comprensivo di “Don’t Be Cruel” di Elvis e “Hound Dog” lanciata da Big Mama Thornton e “The Thrill Is Gone” di B.B. King sarà risultato quanto meno sorprendente.

Mi rendo conto che vi risulta difficile immaginare l’emozione provata ad ascoltare la voce di una donna che ha vissuto sulla propria pelle tanti passaggi importanti della storia della musica nonché tanti cambiamenti storico a livello socio –culturale, ma vi posso assicurare che sentirla raccontare aneddoti di vita vissuta al fianco di vere e proprie leggende, in momenti e luoghi completamente diversi dai nostri, vi avrebbe fatto sentire come parte attiva di un vecchio film ambientato in un fumoso club americano.

Che peccato sapere che serate così rappresentano l’eccezione, che peccato vedere che questo tipo di grinta, di feroce energia si stiano inesorabilmente estinguendo.

Scatenata, incontenibile, sensuale, quasi scandalosa, Dee Dee Bridgewater è avulsa da qualunque luogo comune, usa tutto il suo corpo per esibirsi e comunicare nella maniera più intensa possibile. Il suo scat ha letteralmente incendiato il pubblico del Blue Note; per tutti questi motivi sfido chiunque a resisterle.

 Raffaella Sbrescia

“E’ tutto da vedere”: l’arrivo di una nuova vita in scena con Martino Corti e Vanessa Korn

Martino Corti e Vanessa Korn in scena per "E' tutto da vedere"

Martino Corti e Vanessa Korn in scena per “E’ tutto da vedere”

“E’ tutto da vedere”, da vivere, da condividere. Il nuovo spettacolo (di e con Martino Corti e Vanessa Korn), produzione “Cimice” (www.cimicerecords.it), in scena allo Spazio Avirex Tertulliano di Milano fino al 29 ottobre, è una sorprendente montagna russa di emozioni. Buio. Silenzio. Sguardi persi nel vuoto ed ecco la svolta: Martino e Vanessa scoprono di aspettare un bambino e via alle inquietudini, ai turbamenti, le paure, l’ansia, la gioia, l’incertezza, lo stupore, l’incredulità. Martino racconta la trasformazione da figlio in padre mettendo in scena tutto l’amore possibile, Vanessa incarna le vesti di una donna tanto fragile quanto matura per far fronte al cambiamento più importante della vita. Al centro di tutto c’è Mirtilla, la bambina di Martino che ha innescato la scintilla giusta per accendere il motore creativo di un viaggio delicato, ironico, commovente. A scandire i momenti salienti dello spettacolo, il sapiente contributo alle chitarre di Luca Nobis e le canzoni che Martino Corti ha scritto per tracciare un filo conduttore adiacente e parallelo al discorso portato avanti con i suoi monologhi. Tra tutte, in particolare, spicca il nuovo singolo “Dal tuo papà”, una lettera d’amore dedicata a tutti i figli di tutti i padri che provano a farsi coraggio in una società che non riconosce più i punti di riferimento a cui eravamo abituati.

Gli aspetti vincenti di questo spettacolo sono la spontaneità, la genuinità, la verità di quello che viene raccontato in scena. Viene facile immedesimarsi nei panni dei protagonisti da parte di chi si ritrova a mettersi spesso in discussione. Ci vuole forza, coraggio, incoscienza, speranza per mettere da parte le travolgenti prime volte e dare spazio a fasi della vita meno avventurose ma altrettanto provanti.

Mettere al mondo una nuova vita, vuol dire donarla al mondo, vuole esporla a mille rischi e altrettante possibilità, è un atto d’amore ma è anche un atto di puro coraggio. Questo spettacolo è un bel momento di teatro italiano, ci insegna a fare i conti con le nostre debolezze ma anche con i nostri pregi, tratteggia la natura umana e cosa, più importante, incastra alcuni importati tasselli in grado di ripristinare un ponte generazionale sempre più necessario per affrontare il domani a cuore caldo.

Raffaella Sbrescia

Sede dello spettacolo: Spazio Avirex Tertulliano Via Tertulliano, 68 20137 – Milano www.spazioavirextertulliano.it

Info e prenotazioni: Tel. 02 49472369 Cell. 320 6874363 dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle 19.00 Sabato: dalle ore 16.00 alle 19.00 Domenica: dalle ore 11.00 alle 16.00

Ritiro dei biglietti: a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo. È sempre possibile prenotare via mail all’indirizzo: biglietteria@spazioavirextertulliano.it

Date spettacolo: 19-20-21-22-26-27-28-29 ottobre 2017

Inizio spettacolo: Da giovedì a sabato ore 21.00 Domenica ore 16.30 Domenica 29 ottobre doppia replica 16.30/20.30 Ingresso: € 16,00

Intervista a Mario Riso: il mio “Passaporto” racconta il mio sconfinato amore per la musica

Mario Riso

Mario Riso

Mario Riso è il creatore e direttore del progetto musicale Rezophonic, l’iniziativa a sfondo sociale in cui ha riunito il meglio del rock italiano per aiutare la realizzazione di pozzi d’acqua potabile in Kenya, ma è anche e soprattutto un batterista rock che all’alba del suo 50esimo compleanno ha voluto raccontare la sua storia musicale in “Passaporto”. All’interno dell’album comprensivo di 18 tracce, Mario Riso ha racchiuso le tappe principali della sua carriera iniziata poco più di 30 anni fa. Insieme a lui hanno cantato Danti, Rise, Cristina Scabbia, Tullio De Piscopo, Giuliano Sangiorgi, Movida, Caparezza. L’abbiamo incontrato per lasciarci conquistare dal suo sconfinato amore per la musica e il suo strumento.

Intervista

Ciao Mario, questo nuovo progetto si presenta come una opera omnia…

In realtà si tratta di un vero e proprio passaporto, un documento d’identità in cui si parla, grazie ai timbri, dei viaggi che ho percorso durante la mia vita. Visto che in qualità di batterista divido il tempo in quarti e frazioni di quarti, ho voluto realizzare un passaporto temporale con l’indicazione dei timbri degli anni in cui le canzoni sono state realizzate. Ecco perché si parte dal 1983, l’anno in cui facevo parte in cui facevo parte di una band che si chiamava Mad Runner e sognavo di poter fare della mia passione un lavoro, fino ad arrivare al 2017, anno in cui per la prima volta ho provato a cantare e a utilizzare la mia voce come strumento.

Cosa hai provato nel mettere la tua voce in gioco su supporto discografico? Come ti è venuta questa voglia?

Devo ringraziare Danti, autore incredibile che si è messo in gioco a sua volta insieme a me per aiutarmi a rendere questa canzone così speciale. Cantare per me è ancora oggi qualcosa di strano, mi approccio sempre all’arte con rispetto. Ho cantato con il cuore più che con la gola, ho raccontato una storia per me importante che parla dell’amore nei confronti della musica e della batteria, un’esperienza unica per me, volevo vivermela così a 50 anni e l’ho fatto andando anche contro l’istinto che mi faceva sentire inadeguato al canto.

Uno degli aspetti da evidenziare è il grande rispetto che hai per la musica e chi la fa. Come intendi difendere questo tipo di approccio?

Non saprei comportarmi in un altro modo. Sono grato alla musica, ai musicisti, al mio strumento. Quando ero piccolo sognavo di fare un certo tipo di percorso, oggi che sono arrivato a 50 anni posso dire a voce alta che la mia vita attuale è molto più bella di quella che sognavo. Dico sempre che chi ha avuto tanto dalla vita, deve anche restituire e io sto provando a farlo nel miglior modo che conosco.

Molto interessante il confronto generazionale insieme a Tullio de Piscopo e Rise.

L’idea è nata da una considerazione: grazie all’innovazione tecnologica si riescono a fare delle cose che una volta non si conoscevano neppure. I giovani possono permettersi dei lussi che gli consentono degli sconti, riescono spesso ad ottenere risultati senza meritarseli, parlo in questo caso di chi usa autotune e pro tools. Prima se volevi suonare dovevi essere pronto, se volevi cantare dovevi realmente saperlo fare. Oggi tutti cantano, tuti suonano perché la tecnologia lo consente e gli permettere di essere qualcosa che in realtà non sono. Ragionando in questi termini nel mondo batteristico ho quindi voluto mettere a confronto tre generazioni: Tullio ha fatto innamorare tanti ragazzi dello strumento, la mia è una generazione intermedia e poi c’è Rise che con la bocca fa cose che io non saprei mai riprodurre con la batteria; far convivere queste tre realtà era una scommessa e l’abbiamo vinta.

Video: Un temporale

Come te la sei cavata con Rock tv, considerando le tante difficoltà e soprattutto l’allontanamento “forzato” dalla musica suonata?

L’uomo nasce nudo, passa la vita a cercare di coprirsi e poi ad un certo punto vuole tornare nudo. Questo è metaforicamente il mio caso: ho sempre voluto suonare la batteria poi ad un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento di fare tanto altro perché sono innamorato della vita e son curioso quindi ho deciso di improvvisarmi in un ambito che non conoscevo e questo mi ha portato ad allontanarmi per certi versi dallo strumento e dalla possibilità di migliorarmi, fin quando ho capito che sono semplicemente un batterista e ho ricominciato da dove avevo lasciato. Ho conosciuto tanti artisti stupendi in 12 anni, anche questo fa parte del mio bagaglio di vita e delle mie conoscenze. Ho avuto tutto dalla musica, le sono grato e ne ho troppo rispetto, suonare la batteria tutti i giorni per me è una magia, conciliare la propria passione con la possibilità di lavorarci è il massimo; lo auguro a tutti.

Mario Riso

Mario Riso

“Leggendo” questo tuo Passaporto, viene da approfondire anche la tua passione per la musica latina…

Sono cresciuto in una famiglia contaminata dal mondo latino-americano e argentino. Mio padre ha origini argentine, da sempre ho vissuto il crossover culturale ma non l’ho mai esteriorizzato più di tanto. Il senso di appartenenza a questo tipo di mondo è venuto fuori sempre più negli anni. In questo disco ho colto l’opportunità di fare qualcosa di particolare, ho chiamato dei musicisti incredibili che vengono da Cuba, Costarica, Colombia e abbiamo realizzato una registrazione in presa diretta, proprio come se fossimo in una cantina anni 50. Ho riproposto un mondo che non c’è più ma che fa parte delle mie radici.

E poi c’è il nuovo capitolo Rezophonic dietro l’angolo…

Ho già preparato anche Rezo4, sto trovando un accordo discografico per pubblicarlo, ci saranno sorprese incredibili. Ho voluto fare un solo featuring di caratura internazionale che ci farà il giro del mondo e che ci farà raccontare la nostra storia un po’ ovunque, c’è già anche il video.  Presto saprete di chi si tratta! Nel frattempo non vedo l’ora di andare in giro e suonare le canzoni del mio disco, ci sono tante cose da fare, vi aspetto tutti!

 Raffaella Sbrescia

Una notte con i Sigur Rós ad Assago per riappropriarsi delle emozioni

Sigur Rós live al Mediolanum Forum - Assago

Sigur Rós live al Mediolanum Forum – Assago

Immaginatevi di fermare tutto per un paio d’ore o solo per qualche momento per ascoltare solo i vostri sensi, il battito del vostro cuore o semplicemente il flusso turbinoso dei vostri pensieri. Questo è il più grande dono che può fare la musica dei Sigur Rós, il trio islandese che, ispirandosi ai grandi pionieri del post-rock, ha saputo incrociare la durezza delle chitarre distorte, lo scintillìo metallico dei synth, il lirismo di una voce tanto eterea quanto penetrante al sibilo di un arco usato per creare voluttuose acrobazie sonore che solo le anime più attente possono cogliere nel dettaglio. Il mistero dell’imperscrutabile lingua “hopelandic” di loro invenzione sposa l’intricato e luminescente universo visual ideato per integrare e apportare un concreto valore aggiunto ad un muro di suono concepito per accogliere e non per separare il pubblico, silenzioso e assorto in un ascolto quanto mai attento. La costruzione del concerto è stata organizzata seguendo uno schema logistico e mentale preciso: il cantante-chitarrista Jón Þor “Jónsi” Birgisson, il bassista Georg Hólm e il batterista Orri Páll Dýrason sono partiti dando spazio alle nuove e oscure note dell’album in divenire: “Á” ,“Niður”, “Varða”, “Óveður” per poi dedicarsi nel corso del secondo atto ai rassicuranti ed energici classici “Sæglópur”, “Festival”, “Ný Batterí”.

Video: Sigur Rós live

Le melodie dei Sigur Rós sono deflagrazioni sonore ad alto impatto emotivo, si diramano all’interno del tessuto nervoso e rilasciano materia viva, pregna di eco emotiva. Le distorsioni filtrano ogni sfumatura di una voce sempre nitida, più bucolica che angelica. Il contrasto tra gli elementi comporta un saliscendi emotivo molto impegnativo. Spazio all’immaginazione e alla spiritualità, dunque, ma attenzione: i Sigur Rós non sono degli improvvisatori. Ogni singolo elemento: dagli strumenti, all’uso della voce, alla gestualità, alla scelta di esprimersi in una lingua quasi inaccessibile, è il frutto dell’unico obiettivo da sempre perseguito dalla band: concederci il lusso e la possibilità di riappropiarci delle nostre emozioni e imparare a riconoscerle.

 Raffaella Sbrescia

La scaletta

Primo atto
Á
Ekki Múkk
Glósóli
E-Bow
Dauðalagið
Fljótavík
Niður
Varða

Secondo atto
Óveður
Sæglópur
Ný Batterí
Vaka
Festival
Kveikur
Popplagið

Intervista a Thomas: “I miei sogni stanno diventando realtà”

Thomas - Cover album

Thomas – Cover album

Thomas fa il suo ingresso ufficiale nel mondo discografico italiano con il suo primo omonimo album. In questi ultimi mesi avete avuto modo di conoscerlo ascoltandolo in radio e ai festival musicali in giro per la penisola italiana. Da oggi ascolterete il nuovo lavoro full-lenght di questo ragazzo che dimostra di avere tanta voglia di fare. Sincero, appassionato ed entusiasta come solo un diciassettenne può essere, Thomas raccoglie quanto seminato fino ad oggi con un occhio rivolto all’energia del funk e all’istrionismo di Bruno Mars. Sotto la guida di Warner Music Italy e con il coordinamento di Alex Tricarichi, le dieci tracce (più la versione in inglese di E’ un attimo) riempiono i primi tasselli di un percorso promettente.

Intervista

Ciao Thomas, eccoti raggiante. Come hai vissuto la vita in studio durante la preparazione di questo lavoro e quali sono le sensazioni che ti hanno accompagnato?

La realizzazione del disco è stata intensa e divertente. Abbiamo lavorato tanto con l’instore tour e Festival estivi, mi sono divertito un sacco e sono riuscito a trovare la concentrazione necessaria per fare tutto al meglio. Questo nuovo album si chiama Thomas perché parla di me, raccoglie i miei colori, i miei sogni e le sfumature della mia personalità.

Come si è rapportato il tuo modo di essere sia all’interno dell’interpretazione che della scrittura? Hai partecipato in prima persona a tutte le fasi di questo lavoro?

Sì, ho cercato di essere il più presente possibile nella realizzazione del mio album, mi piace dare il massimo in tutto quello che faccio.

Quali sono, invece, le differenze, a livello tecnico tra il tuo primo Ep e questo disco?

Senz’altro c’è stato un cambiamento di metodo di lavoro: prima uscivo da un percorso diverso, abbiamo registrato tutto in due sere, non ho avuto modo di collaborare, se ne sono occupati direttamente gli arrangiatori. Adesso, invece, ho imparato tantissime cose, ho lavorato fianco a fianco con dei professionisti, è stato bellissimo lavorare con Alex Trecarichi che ha interpretato al meglio le mie idee e le ha sviluppate.

Ritmi incalzanti, sonorità hip hop e R’n’B, ma anche alcune ballad intime e delicate. Come sono state fatte queste scelte sonore?

Il risultato è un mix di quello che ascolto, mi fido tanto di Alex. Ci siamo ispirati a Bruno Mars e The Weekend in particolare.

La tua cultura musicale è molto vasta e va anche indietro nel tempo nonostante la tua giovane età… Raccontaci i passaggi che hanno scandito questa formazione.

 Ho iniziato a crescere con la musica dei Pooh di cui mia madre era appassionata. All’età di 8-9 anni sono stato folgorato da Michael Jackson poco prima della sua dipartita. Michael mi ha portato la passione per la danza e per il canto ma in realtà mi ha aperto molti fronti musicali: grazie a lui ho scoperto il soul, il funk, l’r’n’b. Poi mi sono dedicato alla musica leggera e al pop italiano e alla musica elettronica. Per un periodo mi sono interessato al mondo dell’hard rock anni ’70 poi sono ritornato sui miei passi e mi sono orientato su artisti più moderni come Bruno Mars concentrandomi sul mondo black di Lionel Richie, Jamiroquai, Craig David.

Nel frattempo hai portato avanti il discorso del ballo? Lo porterai anche nei tuoi prossimi concerti?

Assolutamente sì, la danza non mi hai abbandonato, ho continuato a studiare in parallelo.

Per quanto riguarda i testi, approfondiamo il significato de “Il sole alla finestra”…

Parto dal presupposto che la musica mi porta oltre la realtà contingente. Le canzoni che canto parlano di storie che non sempre mi appartengono eppure mi consentono di viaggiare ed emozionarmi. Ciò detto, il brano in particolare parla di ricordi che si ostinano a farci male, ci esorta ad andare contro le nostre paure e a trasformarle in luce D’altronde se non ci fosse il nero non ci potrebbe essere la luce.

Come vivi queste fasi di eluzione e crescita professionale e umana e come ti contestualizzi all’interno dell’attuale panorama musicale?

Queste emozioni che vivo sono sogni che si avverano. Ci credevo fin da piccolo, vivo tutto con positività. Musicalmente mi piacerebbe portare un mood internazionale in Italia e in italiano. Ovviamente sogno di espandermi ma mi concentro sulla mia lingua per ora.

Ti senti più autore o più interprete?

Mi piace tanto scrivere i miei pezzi e interpretarli, vorrei migliorare nella scrittura e approfondire la parte dei testi. In genere mi occupo della parte armonica e melodica dei miei brani, in ogni caso entrambe le cose sono fondamentali: se scrivi, ci metti più anima però ricevere consigli è comunque importante

Cosa senti di aver imparato e cosa vorresti approfondire più avanti?

Le tecniche di registrazione, il modo di lavorare in studio e di concepire le possibilità di arrangiamento dei brani. Questo è un mondo davvero affascinante!

 Raffaella Sbrescia

Video: E’ un attimo

 

Dal 13 ottobre incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Questi i prossimi appuntamenti:

Venerdì 13 Roma Discoteca Laziale Via Giovanni Giolitti, 263 h. 15.00

Sabato 14 Milano Mondadori Piazza Duomo h. 15.00

Domenica 15 Bassano del Grappa cc Il Grifone h. 16.30

Lunedì 16 Bari Feltrinelli Via Melo 119 h. 15.00

Martedì 17 Torino Media World cc Lingotto Via Nizza 262 h. 18.30

Mercoledì 18 Stezzano (BG) Media World cc Le Due Torri h. 17.00

Giovedì 19 Palermo Feltrinelli Via Cavour 133 ore 15.00

Venerdì 20 Nola cc. Vulcano Buono h.17.30

Sabato 21 Catania Feltrinelli Via Etnea 285 ore 15.00

Domenica 22 Bologna Mondadori Via Massimo D’Azeglio, 34/A h. 15.00

Lunedì 23 Genova Mondadori Via XX Settembre, 27/R h. 15.00

Martedì 24 Marghera Mondadori cc Nave de Vero Via Pietro Arduino 20 h. 15.00

Mercoledì 25 Firenze Galleria Del Disco h. 15.00

Giovedì 26 Brescia Feltrinelli Corso Zanardelli 3 h. 15.00

A novembre sarà protagonista di due appuntamenti live: l’11 novembre a Roma (Atlantico) e il 12 novembre a Milano (Fabrique). L’inizio è fissato per le ore 18.00.

INSTAGRAM https://www.instagram.com/thomas_officialpage/

TWITTER https://twitter.com/ThomasOfficial

FACEBOOK https://www.facebook.com/ThomasBocchimpaniOfficial

 

 

 

 

 

Shadows: ecco il pianismo ritmico di Andrea Carri

Andrea Carri - Shadows

Andrea Carri – Shadows

Il pianismo italiano è in grande fermento. Sono numerosi infatti i giovani pianisti che decidono di affacciarsi a questo mondo da sempre legato ai grandi nomi della musica classica per poter dire la loro in forma inedita. Uno di questi è Andrea Carri, che avevamo incontrato in occasione della recensione dell’album “Chronos” e che ritroviamo per parlare di “Shadows”. Il progetto, a partire dal titolo, cammina in punta di piedi con garbo ed eleganza. D’altronde lo stile di Carri è sempre stato delicato e mai invadente. La novità più impattante di questo nuovo album è il contributo di Francesco Camminati alla batteria. Un ritmo percussivo che cesella, disegna e definisce lo spessore e i confini dei brani presenti in tracklist. Un modo per intendere, concepire e assimilare le melodie seguendo una linea guida insolita ma credibile. L’ascolto inizia con “Universal gravitation” un brano descrittivo e preparatorio ad un percorso conoscitivo completo. Si prosegue con “Whisper”, “Love”, “Flying Away”: fotogrammi di vita tradotti in note coerenti e strutturate, concepite per costruire immagini e riflessioni mentali. “This is not the Strawberry Season”, titola andrea Carri in uno dei brani centrali del disco, e in effetti quella punta di penombra che attraversa l’effluvio di note regala all’ascolto un tocco fascinosamente malinconico. La degna conclusione dell’ascolto arriva con “The Dark Tower – Part I: The Gunslinger”: l’ipnotismo catartico del piano fuso al lirismo romantico degli archi e alla pacatezza soffusa delle ritmiche percussive conclude il viaggio all’insegna della serenità d’animo.

Raffaella Sbrescia

Video: Universal Gravitation